in tema di conto corrente bancario, le clausole di commissione di massimo scoperto debbono ritenersi nulle per indeterminatezza dell’oggetto, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1346 e 1418 c.c., quando recano solo il valore percentuale della commissione rispetto allo scoperto del conto e la periodicità di calcolo (nella specie anch’essa assente), senza alcuna specificazione sul concreto meccanismo di funzionamento della commissione (cioè se la clausola di massimo scoperto vada riferita al montante utilizzato o alla provvista accordata, ovvero se l’indicata percentuale debba riferirsi al momento di punta massima dello scoperto ovvero a un periodo più prolungato di un certo numero di giorni di tale scoperto, ovvero ancora alla media dello scoperto distribuito su più giorni, etc.), così da risultare pattuite in modo insufficientemente determinato e quindi difforme da quanto previsto dall’articolo 1346 del codice civile, non consentendo al correntista di comprendere il concreto criterio di computo della commissione, il suo funzionamento e lo specifico impatto sui saldi trimestrali o annuali di chiusura periodica del conto corrente bancario.

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Tribunale Sassari, civile Sentenza 25 marzo 2019, n. 380

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI SASSARI

in composizione monocratica nella persona del giudice dott. Francesco De Giorgi, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al numero 371 del Ruolo Generale dell’anno 2014 promossa da:

(…) s.r.l. ((…)), in persona del legale rappresentante pro tempore; (…) ((…)), (…) ((…)), tutti elettivamente domiciliati in Sassari, presso lo studio dell’avv. (…), rappresentati e difesi dall’avv. (…) in virtù di procura speciale in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore del 8.5.2014;

attori

contro

(…) s.p.a., ((…)), con sede (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, ed ivi elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (…) che la rappresenta e difende in virtù di procura generale alle liti per atto del Notaio (…), rep. (…) del (…);

convenutaRAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione regolarmente notificato la società a responsabilità limitata (…) e i sig.ri (…) e (…), i quali hanno dichiarato di agire in qualità di fideiussori della società in relazione ai rapporti dedotti in causa, hanno convenuto in giudizio il (…) s.p.a. assumendo: – che tra la società attrice e l’istituto di credito fossero intercorrenti, da data imprecisata anteriore al 22.4.2000, un rapporto di conto corrente, identificato con il n. (…) e ancora aperto al momento della domanda e due c.d. conti anticipi n. (…) aperto in data imprecisata successiva al 22.4.2000 e chiuso in data 4.3.2009 e n. 11213 aperto in data imprecisata successiva al 22.4.2000 e chiuso in data 12.12.2008; – che in relazione ai due conti anticipi non erano state pattuite condizioni economiche e, qualora esse ci fossero state, sarebbero state nulle per rinvio agli usi su piazza, anatocismo, usura, commissione di massimo scoperto; mentre in relazione al contratto di conto corrente era stata illegittimamente prevista la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori; – che, sempre in relazione al conto corrente, erano state previste l’applicazione di interessi ultralegali, anatocistici, usurari commissioni e spese varie non dovute; – che il conto corrente era da ritenersi affidato.

Gli attori hanno, pertanto, domandato l’accertamento della assenza di pattuizioni contrattuali nei due conti anticipi e comunque, in relazione a tutti i contratti, l’accertamento della nullità delle clausole che hanno comportato le varie illegittimità sopra indicate ed il ricalcolo del saldo esistente all’ultimo estratto conto in atti una volta espunte le risultanze conseguenza dell’applicazione delle clausole nulle o dell’illegittima applicazione di commissioni non previste contrattualmente, nonché la condanna dell’istituto di credito convenuto alla rettifica delle risultanze contabili del conto corrente e alla ripetizione delle somme indebitamente versate dalla società attrice nell’ambito dei due conti anticipi. Si è anche domandato di effettuare la compensazione tra il saldo del conto corrente una volta epurato con le somme indebitamente pagate nell’ambito dei conti anticipi, nonché l’accertamento dell’illegittima segnalazione degli attori nella (…), con riserva di instaurare giudizio per il ristoro dei danni e vinte le spese di lite.

Si è tempestivamente costituito in giudizio il (…) s.p.a. che si è opposto all’accoglimento delle avverse domande sostenendone l’infondatezza in fatto ed in diritto e che in via preliminare ha eccepito la nullità della citazione per mancata esposizione dei fatti, il difetto di legittimazione attiva dei soggetti qualificatisi come fideiussori, la prescrizione dei diritti vantati dalla correntista per le operazioni anteriori al 27.1.2009 o al 27.1.2004 e di quello alla ripetizione delle rimesse solutorie anteriori al 27.1.2009, la violazione delle regole di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

La causa è stata istruita con produzioni documentali e consulenza tecnica d’ufficio ed è stata tenuta in decisione sulle conclusioni richiamate in premessa, previa concessione dei termini per la redazione di scritti difensivi finali.

2. Le questioni processuali.

2.1. L’eccezione di nullità della citazione formulata dalla convenuta per la mancata esposizione dei fatti costituenti le ragioni delle domande di parte attrice può ritenersi ormai assorbita poiché gli elementi di fatto e di diritto versati in atti consentono la decisione nel merito di tutte domande proposte.

