Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile Sentenza 22 maggio 2018, n. 12567
Dall’ammontare del danno subito da un neonato in fattispecie di colpa medica, e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l’assistenza personale, deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennita’ di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall’Inps in conseguenza di quel fatto.
Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile Sentenza 22 maggio 2018, n. 12567
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f.
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sez.
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25377/2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che le rappresenta e difende unitamente all’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali genitori di (OMISSIS);
– intimati –
nei confronti di:
AZIENDA OSPEDALIERA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
e contro
(OMISSIS);
– intimata –
e sul ricorso proposto da:
AZIENDA OSPEDALIERA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrente in via incidentale adesiva –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali genitori di (OMISSIS); (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 413/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 28/03/2013;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13 febbraio 2018 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto dei primi quattro motivi del ricorso principale e l’accoglimento del quinto motivo del ricorso principale, per il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale e l’accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso incidentale;
uditi gli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. – Nel 1999 (OMISSIS) e (OMISSIS), dichiarando di agire sia in proprio che quali rappresentanti ex articolo 320 cod. civ. del figlio minore (OMISSIS), convennero dinanzi al Tribunale di Mantova, sezione distaccata di Castiglione delle Stiviere, l’Azienda ospedaliera (OMISSIS), (OMISSIS) (che decedera’ nelle more del giudizio, e la cui posizione processuale sara’ poi coltivata dagli eredi, ovvero (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), e (OMISSIS), esponendo che: il (OMISSIS), nell’ospedale di (OMISSIS) (gestito dall’Azienda convenuta) era nato il loro figlio (OMISSIS); il neonato, sano durante la gestazione, aveva patito una grave ipossia cerebrale a causa della ritardata esecuzione del parto cesareo, ascrivibile a colpa del medico di turno, dott.ssa (OMISSIS), e del primario del reparto, dott. (OMISSIS); l’ipossia intra partum aveva provocato gravissimi postumi permanenti, consistiti in una tetraparesi. Gli attori chiesero, percio’, la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni rispettivamente patiti.
(OMISSIS) e l’Azienda ospedaliera si costituirono, negando la propria responsabilita’. (OMISSIS) rimase invece contumace.
2. – Il Tribunale di Mantova, sezione distaccata di Castiglione delle Stiviere, con sentenza in data 6 marzo 2007, accolse la domanda: accertata la concorrente responsabilita’ colposa dei convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alle lesioni subite dal minore (OMISSIS), condanno’ tutti i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivati agli attori, liquidandoli: quanto ad (OMISSIS), in Euro 1.894.875,50, detratto l’acconto ricevuto in data 31 maggio 2002, oltre interessi legali; quanto ad (OMISSIS), in Euro 172.479,25 a titolo di danno non patrimoniale, oltre interessi legali; quanto a (OMISSIS), in Euro 466.000 a titolo di danno non patrimoniale, oltre interessi legali.
La sentenza venne appellata da tutte le parti.
3. – La Corte d’appello di Brescia, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 28 marzo 2013, ha rigettato l’appello dei danneggiati, ha accolto quello degli eredi (OMISSIS) e, in parte, quelli proposti dall’Azienda ospedaliera e da (OMISSIS).
La Corte d’appello ha condannato la (OMISSIS) in solido con l’Azienda ospedaliera al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivati agli attori, liquidandoli: quanto ad (OMISSIS), in Euro 1.741.275,50, gia’ detratto l’acconto ricevuto in data 31 maggio 2002, oltre interessi legali; quanto ad (OMISSIS), in Euro 172.479,25, oltre interessi legali; quanto a (OMISSIS), in Euro 180.000, oltre accessori di legge.
La Corte d’appello ha ritenuto che il (OMISSIS) tenne si’ una condotta colposa, ma essa fu priva di efficienza causale nel determinismo del danno, giacche’, anche se egli avesse praticato il parto cesareo non appena avvisato del rischio senza indugiare con l’applicazione della ventosa, il feto non avrebbe evitato l’ipossia.
La Corte di Brescia ha giudicato corretta la stima del danno non patrimoniale e patrimoniale patito dalla vittima primaria, (OMISSIS). In particolare, con riferimento alla liquidazione del danno emergente per assistenza al leso, la Corte territoriale ha rilevato che tale voce di danno e’ stata calcolata avuto riguardo alla situazione in cui il minore non solo si trova ora, ma in cui si trovera’ per tutta la sua esistenza, tale da richiedere assistenza a tempo pieno, non rinvenendo alcun ragionevole riscontro la pretesa che della suddetta assistenza si debbano far carico i familiari. Secondo la Corte d’appello, dall’importo liquidato non devono essere detratti l’indennita’ di accompagnamento e il valore delle prestazioni a domicilio erogate dal servizio pubblico: per un verso, infatti, il piccolo (OMISSIS) deve fare fronte ad altre spese per il vivere quotidiano, in aggiunta a quelle di mera assistenza, e, per l’altro verso, le prestazioni domiciliari, limitate ad alcun accessi, non elidono la necessita’ di una persona che di giorno lo assista e che di notte sia presente fisicamente per ogni necessita’.
