ai fini del licenziamento per giusta causa, rileva soltanto la mancanza del lavoratore tanto grave da giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva, dovendosi valutare il comportamento del prestatore nel suo contenuto oggettivo – ossia con riguardo alla natura e alla qualita’ del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate ma anche nella sua portata soggettiva, e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui e’ stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all’intensita’ dell’elemento volitivo dell’agente. E’ stato poi precisato che anche una condotta illecita extralavorativa del prestatore e’ suscettibile di rilievo disciplinare, e pertanto anche di dar luogo alla piu’ grave delle sanzioni, poiche’ il lavoratore e’ tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche a non porre in essere, fuori dell’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da compromettere il rapporto fiduciario, comportamenti il cui apprezzamento in concreto e’ rimesso al giudice di merito.

 

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile  Sentenza 10 settembre 2018, n. 21958

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente

Dott. CURCIO Laura – Consigliere

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21108-2016 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1030/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/07/2016 R.G.N. 152/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/04/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega orale Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1030/2016, depositata il 18 luglio 2016, la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la illegittimita’ del licenziamento per giusta causa intimato a (OMISSIS), con lettera 29/7/2015, da (OMISSIS) S.p.A. in relazione a condotte di maltrattamenti nei confronti di familiari accertate con sentenze penali di condanna e alla loro eco mediatica, rilevando la inidoneita’ di tali condotte ad incidere sul rapporto lavorativo e la estraneita’ delle stesse alla fattispecie di cui all’articolo 64, lettera c), del CCNL Mobilita’/Attivita’ Ferroviarie, richiamato nella lettera di comunicazione del recesso.

2. La Corte condannava conseguentemente RFI – ai sensi della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012 – a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a pagargli un’indennita’ risarcitoria pari a dodici mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, sul rilievo della insussistenza di un fatto idoneo ad essere qualificato come inadempimento o condotta illecita incidente sul rapporto di lavoro.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza (OMISSIS) S.p.A. con quattro motivi, illustrati da memoria, cui il lavoratore ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, deducendo la violazione degli articoli 2104, 2106 e 2119 cod. civ., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere circoscritto alla sfera strettamente personale del lavoratore i fatti per i quali egli era stato condannato in sede penale, senza considerare l’elevato profilo professionale e le connesse responsabilita’ della qualifica (capo stazione) dallo stesso rivestita e la natura dell’attivita’ esercitata dall’impresa datrice di lavoro, omettendo in tal modo di compiere un adeguato giudizio prognostico sul venir meno della fiducia e sulla possibile prosecuzione del rapporto di lavoro.

2. Con il secondo, deducendo il vizio di cui all’articolo 360, n. 5, la societa’ censura la sentenza per avere omesso di valutare le specifiche mansioni assegnate al lavoratore, in quanto circostanza determinante per qualificare il disvalore della condotta tenuta e le sue implicazioni sul piano del rapporto di lavoro, e inoltre per avere omesso di considerare il fatto che il (OMISSIS) era rimasto assente dal servizio per dieci giorni (dal 31/3 al 10/4/2014) prima di dare notizia al datore di lavoro del proprio stato di custodia cautelare.

3. Con il terzo motivo, deducendo la violazione dell’articolo 64 CCNL di settore, (OMISSIS) S.p.A. censura la sentenza per avere erroneamente escluso che la condotta penalmente sanzionata tenuta dal lavoratore fosse tale da integrare la fattispecie di cui alla lettera c) di tale norma (che prevede la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso “per violazioni dolose di leggi, di regolamenti o dei doveri che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio all’azienda o a terzi”), senza valutare il danno che da tale condotta, ripetutamente riportata su organi di stampa con l’indicazione della qualita’ di “ferroviere”, era derivata alla societa’.

4. Con il quarto, la ricorrente, deducendo la violazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, commi 4 e 5, anche in combinato disposto con l’articolo 112 cod. proc. civ., censura la sentenza per non essersi pronunciata sulla domanda subordinata in punto conseguenze sanzionatorie, domanda con la quale era stato chiesto di confermare la legittimita’ dell’estromissione del lavoratore, fatto salvo il diritto all’indennita’ risarcitoria, e per avere erroneamente richiamato precedenti di legittimita’, secondo cui la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale, dando luogo alla reintegrazione del lavoratore; sotto altro profilo, censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sull’eccezione di aliunde perceptum e percipiendum, sebbene sollevata tanto in primo come in secondo grado, e per non avere dato ingresso alle istanze istruttorie formulate al riguardo.