2.2. Le richieste istruttorie originariamente formulate da parte attrice con memoria innominata depositata in data 7.7.2014, allorquando nemmeno si era svolta l’udienza di prima comparizione e trattazione con assegnazione dei termini, celebrata il successivo 12.11.2014 (ciò in quanto la precedente udienza di prima comparizione del 8.5.2014 era stata rinviata per l’adesione del legale della convenuta ad una astensione dall’attività di udienza proclamata dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Sassari), sono inammissibili sia perché introdotte in causa con atto irrituale, posto al di fuori del sistema processuale, come già rilevato con ordinanza del 12.11.2014; sia per la assorbente ragione che all’udienza in cui le parti hanno precisato le conclusioni (18.1.2018) gli attori non hanno domandato la revoca dell’ordinanza con la quale non erano stati ammessi i mezzi da essi dedotti con la memoria istruttoria innominata, né a tale funzione possono assolvere le note conclusive del 20.4.2018 in cui si propone tale istanza (cfr. Cass. civ. 23.3.2017 n. 7472: “nell’ipotesi di rimessione della causa al collegio, le parti possono sottoporre a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 178, comma 1, c.p.c., tutte le questioni già definite dal giudice istruttore con ordinanza revocabile, senza bisogno di proporre specifica impugnazione, purché sia stata chiesta, in sede di precisazione delle conclusioni, la revoca della menzionata ordinanza. In caso contrario, resta precluso al collegio (ed anche al giudice unico, ove la controversia debba essere decisa dal tribunale in composizione monocratica) qualsivoglia scrutinio al riguardo, con la conseguente impossibilità di sollevare la suddetta questione in sede di impugnazione”.

3. I rapporti bancari intercorrenti tra la (…) s.r.l. e il (…).

Risulta provato in causa per via documentale, in forza della produzione dei titoli da parte del (…), che la società attrice e l’istituto di credito convenuto stipularono i seguenti contratti.

a) In data 16.10.1998 il contratto di conto corrente bancario n. (…), con pattuizione espressa di un tasso debitore del 14,75% nonché dell’applicazione di interessi anatocistici con capitalizzazione trimestrale e di una commissione di massimo scoperto pari allo 0,250%, nonché altre di spese per tenuta conto, allestimento pratiche di fido, per operazione, per comunicazioni, per chiusura del conto; tale rapporto risultava essere ancora in corso al momento dell’instaurazione del presente giudizio, circostanza questa pacifica in causa.

Costituisce, pertanto, presupposto in fatto della presente decisione che il rapporto contrattuale di conto corrente non fosse ancora risolto al momento sia della domanda attrice, sia della riconvenzionale della convenuta con la conseguenza che la società attrice ha un interesse a conoscere se sussistano o meno le eccepite nullità contrattuali anche nell’ipotesi in cui non risulti fondata la domanda di accertamento del saldo.

Costituisce, altresì, presupposto in fatto della presente decisione la circostanza – pacifica in causa e comunque provata attraverso l’analisi dei documenti sia da parte del c.t.u. che da parte del giudice istruttore – che a fronte di un rapporto contrattuale e contabile intercorrente dall’ottobre 1998 e in corso ancora nel 2014 al momento della domanda sono risultati mancanti in atti svariati estratti conto periodici e scalari (a titolo esemplificativo è emersa la mancanza dei seguenti documenti contabili: tutti gli e/c mensili e scalari dall’apertura del rapporto all’1.1.2000; tutti quelli riguardanti il I trimestre del 2004; l’intero anno 2009; il periodo da gennaio a settembre 2012; l’e/c di aprile 2004, di agosto e settembre 2011, di ottobre e novembre 2012; dei riassunti scalari e del prospetto di calcolo delle competenze del III trimestre 2008 e del I trimestre 2014) tanto che si può rilevare una significativa carenza di documentazione circa l’andamento del rapporto contabile per tutto l’arco temporale nel quale esso si è sviluppato, tanto più ove si consideri che parte attrice contesta tutte le risultanze contabili periodiche.

b) In data 16.2.1999 un contratto di conto che si è rivelato essere di anticipi su fatture n. (…), chiuso in data 12.12.2008 con saldo passivo di Euro 48,72 girocontato nel conto corrente di cui alla lettera a), con pattuizione espressa delle medesime condizioni già elencate per il predetto conto corrente ad eccezione degli interessi debitori fissati genericamente nel 14% e quelli per anticipi salvo buon fine fissati specificamente nell’11,45%.

Pacifica in causa e comunque provata attraverso l’analisi dei documenti sia da parte del c.t.u. che da parte del giudice istruttore è la circostanza che a fronte di un rapporto contrattuale e contabile intercorrente dal febbraio 1999 e fino al dicembre 2008, sono risultati mancanti in atti svariati estratti conto periodici e scalari (è emersa la mancanza dei seguenti documenti contabili: tutti gli e/c mensili e scalari dall’apertura del rapporto a tutto l’anno 2000 e tutti quelli riguardanti gli anni 2002 e 2003) tanto che anche in relazione a detto rapporto si può rilevare una significativa carenza di documentazione circa l’andamento del rapporto contabile per tutto l’arco temporale nel quale esso si è sviluppato, tanto più ove si consideri che parte attrice contesta tutte le risultanze contabili periodiche.

La circostanza di fatto che tale rapporto sia stato chiuso non assume in concreto rilevanza ai fini della verifica dell’interesse della parte attrice all’accertamento di clausole contrattuali nulle poiché tale conto anticipi è collegato al conto corrente di corrispondenza e gli interessi debitori e creditori, in esso contabilizzati trimestralmente, venivano fatti confluire nel conto corrente, con la conseguenza che è quest’ultimo, come detto aperto al momento della domanda, che consente di individuare le definitive partite del dare e dell’avere.

Peraltro, il Tribunale ritiene sia opportuno qualificare giuridicamente tale conto anticipi, al fine di attribuire ad esso il suo proprio rilievo.

Come noto lo sconto bancario è disciplinato dagli artt. 1858 e ss. c.c. ed è il contratto con cui la Banca, previa deduzione dell’interesse, anticipa al cliente l’importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante la cessione, salvo buon fine, del credito stesso. Sicché, con la operazione di anticipazione delle fatture, la Banca “anticipa” al cliente una parte delle somme indicate nelle fatture emesse e non ancora pagate.