La Corte d’appello ha escluso dai danni risarcibili il pregiudizio, patito da (OMISSIS), consistito nella rinuncia al lavoro retribuito, per potersi occupare stabilmente del figlio (sul rilievo che una volta che si e’ riconosciuto all’ (OMISSIS) la voce di danno relativa all’assistenza e che la relativa liquidazione e’ stata effettuata calcolando l’importo occorrente per retribuire una persona che vi provveda per la durata presumibile della vita, non ricorre piu’ alcuna necessita’ che la suddetta assistenza venga prestata da un familiare); e ha corretto il conteggio del danno da mora e lo scomputo degli acconti pagati prima della sentenza, rispetto a come era stato calcolato dal Tribunale.
4. – La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione: in via principale da (OMISSIS), con ricorso affidato a cinque motivi; in via incidentale (adesiva) dall’Azienda ospedaliera, con ricorso articolato su tre motivi, illustrati con memoria.
Hanno resistito, con controricorso, (OMISSIS) e (OMISSIS).
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.
5. – La Terza Sezione di questa Corte, con ordinanza interlocutoria 22 giugno 2017, n. 15537, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione dei ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza sulla questione se nella liquidazione del danno patrimoniale relativo alle spese di assistenza che una persona invalida sara’ costretta a sostenere vita natural durante, debba tenersi conto, in detrazione, della indennita’ di accompagnamento erogata dall’Istituto nazionale della previdenza sociale.
Il Primo Presidente ha disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – La questione rimessa all’esame di queste Sezioni Unite e’ se dall’ammontare del danno subito da un neonato in fattispecie di colpa medica, e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l’assistenza personale, debba sottrarsi il valore capitalizzato della indennita’ di accompagnamento erogata al minore dall’Inps.
2. – Tale questione e’ veicolata con il quinto motivo del ricorso principale della (OMISSIS), il quale lamenta che la Corte d’appello abbia sovrastimato il danno, non avendo detratto dall’ammontare risarcibile il valore di quella erogazione.
Analoga questione e’ posta con il secondo motivo del ricorso incidentale adesivo dell’Azienda ospedaliera, con cui ci si duole che la sentenza impugnata abbia disconosciuto la rilevanza dell’indennita’ di accompagnamento, “liquidando il danno per spese future come se questa provvidenza non fosse riconosciuta dallo Stato”.
3. – Sulla questione devoluta all’esame delle Sezioni Unite si registrano orientamenti contrastanti all’interno della giurisprudenza di legittimita’.
Un primo indirizzo sostiene la cumulabilita’ dell’indennita’ di accompagnamento con il risarcimento del danno (Cass., Sez. 3, 27 luglio 2001, n. 10291). Questo orientamento si fonda sul rilievo che, affinche’ possa applicarsi il principio della compensatio lucri cum damno, e’ necessario che il vantaggio economico sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno, sicche’ dall’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno alla persona (patrimoniale o biologico) non puo’ essere detratto quanto gia’ percepito dal danneggiato a titolo di speciale erogazione assistenziale connessa all’invalidita’, tale erogazione basandosi su un titolo diverso rispetto all’atto illecito e non avendo finalita’ risarcitoria (cosi’, piu’ in generale, Cass., Sez. 3, 18 novembre 1997, n. 11440; Cass., Sez. 3, 30 settembre 2014, n. 20548).
Da tale orientamento si e’ discostata Cass., Sez. 3, 20 aprile 2016, n. 774, secondo cui nella liquidazione del danno patrimoniale consistente nelle spese che la vittima di lesioni personali deve sostenere per l’assistenza domiciliare, il giudice deve detrarre dal credito risarcitorio il beneficio spettante alla vittima a titolo di indennita’ di accompagnamento. La conclusione nel senso del non – cumulo e’ ancorata al rilievo che la percezione di tale emolumento incide sulla natura del danno risarcibile, per il semplice fatto che lo elimina in parte: “qualsiasi emolumento previdenziale o indennitario puo’ incidere sulla liquidazione del danno aquiliano, se la sua erogazione e’ intesa a sollevare la vittima dallo stato di bisogno derivante dall’illecito”.
4. – Questo piu’ recente indirizzo e’ quello che il Collegio della Terza Sezione rimettente prospetta come preferibile.
L’ordinanza interlocutoria dichiara di auspicare che il problema interpretativo che sta alla base della questione sia risolto secondo i seguenti principi: (a) alla vittima di un fatto illecito spetta il risarcimento del danno esistente nel suo patrimonio al momento della liquidazione; (b) nella stima di questo danno occorre tenere conto dei vantaggi che, prima della liquidazione, siano pervenuti o certamente perverranno alla vittima, a condizione che il vantaggio possa dirsi causato del fatto illecito; (c) per stabilire se il vantaggio sia stato causato dal fatto illecito deve applicarsi la stessa regola di causalita’ utilizzata per stabilire se il danno sia conseguenza dell’illecito.
