Invero la figura del “precario”, ovvero del “comodato-precario” (art. 1810 c.c.) si caratterizza per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare “ad nutum” mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l’immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità ed al godimento della cosa, con la conseguenza che, una volta sciolto, per unilaterale iniziativa del comodante, il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa viene ad assumere la posizione di detentore “sine titulo” e quindi abusivo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne disporre in base ad altro rapporto diverso dal precario.

 

 

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Il contratto di comodato

Il contratto di locazione e le principali obbligazioni da esso nascenti.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 10 maggio 2000, n. 5987

Integrale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 7 marzo 1986 Ciro e Gaetano Cuomo, premesso che la germana Maria Cuomo deteneva in comodato precario l’appartamento sito in Pimonte, alla via Casa d’Amore n. 6, piano rialzato, di vani tre ed accessori, oltre garage, ricostruito dopo il sisma del 1980, e che avevano necessità di riottenere l’immobile, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, la congiunta per sentir dichiarare risolto il contratto con condanna della stessa al rilascio ed in caso di opposizione al pagamento dell’indennità di occupazione in misura pari a L. 6.000.000 annui.

Si costituiva la Cuomo deducendo che il comune defunto zio Vincenzo Cuomo aveva sempre manifestato la volontà di lasciare a lei il vecchio fabbricato per cui era causa ed ai nipoti attori l’attiguo giardino e cortile; che lo zio nel 1970 aveva disposto anticipatamente della propria successione con assicurazione che da parte degli istanti sarebbe stata rispettata la sua volontà; che, però, il trasferimento concordato ed accettato da tutte le parti non era avvenuto, mentre essa convenuta aveva versato, in data 18 giugno 1985, la somma di L. 43.723.932 per lavori effettuati nell’appartamento, del quale le erano state consegnate le chiavi.

Spiegava quindi la Cuomo domanda riconvenzionale perché fosse dichiarato l’obbligo solidale degli attori al trasferimento gratuito in suo favore dell’appartamento, pronunciandosi sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., chiedendo, in via gradata, che i predetti fossero condannati al pagamento in suo favore della somma di L. 43.723.932, oltre interessi, rivalutazione e danni.

Domandava, infine, che fosse dichiarata l’invalidità ex art. 458 c.c. “dell’atto di compravendita del 13.3.1970 intervenuto tra Vincenzo Cuomo ed i nipoti relativamente all’appartamento “de quo”, perché dissimulante un patto successorio”.

Con sentenza 22 aprile-17 giugno 1993 l’adito Tribunale rigettava la riconvenzionale di esecuzione specifica dell’obbligo di trasferire l’immobile in questione in difetto di idonea prova dell’obbligo stesso; rigettava del pari la riconvenzionale di nullità ex art. 458 c.c. dell’atto di compravendita 13.3.70 sotto il riflesso che dissimulava un patto successorio, in quanto l’atto non aveva alcuna finalità dispositiva con efficacia “mortis causa”, configurando un normale contratto di compravendita.

Accoglieva poi quel giudice la domanda principale dichiarando cessato il contratto di comodato e condannava per l’effetto la convenuta al rilascio dell’immobile ed al pagamento in favore degli attori dell’indennità di occupazione a decorrere dal 23 gennaio 1986 liquidandola nella somma di L. 17.586.000 – comprensiva di rivalutazione ed interessi legali – disatteso il calcolo del costo base effettuato dal CTU, in quanto l’immobile era stato costruito nel 1975 e determinava in L. 234.500 mensili l’indennità dovuta per il periodo dalla data della pronunzia all’effettivo rilascio.

Accoglieva del pari la domanda di condanna degli attori al pagamento della somma di L. 43.723.932 corrisposta dalla Cuomo per i lavori eseguiti sull’immobile ravvisando gli estremi dell’arricchimento senza causa, con rivalutazione al momento della pronuncia a L. 64.678.000.