Solitamente, per prassi bancaria, le poste attive e passive che derivano dall’operazione in questione vengono annotate in un apposito conto, accessorio a quello ordinario del cliente, che prende il nome di “conto-anticipi”: in esso le somme anticipate dalla banca vengono registrate “a debito” e messe a disposizione del cliente mediante accredito nel conto corrente ordinario del cliente stesso, sino al limite dell’affidamento concessogli. Le somme anticipate rappresentano, in ogni caso, un debito del cliente nei confronti della Banca, che varierà a seconda che il debitore del correntista paghi o meno gli importi portati dalle fatture scontate. Pertanto, i rapporti di debito e credito relativi alle operazioni di anticipazione delle fatture vengono regolati mediante annotazioni sul conto corrente di corrispondenza, con conseguente applicazione di tutte le condizioni contrattuali previste per tale conto.

Ed infatti, la Suprema Corte ha al riguardo statuito che “In tema di contratto di sconto bancario, che risulti stipulato per fatti concludenti, non rileva – al fine del sorgere delle obbligazioni derivanti dal contratto, né l’assenza di un contratto di apertura di credito, né la mancanza di un “castelletto di sconto”, atteso che il contratto di sconto non richiede la forma scritta nè “ad substantiam” né “ad probationem”, ferma restando, ove lo sconto avvenga mediante girata, l’osservanza delle formalità richieste dalla legge di circolazione del titolo. Il “castelletto di sconto”, infatti è un negozio distinto dal contratto di apertura di credito in quanto con esso la banca s’impegna, nel limite e per il tempo concordati, a scontare, a favore di un soggetto determinato, gli effetti e le ricevute bancarie che questo le presenterà senza implicare, anche se regolato in conto corrente, alcun trasferimento di denaro al cliente (neppure nella forma della “messa a disposizione”) con la conseguenza che detto trasferimento avverrà solo in forza dei singoli negozi di sconto e l’obbligazione restitutoria dello scontatario sorgerà solo ove i documenti scontati rimangano insoluti. (Cass. civ. 14.7.2010, n. 16560).

Il conto anticipi è, dunque, uno strumento di natura prettamente contabile nella prassi bancaria (talvolta denominato anche ‘conto tecnico’ per differenziarlo dal conto corrente cui è strettamente correlato), del tutto privo di autonomia strutturale e funzionale, ma finalizzato alla annotazione delle operazioni relative alla anticipazione di fatture, da regolare poi nell’ambito del rapporto principale di conto corrente. Viene, quindi, utilizzato per quei rapporti che necessitano di contabilizzazione separata. Da ciò consegue che il saldo passivo del conto anticipi non può da solo risultare indice di ‘scoperto’, dovendosi il relativo ‘saldo’ riversare nel conto principale, sul quale le operazioni integranti anticipazioni affluiscono mediante giroconto.

4. Le domande di accertamento del saldo del conto corrente e del conto anticipi n. (…) e di condanna alla ripetizione delle somme pagate dal correntista alla chiusura del conto anticipi. Le eccezioni di prescrizione sollevate dalla convenuta.

Nel caso di specie deve essere data applicazione alla regola generale di ripartizione dell’onere della prova stabilito dall’art. 2697 c.c., secondo il quale grava su chi agisce in giudizio l’onere di provare i fatti costitutivi delle proprie pretese.

Da ciò discende che in materia bancaria, quando ad agire in giudizio sia il correntista per l’accertamento del saldo, tale onere si sostanzia nella necessità che venga provato non solo il titolo contrattuale ma anche l’intero andamento del rapporto dalla sua nascita alla sua chiusura, o comunque alla data che l’attore medesimo ha individuato quale momento finale della propria pretesa, salvo che – in presenza di una serie continua di estratti conto che decorrono dalla data di chiusura del rapporto o dalla data oggetto dell’accertamento del saldo e che copra a ritroso un certo arco temporale- non si possa dire che il saldo ad una certa data fosse incontroverso. Per converso, quando ad agire per il pagamento del saldo di un conto corrente sia la banca creditrice la banca è tenuta a produrre gli estratti conto a partire dall’apertura del conto, anche oltre il decennio (perché non si può confondere l’obbligo di conservazione della documentazione contabile con l’onere di fornire prova in giudizio del proprio credito), mentre la produzione di estratti conto per una frazione temporale unilateralmente individuata dalla banca è radicalmente inidonea ad assolvere l’onere probatorio che sta a suo carico.

Sul punto pare opportuno richiamare per esteso la pronunzia della Suprema Corte, secondo cui: “Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista ma lo stesso può dirsi per la nullità di altre pattuizioni inerenti al conto, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso i relativi estratti a partire dalla data della sua apertura, così effettuandosi l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere, con applicazione del tasso legale, sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni ivi registrate, inutilizzabili invece rivelandosi, a tal fine, criteri presuntivi o approssimativi.

Tanto questa corte ha avuto modo di affermare con orientamento consolidato (cfr. per tutte Sez. 1, n. 21597-13, e v. anche Sez. 1, n. 1842-11, n. 23974-10).

Consegue che la considerazione del giudice a quo, secondo cui era rimasto indimostrato l’andamento del conto nei rapporti di dare-avere, per la mancata produzione degli estratti fin dall’inizio, suffraga l’esito della controversia.

Non risulta difatti censurata la specifica affermazione della sentenza secondo cui l’attore aveva prodotto in giudizio solo alcuni estratti in aggiunta a quelli esibiti dalla banca, e finanche codesti aggiuntivi estratti erano stati prodotti tardivamente, dopo lo spirare dei termini perentori previsti dal codice.

E’ dunque infondato il presupposto da cui muove il ricorrente, in quanto egli stesso ha posto in evidenza che la pretesa creditoria era stata modellata su un rapporto di conto corrente in essere dall’anno 1980 all’anno 2004.