Ad avviso del Collegio rimettente, a pretendere la medesimezza del titolo per il danno e per il lucro al fine dell’operativita’ della compensatio anche nelle fattispecie che si caratterizzano per la presenza di rapporti giuridici trilaterali, si finirebbe per negare di fatto qualsiasi spazio all’istituto, essendo assai raro (se non impossibile) che un fatto illecito possa provocare da se’ solo, ossia senza il concorso di nessun altro fattore umano o giuridico, sia una perdita, sia un guadagno. Si tratterebbe invece unicamente di stabilire se il lucro costituisca o meno una conseguenza immediata e diretta del fatto illecito ai sensi dell’articolo 1223 cod. civ.. Qualificare d’altra parte molti vantaggi come occasionati e non causati dal fatto illecito sarebbe incoerente con la moderna nozione di causalita’ giuridica: pertanto, allorquando il fatto di danno sia anche coelemento di una fattispecie, di fonte normativa o negoziale, costitutiva di una provvidenza indennitaria a favore del danneggiato, pure siffatta provvidenza – si sostiene – rappresenta un effetto giuridico immediato e diretto della condotta che quel danno ha provocato, giacche’ da esso deriva secondo un processo di lineare regolarita’ causale.
Secondo la lettura proposta nell’ordinanza di rimessione, il cumulo dei benefici, rispettivamente di carattere indennitario e risarcitorio, determinerebbe nei fatti una locupletazione del danneggiato, strutturalmente incompatibile con la natura meramente reintegratoria della responsabilita’ civile, tenuto conto che il risarcimento non puo’ creare in favore del danneggiato una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, immettendo nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dall’illecito.
5. – Come correttamente rileva l’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione, la soluzione della specifica questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite coinvolge un tema di carattere piu’ generale, che attiene alla individuazione della attuale portata del principio della compensatio lucri cum damno e sollecita una risposta all’interrogativo se e a quali condizioni, nella determinazione del risarcimento del danno da fatto illecito, accanto alla poste negative si debbano considerare, operando una somma algebrica, le poste positive che, successivamente al fatto illecito, si presentano nel patrimonio del danneggiato.
L’ordinanza di rimessione pone questo tema a oggetto di un quesito di portata piu’ ampia di quello riguardante la detraibilita’ o meno dell’importo del vantaggio economico collegato all’erogazione dell’indennita’ di accompagnamento: se, in tema di risarcimento del danno, ai fini della liquidazione dei danni civili il giudice debba limitarsi a sottrarre dalla consistenza del patrimonio della vittima anteriore al sinistro quella del suo patrimonio residuato al sinistro stesso, senza far ricorso prima alla liquidazione e poi alla compensatio; e se, di conseguenza, quando l’evento causato dall’illecito costituisce il presupposto per l’attribuzione alla vittima, da parte di soggetti pubblici o privati, di benefici economici il cui risultato diretto o mediato sia attenuare il pregiudizio causato dall’illecito, di questi il giudice debba tener conto nella stima del danno, escludendone l’esistenza per la parte ristorata dall’intervento del terzo.
Tale interrogativo, al quale e’ sottesa una richiesta indistinta e omologante di tutte le possibili evenienze legate al sopravvenire, al fatto illecito produttivo di conseguenze dannose, di benefici collaterali al danneggiato, viene esaminato dalle Sezioni Unite nei limiti della sua rilevanza: fino al punto, cioe’, in cui esso rappresenta un presupposto o una premessa sistematica indispensabile per l’enunciazione, a risoluzione del contrasto di giurisprudenza, di un principio di diritto legato all’orizzonte di attesa della fattispecie concreta.
Questa delimitazione di ambito e di prospettiva non e’ frutto di una scelta discrezionale del Collegio decidente, ma conseguenza che si ricollega alle funzioni ordinamentali e alle attribuzioni processuali delle Sezioni Unite, alle quali e’ affidata, non l’enunciazione di principi generali e astratti o di verita’ dogmatiche sul diritto, ma la soluzione di questioni di principio di valenza nomofilattica pur sempre riferibili alle specificita’ del singolo caso della vita. Se ne ha una conferma nella stessa previsione dell’articolo 363 cod. proc. civ., perche’ anche la’ dove la Corte di cassazione e’ chiamata ad enunciare un principio di diritto nell’interesse della legge, si tratta tuttavia del principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi nella risoluzione della specifica controversia.
5.1. – L’esistenza dell’istituto della compensatio, inteso come regola di evidenza operativa per la stima e la liquidazione del danno, non e’ controversa nella giurisprudenza di questa Corte, trovando il proprio fondamento nella idea del danno risarcibile quale risultato di una valutazione globale degli effetti prodotti dall’atto dannoso.
Se l’atto dannoso porta, accanto al danno, un vantaggio, quest’ultimo deve essere calcolato in diminuzione dell’entita’ dei risarcimento: infatti, il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell’interesse leso o condurre a sua volta ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato. Questo principio e’ desumibile dall’articolo 1223 cod. civ., il quale stabilisce che il risarcimento del danno deve comprendere cosi’ la perdita subita dal danneggiato come il mancato guadagno, in quanto siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito. Tale norma implica, in linea logica, che l’accertamento conclusivo degli effetti pregiudizievoli tenga anche conto degli eventuali vantaggi collegati all’illecito in applicazione della regola della causalita’ giuridica. Se cosi’ non fosse – se, cioe’, nella fase di valutazione delle conseguenze economiche negative, dirette ed immediate, dell’illecito non si considerassero anche le poste positive derivate dal fatto dannoso – il danneggiato ne trarrebbe un ingiusto profitto, oltre i limiti del risarcimento riconosciuto dall’ordinamento giuridico (Cass., Sez. 3, 11 luglio 1978, n. 3507).