5. Il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, che, in quanto connessi, possono esaminarsi congiuntamente, risultano infondati.

6. Si deve ribadire, in via preliminare, che la giusta causa di licenziamento, quale fatto il cui verificarsi non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (articolo 2119 cod. civ.), e’ una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realta’ da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione e’ quindi deducibile in sede di legittimita’ come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (cfr. Cass. n. 8254/2004 e successive conformi).

7. E’ stato inoltre ripetutamente affermato da questa Corte che, ai fini del licenziamento per giusta causa, rileva soltanto la mancanza del lavoratore tanto grave da giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva, dovendosi valutare il comportamento del prestatore nel suo contenuto oggettivo – ossia con riguardo alla natura e alla qualita’ del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate ma anche nella sua portata soggettiva, e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui e’ stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all’intensita’ dell’elemento volitivo dell’agente (cfr., fra le molte, Cass. n. 2720/2012).

8. E’ stato poi precisato che anche una condotta illecita extralavorativa del prestatore e’ suscettibile di rilievo disciplinare, e pertanto anche di dar luogo alla piu’ grave delle sanzioni, poiche’ il lavoratore e’ tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche a non porre in essere, fuori dell’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da compromettere il rapporto fiduciario, comportamenti il cui apprezzamento in concreto e’ rimesso al giudice di merito (cfr. Cass. n. 16524/2015; Cass. n. 16268/2015).

9. A tali principi si e’ correttamente uniformata la Corte territoriale nell’analisi del caso dedotto in giudizio e nell’individuazione delle ragioni giustificatrici del conclusivo accertamento circa l’insussistenza nella specie di una giusta causa di recesso.

10. In particolare, nel quadro di un’ampia e articolata valutazione dell’insieme degli indici caratterizzanti la fattispecie concreta (tanto di natura oggettiva quanto attinenti alla sfera soggettiva), la Corte ha, in primo luogo, osservato come, nel lungo periodo compreso tra l’assunzione (nel 1996) e i fatti che hanno condotto all’intimazione del licenziamento, il (OMISSIS) non avesse “mai avuto comportamenti aggressivi e violenti” ne’ la datrice di lavoro gli avesse “mai contestato di aver tenuto nei confronti dei colleghi o degli utenti condotte sconvenienti, prepotenti o litigiose mostrando una personalita’ irrispettosa e rissosa”; e tali rilievi e considerazioni la Corte ha espressamente posto in relazione alla “funzione ricoperta di capostazione” (che, quindi, risulta oggetto di esplicito esame, diversamente da quanto dedotto dalla societa’), ritenendo che essa non fosse “mai stata danneggiata da scelte incompatibili con il ruolo riconosciuto”, e altresi’ in relazione ai precedenti disciplinari, dei quali ha sottolineato – oltre al fatto di essere risalenti nel tempo e alla loro “lieve entita’ avendo sempre comportato la sanzione della multa” – come essi risultassero “tutti estranei e privi di connessione con gli eventi in esame” (cfr. sentenza, p. 4, 2 capoverso).

11. Ne’ puo’ convenirsi con la ricorrente, la’ dove imputa alla Corte territoriale di avere espresso un convincimento “retrospettivo”, vale a dire interamente fondato sull’assenza di precedenti comportamenti di analoga natura posti in essere nel pregresso contesto lavorativo, in quanto e’ proprio del giudizio prognostico (come quello sulla correttezza e adeguatezza del comportamento futuro del dipendente) risolversi nella ricognizione di tutti quegli elementi e circostanze di fatto che possano giustificare una previsione connotata da ragionevole attendibilita’, di conseguenza e necessariamente sollecitando al riscontro delle condotte riferibili al soggetto e all’esame della loro eventuale valenza sintomatica.