Ripartiva, da ultimo, in pari misura tra le parti le spese della CTU e condannava la convenuta a rimborsare agli istanti la metà delle altre spese del giudizio, compensando tra i contendenti il residuo.

Proposti gravami (principale) da Ciro Cuomo e dagli eredi di Gaetano Cuomo nelle more deceduto (Maria Esposito e Vincenzo e Carmen Cuomo) e (incidentale) da Maria Cuomo, la Corte d’appello di Napoli, con sentenza 1-27.3.97 rigettava l’impugnazione incidentale ed in accoglimento per quanto di ragione di quella principale condannava la Cuomo al pagamento, in favore degli appellanti, a titolo di indennità di occupazione a decorrere dalla data della citazione del 7.3.86 e sino alla pronunzia di secondo grado, della somma mensile di L. 250.000 e, così, L. 33.000.000, oltre agli interessi legali a scalare sulle singole annualità, nonché di L. 300.000 mensili a decorrere dal 7 marzo 1997.

Condannava altresì, Maria Esposito e Ciro, Vincenzo e Carmen Cuomo, in solido, al pagamento, in favore di Maria Cuomo, della somma di L. 43.723.932 da quest’ultima versata all’impresa costruttrice dell’appartamento, con gli interessi legali dal 6 aprile 1986 e compensava tra le parti le spese del doppio grado.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Maria Cuomo sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso Maria Esposito, Ciro, Vincenzo e Carmen Cuomo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 stesso codice, degli artt. 1140, 1141, 1150, 1152, 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1803 e 2697 c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

Contesta innanzi tutto la ricorrente la valutazione dei giudici di merito della sussistenza nel caso di specie di un rapporto di comodato nonostante essa Cuomo, che aveva provveduto “animo domini” alla ricostruzione dell’immobile, avesse opposto sin dalla comparsa di risposta di prime cure una situazione possessoria prodromica della concordata con i fratelli intestazione del bene.

Rileva che la scrittura redatta tra impresa costruttrice, proprietari e consegnataria della chiave, cui la Corte del merito aveva fatto riferimento per dedurne che i germani Cuomo avessero voluto concludere un contratto di comodato, non conteneva alcun elemento in tal senso definendo essa, in realtà, soltanto il momento finale del rapporto di appalto con l’impresa di costruzione.

Osserva che la irrilevanza della scrittura in questione ai fini della definizione del rapporto “inter partes” poteva ben dedursi dal fatto che la relazione tra la Cuomo ed il bene oggetto di causa era sorto molto prima della redazione di tale atto, essendo stata sempre convinta essa ricorrente di essere “sostanzialmente” proprietaria dell’appartamento in questione che, in virtù dell’accordo con i fratelli, le sarebbe stato formalmente assegnato in sede di divisione dell’intero immobile costituito, come leggevasi nell’atto di vendita tra lo zio ed i germani, prevalentemente dall’area di risulta dell’immobile diruto (nell’appaltare i lavori all’Impresa Papone, con scrittura del gennaio 1984, essa Cuomo si era qualificata proprietaria, obbligandosi personalmente e direttamente a pagare il corrispettivo dell’appalto e precisando espressamente che l’appartamento in questione le sarebbe pervenuto con la divisione dei beni).

La doglianza non può essere accolta.

A fronte della pretesa esposta dalla Cuomo con il gravame incidentale di merito di aver titolo ad occupare l’immobile richiestole in rilascio per l’obbligo assunto dalle controparti di trasferirle il bene, obbligo comprovato altresì dal pagamento da parte della attuale ricorrente delle spese di ricostruzione dell’edificio, ha affermato la Corte napoletana che la tesi difensiva della predetta era rimasta indimostrata, posto che esattamente il primo giudice aveva rigettato la richiesta di prova testimoniale sul dedotto obbligo di trasferimento giacché, trattandosi di preliminare avente ad oggetto la “translatio” della proprietà di beni immobili, sarebbe stata necessaria a pena di nullità, ai sensi degli artt. 1350 e 1351 c.c., la forma scritta.