In altri termini, il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non puo’ oltrepassarlo, non potendo costituire fonte di arricchimento del danneggiato, il quale deve invece essere collocato nella stessa curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato se non avesse subito l’illecito: come l’ammontare del risarcimento non puo’ superare quello del danno effettivamente prodotto, cosi’ occorre tener conto degli eventuali effetti vantaggiosi che il fatto dannoso ha provocato a favore del danneggiato, calcolando le poste positive in diminuzione del risarcimento.
5.2. – Controversi sono piuttosto la portata e l’ambito di operativita’ della figura, ossia i limiti entro i quali la compensatio puo’ trovare applicazione, soprattutto la’ dove il vantaggio acquisito al patrimonio del danneggiato in connessione con il fatto illecito derivi da un titolo diverso e vi siano due soggetti obbligati, appunto sulla base di fonti differenti.
E’ la situazione che si verifica quando, accanto al rapporto tra il danneggiato e chi e’ chiamato a rispondere civilmente dell’evento dannoso, si profila un rapporto tra lo stesso danneggiato ed un soggetto diverso, a sua volta obbligato, per legge o per contratto, ad erogare al primo un beneficio collaterale: si pensi all’assicurazione privata contro i danni, nella quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro; si considerino i benefici della sicurezza e dell’assistenza sociale, da quelli legati al rapporto di lavoro (e scaturenti dalla tutela contro gli infortuni e le malattie professionali) a quelli rivolti ad assicurare ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere una tutela assistenziale; si pensi, ancora, alle numerose previsioni di legge che contemplano indennizzi o speciali elargizioni che lo Stato corrisponde, per ragioni di solidarieta’, a coloro che subiscono un danno in occasione di disastri o tragedie e alle vittime del terrorismo o della criminalita’ organizzata.
La vicenda concreta all’esame delle Sezioni Unite si colloca in quest’ambito. In essa il duplice rapporto bilaterale e’ rappresentato, da un lato, dal titolo di responsabilita’ della struttura ospedaliera e del medico per la colpa di questo per negligenza al parto, da cui discende l’obbligo di risarcire il danno subito dal minore, consistente, per quanto qui rileva, nelle spese da sostenere per l’assistenza personale vita natural durante; dall’altro, dalla relazione discendente dalla legislazione statale di assistenza sociale, la quale, attraverso l’indennita’ di accompagnamento erogata dall’Inps, assicura a quel minore vittima di lesioni personali una forma di sostegno e di sussidio anche quando l’invalidita’ dipenda dalla responsabilita’ di terzi.
In questa ed in altre fattispecie similari si tratta di stabilire se l’incremento patrimoniale realizzatosi in connessione con l’evento dannoso per effetto del beneficio collaterale avente un proprio titolo e una relazione causale con un diverso soggetto tenuto per legge o per contratto ad erogare quella provvidenza, debba restare nel patrimonio del danneggiato cumulandosi con il risarcimento del danno o debba essere considerato ai fini della corrispondente diminuzione dell’ammontare del risarcimento.
5.3. – Restano fuori dal quesito rivolto alle Sezioni Unite le ipotesi in cui, pur in presenza di titoli differenti, vi sia unicita’ del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni ed al contempo obbligato a corrispondere al danneggiato una provvidenza indennitaria.
In queste ipotesi vale la regola del diffalco, dall’ammontare del risarcimento del danno, della posta indennitaria avente una cospirante finalita’ compensativa.
La compensatio opera cioe’ in tutti i casi in cui sussiste una coincidenza tra il soggetto autore dell’illecito tenuto al risarcimento e quello chiamato per legge ad erogare il beneficio, con l’effetto di assicurare al danneggiato una reintegra del suo patrimonio completa e senza duplicazioni.
Questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha infatti affermato che l’indennizzo corrisposto al danneggiato, ai sensi della L. 25 febbraio 1992, n. 210, a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto deve essere integralmente scomputato dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno, venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero della salute) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass., Sez. U., 11 gennaio 2008, n. 584; Cass., Sez. 3, 14 marzo 2013, n. 6573).
Alla medesima conclusione e’ pervenuta la giurisprudenza amministrativa.
Chiamato a stabilire, nell’espressione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria, se la somma dovuta dal datore di lavoro pubblico ad un proprio dipendente per lesione della salute conseguente alla esalazione di amianto nei luoghi di lavoro sia cumulabile con l’indennizzo percepito a seguito del riconoscimento della dipendenza dell’infermita’ da causa di servizio ovvero se tale indennizzo debba essere decurtato dal risarcimento del danno, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1 del 2018, ha enunciato il principio di diritto secondo cui “la presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalita’ compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalita’ giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilita’, il divieto del cumulo con conseguente necessita’ di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario”.