Ove anche la documentazione prodotta per gli ultimi dieci anni fosse stata integrale, ciò non rilevava affatto, in quanto la rideterminazione del saldo doveva avvenire in coerenza con la domanda, attraverso i relativi estratti a partire dalla data di apertura del conto, salvo che non si potesse dire – cosa che la corte d’appello ha escluso – che il saldo a una determinata data era incontroverso” (così Cass. civ., 13 ottobre 2016, n. 20693. Tale pronunzia, pur traendo origine da una fattispecie concreta in cui ad agire, come nella specie, era stato il solo correntista è perfettamente applicabile anche all’ipotesi in cui ad agire – in via diretta o in via riconvenzionale – sia la banca stessa, come d’altronde già affermato dalla Suprema Corte in più occasioni: cfr. Cass. civ., 2 agosto 2013, n. 18541). Applicando i suddetti principi al caso di specie si deve rilevare che il rapporto di conto corrente per cui è causa si è svolto dal 16.10.1998 ed era ancora in essere al momento della domanda giudiziale, mentre quello anticipi è stato aperto nel 1999 e chiuso nel 2008 e che gli attori, in relazione alle domande di cui sopra, non hanno prodotto la totalità degli estratti conto relativi ai rapporti; né vi è in atti una sufficiente serie continua dalla chiusura o comunque dalla domanda giudiziale che potesse determinare la società correntista a rinunziare espressamente a contestarne il saldo iniziale, sicché le domande di accertamento dei saldi devono essere rigettate.

Sul punto si devono, pertanto, disattendere le considerazioni e le operazioni del c.t.u. che ha ritenuto di poter ricostruire il saldo, non potendosi una ricostruzione contabile – come anche ribadito dalla Suprema Corte nella sentenza sopra riportata – fondare su congetture, su criteri presuntivi o approssimativi, ovvero tollerare salti nella ricostruzione del conto.

Quanto alla domanda di ripetizione delle somme asseritamente corrisposte dalla correntista alla banca alla chiusura del conto anticipi, essa è manifestamente infondata per la natura e la funzione di tale conto tecnico, che consente di escludere che alla sua chiusura siano avvenuti pagamenti giacché il saldo è confluito nel conto corrente ordinario.

Dal rigetto di tali domande discende anche l’assorbimento delle eccezioni di prescrizione formulate dalla convenuta.

5. Le domande di accertamento della nullità di singole clausole contrattuali proposte dalla società correntista.

Pur essendosi rigettate le domande volte all’accertamento dei saldi e alla conseguente condanne, il Tribunale ritiene che sussista comunque un interesse della correntista ad ottenere una pronunzia dichiarativa in ordine alle rilevate nullità contrattuali in quanto il rapporto di conto corrente risulta ancora intercorrente fra le parti (come si è detto sopra è pacifico che il conto corrente fosse ancora ‘aperto’ al momento della domanda) e in esso si riverberano anche le nullità relative al conto anticipi.

5.1. La domanda volta all’accertamento della nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale o annuale degli interessi sul conto corrente e sul conto anticipi.

Essa è fondata e deve essere accolta.

Entrambi i contratti in atti tra le “norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi” prevedono, espressamente, sempre all’articolo 7 che “i rapporti di dare e avere vengono chiusi contabilmente, in via normale trimestralmente, e cioè a fine marzo, giugno, settembre dicembre, portando in conto oltre agli interessi ed alle commissioni, anche le spese postali, telegrafiche e simili e le spese di tenuta e di chiusura del conto ed ogni eventuale altra, con valuta data di regolamento.

Gli interessi dovuti dal Correntista alla Banca si intendono determinati nella misura indicata nel presente contratto e producono a loro volta interessi nella stessa misura.

I contratti per cui è causa prevedono, dunque, la chiusura trimestrale, nonché la conseguente capitalizzazione.

La disciplina da applicarsi ai contratti in esame (16.10.1998 e 16.2.1999) è quella previgente all’entrata in vigore dell’art. 120 TUB come modificato dal D.Lgs. n. 342 del 4 agosto 1999 – avvenuta in data 19.10.1999 e comunque con efficacia dalla data di vigenza della Del.CICR 6 febbraio 2000 (22.4.2000) – ed in relazione ad essa deve ritenersi la nullità della clausola che ha previsto la capitalizzazione degli interessi a debito in violazione della disposizione di cui all’art.1283 c.c.

Al riguardo è sufficiente richiamare, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., i precedenti conformi costituiti dal noto, ed oramai consolidato, orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 2374/99, 3096/99, 3845/99, 12507/99, 4490/02 e 8442/02, 2593/03 e S.U. 21095/04; nn.4093, 4094 e 4095/05; n.870/06 ed inoltre ribadito da S.U. 2.12.2010 n. 24418) secondo cui la pratica della capitalizzazione periodica degli interessi debitori, in quanto comporta la produzione di interessi su interessi, è illegittima ai sensi dell’art.1283 c.c. con la conseguenza che per i contratti in essere (come quello in esame) prima della entrata in vigore della deliberazione Del.CICR del 9 febbraio 2000, in vigore dal 22.4.2000, la Banca convenuta non ha diritto a percepire interessi maturati su altri interessi a prescindere dalla periodicità della capitalizzazione e dalla previsione di una chiusura contabile eguale degli interessi creditori e debitori.

La questione è stata affrontata ripetutamente anche dalla giurisprudenza di merito essendo frequente nel contenzioso bancario. In tal senso si richiamano, quali condivisi precedenti conformi, le decisioni assunte da Trib. Mantova 12.7.2008, Trib. Mondovì 17.2.2009 e Trib. Torino 20.6.2014; nonché da questo Tribunale (cfr. sentenza n. 1487 del 16.11.2017).

La conseguenza della accertata nullità della richiamata clausola contrattuale è quella di ritenere indebita la capitalizzazione degli interessi a debito avvenuta per tutta quella parte del rapporto ricompresa tra la sua apertura ed il 22.4.2000, data di entrata in vigore della delibera CICR, sopra richiamata.

In particolare il perimetro normativo è costituito, ratione temporis e considerata la fattispecie esaminata, dalla sola disposizione di cui all’art. 1283 c.c. a mente della quale “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzioni posteriori alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

L’uso invalso nella prassi bancaria di imporre unilateralmente interessi anatocistici è stato, pertanto, da sempre considerato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione un’illegittima deroga a norma imperativa, allorquando il legislatore, con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, è intervenuto sulla materia incaricando il Comitato Interministeriale del Credito e Risparmio di stabilire le modalità e i criteri per l’applicazione di interessi su interessi, maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo che venisse assicurata la medesima periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.

