In tema di concorrenza sleale presupposto indefettibile è, quindi, la comunanza della clientela, la cui sussistenza va verificata anche in una prospettiva potenziale, considerando se l’attività, nella sua dinamicità naturale, consenta di configurare l’esito del mercato fisiologico e prevedibile, sia sul piano temporale che geografico. Dunque, l’astratta configurabilità della concorrenza sleale tra due o più imprenditori presuppone il contemporaneo esercizio della stessa attività, industriale o commerciale, in un ambito territoriale potenzialmente comune.

 

Tribunale Velletri, Sezione 2 civile  Sentenza 11 settembre 2018, n. 1907

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI VELLETRI

SEZ. SECONDA CIVILE

in composizione monocratica nella persona del Pres. dott. M. Buscema, all’udienza del giorno 11 settembre 2018 ha pronunciato ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2994 del RGACC 2011

TRA

– (…) SpA, in persona del legale rappresentante p.t.

elettivamente domiciliata in Albano Laziale, via (…) presso lo studio dell’avv. Ba.Bi. che la rappresenta e difende in virtù di procura alle liti in atti

PARTE ATTRICE

E

– (…)

elettivamente domiciliato in Albano Laziale, via (…) presso lo studio degli avv. Ca.Pi. e Gi.Ma. che lo rappresentano e difendono in virtù di procura alle liti in atti

PARTE CONVENUTA

OGGETTO: risarcimento danni.

BREVE ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

1 – La società attrice si è rivolta alla sezione lavoro del Tribunale per lamentare che (…), suo ex dipendente con mansioni di coordinatore di ufficio estero per il periodo gennaio 2003/gennaio 2009, aveva violato il patto di non concorrenza contenuto nel contratto individuale di lavoro e, pertanto, chiedeva la restituzione degli emolumenti percetti e il pagamento della penale contrattuale, nonché ha chiesto di accertare che il convenuto si era comunque reso responsabile di un illecito ex art. 2043 c.c. sotto il profilo del concretizzarsi di atti di concorrenza sleale, con conseguente condanna al ristoro dei danni.

Il Giudice del lavoro, con sentenza n. 1386/11 pronunciata il 24/5/2011 (passata in cosa giudicata), ha respinto la domanda avente ad oggetto la dedotta violazione del patto di non concorrenza, mentre con separata ordinanza ha rimesso gli atti al Presidente del Tribunale per la riassegnazione della domanda ex art. 2043 c.c. in base al criterio tabellare.

2 – L’odierno giudizio, pertanto, verte esclusivamente sulla domanda tesa a far accertare che il convenuto (…), dopo aver cessato il rapporto di lavoro con la società attrice, abbia messo in atto un comportamento teso a denigrare e infondere discredito della (…) SpA, nel tentativo di avvantaggiare una sua diretta concorrente (la società (…) SpA) in favore della quale aveva iniziato a prestare la propria attività lavorativa.

In particolare, il difensore della società ha allegato che il convenuto, venuto meno il rapporto di lavoro alle sue dipendenze, aveva iniziato a diffondere notizie circa una precaria situazione economico/finanziaria della (…) prossima al fallimento e l’inefficienza della rete di servizi di detta società, nonché aveva utilizzato la rete di contatti del suo ex datore di lavoro per sviarne la clientela, oltre ad aver convinto una dipendente della stessa Et. a dare le dimissioni per seguirlo nella nuova società presso la quale aveva iniziato a lavorare.

3 – Tanto premesso, occorre rammentare che la nozione di rapporto di concorrenza, quale presupposto necessario della configurabilità di un’ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., va desunta dalla ratio stessa dell’articolo in questione, essendo poi riservata alla discrezionalità del giudice, seppur mediante l’utilizzo di parametri oggettivi, la verifica della sussistenza di un simile rapporto nel caso prospettatogli.

La norma de qua impone alle imprese regole di correttezza e legalità, in guisa che nessuna si possa avvantaggiare nella diffusione e collocazione dei propri prodotti o servizi, mediante l’adozione di metodi contrari all’etica delle relazioni commerciali.

I comportamenti descritti e vietati da detta norma hanno, infatti, quale effetto lo sviamento della clientela del soggetto passivo, il quale vede spostare le preferenze della propria clientela a favore del soggetto attivo. Il verificarsi di un tale effetto, come è ovvio, può dunque concretizzarsi solo ed in quanto vi sia stata tra le due imprese comunanza, anche solo potenziale, di clientela.

In tema di concorrenza sleale presupposto indefettibile è, quindi, la comunanza della clientela, la cui sussistenza va verificata anche in una prospettiva potenziale, considerando se l’attività, nella sua dinamicità naturale, consenta di configurare l’esito del mercato fisiologico e prevedibile, sia sul piano temporale che geografico (Cass. 14/22332).

Dunque, “L’astratta configurabilità della concorrenza sleale tra due o più imprenditori presuppone il contemporaneo esercizio della stessa attività, industriale o commerciale, in un ambito territoriale potenzialmente comune” (tra le tante, Cass., 5 febbraio 2015, n. 2081).