Preme qui sottolineare i fondamentali passaggi attraverso i quali si snoda l’argomentazione che sostiene la decisione del giudice amministrativo: (a) “l’applicazione delle regole della causalita’ giuridica impone che venga liquidato soltanto il danno effettivamente subito dal danneggiato”; (b) “il riconoscimento del cumulo implicherebbe l’attribuzione alla responsabilita’ contrattuale di una funzione punitiva”, giacche’ l’esistenza “di un solo soggetto responsabile e obbligato comporterebbe per esso l’obbligo di corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare la sfera del danneggiato con ingiustificata locupletazione da parte di quest’ultimo”: risultato, questo, non ammissibile, difettando “una espressa previsione legislativa che contempli un illecito punitivo e dunque autorizzi un rimedio sovracompensativo”, non essendo nemmeno configurabile “una duplice causa dell’attribuzione patrimoniale”; (c) “nella fattispecie in esame l’accertata finalita’ compensativa di entrambi i titoli delle obbligazioni concorrenti e del conseguente meccanismo risarcitorio, nonche’ la semplicita’ del rapporto che evita le possibili complicazioni ricostruttive connesse al funzionamento della surrogazione, impedisce che possa operare il cumulo tra danno e indennita’”.
5.4. – Tornando all’ambito operativo della compensatio in presenza di una duplicita’ di posizioni pretensive di un soggetto verso due soggetti diversi tenuti, ciascuno, in base ad un differente titolo, occorre rilevare che la prevalente giurisprudenza di questa Corte ritiene che per le fattispecie rientranti in questa categoria valga la soluzione del cumulo del vantaggio conseguente all’illecito, non quella del diffalco.
Si afferma, in particolare, che la compensatio e’ operante solo quando il pregiudizio e l’incremento discendano entrambi, con rapporto immediato e diretto, dallo stesso fatto, sicche’ se ad alleviare le conseguenze dannose subentra un beneficio che trae origine da un titolo diverso ed indipendente dal fatto illecito generatore di danno, di tale beneficio non puo’ tenersi conto nella liquidazione del danno, profilandosi in tal caso un rapporto di mera occasionalita’ che non puo’ giustificare alcun diffalco. In altri termini, la detrazione puo’ trovare applicazione solo nel caso in cui il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta del fatto illecito, quali suoi effetti contrapposti; essa invece non opera quando il vantaggio derivi da un titolo diverso ed indipendente dall’illecito stesso, il quale costituisce soltanto la condizione perche’ il diverso titolo spieghi la sua efficacia (Cass., Sez. 3, 15 aprile 1993, n. 4475; Cass., Sez. 3, 28 luglio 2005, n. 15822).
Secondo questa prospettiva, la diversita’ dei titoli delle obbligazioni – il fatto illecito, da un lato; la norma di legge (ad esempio, nel caso di percezione di benefici da parte di enti previdenziali, assicuratori sociali, pubbliche amministrazioni) o il contratto (ad esempio, nel caso di percezione di indennizzi assicurativi), dall’altro – costituisce una idonea causa di giustificazione delle differenti attribuzioni patrimoniali: conseguentemente, la condotta illecita rappresenta, non la causa del beneficio collaterale, ma la mera occasione di esso.
5.5. – L’ordinanza di rimessione esattamente constata che e’ assai raro che le poste attive e passive abbiano entrambe titolo nel fatto illecito. Richiamando la nozione di causalita’ che si e’ venuta sviluppando nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha da tempo abbandonato la distinzione scolastica tra causa remota, causa prossima ed occasione, sostituendola con la nozione di regolarita’ causale (Cass., Sez. 3, 13 settembre 2000, n. 12103), l’ordinanza propone di superare l’inconveniente di una interpretazione “asimmetrica” dell’articolo 1223 c.c.: una interpretazione che, quando si tratta di accertare il danno, ritiene che il rapporto fra illecito ed evento puo’ anche non essere diretto ed immediato (Cass., Sez. 3, 21 dicembre 2001, n. 16163; Cass., Sez. 3, 4 luglio 2006, n. 15274), mentre esige al contrario che lo sia, quando passa ad accertare il vantaggio per avventura originato dal medesimo fatto illecito.
5.6. – Le Sezioni Unite ritengono che la sollecitazione dell’ordinanza interlocutoria a compiere la verifica in tema di assorbimento del beneficio nel danno in base a un test eziologico unitario, secondo il medesimo criterio causale prescelto per dire risarcibili le poste dannose, non possa spingersi fino al punto di attribuire rilevanza a ogni vantaggio indiretto o mediato, perche’ cio’ condurrebbe ad un’eccessiva dilatazione delle poste imputabili al risarcimento, finendo con il considerare il verificarsi stesso del vantaggio un merito da riconoscere al danneggiante.
Cosi’, non possono rientrare nel raggio di operativita’ della compensatio i casi in cui il vantaggio si presenta come il frutto di scelte autonome e del sacrificio del danneggiato, come avviene nell’ipotesi della nuova prestazione lavorativa da parte del superstite, prima non occupato, in conseguenza della morte del coniuge.
Allo stesso modo, nel determinare il risarcimento del danno, non sono computabili gli effetti favorevoli derivanti dall’acquisto dell’eredita’ da parte degli eredi della vittima: la successione ereditaria, infatti, e’ legata non gia’ al fatto di quella morte, bensi’ al fatto della morte in generale, che si sarebbe verificata (anche se in un momento successivo) in ogni caso, a prescindere dall’illecito.
