l’ISC non rappresenta una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, svolgendo unicamente una funzione informativa finalizzata a porre il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. L’erronea quantificazione dell’ISC, quindi, non potrebbe comportare una maggiore onerosità del finanziamento (non mettendo in discussione la determinazione delle singole clausole contrattuali che fissano i tassi di interesse e gli altri oneri a carico del mutuatario) e, conseguentemente, non renderebbe applicabile a tale situazione quanto disposto dall’art. 117, comma 6 TUB.

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Tribunale|Napoli|Sezione 2|Civile|Sentenza|7 febbraio 2023| n. 1376

Data udienza 6 febbraio 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI NAPOLI

SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Giudice Unico del Tribunale di Napoli II sezione Civile, dott.ssa Maria Carolina De Falco ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al numero 21373 del Ruolo Generale degli affari civili ordinari contenziosi dell’anno 2020 aventi ad oggetto: violazione regime trasparenza 117 TUB/ripetizione di indebito contratto di mutuo

TRA

(…) S.r.l. in persona dell’Amministratore Unico e legale rapp.te p.t., Ing. G.G., con sede in N. alla Via P. n. 42. P.IVA (…), rapp.ta e difesa dall’Avv. An.Se., C.F.: ((…)) ed elett.te dom.ta presso il suo studio in Napoli alla Via (…), in virtù di mandato conferito con atto separato allegato alla citazione e firmato digitalmente

ATTRICE

E

(…) S.p.A., in persona del legale rappresentante Responsabile del Servizio Procedimenti Giudiziari della Banca e, come tale, munito dei necessari poteri di rappresentanza (livello di procura C5) come da delibera del CDA del 25 marzo 2014 ai sensi del vigente Statuto sociale e della conseguente procura speciale ai rogiti dott. (…), notaio in S., in data (…) repertorio n. (…) raccolta n. (…) registrata in Siena il 15 maggio 2014 al n. 2401 serie 1T rapp.ta e difesa in virtù di atto di costituzione di nuovo difensore del 24.03.22 dall’Avv.to Gi.Co. con studio in Lequile (LE) alla Via (…)

CONVENUTA

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione regolarmente notificato alla controparte, la (…) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., deduceva in fatto che:

1. in data 11 gennaio 2006 aveva stipulato con la (…) s.p.a. un contratto di mutuo di credito fondiario, identificato con il n. (…) per l’importo di Euro. 1.400.000,00 della durata di venti (20) anni, con atto per Notar (…) rep. (…) e racc. (…) ;

2. tale finanziamento di Euro 1.400.000,00, supportato da garanzie ipotecarie e personali, era reso effettivamente disponibile al mutuatario in data 26 gennaio 2006 per l’importo, al netto delle trattenute, di Euro. 1.394.483,55;

3. l’importo mutuato era posto in ammortamento ventennale, attraverso 40 rate semestrali comprensive di capitale e interessi a decorrere dal 1 gennaio 2007 e sino al 1 luglio 2026;

4. si contemplava una rata di preammortamento liquidata in data 3 luglio 2006 per l’importo di Euro. 23.936,75, configurata di soli interessi;

5. alla data della notifica della citazione in giudizio di (…) s.p.a. la società istante ha puntualmente onorato tale piano d’ammortamento, a tutte le scadenze pattuite come da certificazione (…) del 08/06/2020;

6. all’art. 1 del contratto veniva stabilito il Tasso Annuo Nominale (TAN) del 4% quale saggio iniziale remunerativo del finanziamento;

7. all’art. 4 del contratto si conveniva di applicare all’operazione un tasso variabile per tutta la durata del mutuo, fermo restando il tasso di interesse sopra previsto per la determinazione degli interessi di preammortamento;

8. la parte mutuataria si obbligava dunque a rimborsare la somma finanziata attraverso 40 rate semestrali con scadenza 1 gennaio e 1 luglio di ogni anno, comprensive di capitale e interessi;