La norma (art. 25 del citato decreto), infatti, ha fornito fondamento di rango primario, affinché una fonte di diritto di rango secondario (una delibera del CICR) potesse derogare quanto disposto da una norma imperativa del codice civile (ovverosia l’art. 1283 c.c.).

Per quanto riguarda, invece, il periodo successivo all’entrata in vigore della delibera CICR citata, è necessario verificare se sia intercorsa tra le parti un’espressa pattuizione volta all’applicazione della capitalizzazione degli interessi con identica periodicità.

La convenuta ha dedotto di aver automaticamente adeguato, sin dal momento della sua entrata in vigore, la disciplina della clausola contrattuale sull’anatocismo alla suddetta delibera CICR e di aver provveduto, a tal fine, alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 22.5.2000 di un apposito avviso.

Tale assunto difensivo non può essere accolto poiché la modifica di una clausola contrattuale non può avvenire per l’unilaterale volontà di una delle parti, ma solo a seguito di rinegoziazione del contratto su accordo di entrambi i contraenti, mentre l’eventuale meccanismo di pubblicità consistente nella pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non è conforme alla previsione della richiamata delibera CICR.

Sul punto è necessario svolgere anche le seguenti ulteriori considerazioni.

La Del.CICR del 9 febbraio 2000 dispone all’art. 2 che l’anatocismo possa essere concordato contrattualmente purché che i saldi periodici producano interessi secondo le medesime modalità e vi sia la medesima periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori.

Inoltre il successivo art. 7, comma 2, dispone che nel caso in cui interessi anatocistici vengano applicati a conti correnti preesistenti all’entrata in vigore della delibera in esame, ci sia per l’istituto di credito un obbligo di comunicazione al cliente.

Tale obbligo, tuttavia, può ritenersi validamente adempiuto con la semplice comunicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana “qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate”. Qualora, invece, le nuove condizioni contrattuali abbiano configurato tale peggioramento, ovvero abbiano determinato un aggravio delle condizioni economiche a carico del correntista, l’introduzione di clausole su interessi anatocistici saranno valide solo se esplicitamente approvate dalla clientela (art. 7 co. 3).

Ora, affinché il requisito della parità di condizioni possa considerarsi effettivamente rispettato, è necessario che tale parità di condizioni non sia solo apparente, ma effettiva.

Ed, in tal senso, non può bastare a soddisfarla la semplice previsione di capitalizzazione e calcolo alle medesime scadenze degli interessi attivi e passivi, quando invece tale clausola era in precedenza radicalmente nulla con conseguente assenza di qualsivoglia legittima capitalizzazione.

Sul punto, inoltre, deve evidenziarsi come il citato art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999 prevedesse, oltre alla modifica dell’art. 120 T.U.B., anche una norma transitoria che sanava ex post e con efficacia retroattiva le clausole anatocistiche apposte nei contratti di conto corrente precedenti (art. 25 co. 3), norma che è poi stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 425 del 17.10.2000, con la conseguenza di essere così venuto a mancare il fondamentale supporto legislativo che salvava la validità delle clausole anatocistiche preesistenti alla Del.CICR del 9 febbraio 2000.

In altri termini non è più possibile, soprattutto dopo l’intervento della Corte Costituzionale, qualificare la capitalizzazione trimestrale, con pari periodicità, come modifica non peggiorativa, con la conseguenza che – in assenza di specifica approvazione scritta da parte del correntista – la violazione del divieto di anatocismo persiste per i contratti stipulati ante 22.4.2000, anche se la banca abbia dato comunicazione delle modifiche mediante la richiamata forma di pubblicità.

Per effetto della declaratoria della nullità della clausola contrattuale che prevede a carico del correntista la capitalizzazione degli interessi debitori, deve ritenersi indebita la capitalizzazione degli interessi a debito e a credito avvenuta dal momento della apertura del rapporto e sino alla sua (…) chiusura, salvo modifiche bilateralmente pattuite, di cui in atti non vi è traccia.

5.2. La domanda volta ad accertare l’illegittima applicazione ai rapporti di conto corrente e di conto anticipi della commissione di massimo scoperto.

La (…) ha espresso doglianze in relazione all’addebito, da parte della Banca, di commissioni di massimo scoperto, asseritamente non dovute per carenza di pattuizione espressa, ovvero per indeterminatezza.

La domanda dell’attrice è fondata e merita accoglimento.

Sia il contratto di conto corrente che il conto anticipi prevedono l’applicazione della commissione di massimo scoperto nella misura dello 0,250%.

Né risultano essere stati stipulati per iscritto tra le parti contratti di apertura di credito – quelli cui si fa riferimento nella c.t.u. non sono stati prodotti – né, in ogni caso, nell’evidenza contabile della concessione di un fido di fatto, vi è il riferimento in alcun atto alla periodicità di detta commissione, alle modalità di calcolo della stessa.

Quanto al conto anticipi in particolare, invece, la commissione è indicata in contratto nonostante in esso sia stato concesso in via di fatto soltanto un c.d. castelletto di sconto di Euro 15.000 (cfr. ctu pag. 7).

Ciò implica una declaratoria di nullità della c.m.s. sotto due profili.

In primo luogo – in relazione al conto anticipi in cui è stato concesso il castelletto di sconto, che come sopra precisato non implica alcuna messa a disposizione di somme da parte dell’istituto di credito – essa risulta essere nulla per mancanza di causa ai sensi degli artt. 1418 e 1325 c.c.

