l’azione diretta ad ottenere la consegna o il rilascio del bene nei confronti di chi ne dispone di fatto, in assenza di ogni titolo, deve essere qualificata come azione di rivendicazione. Dunque, detta ultima azione presuppone l’assoluta inesistenza di un titolo nel possessore o nel detentore del bene. Al contrario, l’azione di restituzione presuppone l’esistenza di un titolo al possesso o alla detenzione che, per una qualsiasi ragione, sia venuto meno. In tal caso – che ricorre per l’appunto nella specie, nel quale gli attori avevano dedotto il venir meno del titolo contrattuale (rappresentato dal contratto di comodato precario) – l’attore non deve provare il suo diritto di proprieta’, ma solo la cessazione di efficacia del titolo che legittimava il possesso del convenuto. Proprio per questa ragione, l’azione di restituzione (non e’ reale, ma) personale.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 12 febbraio 2019, n. 3973

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17582/2017 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 05/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/10/2018 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha chiesto per il rigetto del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

1. La Corte di appello di Torino, con ordinanza 2 maggio 2017, emessa ai sensi dell’articolo 348 bis c.p.c., ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza n. 5561/2016 del 18/11/16 con la quale il Tribunale di Torino, in accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS) e da (OMISSIS) (di seguito gli attori), aveva atto che il (OMISSIS) deteneva senza titolo l’unita’ immobiliare per cui e’ processo (sita in (OMISSIS), di proprieta’ degli attori); e, per l’effetto, lo aveva condannato a rilasciare tale unita’ immobiliare, libera e sgombra da persone e cose di sua proprieta’, a favore degli attori, fissando per l’esecuzione la data del 31 gennaio 2017.

2. Era accaduto che nel marzo 2015 (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano convenuto in giudizio il (OMISSIS), al fine di sentir accertare l’occupazione senza titolo dell’immobile, sopra indicato, di loro comproprieta’, con condanna al rilascio dell’immobile libero da persone e cose e fissazione di un termine per l’esecuzione del provvedimento.

A sostegno della domanda proposta gli attori avevano dedotto che: a) le rispettive madri, signore (OMISSIS), nell’anno 1996, avevano concesso al (OMISSIS), loro lontano cugino, l’utilizzo dell’immobile in esame con l’intesa che questi avrebbe provveduto a corrispondere le spese condominiali ordinarie e quelle di riscaldamento; b) dopo il decesso delle sorelle (OMISSIS), essi avevano continuato a concedere al (OMISSIS) l’utilizzo dell’immobile fino all’anno 2013; c) solo a partire dall’anno 2012 il (OMISSIS) aveva fissato la propria residenza presso l’immobile oggetto del comodato; d) erano sempre stati loro a corrispondere tutte le spese relative alla proprieta’ dell’immobile (I.C.I. e T.A.R.S.U.), cosi’ come le spese condominiali straordinarie; e) dopo aver scoperto che il (OMISSIS) non aveva provveduto al pagamento delle spese ordinarie per alcune gestioni, con missiva 29.11.2013 avevano comunicato a quest’ultimo la volonta’ di recedere dal contratto di comodato, trattandosi di comodato senza determinazione di durata, richiedendo la restituzione dell’immobile per la data del 31.1.2014; f) il (OMISSIS), tuttavia, non aveva provveduto al rilascio dell’immobile.

Il (OMISSIS) si era costituito, contestando la domanda attorea e chiedendo, in via di eccezione riconvenzionale, darsi atto dell’intervenuta usucapione da parte sua dell’unita’ immobiliare.