9. l’ammortamento era convento secondo la modalità “alla francese”, regolato al tasso di interesse nominale annuo determinato in misura variabile, aggiungendo ad una componente fissa di 1,9000 punti annui una componente variabile semestrale arrotondata allo 0,005 più vicino, corrispondente all’Euribor 6 mesi – tasso 360 – rilevato il quarto giorno lavorativo antecedente al semestre precedente alla rata in scadenza. Si prevedeva il compenso dovuto dalla parte mutuataria per i casi di estinzione anticipata nella misura del 1% del capitale restituito;

10. all’art. 5 si conveniva che, le somme dovute a qualsiasi titolo in dipendenza del contratto e non pagate, sarebbero state produttrici, dal giorno della scadenza e sino al soddisfo, di interessi di mora nella misura stabilita semestralmente maggiorando di 1,235 punti annui il tasso convenzionale, come sopra pattuito, tempo per tempo applicato;

11. all’art. 8 si conveniva la misura delle spese di istruttoria amministrativa pari a Euro 2.016,45 nonché il disciplinare economico del rapporto;

12. all’art. 11 si indicava il valore dell’Indice Sintetico di Costo pari al 4,58% e il valore dell’Euribor 6 mesi rilevato in data 10 gennaio 2006 pari al 2,67%.

Tutto ciò premesso, deduceva che atteso che il contratto di mutuo non contemplava alcuna indicazione del regime finanziario impiegato per lo sviluppo del piano di ammortamento né, men che meno, l’accettazione espressa della (assente) clausola disciplinante il regime composto, doveva ritenersi che il piano di rimborso del finanziamento fosse stato illegittimamente strutturato.

La banca, onde fornire una reale e corretta informazione alla parte mutuataria del reale costo del finanziamento, avrebbe dovuto esplicitare il regime di capitalizzazione composta nella formazione delle rate di ammortamento e indicare nel contratto di mutuo anche la misura del tasso effettivo su base annua (TAE) e non unicamente il tasso nominale annuo, con evidente violazione dell’dell’art. 6 della Delib.CICR del 9 febbraio 2000 e nullità della clausola degli interessi ex art. 117, comma VI, TUB e richiesta rideterminazione, in luogo degli interessi pattuiti con il regime composto degli interessi applicati, il regime di capitalizzazione semplice secondo gli interessi legali.

Ne derivava, dunque, la nullità della clausola per indeterminatezza del tasso di interesse ex art. 1346-1418, 2 comma c.c. e per violazione della forma scritta prevista ad substantiam dall’art. 117, co. 4, TUB per gli interessi ultralegali.

La parte attrice, inoltre, denunciava anche per i motivi esposti la difformità tra TAEG indicato in contratto e TAEG effettivamente praticato, visto che non erano stati tenuti in conto, nel costo informativo del contratto, gli effetti della capitalizzazione composta.

Di conseguenza, praticato un costo occulto chiedeva che la banca restituisse all’attrice, previa rideterminazione del dare avere sulla scorta dell’applicazione degli interessi legali ( 117 TUB e/o 1284 c.c.) e del regime di capitalizzazione semplice, quanto pagato a titolo di interesse secondo il TAE applicato ( 4,04%) rispetto al TAN pattuito (4%), ovvero l’importo di Euro. 333.633,30 (quale differenziale tra l’importo corrisposto a titolo di interessi, Euro 508.465,18, e l’importo risultante dal riconteggio effettuato a tale titolo, Euro 174.831,88, per i pagamenti effettuati sino alla rata n 27 del gennaio 2020), oltre interessi e rivalutazione commerciale.

Si costituiva la banca (…) s.p.a., eccependo in primis la prescrizione delle pretese restitutorie della parte attrice ante decennio rispetto alla notifica della citazione; nel merito, assumeva l’infondatezza di quanto affermato dalla controparte non essendo state violate le regole della trasparenza nella conclusione del contratto di mutuo che era strutturato espressamente con il sistema di ammortamento alla francese, con indicazione del tasso nominale applicato, del numero di rate e della loro consistenza patrimoniale e non recava alcuna forma di anatocismo vietato.

Gli assunti di controparte risultavano del tutto indimostrati e non sostenuti neanche dalla copiosa giurisprudenza di merito che allegava alla propria comparsa e cui si riportava.

Chiedeva, pertanto, il rigetto delle domande attoree con vittoria delle spese di giudizio.