La commissione di massimo scoperto, pur nelle permanenti divergenze sussistenti in dottrina sulla sua natura, deve essere intesa, seguendo l’insegnamento della Corte di Cassazione, non tanto come “un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi – come potrebbe inferirsi anche dall’essere conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato – che solitamente è trimestrale – e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale, come per gli interessi passivi” quanto piuttosto come perseguente “una funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determina somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo” (cfr. Cass. civ., 6.8.2002, n. 11772; Cass. civ. 18.1.2006 n.870).

Nelle ipotesi in cui, come appunto è avvenuto nel caso di specie, la commissione viene a rappresentare un mero accessorio che si aggiunge agli interessi passivi e rappresenta un ulteriore corrispettivo preteso dalla Banca per l’utilizzo del credito concesso al correntista, la nullità della clausola per la totale mancanza della causa è giustificata dal fatto che la remunerazione della utilizzazione della somma messa a disposizione dalla Banca è rappresentato dagli interessi corrispettivi, nella misura pattiziamente concordata o al tasso legale ed alla commissione non è dunque riconducibile alcuna ulteriore funzione causale autonoma.(cfr.; Trib. Milano 4.7.2002; Trib. Monza 30.3.2006; Trib. Mantova 21.4.2007; Trib Cagliari 25.5.2009; Trib Mondovì 4.5.2010; Corte d’Appello Milano 20.2.2013).

In secondo luogo – ed in relazione ad entrambi i contratti di cui si discute – l’assenza di alcun riferimento alla periodicità e alle modalità di calcolo, conduce ad un rilievo di nullità per indeterminabilità dell’oggetto ai sensi degli artt. 1418 e 1346 c.c.

Sul punto si condivide, infatti, l’orientamento di merito secondo cui in tema di conto corrente bancario, le clausole di commissione di massimo scoperto debbono ritenersi nulle per indeterminatezza dell’oggetto, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1346 e 1418 c.c., quando recano solo il valore percentuale della commissione rispetto allo scoperto del conto e la periodicità di calcolo (nella specie anch’essa assente), senza alcuna specificazione sul concreto meccanismo di funzionamento della commissione (cioè se la clausola di massimo scoperto vada riferita al montante utilizzato o alla provvista accordata, ovvero se l’indicata percentuale debba riferirsi al momento di punta massima dello scoperto ovvero a un periodo più prolungato di un certo numero di giorni di tale scoperto, ovvero ancora alla media dello scoperto distribuito su più giorni, etc.), così da risultare pattuite in modo insufficientemente determinato e quindi difforme da quanto previsto dall’articolo 1346 del codice civile, non consentendo al correntista di comprendere il concreto criterio di computo della commissione, il suo funzionamento e lo specifico impatto sui saldi trimestrali o annuali di chiusura periodica del conto corrente bancario (cfr., tra le tante, Trib. Lucca 14.12.2016, n. 2628; Trib. Salerno 7.10.2016, n. 4487; Trib. Pavia 8.9.2016; Trib. Taranto 6.12.2016).

In accoglimento della domanda attrice qui in esame deve, pertanto, dichiararsi che il contratto di conto corrente stipulato tra le parti in data 16.10.1998 e quello di conto anticipi del 16.2.1999 non hanno legittimamente previsto a carico della correntista l’addebito di commissioni di massimo scoperto.

Si deve, inoltre, precisare che la successiva denominazione della c.m.s. quale commissione di disponibilità fondi non ha, nella specie, alcun rilievo al fine della valutazione di invalidità poiché non risulta dagli atti che, in data successiva alla stipulazione dei contratti, sia stata pattuita espressamente l’applicazione di tale nuova commissione, con specifica indicazione dei criteri di calcolo e degli altri elementi idonei alla sua determinazione.

5.3. Le domande di nullità dei contratti per l’illegittima pattuizione di interessi con rinvio agli usi su piazza o ultralegali e “per la mancata doppia sottoscrizione ove richiesta delle clausole che prevedano, oltre a ciò di cui si è già trattato, la commissione per l’affidamento, la commissione mancanza fondi, la commissione diponibilità fondi.

Esse sono manifestamente infondate per la assorbente considerazione che i contratti in atti, come già evidenziato contengono le clausole determinative di interessi e commissioni, senza alcun rinvio agli usi su piazza e senza che in esso siano contemplate le commissioni elencate dall’attrice, che ha con tutta evidenza promosso la causa senza conoscere il contenuto dei contratti.

Inoltre la estrema genericità di tali doglianze implica in ogni caso il rigetto di esse (si pensi alla singolare richiesta di nullità “per mancata doppia sottoscrizione quando richiesta”, che evidenzia che nemmeno la parte abbia voluto perdere tempo nell’esporre ed illustrare un tale motivo).

5.4. La domanda volta all’accertamento del superamento del tasso-soglia di usura ai sensi della L. n. 108 del 1996.

Tale domanda è infondata e deve essere rigettata.

La società correntista ha dedotto che nei rapporti di conto per cui è causa la banca avrebbe applicato interessi, oneri e commissioni in misura tale da superare il limite previsto dalla legge (e dai decreti ministeriali che ne costituiscono attuazione), oltre il quale gli interessi sono considerati usurari.

Tale doglianza è stata formulata in maniera del tutto generica senza nemmeno indicare di quanto il tasso soglia si assume violato e con l’indicazione dei criteri utilizzati per giungere a tale conclusione.

Premettendo che anche il ctu non ha proceduto alla verifica se siano stati pattuiti interessi usurari al momento della stipulazione dei contratti (l’Ausiliario, infatti, iniziato la sua indagine da quando ha reperito i primi estratti conto e agli altri documenti contabili), è sufficiente leggere il testo contrattuale per ritenere non sia stato superato il tasso – soglia: quanto al primo contratto del 16.10.1998 il tasso pattuito del 14,75% e la cms ivi prevista (come già statuito nulla per altre ragioni) dello 0,250% sono ciascuno di gran lunga inferiori al tasso-soglia previsto per il IV trimestre 1998 per la categoria conti correnti con apertura di credito oltre i 10 milioni di lire (quale il presente, come accertato dal c.t.u.) nel 16,605%, e per la commissione di massimo scoperto nello 0,615%;

quanto al secondo del 16.2.1999 il tasso pattuito da prendere in considerazione alla luce della qualificazione più sopra attribuita al contratto, è l’11,45% (tasso per anticipi salvo buon fine), mentre la cms è dello 0,250%. Entrambi i tassi sono ciascuno inferiori al tasso-soglia, previsto per il I trimestre 1999 per la categoria sconti oltre i 10 milioni di lire nel 11,49% e per la commissione di massimo scoperto nello 0,630%.