A sostegno della sua richiesta di rigetto della domanda attorea il (OMISSIS) aveva dedotto: a) di essere il reale ed effettivo unico proprietario dell’immobile per cui e’ processo; b) che detto immobile era stato fittiziamente intestato, per ragioni fiscali, alle proprie cugine signore (OMISSIS), le quali non avevano mai avuto il possesso materiale e legale dell’immobile e delle chiavi di accesso (essendo stata la proprieta’ “trasferita loro solo sulla carta a seguito del rogito di compravendita del 29.1.1987 che e’ un semplice atto giuridico senza che vi sia stata mai la consegna materiale della cosa”: p. 3 comparsa di costituzione); c) di non avere mai concluso con le signore (OMISSIS), danti causa degli attori, un contratto di comodato avente ad oggetto l’immobile (di sua proprieta’, da lui occupato ininterrottamente dall’anno 1986 fino alla notifica dell’atto di citazione uti dominus et animo domini, provvedendo anche, regolarmente, al pagamento delle spese condominiali, sia ordinarie che straordinarie, ed alle relative imposte); d) di avere ricevuto il possesso di tale immobile (non dalle sorelle (OMISSIS), bensi’) dall’originario proprietario il quale gli aveva consegnato le chiavi sulla base di un accordo negoziale, mai formalizzato per iscritto, prevedente “il trasferimento della proprieta’ di fatto al convenuto e formalmente ai medesimi danti causa degli attori in qualita’ di prestanomi” (p. 4 comparsa di costituzione).

In via di eccezione riconvenzionale, il convenuto aveva chiesto darsi atto dell’intervenuta usucapione da parte sua dell’unita’ immobiliare de qua, avendo egli assolto, nell’intero arco temporale utile per l’usucapione e pur nelle continue traversie economico e fiscali attraversate, a tutti gli oneri gravanti sulla proprieta’.

Gli attori, preso atto delle difese svolte dal convenuto, nella prima memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, avevano chiesto la condanna al rilascio, anche in caso di verifica dell’inesistenza e/o della nullita’ del contratto di comodato.

Il Tribunale di Torino, istruita documentalmente la causa, con sentenza n. 5561/2016, aveva dato atto che il (OMISSIS) deteneva senza titolo l’unita’ immobiliare per cui e’ processo; e, come sopra rilevato, lo aveva condannato a rilasciare tale unita’ immobiliare, libera e sgombra da persone e cose di sua proprieta’, a favore degli attori, fissando per l’esecuzione la data del 31 gennaio 2017. Secondo il giudice di primo grado, non era fondata l’eccezione (sollevata dal convenuto) di novita’ della domanda, poiche’ la domanda di condanna al rilascio dell’immobile occupato senza titolo (formulata in atto di citazione) e quella svolta nella memoria ex articolo 183 c.p.c., avevano la stessa causa petendi e lo stesso petitum; e, nel merito, non vi era prova della dedotta simulazione del contratto di compravendita, non essendo stata fornita alcuna prova dell’accordo simulatorio; al contrario, era risultato provato che gli attori avevano acquistato l’immobile a titolo derivativo per successione mortis causa dalle rispettive madri, le sorelle (OMISSIS), e che dette rispettive danti causa avevano a loro volta acquistato l’immobile in virtu’ di validi atti di trasferimento; se anche il convenuto avesse raggiunto la prova della detenzione uti dominus dell’immobile dal 1987, era risultato comunque provato che dal 2005 non aveva piu’ esercitato il possesso utile ad usucapionem, poiche’ da tale anno non aveva piu’ pagato le spese condominiali e le imposte comunali sull’immobile.

Avverso la sentenza del giudice di primo grado il (OMISSIS) aveva proposto appello ribadendo le eccezioni gia’ esposte al Giudice di primo grado e lamentando: 1) l’errata qualificazione della domanda attorea in termini di azione di rivendicazione, atteso che gli attori avevano proposto un’azione di natura contrattuale, fondata sul rapporto di comodato, e, nella memoria ex articolo 183 c.p.c., avevano operato una mutatio libelli, introducendo una azione reale di rivendicazione dell’immobile; 2) l’errata decisone circa la sua eccezione riconvenzionale, atteso che non era stato provato il motivo per il quale le sorelle (OMISSIS) avrebbero acquistato un immobile in comunione, ne’ era contestato che essere avessero agito quali suoi prestanome (avendo egli posseduto l’immobile uti dominus e non in virtu’ di contratto di comodato).

Gli appellati si erano costituiti contestando l’appello e chiedendo la conferma della sentenza di primo grado, con vittoria di spese di lite.

La Corte territoriale, dapprima, ha respinto la domanda di sospensione della provvisoria esecutorieta’ della sentenza impugnata, e, quindi, con la impugnata sentenza, come sopra rilevato, ha dichiarato inammissibile l’appello.