Preso atto dell’intervenuto fallimento della mediazione, il GU istanza delle parti assegnava alle stesse termini ex art. 183 VI co. c.p.c., in cui la parte attrice corredava le sue difese con una consulenza tecnica di parte e chiedeva ammettersi CTU tecnico contabile al fine di dimostrare i suoi assunti e consentirne la verifica in contraddittorio.

Il GU, invece, ritenuto non necessario lo svolgimento di alcun approfondimento tecnico, all’udienza del 04.10.22, tenutasi con le modalità della trattazione scritta, sulle conclusioni rassegnate dalle parti nelle note autorizzate, assumeva la causa in decisione con i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica.

In assenza di questioni preliminari di rito e con riguardo alla violazione delle norme di trasparenza in ordine alla dedotta mancata indicazione del TAE e della presunta opacità delle modalità di applicazione del tasso nominale (regime di capitalizzazione semplice o composta), intanto va evidenziato che dalla lettura combinata del contratto di mutuo, documento di sintesi e piano di ammortamento era ben comprensibile ( anche a soggetti non esperti nella materia bancaria) che lo sviluppo del mutuo prevedeva una rata costante con iniziale deconto prevalente degli interessi e successivo maggiore peso del capitale nella composizione della rata.

Trattasi del cd. piano di ammortamento alla francese.

Invero, in ogni contratto di mutuo in cui è previsto, il piano di ammortamento “alla francese” è caratterizzato dalla predisposizione di un piano di pagamento a rata costante, all’interno delle quali la quota di capitale e la quota di interessi non sono identiche: gli interessi da corrispondersi sono maggiori nelle prime rate e diminuiscono progressivamente.

Nel mutuo cd. “all’italiana”, invece, il pagamento di ogni rata abbatte il capitale in misura uguale e mantenendosi il capitale costante, la rata è per forza di cose crescente con il passare del tempo.

Come illustrato chiaramente dal Tribunale di Roma, “Nel metodo francese, siccome vengono pagati prima soprattutto gli interessi, la quota capitale si mantiene alta nel primo periodo di tempo (viene abbattuta più lentamente, in quanto inizialmente si abbattono soprattutto gli interessi), il che non può che aver per conseguenza che gli interessi che si calcolano sulla residua quota di capitale alta siano complessivamente maggiori rispetto al mutuo all’italiana. Ma questo è il prezzo da pagare se si vuole avere una rata costante ed unica nel tempo. Se il piano di ammortamento alla francese può ritenersi più costoso rispetto al metodo italiano, comunque ciò non può ritenersi di per sé indice della sua illiceità, essendo vantaggioso sotto un altro profilo per il debitore, nel senso che consente di avere rate (ad interessi costanti) uguali e dunque di gestire meglio i flussi di cassa” (Tribunale Roma sez. XVII, 26/08/2020, n. 11741).

Questo meccanismo però non implica in alcun modo la produzione di interessi ulteriori sugli interessi già scaduti: il piano di ammortamento non presenta profili di illiceità perché stabilito con il consenso dei contraenti nel rispetto dell’art. 1194 c.c. che, disciplinando l’imputazione dei pagamenti tra capitale e interessi, consente questa opzione, a condizione che vi sia appunto il consenso delle parti. Pertanto la concorde volontà dei contraenti consente di avere già chiaro dall’inizio del rapporto il suo sviluppo concreto e, se da un lato consente alla banca di conseguire una più rapida restituzione degli interessi, dall’altro non presenta profili di illiceità. Del resto, è costante l’affermazione nella giurisprudenza di merito secondo cui “la previsione di un piano di rimborso del finanziamento con una rata fissa costante (c.d. ammortamento alla francese), non comporta alcuna violazione dell’art. 1283 c.c., poiché gli interessi di periodo vengono calcolati sul solo capitale residuo e, alla scadenza della rata, gli interessi maturati non vengono capitalizzati, ma sono pagati come quota interessi della rata di rimborso” (ex multis, vedi anche Corte d’Appello di Napoli, 19/02/2020, n.772).