In tal modo il Tribunale ha inteso dare applicazione ai principi enunciati dalle note sentenze della Suprema Corte S.U. 19.10.2017, n. 24675, che ha escluso la rilevanza della c.d. usura sopravvenuta e S.U. 20.6.2018, n. 16303, che ha chiarito come prima del 2010 la cms si fini del calcolo del tasso-soglia debba essere conteggiata soltanto ove in concreto superi la c.d. cms-soglia ricavabile dal decreto ministeriale che fornisce il riferimento trimestrale.

6. Le domande formulate in relazione al conto anticipi n. 11984.

Tutte le domande formulate in relazione a tale rapporto contrattuale sono manifestamente infondate non avendo la società attrice fornito alcuna prova in ordine all’esistenza di tale contratto e alle condizioni pattuite.

Essa, infatti, nello stesso atto di citazione ha dapprima dedotto l’esistenza di tale contratto adducendo che non vi fossero specifiche pattuizioni economiche (pag. 1 citazione) e successivamente ne ha dedotto l’inesistenza con deduzioni di nullità qualora invece il contratto risultasse esistente (pag. 6 citazione “per i c/c anticipi nn. 11984 … nel caso esistano i contratti e la banca li produca se ne contesta fin d’ora la nullità, validità, illegittimità delle clausole ivi contenute …).

Orbene, a parere del Tribunale, come già ribadito in svariate pronunce, tale sequenza di asserzioni del tutto contraddittorie (il contratto esiste ma non ha determinato gli interessi etc.; il contratto non esiste – che non si comprende nemmeno se si intende in questo modo evidenziare un difetto di forma scritta e quindi la stipulazione orale, ovvero l’inesistenza effettiva del rapporto; il contratto esiste per iscritto ma contiene clausole nulle) non può certo essere espressione di una qualche strategia processuale, quanto piuttosto di una domanda formulata senza alcuna cognizione di causa, allegando a sostegno della domanda fatti affermati soltanto in via teorica.

La forma dei contratti bancari qui in esame, infatti, ed il contenuto delle clausole asseritamente viziate, devono essere gli elementi di fatto che l’attore pone come base sicura a sostegno delle proprie doglianze e la loro mancanza implica il rigetto delle domande formulate: è evidente che il Tribunale non possa in alcun modo procedere ad una valutazione dei titoli contrattuali al fine di verificare la legittimità o meno delle singole clausole che li compongono in materia di tasso di interesse, di capitalizzazione degli interessi, di commissioni di massimo scoperto e di altre remunerazioni del credito.

Tale carenza probatoria non può che produrre i suoi effetti negativi in capo alla parte attrice, sulla quale gravava l’onere di dimostrare i fatti posti a fondamento della domanda secondo le regole generali sancite dall’art. 2697 c.c. (cfr. Cass. civ. 7.5.2015, n. 9201 secondo cui “l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude ne’ inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, in tal caso la relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo”; si vedano, inoltre, in tema di onere della prova in presenza di domande di accertamento negativo anche Cass. civ. n. 1146/2003; 23229/2004; 22872/2010 e da ultimo, sempre in materia bancaria e con l’ulteriore precisazione che è necessario che il correntista che agisce in giudizio per l’accertamento del saldo, oltre al contratto, produca la totalità degli estratti conto periodici cfr. Cass. civ. n. 500/2017).

7. La domanda volta ad accertare l’illegittima segnalazione della correntista da parte della banca nella (…) della (…) o in altre centrali rischi private.

Tale domanda è manifestamente infondata non avendo la società attrice addotto alcun elemento di prova in ordine alla segnalazione, ai suoi presupposti e alle sue conseguenze, né peraltro in giudizio sono emersi elementi che possano far ritenere illegittima tale asserita segnalazione, non essendo stato possibile nemmeno accertare il saldo del corrente per le macroscopiche carenze documentali già rilevate.

8. La domanda di accertamento dell’inadempimento della banca alla tenuta del conto per annotazione di operazioni illegittime.

Tale domanda, così come formulata, ossia volta ad accertare un inadempimento nella tenuta del conto, è infondata perché non è emerso in causa alcun inadempimento in tale senso da parte del (…) che ha predisposto del tutto correttamente i documenti contabili riferibili ai rapporti dedotti in causa (le carenze documentali, come già detto, sono infatti imputabili agli attori stessi), né applicare poste derivanti da clausole nulle configura inadempimento dell’obbligo di regolare tenuta del conto, ma soltanto l’applicazione di clausole che sono da ritenersi valide fino ad accertamento giudiziale di nullità.

E’ evidente, tuttavia, che l’accertamento della nullità anche di una sola clausola contrattuale comporta necessariamente l’erroneità del saldo finale del conto ove venissero conteggiate le operazioni derivanti dall’applicazione della clausola nulla.

In questo senso le risultanze dei vari estratti conto sono senz’altro erronee; tuttavia una pronuncia di erroneità non avrebbe alcun senso restando essa assorbita dalla pronuncia di nullità di talune clausole e dal rigetto della domanda di accertamento del saldo al momento della domanda: allorquando il rapporto di conto corrente sarà chiuso le parti dovranno rideterminare il saldo del conto depurandolo dalle operazioni conseguenza dell’illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale e della commissione di massimo scoperto.

9. Le domande proposte da (…) e (…) contro il (…) e l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di costoro sollevata dall’istituto di credito.