Ha puntualizzato altresì quel giudice che peraltro la Cuomo, pur avendo già corrisposto alla data del 10 giugno 1985 le spese di ricostruzione dell’appartamento, nel prendere in consegna le chiavi dello stesso dall’impresa costruttrice su autorizzazione dei germani Ciro e Gaetano, aveva riconosciuto in costoro la qualità di comproprietari dell’immobile nell’atto scritto all’uopo redatto tra impresa, proprietari e consegnataria delle chiavi.

Rimasto così indimostrato l’assunto difensivo della attuale ricorrente, doveva ritenersi fondata, ad avviso di quel giudicante, la tesi degli attuali resistenti della sussistenza del dedotto precario immobiliare, non senza rilevare che la richiesta di rilascio dell’appartamento sostanzialmente avanzata dai germani alla Cuomo con l’atto introduttivo del giudizio, trovava il suo fondamento nella mancanza di qualsiasi titolo in capo alla predetta di continuare ad occupare l’immobile.

Né valeva opporre in contrario, come aveva fatto la Cuomo, il diritto di ritenere il fabbricato ricostruito sino al pagamento delle indennità dovutele, a norma dell’art. 1152 c.c., dovendosi escludere nella specie che l’attuale ricorrente avesse avuto la veste di possessore di buona fede della cosa, in ordine alla quale aveva sostenuto delle spese, in quanto la predetta aveva preso in consegna l’immobile dai proprietari soltanto dopo la ricostruzione dello stesso, mentre in precedenza si era limitata ad adempiere il debito dei proprietari stessi verso l’impresa costruttrice. Come dire che la Cuomo, soltanto dopo aver pagato il debito dei germani proprietari per la ricostruzione dell’immobile disastrato dal terremoto, aveva ottenuto in consegna lo stesso in via precaria con conseguente obbligo, quindi, di rilascio a richiesta.

Ebbene, non è chi non veda come tali considerazioni, condotte nel pieno rispetto delle norme invocate dalla stessa ricorrente ed in particolare dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, costituiscano apprezzamento di fatto in ordine alla sussistenza nel caso di specie dello statuito rapporto di comodato precario, non solo completo ed esauriente ma altresì sorretto da motivazione congrua e non contraddittoria, immune da vizi logici e pertanto incensurabile nella attuale sede.

Con il secondo mezzo si deduce, sempre in riferimento all’art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 184 stesso codice, degli artt. 1147 e 2721 c.c., nonché omessa motivazione su punto decisivo della controversia.

Lamenta la ricorrente che la Corte territoriale abbia disatteso la richiesta di prova testimoniale da essa formulata in sede di appello incidentale in ordine all’accordo intercorso con i germani circa l’obbligo di questi ultimi di trasferirle l’appartamento.

Precisa che l’accordo di cui intendeva fornire la prova a mezzo testi era stato da lei invocato non come “atto” ovvero quale titolo giuridico del diritto all’acquisto della proprietà (evidentemente assoggettato alla forma scritta) bensì quale “fatto” dal quale sarebbe emersa con ulteriore evidenza l’origine della situazione soggettiva di essa Cuomo quale “possessore” in buona fede, sin dall’epoca di tale accordo, dell’immobile in discorso.

La censura non ha pregio posto che, come è stato chiarito nella disamina del primo motivo, la prova testimoniale è stata correttamente disattesa sia perché riguardava il trasferimento della proprietà di un immobile per la cui validità è richiesto l’atto scritto, sia perché essa era stata superata dall’ampia prova, in gran parte documentale (scrittura del 10.6.85), del dedotto comodato dell’immobile.