Nel caso di specie, ciò che la società attrice denuncia è la condotta illecita tenuta dal convenuto (come persona fisica) dopo aver lasciato l’azienda per prestare la sua attività lavorativa a favore di altra società – che non è stata evocata in giudizio – derivandone l’inapplicabilità della fattispecie contemplata dall’art. 2598 c.c. e la astratta configurabilità, semmai, di un ordinario illecito extracontrattuale riconducibile nell’operatività dell’art. 2043 c.c.

E tale precisazione, invero, non può non tenere conto del thema decidendum che ha costituito l’oggetto della decisione presa dal Giudice del lavoro scrutinando la dedotta violazione del patto contrattuale di non concorrenza, onde evitare di riesaminare gli stessi fatti rispetto alla medesima contestazione. 4 – Entrando nel merito, la domanda attrice non appare fondata, in quanto la società non ha adeguatamente assolto al proprio onere di dimostrare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, ovverosia le condotte poste in essere dal convenuto, l’evento dannoso e il conseguente nesso causale, oltre alle conseguenze dannose.

4.1 – Sul comportamento denigratorio e diffamatorio che il convenuto (…) avrebbe tenuto dopo aver cessato di lavorare presso la (…) SpA la prova orale raccolta non è stata decisiva e persuasiva, in quanto il teste (…) (dipendente (…)) ha riferito de relato circostanze apprese da altre persone, ovverosia che il (…) aveva diffuso notizie sulla difficile situazione economico/finanziaria della sua ex società; anche la teste (…) (dipendente (…)) ha riferito circostanze non apprese direttamente, ma riferitele dal collega (…); l’unico teste che ha riferito circostanze direttamente apprese è stato C.O.G. (tra quelli che avrebbe riferito al (…) tali notizie), il quale, sentito sul punto, ha solo detto che il (…), nel corso di un incontro avvenuto in Brasile, gli aveva riferito della difficile situazione finanziaria della (…), prossima alla bancarotta, senza fare riferimento al dedotto debito, né alle precarie condizioni di salute dell’amministratore.

Tale deposizione, però, non collima con quanto riferito dal teste (…), il quale a sua volta ha ricordato di aver partecipato all’incontro tra il (…) e il teste (…), ma di non aver sentito alcun commento espresso dal convenuto riguardante la situazione economico/finanziaria della (…).

Pur non volendo dare evidenza alle contrastanti versioni rese dai due testi, tale unica circostanza, in ogni caso, non integra di per sé gli estremi del fatto illecito nell’economia di un’intenzionale strategia messa in atto dal (…) finalizzata a denigrare e/o diffamare la sua ex azienda, al fine di convogliare la clientela verso la nuova società con cui stava collaborando, ossia la (…) SpA.

Oltretutto, il teste ha riferito di essere il rappresentante della (…) per il Brasile dal 1991 e di ricoprire ancora tale ruolo, derivandone che, del tutto verosimilmente, egli era a conoscenza delle “condizioni di salute” dell’azienda per la quale lavorava e, in ogni caso, tale notizia non risulta che abbia avuto alcuna ripercussione in termini di danno sulla società attrice, tenuto conto che (…) ha continuato a lavorare per la (…).

4.2 – Va poi esaminata l’ulteriore contestazione incentrata sulla utilizzazione ad opera del (…) della rete di contatti del suo ex datore di lavoro per sviarne la clientela, attuata mediante una serie di comportamenti consistiti, nello specifico, nell’aver cancellato dal computer aziendale in sua dotazione tutti i file in esso conservati, come i contatti con la clientela, la corrispondenza, e via dicendo, nonché nell’essersi appropriato di circa 200 biglietti da visita di potenziali clienti e di una copia di un tabulato dei clienti esteri della (…).

In tema, le deposizioni dei testi (…) e (…) non sono state decisive, sia perché entrambi hanno riferito di aver ricevuto in consegna il pc in dotazione all’ex dipendente direttamente dalla propria azienda e non dal convenuto e ciò, giocoforza, non prova che sia stato il (…) a cancellare tutti i dati; sia perché lo stesso (…), quale responsabile del servizio, aveva a suo tempo impartito ai suoi collaboratori l’ordine di inserire quei dati anche sul server aziendale, come ha confermato il teste (…), soggiungendo di ritenere che “… tale disposizione fosse seguita anche dal (…), ma non ho verificato se sia stato dato seguito alla disposizione …”, mentre il teste (…) ha aggiunto che “… in prossimità della cessazione del rapporto di lavoro del (…) ho verificato che sul server aziendale vi erano anche e-mail inviate dal (…)”, a conferma che anche il convenuto era solito ottemperare a tale disposizione.

Peraltro, la teste (…), inoltre, ha espressamente confermato la circostanza che anche il convenuto era solito seguire la procedura su riportata e, perciò, di compilare la scheda informatica contenente i dati dei clienti (…).

Per quanto attiene poi ai potenziali nuovi clienti con cui, di regola, l’azienda veniva a contatto in occasione delle fiere, vale quanto appena detto relativamente alla conservazione dei dati informatici, oltre a doversi constatare che per ogni nuovo contatto era prassi aziendale che il dipendente, dopo l’evento fieristico, compilasse una scheda, accludendovi il biglietto da visita, che poi consegnava all’azienda.