Pur non avendo alcuna delle parti ritenuto di dover produrre il titolo contrattuale che intercorre tra esse, si deve ritenere provato in quanto pacifico e comunque non contestato che i predetti attori siano garanti verso il (…) delle obbligazioni contratte verso di essa dalla (…).

In ordine alla disciplina concretamente applicabile a detto rapporto di garanzia, non avendo le parti prodotto alcunché, si deve necessariamente applicare la disciplina codicistica dettata in tema di fideiussione con la conseguenza che si deve ritenere sussistente l’accessorietà tra il rapporto principale e quelli di garanzia ed il potere per i fideiussori di opporre al creditore tutte le eccezioni opponibili dal debitore principale (caratteristiche, facoltà e poteri che sovente non sono previsti nel settore bancario in cui vengono con molta più frequenza stipulati contratti autonomi di garanzia).

Quale conseguenza logica di tale qualificazione del rapporto contrattuale le rispettive domande devono essere accolte e rigettate negli stessi termini e per le stesse ragioni per le quali sono state già accolte o rigettate le domande formulate dalla società parte del rapporto principale.

Sul punto, infatti, occorre precisare che la diversa qualificazione del rapporto di garanzia proposta dalla banca non è stata accompagnata dalla produzione di elementi a sostegno (in sostanza dai contratti di garanzia, dal cui esame il giudice può trarre la qualificazione giuridica), mentre la mancata contestazione – e anzi l’esplicito riconoscimento – del rapporto di garanzia in sé, consente di ritenere provato il rapporto giuridico fondamentale ai sensi dell’art. 115 c.p.c.

Tale norma, infatti, consente di ritenere provati per mancata esplicita contestazione i fatti (nel caso, il rapporto di garanzia personale) e non, invece, gli elementi di diritto (ossia la qualificazione giuridica della garanzia personale, se si tratti di fideiussione, ovvero di contratto autonomo) che investono direttamente i poteri di qualificazione rimessi esclusivamente al giudicante. Poiché tra le parti è incontroverso il rapporto di garanzia e nessuna ha prodotto i contratti che consentono di individuare la concreta disciplina del rapporto, deve ritenersi applicabile la disciplina prevista dal codice civile dagli artt. 1936 e ss., che trova applicazione ove le parti non abbiano diversamente disposto.

In forza di quanto precede l’eccezione di difetto di legittimazione attiva proposta dal (…) deve essere rigettata, essendo il (…) e la P. da considerarsi quali fideiussori puri e semplici.

10. L’eccezione di comportamento non conforme a buona fede degli attori, proposta dal (…).

L’istituto di credito ha proposto, pare in via di eccezione, la questione circa la non conformità a buona fede del comportamento degli attori nell’esecuzione del contratto.

Essa è manifestamente infondata non ravvisandosene i presupposti né essendo state identificate dalla proponente le conseguenze favorevoli che essa intenderebbe trarne.

Quanto al primo punto, il Tribunale non ravvisa comportamenti esecutivi degli attori che vengano in qualche modo in rilievo nel caso di specie, né può essere considerato scorretto richiedere tutela giurisdizionale in relazione a rapporti contrattuali che si assumono nulli o inadempiuti: non ha fondamento alcuno e sarebbe perfino assurdo ritenere, come pare fare la convenuta, che il comportamento concludente di accettazione ed esecuzione di una prestazione derivante da clausola nulla impedisca al soggetto che è da essa obbligato di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti o produca una sorta di effetto sanante sconosciuto al sistema di diritto dei contratti.

Quanto al secondo punto, ove anche si ritenesse sussistente un comportamento esecutivo del contratto non conforme a buona fede da parte degli attori, esso non potrebbe comunque avere quale conseguenza una sorta di ‘paralisi’ dell’azione di accertamento da essi promossa, ma al massimo potrebbe o riverberarsi a sua volta in un inadempimento, ovvero avere conseguenze di tipo risarcitorio: su entrambi i punti la convenuta è rimasta silente né ha fornito elementi istruttori, con la conseguenza che tale eccezione deve essere in ogni caso rigettata.

11. In ordine alle spese processuali, queste devono essere integralmente compensate tra le parti in considerazione della reciproca soccombenza, ciò in quanto se è pur vero l’istituto di credito convenuto è risultato soccombente in ordine alle domande di accertamento della nullità delle clausole che hanno previsto capitalizzazione degli interessi e la commissione di massimo scoperto, circostanza questa che al momento della chiusura del conto non potrà che comportare una significativa riduzione della posizione debitoria della correntista e dei fideiussori, è anche vero che gli attori hanno presentato una notevole quantità di domande tutte manifestamente infondate perché non adeguatamente soppesate e coltivate, sicché, come si evince dalla lettura della sentenza, il giudizio si è dovuto svolgere anche su di esse con notevole aggravio di attività processuale (in sostanza, ad esempio, non possono avere lo stesso trattamento in punto di spese il proporre una domanda giudiziale che si rivela fondata e il proporre 10 domande di cui una o due sole rivelatesi fondate).

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (…) s.r.l., (…) e (…) nei confronti del (…) s.p.a.:

– dichiara la nullità della clausola del contratto di conto corrente del 16.10.1998 n. (…) e del c.d. conto anticipi del 16.2.1999 n. (…) che prevede la capitalizzazione degli interessi e, per l’effetto, dichiara non dovuti gli addebiti effettuati sul conto per tale titolo dal momento della apertura del rapporto e sino alla chiusura;

– dichiara la nullità della clausola dei predetti contratti che prevede l’addebito di commissioni di massimo scoperto comunque denominate, e, per l’effetto, dichiara non dovuti gli addebiti effettuati sul conto per tale titolo dal momento della apertura del rapporto e sino alla chiusura;

– rigetta tutte le altre domande proposte dagli attori e le eccezioni verso di essi proposte dal (…) s.p.a.;

– compensa integralmente tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Sassari il 25 marzo 2019.

Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.