12. A conferma dell’iscrizione dei fatti contestati in un ambito strettamente personale e privato e della loro inidoneita’ a riversarsi sul diverso piano del rapporto di lavoro, compromettendo la fiducia del datore nel corretto futuro svolgimento di esso, la Corte territoriale ha inoltre rilevato come le condotte poi penalmente sanzionate del (OMISSIS) avessero trovato origine nell’avvio delle pratiche di una separazione coniugale dal medesimo non accettata e come negli sviluppi di quel giudizio fosse stato richiesto, anche dalla moglie, l’affido condiviso dei figli: cio’ che, nell’apprezzamento di fatto compiuto dal giudice di merito, “evidenzia l’assenza di una previsione di pericolo” e, con particolare riguardo all’essenza del giudizio richiesto dall’articolo 2119 cod. civ., “consente di contenere e circoscrivere ulteriormente gli eventi in esame a quel contesto specifico” (cfr. ancora sentenza impugnata, p. 4).

13. La Corte ha infine osservato come l’ipotesi di recesso datoriale senza preavviso, di cui all’articolo 64, lettera c), del CCNL di settore, fosse palesemente estranea alla fattispecie concreta “rispetto alla quale non e’ ravvisabile alcun grave pregiudizio ne’ effettivo ne’ potenziale dell’azienda”, senza che in ordine a tale conclusione risulti formulata, da parte della ricorrente, alcuna censura specifica, al di la’ di una sommaria critica di carenza motivazionale, estranea al vizio dedotto con il terzo motivo; e, in ogni caso, la Corte ha chiarito, alla luce degli elementi acquisiti al giudizio, nell’ambito dell’apprezzamento di fatto che e’ rimesso al giudice di merito, come dovesse escludersi nella specie anche un danno all’immagine, affermato dalla societa’ quale conseguenza della eco mediatica che aveva accompagnato la vicenda al suo inizio e nei momenti successivi, ponendo a tale fine in specifico rilievo la portata esclusivamente locale delle notizie di stampa e la genericita’ dei riferimenti, in esse contenuti, alla identita’ del datore di lavoro, al ruolo ricoperto dal (OMISSIS) e al luogo in cui egli svolgeva, al tempo dei fatti, la propria attivita’ lavorativa (cfr. sentenza, p. 5, 2 capoverso).

14. Quanto poi al ritardo, con il quale il (OMISSIS) avrebbe comunicato al datore di lavoro il proprio stato di custodia cautelare, si rileva trattarsi di questione nuova, nella misura in cui tale ritardo avrebbe formato oggetto di specifica contestazione in sede disciplinare, non essendone stata dedotta, sotto tale profilo, la proposizione nel giudizio di appello, con conseguente inammissibilita’ in parte qua del secondo motivo (Cass. n. 907/2018).

15. In ogni caso, nella prospettiva del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito delle modifiche introdotte nel 2012, si tratta di fatto del quale non risulta dalla ricorrente dimostrata la “decisivita’”, e cioe’ l’idoneita’, ove esaminato, a determinare un esito diverso del giudizio, secondo quanto precisato da Sez. U n. 8053 e n. 8054 del 2014.

16. Non puo’ essere accolto neppure il quarto motivo di ricorso, posto che la Corte di merito, dopo di avere escluso la sussistenza degli estremi della giusta causa, si e’ pronunciata anche sulla domanda subordinata relativa agli effetti sanzionatori, esattamente applicando il principio di diritto, secondo il quale l’insussistenza del fatto contestato, di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 42, comprende l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceita’, sicche’ in tale ipotesi si applica la tutela reintegratoria, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalita’ tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceita’ (Cass. n. 20540/2015; conforme Cass. n. 18418/2016).

17. Il motivo in esame e’ poi inammissibile nel profilo relativo alla detraibilita’ dal risarcimento, cosi’ come liquidato, delle somme eventualmente percepite dal (OMISSIS) in virtu’ della prestazione di altra attivita’ lavorativa o che egli avrebbe potuto percepire, dedicandosi con diligenza al reperimento di altra occupazione, non essendo specificato, nell’inosservanza del requisito di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se, dove e in quali esatti termini siano state formulate al giudice di secondo grado le istanze istruttorie volte a conseguire l’accertamento dei fatti alla base dell’eccezione, ne’ essendone stato riportato il contenuto (quanto ai capitoli per interrogatorio formale) o l’oggetto preciso (quanto alle altre eventuali richieste).

18. Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.

19. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.