E’ quindi del tutto logico ritenere che tale modalità compilativa cartacea, a prescindere dal dato informatico, consentiva comunque alla (…) di conservare i contatti con i potenziali clienti, proprio perché è logico ritenere che il signor (…), del tutto verosimilmente, aveva seguito l’anzidetta prassi, dal momento che mai l’azienda, dopo le varie fiere cui aveva partecipato, gli aveva contestato alcunché, ossia l’omessa compilazione delle schede.

In ogni caso, la difesa attrice non ha fornito prova, come era suo precipuo onere nell’ambito dell’illecito extracontrattuale, di comportamenti appropriativi ad opera del convenuto di biglietti da visita dei potenziali clienti, né di una copia del tabulato riepilogativo di tutti i clienti esteri dell’azienda.

4.3 – Un ulteriore contestazione è l’aver il (…), unitamente ad altra ex dipendente (…) (…), partecipato alla fiera di Francoforte presso lo stand della (…) S.p.A.

La circostanza, di per sé, non integra alcun illecito, in quanto risalente ad un periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro del convenuto (per il periodo precedente già si è pronunciato il Tribunale del lavoro con la cennata sentenza) e non è dato comprendere quale sia la condotta messa in atto dal (…) in violazione di una possibile posizione soggettiva tutelabile della società attrice.

Le email inviate dal convenuto (insieme alla (…)) per presentare un suo nuovo progetto di lavoro in occasione della fiera di Francoforte (docc. 10 e 11 fasc. attrice) non prova nulla, perché è il logico e legittimo esercizio del diritto di qualsiasi individuo, ormai affrancato dal rapporto di dipendenza col suo ex datore di lavoro, attivarsi per iniziare una nuova esperienza lavorativa, forte dell’esperienza maturata.

Deve peraltro rimarcarsi quanto già affermato dal Giudice del lavoro nell’ambito della dedotta violazione del patto di non concorrenza, nella parte in cui ha escluso la violazione di tale patto per ragioni legate alla territorialità della clausola contrattuale e, allo stesso tempo, ha affermato che la corretta interpretazione dell’art. 2125 c.c. non porta a precludere la possibilità dell’ex dipendente di svolgere qualsiasi attività lavorativa nello stesso settore professionale in Paesi diversi da quelli inibiti dalla clausola.

E’ evidente, quindi, che l’aver il (…) avuto rapporti di collaborazione e/o lavoro con una nuova società concorrente della (…) nel periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro non porta, di per sé, a configurare gli estremi di un illecito extracontrattuale, a meno che tale condotta non risulti integrata da altre circostanze in grado di dare sostanza e spessore all’illecito, come la sottrazione di informazioni, di know how, di tecniche specifiche di lavoro o quant’altro, comportamenti che, però, non risultano dimostrati.

4.4 – Anche il rilievo fondato sull’iniziativa del (…) di convincere il teste (…), quale responsabile (…) per il Brasile, a commercializzare i prodotti della società (…) SpA non coglie nel segno.

La ridetta circostanza, pur a volerla ritenere per ipotesi acquisita, non avrebbe comunque le caratteristiche del fatto illecito, ma sarebbe espressione della libera e legittima facoltà dell’ex dipendente (…), come collaboratore e/o dipendente della nuova società, di continuare a svolgere attività lavorativa nello stesso settore in cui aveva maturato una significativa esperienza.

Come già si è rimarcato, a tale iniziativa non sono stati associati altri elementi e/o circostanze tali da far emergere una condotta in aperta violazione del principio del neminem laedere rispetto alla posizione della (…).

Infine, la vicenda dell’ordine di merce non accettato dal teste (…) è strettamente correlata a tale episodio e non ha alcun peso su quanto appena detto, ma semmai offre un ulteriore elemento di valutazione per denegare la domanda, posto che il rifiuto della merce – peraltro, anche di genere diverso rispetto ai prodotti (…) – si riverbera sull’effettività delle conseguenze dannose.

5 – In conclusione, la domanda attrice va respinta perché infondata, con spese processuali a carico della parte soccombente che si liquidano ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 sulla base del valore della domanda.

P.Q.M.

Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla causa iscritta al n. 2994/11 di R.G., disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così decide:

RIGETTA la domanda ex art. 2043 c.c. proposta da (…) SpA contro (…).

CONDANNA la società attrice a rifondere alla controparte le spese processuali che liquida in Euro 18.500,00 (Euro 3.000,00 per studio; Euro 2.500,00 fase introduttiva; Euro 10.000,00 trattazione e istruttoria; Euro 3.000,00 fase decisoria ex art. 281 sexies c.p.c.), oltre iva e cpa, e il rimborso delle spese generali, da distrarsi ex art. 93 c.p.c. a favore dei procuratori dichiaratisi antistatari.

Così deciso in Velletri l’11 settembre 2018.

Depositata in Cancelleria l’11 settembre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.