Si tratta di un esito interpretativo che discende pianamente dall’insegnamento della dottrina, la quale ha evidenziato che le conseguenze vantaggiose, come quelle dannose, possono computarsi solo finche’ rientrino nella serie causale dell’illecito, da determinarsi secondo un criterio adeguato di causalita’, sicche’ il beneficio non e’ computabile con l’applicazione della compensatio allorche’ trovi altrove la sua fonte e nell’illecito solo un coefficiente causale.
5.7. – Nei casi appena indicati il criterio del nesso causale fra evento dannoso e beneficio funge realmente da argine all’operare dello scomputo da compensatio.
Piu’ in generale, il Collegio ritiene che affidare il criterio di selezione tra i casi in cui ammettere o negare il cumulo all’asettico utilizzo delle medesime regole anche per il vantaggio, finisca per ridurre la quantificazione del danno, e l’accertamento della sua stessa esistenza, ad una mera operazione contabile, trascurando cosi’ la doverosa indagine sulla ragione giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale entrata nel patrimonio del danneggiato.
Invece, ai fini della delineazione di quel criterio di selezione, proprio da tale indagine occorre muovere, guardando alla funzione di cui il beneficio collaterale si rivela essere espressione, per accertare se esso sia compatibile o meno con una imputazione al risarcimento.
E’ un approccio ermeneutico, questo, che da tempo la scienza giuridica offre alla comunita’ interpretante, rilevando che la determinazione del vantaggio computabile richiede che il vantaggio sia causalmente giustificato in funzione di rimozione dell’effetto dannoso dell’illecito: sicche’ in tanto le prestazioni del terzo incidono sul danno in quanto siano erogate in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato. La prospettiva non e’ quindi quella della coincidenza formale dei titoli, ma quella del collegamento funzionale tra la causa dell’attribuzione patrimoniale e l’obbligazione risarcitoria.
Ed e’ una linea d’indagine tanto piu’ ineludibile oggi, in vista di un’apertura al confronto con l’elaborazione della dottrina civilistica Europea.
Infatti, i Principles of European Tort Law, all’articolo 10:103, prevedono che, nel determinare l’ammontare dei danni, i vantaggi ottenuti dal danneggiato a causa dell’evento dannoso devono essere presi in considerazione, salvo che cio’ non sia conciliabile con lo scopo dei vantaggi (unless this cannot be reconciled with the purpose of the benefit).
Analoga e’ la direttiva seguita dal Draft Common Frame of Reference. Secondo l’articolo 6:103 del libro 6, dedicato alla equalisation of benefits, i vantaggi derivanti al soggetto che abbia sofferto un danno giuridicamente rilevante in conseguenza dell’evento dannoso non debbono essere presi in considerazione nel quantificare il danno, a meno che sia giusto e ragionevole farlo, avuto riguardo al tipo di danno sofferto, alla natura della responsabilita’ addebitata alla persona che ha causato il danno e, quando il beneficio sia erogato da un terzo, allo scopo perseguito conferendo il beneficio.
Nell’una e nell’altra prospettiva, pertanto, si e’ ben lontani dal suggerire una regola categoriale destinata ad operare in modo “bilancistico”: c’e’, piuttosto, l’invito ad instaurare un confronto tra il danno e il vantaggio che di volta in volta viene in rilievo, alla ricerca della ragione giustificatrice del beneficio collaterale e, quindi, di una ragionevole applicazione del diffalco.
La selezione tra i casi in cui ammettere o negare il diffalco deve essere fatta, dunque, per classi di casi, passando attraverso il filtro di quella che e’ stata definita la “giustizia” del beneficio e, in questo ambito, considerando la funzione specifica svolta dal vantaggio.
Cosi’, nel caso di assicurazione sulla vita, l’indennita’ si cumula con il risarcimento, perche’ si e’ di fronte ad una forma di risparmio posta in essere dall’assicurato sopportando l’onere dei premi, e l’indennita’, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed e’ corrisposta per un interesse che non e’ quello di beneficiare il danneggiante.
5.8. – Una verifica per classi di casi si impone anche per accertare se l’ordinamento abbia coordinato le diverse risposte istituzionali, del danno da una parte e del beneficio dall’altra, prevedendo un meccanismo di surroga o di rivalsa, capace di valorizzare l’indifferenza del risarcimento, ma nello stesso tempo di evitare che quanto erogato dal terzo al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per l’autore dell’illecito.
Solo attraverso la predisposizione di quel meccanismo, teso ad assicurare che il danneggiante rimanga esposto all’azione di “recupero” ad opera del terzo da cui il danneggiato ha ricevuto il beneficio collaterale, potra’ aversi detrazione della posta positiva dal risarcimento.
Se cosi’ non fosse, se cioe’ il responsabile dell’illecito, attraverso il non-cumulo, potesse vedere alleggerita la propria posizione debitoria per il solo fatto che il danneggiato ha ricevuto, in connessione con l’evento dannoso, una provvidenza indennitaria grazie all’intervento del terzo, e cio’ anche quando difetti la previsione di uno strumento di riequilibrio e di riallineamento delle poste, si avrebbe una sofferenza del sistema, finendosi con il premiare, senza merito specifico, chi si e’ comportato in modo negligente.
