il comodato è un contratto reale, nel quale la consegna della cosa costituisce elemento di struttura, necessario per il perfezionamento. L’esigenza della consegna va collegata ai moventi di cortesia o di amicizia che sono alla base del contratto ed è questa la ragione, per la quale non si vuole che il comodante sia vincolato prima che con la consegna quei moventi risultino attuati anche nei fatti. La consegna può avvenire tanto con il trapasso materiale della cosa quanto nelle forme della “traditio brevi o longa manu”; la forma della “traditio brevi manu” si verifica quando la cosa è già in potere del comodatario ad altro titolo, sicché è sufficiente il semplice mutamento del titolo.

 

 

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Il contratto di comodato

Il contratto di locazione e le principali obbligazioni da esso nascenti.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 6 maggio 2003, n. 6881

Integrale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La S.r.l. Bevingros conveniva innanzi al Tribunale di Alessandria la S.p.A. DAB Italia e, sulla premessa che erano fallite le trattative intese a farla subentrare nel rapporto di concessione per la vendita al dettaglio di birra “Dortmunder”, di cui era fornitrice la DAB, ma questa pretendeva egualmente di averle dato in comodato vari materiali e ne esigeva la restituzione, chiedeva che venisse accertata l’inesistenza del comodato e riconosciuta l’infondatezza della pretesa di restituzione.

La DAB si opponeva alla domanda, sostenendo di avere dato in comodato i materiali, ed in via riconvenzionale chiedeva la condanna della Bevingros alla restituzione o al pagamento del controvalore.

Il tribunale, previa istruzione della causa, accoglieva la domanda riconvenzionale, rigettando quella della Bevingros, che condannava al pagamento di lire 21.378.600; la Corte di Appello di Torino, con sentenza resa il 14.4.2000, rigettava il gravame della Bevingros, considerando – per quanto ancora interessa – che l’avere la DAB riconosciuto di non avere instaurato un rapporto di concessione con la Bevingros non escludeva il rapporto di comodato, “ben potendo quest’ultimo conseguire ad una diversa e più circoscritta pattuizione avente specificamente di mira tale genere di contratto”; che la domanda di restituzione era stata prospettata, oltre che come effetto automatico del subentro della Bevingros nella posizione di concessionario, in alternativa come frutto di specifica pattuizione circoscritta al comodato; che il subentro della Bevingros nel rapporto di comodato risultava provato documentalmente (scrittura 11.12.1992) e testimonialmente (deposizioni Stagnaro e Bonaccorso); che la circostanza che dalle fatture relative alle singole forniture non risultasse la presa in carico del materiale non era significativa; che il comodato era senza dubbio un contratto reale, ma per il suo perfezionamento non occorreva che la consegna della cosa fosse contestuale alla stipula, potendo la detenzione preesistere ad essa.

Avverso tale sentenza la Bevingros ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi illustrati con memoria; la DAB ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2730 e 2733 c. c., 112 c. p.c.; omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c. p.c.”.

La Corte di merito – si sostiene – è incorsa nella violazione dell’art. 112 c. p.c. perché ha sostituito la “causa petendi” della domanda di restituzione (rapporto di concessione) con altra (circoscritta pattuizione di comodato); essa ha inoltre desunto la prova del subingresso della Bevingros nel rapporto di comodato dall’estratto conto 11.12.1992, mentre – per come risulta dalla lettera 7.12.1992 e dalle deposizioni dei testi Lo Torto e Giacchero, la cui valutazione è stata omessa – l’estratto conto è collegato al contratto di concessione, sicché, venute meno le trattative per la stipula di tale contratto, è venuta anche meno la valenza probatoria dell’estratto conto.

Il motivo non può trovare accoglimento.

La Corte di merito ha espresso il convincimento che la DAB ha dedotto non una, ma due “causa petendi”, l’una rappresentata dal rapporto di concessione e l’altra dalla circoscritta pattuizione di comodato, fornendo adeguata motivazione dell’espresso convincimento.

Ora, nella specie non trova applicazione il principio, secondo il quale l’interpretazione della domanda dà luogo ad un giudizio di fatto riservato al giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, essendosi dedotto che l’interpretazione ha determinato un vizio riconducibile nell’ambito dell’art. 112 c. p.c. (Cass. 18.2.1993, n. 1998), ed occorre procedere all’esame diretto degli atti onde verificare se il vizio sussiste, ma da tale esame risulta confermato il convincimento espresso dalla Corte di merito.

Per il resto il motivo implica un riesame del merito della controversia, non consentito in sede di legittimità neppure per il tramite strumentale dell’art. 360, n. 5, c. p.c..

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1803 c. c., nonché vizi di motivazione; si sostiene che il comodato è un contratto reale e si perfeziona con la consegna della cosa, mancata nella specie; si aggiunge che l’affermazione, secondo la quale la comodataria già deteneva le cose, sicché era inutile una nuova consegna, oltre a non essere assistita da plausibile motivazione, è frutto della omessa valutazione della deposizione del teste Stagnaro.

Neppure questo motivo può trovare accoglimento.