3.Avverso la sentenza del Tribunale di Torino ricorre il (OMISSIS). Resistono con un unico controricorso gli attori.

In vista dell’odierna adunanza il Procuratore generale conclude chiedendo il rigetto del ricorso, mentre le parti depositano memorie a sostegno dei rispettivi assunti.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ affidato a due motivi, entrambi articolati in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Precisamente il (OMISSIS) denuncia:

– con il primo motivo: violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 115 c.p.c. e articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1, nonche’ degli articoli 948, 1803 e 2697 c.c., con insufficiente motivazione e vizio logico del ragionamento; lamentandosi che il Tribunale, incorrendo nel vizio denunciato, da un lato, aveva erroneamente qualificato la domanda attorea in termini di azione di rivendica, mentre avrebbe dovuto qualificarla quale semplice azione contrattuale di restituzione dell’immobile, con conseguente erronea ripartizione degli oneri probatori incombenti sulle parti, e, dall’altro, aveva erroneamente qualificato come emendatio libelli la precisazione della domanda attorea (contenuta nella prima memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6 e formulata a seguito delle difese del convenuto), mentre avrebbe dovuto qualificarla quale mutatio libelli;

– con il secondo motivo: violazione e falsa applicazione degli articoli 1165 e 2943 c.c., con insufficiente motivazione e vizio logico del ragionamento; lamentandosi che il Tribunale, incorrendo nel vizio denunciato, aveva erroneamente rigettato l’eccezione di usucapione, da lui formulata in via riconvenzionale, da un lato, non tenendo conto del principio di tassativita’ degli atti interruttivi del possesso utile ad usucapionem e, dall’altro, non esaminando alcune circostanze di fatto da lui allegate (e precisamente il fatto che non vi era motivo per cui le sorelle (OMISSIS) e il (OMISSIS) acquistassero l’immobile in comunione e acquistassero proprio quell’immobile; il fatto che l’alloggio era stato acquistato con suoi denari e che lui non poteva intestarsi l’alloggio principalmente per problematiche derivanti dal suo secondo matrimonio).

2. Il ricorso non e’ fondato.

2.1. Non fondato e’ il primo motivo di ricorso.

Le Sezioni Unite di questa Corte, come correttamente rileva il ricorrente, hanno si’ gia’ avuto modo di statuire:

con sentenza n. 7305/2014, che l’azione di rivendicazione e l’azione di restituzione, pur essendo accomunate dallo stesso petitum (e cioe’ dallo stesso scopo pratico a cui tendono: la disponibilita’ materiale di un bene, della quale si sia privi), si distinguono per la causa petendi (che, nell’azione di rivendica, e’ la titolarita’ del diritto di proprieta’ su di un bene; mentre, nell’azione di restituzione, e’ una prestazione di dare, derivante da un rapporto obbligatorio);

e, con sentenza n. 12310/2015, che le modificazioni della domanda introduttiva sono inammissibili ogniqualvolta costituiscano mutatio libelli, cioe’ ogniqualvolta introducano nel processo una causa petendi, fondata su situazioni giuridiche, non prospettate prima, ed in particolare su di un fatto costitutivo differente, cosi’ ponendo al giudice un nuovo tema d’indagine e spostando i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo.

Le Sezioni Unite nella menzionata sentenza hanno anche precisato che l’azione diretta ad ottenere la consegna o il rilascio del bene nei confronti di chi ne dispone di fatto, in assenza di ogni titolo, deve essere qualificata come azione di rivendicazione.

Dunque, detta ultima azione presuppone l’assoluta inesistenza di un titolo nel possessore o nel detentore del bene.

Al contrario, l’azione di restituzione presuppone l’esistenza di un titolo al possesso o alla detenzione che, per una qualsiasi ragione, sia venuto meno. In tal caso – che ricorre per l’appunto nella specie, nel quale gli attori avevano dedotto il venir meno del titolo contrattuale (rappresentato dal contratto di comodato precario) – l’attore non deve provare il suo diritto di proprieta’, ma solo la cessazione di efficacia del titolo che legittimava il possesso del convenuto. Proprio per questa ragione, l’azione di restituzione (non e’ reale, ma) personale (Sez. 3, Sentenza n. 17941 del 24/07/2013, Rv. 627869-01).