Non corrisponde infatti al principio di razionalita’-equita’, e non e’ coerente con la poliedricita’ delle funzioni della responsabilita’ civile (cfr. Cass., Sez. U., 5 luglio 2017, n. 16601), che la sottrazione del vantaggio sia consentita in tutte quelle vicende in cui l’elisione del danno con il beneficio pubblico o privato corrisposto al danneggiato a seguito del fatto illecito finisca per avvantaggiare esclusivamente il danneggiante, apparendo preferibile in tali evenienze favorire chi senza colpa ha subito l’illecito rispetto a chi colpevolmente lo ha causato.
E stabilire quando accompagnare la previsione del beneficio con l’introduzione di tale meccanismo di surrogazione o di rivalsa, il quale consente al terzo di recuperare le risorse impiegate per erogare una provvidenza che non rinviene il proprio titolo nella responsabilita’ risarcitoria, e’ una scelta che spetta al legislatore. Ad esso soltanto compete, in definitiva, trasformare quel duplice, ma separato, rapporto bilaterale in una relazione trilaterale, cosi’ apprestando le condizioni per il dispiegamento dell’operazione di scomputo.
E’, questa, l’indicazione di sistema che giunge anche dal rappresentante dell’Ufficio del pubblico ministero, il quale, nel rifiutare la prospettiva “totalizzante” del computo nella stima del danno di vantaggi che, prima della liquidazione, siano pervenuti o certamente perverranno alla vittima, ha delineato “i due presupposti essenziali per poter svolgere la decurtazione del vantaggio”: accanto al contenuto, “per classi omogenee o per ragioni giustificatrici”, del vantaggio, la previsione, appunto, di un meccanismo di surroga, di rivalsa o di recupero, che “instaura la correlazione tra classi attributive altrimenti disomogenee”. Cosi’, in tutti i casi in cui sia una norma legislativa ad attribuire, “senza regolare l’eventuale rapporto con il tema risarcitorio”, un vantaggio collaterale (si pensi agli interventi, in nome della solidarieta’ nazionale, con provvidenze ed elargizioni, in favore di individui e comunita’ a fronte di eventi catastrofici o disastri suscettibili di essere ascritti a condotte non iure e contra ius di soggetti terzi), il giudice della responsabilita’ civile non potrebbe procedere, tout court, ad effettuare l’operazione compensativa o di defalco. Se cosi’ facesse, egli vanificherebbe il senso piu’ profondo della previsione normativa costituente il titolo dell’attribuzione, che risiede nell’assunzione da parte della generalita’ del carico di determinati svantaggi subiti dal o dai soggetti danneggiati, non nella volonta’ di premiare chi si e’ comportato in modo negligente o di alleggerire la sua posizione debitoria.
6. – Date queste premesse e venendo, dunque, alla specifica questione oggetto del contrasto, occorre muovere dal rilievo che l’indennita’ di accompagnamento e’ riconosciuta dalla L. 11 febbraio 1980, n. 18, a favore di coloro, anche minori di diciotto anni, che si trovano nella impossibilita’ di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un’assistenza continua.
Non v’e’ dubbio che alla base della previsione legislativa vi e’ una finalita’ solidaristica ed assistenziale: con l’erogazione di quell’indennita’ a chi si trova in condizioni di bisogno, lo Stato corrisponde ad un interesse di tutta la collettivita’, garantendo l’esistenza delle condizioni necessarie all’effettivo godimento dei diritti fondamentali e realizzando la tutela della persona umana in situazione di difficolta’.
L’affiato solidaristico della comunita’ che si esprime attraverso la scelta legislativa assistenziale di per se’ non esclude il computo di quel beneficio ai fini dell’operazione di corretta stima del danno, ma sempre che ricorra la seguente, duplice condizione.
La prima condizione e’ che il vantaggio abbia la funzione di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito.
La seconda condizione e’ che sia legislativamente previsto un meccanismo di riequilibrio idoneo ad assicurare che il responsabile dell’evento dannoso, destinatario della richiesta risarcitoria avanzata dalla vittima, sia collateralmente obbligato a restituire all’amministrazione pubblica l’importo corrispondente al beneficio da questa erogato all’assistito.
Nella specie l’esito di queste verifiche conduce a ritenere applicabile lo scomputo da compensatio, con la sottrazione, dall’ammontare del risarcimento del danno, del valore capitalizzato della indennita’ di accompagnamento.
Per un verso, infatti, l’indennita’ di accompagnamento prevista dalla legge ed erogata in favore del danneggiato in conseguenza della minorazione invalidante, e’ rivolta a fronteggiare e a compensare direttamente – e non mediatamente – il medesimo pregiudizio patrimoniale causato dall’illecito: appunto, quello consistente nella necessita’ di dover retribuire un collaboratore od assistente per le necessita’ della vita quotidiana del minore reso disabile per negligenza al parto.
Per l’altro verso, la presenza di uno strumento di riequilibrio, idoneo ad escludere che l’autore della condotta dannosa finisca per giovarsi di quella erogazione solidaristica e nello stesso tempo a mantenere la stima del danno entro i binari della ragionevolezza e della proporzionalita’, e’ rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, articolo 41.
Secondo questa disposizione, infatti, “le pensioni, gli assegni e le indennita’, spettanti agli invalidi civili ai sensi della legislazione vigente, corrisposti in conseguenza del fatto illecito di terzi, sono recuperate fino a concorrenza dell’ammontare di dette prestazioni dall’ente erogatore delle stesse nei riguardi del responsabile civile e della compagnia di assicurazioni”, mentre e’ rimessa ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (poi emanato in data 19 marzo 2013) la fissazione dei criteri e delle tariffe per la determinazione del valore capitale delle prestazioni erogate agli invalidi civili.