Come è noto, il comodato è un contratto reale, nel quale la consegna della cosa costituisce elemento di struttura, necessario per il perfezionamento.

L’esigenza della consegna va collegata ai moventi di cortesia o di amicizia che sono alla base del contratto ed è questa la ragione, per la quale non si vuole che il comodante sia vincolato prima che con la consegna quei moventi risultino attuati anche nei fatti.

La consegna può avvenire tanto con il trapasso materiale della cosa quanto nelle forme della “traditio brevi o longa manu”; la forma della “traditio brevi manu” si verifica quando la cosa è già in potere del comodatario ad altro titolo, sicché è sufficiente il semplice mutamento del titolo (Cass. 3.5.1980, n. 2916; Cass. 20.9.1976, n. 1018).

Non merita, conseguentemente, censura la Corte di merito per avere ritenuto che non era necessaria la consegna materiale, trovandosi le cose nella detenzione della comodataria ancor prima della stipula del contratto.

Né sussiste il denunciato vizio di motivazione in quanto la Corte ha congruamente e correttamente motivato in ordine alla precedente detenzione ed a nulla rileva che abbia omesso di valutare la deposizione del teste Stagnaro, trattandosi di fonte di prova inidonea a portare a decisione diversa.

Con il terzo motivo di ricorso, denunciandosi violazione e falsa applicazione dell’art. 1709 c. c., nonché vizio di motivazione, si lamenta che la Corte di merito non abbia tenuto conto delle fatture emesse dalla DAB – concretanti prove documentali dotate di piena efficacia probatoria – dalle quali emerge che il contratto non è stato concluso; si aggiunge che è illogica, contraddittoria ed arbitraria l’affermazione della Corte di merito, secondo la quale “il non assommarsi le vecchie giacenze alle nuove ben poteva corrispondere a principi di chiarezza, posto che le vecchie già trovavano riscontro documentale nella scrittura 11.12.1992″.

Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di merito ha preso in esame le fatture e ne ha riconosciuto l’efficienza probatoria; ha, tuttavia, spiegato che si riferiscono al materiale consegnato successivamente all’11.12.1992, tenuto distinto per ragioni di chiarezza da quello consegnato prima.

Orbene la spiegazione è tutt’altro che illogica ed arbitraria, di tal che la doglianza è priva di fondamento.

Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1709 c. c. nonché vizi di motivazione per avere la Corte di merito negato efficacia di confessione stragiudiziale dell’inesistenza del comodato alle lettere indirizzate a Giacchero Alberto dalla DAB e per avere affermato senza alcun fondamento di logica che la DAB si è prefisso di ottenere il riconoscimento della corresponsabilità del destinatario.

Il motivo è privo di fondamento.

La Corte di merito ha ritenuto che l’avere la DAB ammesso che il Giacchero ha detenuto il materiale non implicasse necessariamente disconoscere che l’abbia detenuto la Bevingros, considerato che la DAB può avere inteso prospettare una situazione fattuale che – corrispondente o meno alla realtà – valesse a coinvolgere entrambi nella detenzione e nell’obbligo di restituzione.

Per questo modo la Corte ha risolto in senso sfavorevole alla Bevingros la questione del valore confessorio delle lettere e la soluzione, argomentata in fatto con considerazioni incensurabili in questa sede per la loro congruenza e logicità, si regge sul corretto principio giuridico che nella confessione stragiudiziale resa a terzo – fonte di semplici elementi indiziari – l’indagine circa la sussistenza dell'”animus confitendi”, consistente nella volontà e consapevolezza di riconoscere la verità di un fatto obiettivamente sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte (Cass. 5.3.1990, n. 1723; Cass. 10.5.1983, n. 3222), deve essere particolarmente rigorosa (Cass. 30.3.1985, n. 2235; Cass. 21.2.1984, n. 1246) e conduce a conclusioni negative, ove la parte si prefigga scopi incompatibili con quell'”animus”.

Con il quinto ed ultimo mezzo di annullamento si lamenta omessa ed insufficiente motivazione per avere la Corte di merito trascurato le deposizioni dei testi Foddai, Mantelli, Russo, Giacchero, Barbetta, dalle quali risulta che la CABA, nuova concessionaria della DAB, ha ritirato dai dettaglianti i materiali che hanno formato oggetto del comodato e per avere ritenuto che non vi è stata prova di restituzioni o dirette consegne alla CABA da parte dei dettaglianti.

La doglianza è inammissibile in quanto in sede di legittimità non basta che la parte lamenti che il giudice di merito ha omesso di valutare elementi probatori – che vanno indicati dettagliatamente nel loro preciso contenuto per il principio dell’autosufficienza del ricorso – ma è necessario che gli elementi trascurati siano tali che, se valutati, avrebbero portato a decisione diversa con giudizio di certezza e non di semplice probabilità; il che non solo non è stato dedotto, ma è sicuramente da escludere alla stregua delle risultanze probatorie riportate nel motivo.

In conclusione, il ricorso va rigettato con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese 94,50 oltre onorari liquidati in euro 1.000,00.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.