Con il terzo motivo si denunzia, ancora in riferimento all’art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2036, 2041 e 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Contesta la ricorrente la qualificazione da parte della Corte napoletana della questione concernente la restituzione della somma da lei pagata all’impresa costruttrice quale indebito soggettivo, con conseguente diniego della rivalutazione monetaria, in luogo della corretta qualificazione operata dal primo giudice, che aveva ravvisato l’ingiustificato arricchimento, riconoscendole pertanto la rivalutazione monetaria sulla somma versata.

Rileva l’assoluta insussistenza dello statuito “indebito” essendosi essa Cuomo personalmente e direttamente obbligata al pagamento nei confronti dell’Impresa Papone, così pagando un debito proprio e non altrui.

Ritiene, infine, del tutto contraddittoria la considerazione aggiuntiva del giudice del gravame di merito circa l’esistenza nella specie di una forma indiretta di mutuo.

La doglianza non è meritevole di accoglimento.

Esclusa a buona ragione, stante il suo carattere sussidiario ai sensi dell’art. 2042 c.c., la sussistenza dell’azione di arricchimento senza causa che, riconosciuta invece dal primo giudice, aveva consentito alla Cuomo di ottenere la rivalutazione monetaria sulla somma versata all’Impresa Papone, irrilevante è la qualificazione data alla fattispecie in discorso dalla Corte partenopea vuoi di “indebito soggettivo”, per cui la Cuomo a norma del terzo comma dell’art. 2036 c.c. era subentrata nei diritti della creditrice impresa nei confronti dei germani Cuomo, vuoi di “forma indiretta di mutuo” della stessa Cuomo ai fratelli, tenuti pertanto alla restituzione della somma versata dalla congiunta, vertendosi in entrambi i casi in tema di debito di valuta, quale era quello liquido ed esigibile della stessa impresa creditrice, eppertanto insuscettibile di rivalutazione monetaria, in mancanza della prova di un maggior danno, oltre gli interessi legali, ai sensi dell’art. 1224 c.c.

Con il quarto mezzo si deduce, infine, in relazione all’art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 stesso codice e 1183 comma primo e 1810 c.c., nonché omessa motivazione su punto decisivo della controversia per aver la Corte partenopea del tutto omesso di pronunciarsi sulla richiesta formulata in via subordinata ed oggetto di appello incidentale di fissazione di un termine per il rilascio dell’immobile, alla scadenza del quale si sarebbe dovuto far decorrere l’obbligo di essa Cuomo di pagamento dell’indennità di occupazione. Ciò, stante l’applicabilità all’obbligo di restituzione di cui al citato art. 1810 c.c. della regola di cui all’art. 1183 primo comma c.c., tenuto conto della destinazione dell’immobile ad uso abitazione di essa ricorrente e del suo nucleo familiare.

Anche tale ultima doglianza non si sottrae alla sorte delle precedenti.

Invero la figura del “precario”, ovvero del “comodato-precario” (art. 1810 c.c.) si caratterizza per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare “ad nutum” mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l’immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità ed al godimento della cosa, con la conseguenza che, una volta sciolto, per unilaterale iniziativa del comodante, il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa viene ad assumere la posizione di detentore “sine titulo” e quindi abusivo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne disporre in base ad altro rapporto diverso dal precario (v. Cass. n. 4718/89).

E se è vero che il termine finale del comodato in tanto può, a norma del citato art. 1810, risultare dall’uso cui la cosa doveva esser destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo, in mancanza, come nel caso di specie, di particolari prescrizioni di durata, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile si configura come indeterminato e continuativo, inidoneo a sorreggere un termine finale, con la conseguenza che, in tali ipotesi, la concessione deve intendersi a tempo parimenti indeterminato e cioè a titolo precario, onde la revocabilità “ad nutum” da parte del comodante (nella specie verificatasi alla data del 23 gennaio 1986), a norma della richiamata norma del codice civile (v. Cass. n. 9775/97).

Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va respinto nella sua integralità, mentre ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese di questo giudizio.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.