Si tratta di una disposizione che – benche’ ancorata, non al modello della successione a titolo particolare nel diritto di credito risarcitorio dell’assistito, ma a quello della previsione, in capo all’ente erogatore, di un diritto di credito autonomo e distinto – e’ significativa per un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo perche’ essa conferma logicamente la funzione compensativa dell’indennita’ di accompagnamento corrisposta all’invalido civile: una provvidenza che – quando l’invalidita’ dipenda, come nell’ipotesi di specie, dalla responsabilita’ del medico e della struttura ospedaliera – ha la specifica finalita’ di concorrere a rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito o dell’inadempimento e del danno che ne e’ derivato. In tanto, infatti, si giustifica il “recupero” da parte dell’ente erogatore del valore capitale dell’indennita’ di accompagnamento nei confronti del terzo autore della condotta dannosa, in quanto l’erogazione assistenziale condivide, con il risarcimento del danno, la finalita’ di riparare il pregiudizio rappresentato dagli oneri di assistenza.
In secondo luogo perche’ quella previsione, componendo le risposte del sistema (dell’obbligo risarcitorio da responsabilita’ medica, da una parte, e dell’intervento solidaristico dell’assistenza sociale, dall’altra), determina i presupposti non solo per il recupero da parte dell’istituto erogatore, ma anche per una imputazione del beneficio collaterale al risarcimento, non potendo l’autore della condotta colposa essere tenuto a rispondere due volte per lo stesso fatto, una volta (verso il danneggiato) per un importo pari all’intero ammontare del danno risarcibile, l’altra (verso l’amministrazione pubblica) per un importo corrispondente al valore capitalizzato dell’indennita’ di accompagnamento erogato dall’Inps.
In sostanza, vista dal lato dell’assistito-danneggiato, la percezione del beneficio dell’indennita’ di accompagnamento, essendo rivolta alla medesima copertura degli oneri di assistenza provocati dal fatto illecito del terzo, assume la valenza di un anticipo, per ragioni di solidarieta’ sociale ed in presenza della lesione di interessi primari costituzionalmente protetti, della somma che potra’ essere ottenuta dal terzo a titolo di risarcimento del danno. La previsione dell’azione L. n. 183 del 2010, ex articolo 41, diretta a consentire all’istituto pubblico erogatore di recuperare dal terzo responsabile quanto corrisposto al proprio assistito, impedisce a quest’ultimo di cumulare, per lo stesso danno, la somma gia’ riscossa a titolo di beneficio assistenziale con l’intero importo del risarcimento.
7. – A composizione del contrasto di giurisprudenza deve pertanto essere enunciato il seguente principio di diritto:
“Dall’ammontare del danno subito da un neonato in fattispecie di colpa medica, e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l’assistenza personale, deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennita’ di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall’Inps in conseguenza di quel fatto”.
8. – Il quinto motivo del ricorso principale della (OMISSIS) e il secondo motivo del ricorso incidentale dell’Azienda ospedaliera vanno dunque accolti nei limiti di seguito precisati.
Ha infatti errato la Corte di Brescia a ritenere tout court cumulabile il beneficio assistenziale dell’indennita’ di accompagnamento erogata dall’Inps con l’intero ammontare del danno derivante dalla necessita’ di dovere retribuire un collaboratore od assistente per fronteggiare le necessita’ della vita quotidiana di (OMISSIS).
Poiche’, tuttavia, ai fini dell’operativita’ del principio del non-cumulo e’ coessenziale il meccanismo riequilibratore del recupero configurato dal richiamato L. n. 183 del 2010, articolo 41, lo scomputo da compensatio e’ da intendersi limitato al valore capitale delle prestazioni indennitarie corrisposte successivamente all’entrata in vigore di detta legge.
Non sono invece ammissibili gli stessi quinto motivo della ricorrente principale e secondo motivo della ricorrente incidentale la’ dove lamentano la mancata detrazione anche del valore delle prestazioni a domicilio erogate dal Servizio sanitario regionale. Sotto questo profilo, infatti, le censure articolate non si confrontano adeguatamente con la ratio decidendi che sostiene la pronuncia della Corte d’appello, la quale ha evidenziato, con un accertamento di fatto congruamente motivato, che quelle prestazioni sono limitate ad alcuni accessi e non riducono ne’ elidono la necessita’ di una continua assistenza, diurna e notturna, i cui oneri costituiscono il danno emergente liquidato dal giudice del merito. Di qui la non rilevanza, nella specie, di un problema di compensatio, posto che, appunto, quei servizi domiciliari non sono in sostanza rivolti alla copertura del medesimo pregiudizio ritenuto risarcibile dal giudice del merito.
8. – L’esame degli altri motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale va rimesso alla Terza Sezione civile.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando sul quinto motivo del ricorso principale di (OMISSIS) e sul secondo motivo del ricorso incidentale adesivo dell’Azienda ospedaliera, li accoglie nei sensi di cui in motivazione; rimette la decisione sugli altri motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale alla Terza Sezione civile.