Orbene, nel caso di specie, in sede di atto introduttivo del giudizio di merito di primo grado, al quale la Corte accede in considerazione della natura della censura proposta, gli attori dopo aver affermato (al punto 15) che “si rende pertanto necessario agire giudizialmente onde sentir dichiarare la proprieta’ dell’immobile per cui e’ causa in capo ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS) ed ottenere la liberazione dell’immobile di proprieta’ degli attori stante l’occupazione illegittima da parte del convenuto” – hanno rassegnato le seguenti conclusioni:

“nel merito: accertare e dichiarare che i signori (OMISSIS) e (OMISSIS) sono proprietari dell’immobile sito in (OMISSIS), distinto al NCEU al foglio 210, particella 95, subalterno 5, categoria A/4 e, per l’effetto; dato atto che il signor (OMISSIS) occupa sine titulo il predetto immobile a seguito di recesso dal contratto di comodato precario ad opera dei proprietari in data 29/11/2013, ordinare al signor (OMISSIS) la restituzione dell’immobile sito in (OMISSIS), nella disponibilita’ dei ricorrenti, libero da persone e cose, fissando il termine per l’esecuzione; con vittoria di spese ed onorari di causa, oltre iva e cpa come per legge”.

Tenuto conto di quanto sopra, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, correttamente il Tribunale ha ritenuto che l’originaria domanda attorea non era una domanda di rivendicazione, ma una domanda di restituzione di un bene occupato ormai senza titolo, e, in quanto tale, non soggetta al rigoroso regime probatorio proprio dell’azione di rivendica.

Dunque, il Tribunale non e’ incorso in alcun errore in punto di qualificazione della domanda. E, applicando correttamente i principi fondamentali in materia di ripartizione dell’onere della prova, ha ritenuto: da un lato, che era stata provata dagli attori l’esistenza di validi atti di trasferimento della proprieta’ dell’immobile in loro favore; e, dall’altro, che non era stata provata dal convenuto la permanenza di un valido titolo di detenzione e/o possesso dell’immobile stesso.

D’altronde, tale essendo la domanda attorea formulata in atto di citazione e tenuto conto delle eccezioni contenute nella comparsa di costituzione e risposta del convenuto, il Tribunale ha correttamente qualificato come emendatio libelli (e non come mutatio libelli) la precisazione della suddetta domanda, contenuta nella memoria presentata dagli attori ai sensi dell’articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1, laddove si legge: “per il caso in cui venga accertata la inesistenza e/o invalidita’ del contratto di comodato, dato atto in ogni caso della occupazione senza titolo dell’immobile, ordinare al sig. (OMISSIS) la restituzione dell’immobile nella disponibilita’ dei ricorrenti”.

Invero, tanto chiedendo, gli attori non hanno introdotto alcun elemento di novita’ ne’ in ordine al petitum, che rimaneva il rilascio dell’immobile, e neppure in ordine alla causa petendi (che rimaneva la restituzione del bene, occupato senza titolo dal convenuto)

2.2. Il secondo motivo e’ inammissibile.

E’ inammissibile laddove denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1165 c.c., in quanto il ricorrente, tramite il formale richiamo all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostanzialmente sollecita a questa Corte un riesame dei fatti, e, in particolare del fatto che lui era in possesso del bene sin dal 1986, circostanza questa che e’ stata ritenuta non provata da entrambi i giudici di merito (sentenza di primo grado, pp. 3-4; ordinanza della Corte territoriale, pp. 4-5) e sulla quale a questa Corte e’ preclusa ogni diversa valutazione.

E’ inammissibile laddove denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2943 c.c., in quanto il ricorrente, tramite il formale richiamo all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostanzialmente denuncia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo e controverso, vizio che, come e’ noto, non puo’ essere denunciato con riferimento alla sentenza di primo grado ogni qualvolta, come per l’appunto si verifica nel caso di specie, l’impugnazione avverso detta sentenza sia stato dichiarato inammissibile dalla Corte di appello.

3. Avuto riguardo al rigetto del ricorso, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controparte, nonche’ al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, spese che liquida in Euro 5.000, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.