Come altrimenti detto ( cfr. anche Corte di Appello de L’Aquila n. 484/2022 pubblicata il 31/03/2022), in materia di mutui, il metodo di ammortamento alla francese comporta che gli interessi sono calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata, con la conseguenza che nel sistema progressivo ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento di tutti ed unicamente gli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce. Tale importo viene quindi integralmente pagato con la rata, laddove la residua quota di essa va già ad estinguere il capitale.

Ciò non comporta capitalizzazione degli interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario, detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti, unicamente per il periodo successivo al pagamento della rata immediatamente precedente.

Non può peraltro non evidenziarsi che le parti si sono accordate sugli elementi essenziali dei contratti (importi mutuati, tassi, durata dei prestiti e numero delle rate, misura delle rate ) elementi tutti evincibili dai piani di ammortamento sottoscritti dalla parte finanziata da cui possono dedursi le misure delle rate di ciascun mutuo con conseguente possibilità di quest’ultima di valutare le condizioni economiche proprio dal piano di finanziamento.

Va infine esclusa la rilevanza ai fini della determinatezza e trasparenza delle condizioni economiche la circostanza che il piano di ammortamento prescelto abbia un costo complessivamente maggiore rispetto ad altri tipi di ammortamento potendo peraltro ciò trovare compensazione nella convenienza per il soggetto finanziato di pagare una rata costante nel tempo.

Dunque, nel contratto di mutuo, l’utilizzo del piano di ammortamento alla francese non comporta l’automatica applicazione di interessi anatocistici ed un conseguente occultamento dei costi, giacché la quota di interessi di ogni rata è calcolata solo sul debito residuo in linea capitale (capitale originario meno l’importo pagato con la/e rata/e precedente/i): non vi è, pertanto, una capitalizzazione composta degli interessi, come invece dedotto dalla parte attrice nel corso delle sue difese.

Invero, il metodo di ammortamento, corrente nella pratica e usato anche nei contratti di mutuo all’odierno esame, calcola la quota degli interessi di ammortamento, a ogni scadenza, sul capitale “iniziale” (i.e. all’inizio di ciascun periodo) ancora in godimento al mutuatario e in base al tasso di interesse di periodo.

Poiché trova applicazione l’art. 1194 c.c., come si legge nel testo contrattuale, ciò vuol dire che la quota capitale è determinata, a ogni scadenza, per differenza tra la rata costante e gli interessi liquidati nel periodo. Nell’invarianza della rata, alla decrescita della quota di interessi non può che corrispondere la crescita della quota capitale.

Questo piano di ammortamento comporta la scadenza e il pagamento degli interessi anticipatamente rispetto al termine finale dell’operazione e comunque al rimborso del capitale che li ha generati.

Questa caratteristica è di piana evidenza, ove si consideri che l’interesse matura di rata in rata sull’intero capitale “iniziale” e che soltanto una frazione di quel capitale viene a scadenza insieme con gli interessi maturati, di modo che deve dirsi che il debito residuo “finale” (i.e. al termine di ciascun periodo) ha prodotto interessi, che scadono e sono disponibili per il pagamento, senza a sua volta scadere ed essere disponibile per il rimborso.

Dunque, con l’approvazione del sistema di ammortamento alla francese come da intestazione del piano di ammortamento debitamente sottoscritto e delle modalità di restituzione del capitale erogato ( cap = rat f ( cap originario )- int f ( deb residuo), alcun aspetto di indeterminatezza residua nella formazione del consenso tra le parti.

In assenza di prova circa l’applicazione di interessi su interessi non autorizzata e non espressamente prevista in contratto, alcun ricalcolo ai sensi dell’art. 117 TUB è stato necessario conferire al CTU.

Ma l’infondatezza della tesi attorea deriva anche da un altro aspetto ben messo in evidenza da Trib. Torino, 18.02.22, rel. A. e dalla decisione del Trib. Napoli, Dott. V. n. (…) del 27.11.20.

Nel fraseggio dell’art. 1283 c.c., la produzione di nuovi interessi (c.d. secondari, anatocistici) trova la propria fonte nell’inadempimento all’obbligo di pagare gli interessi c.d. primari alla scadenza prevista (“interessi scaduti”) e rappresenta l’oggetto di una nuova autonoma obbligazione: nuovo debito per interessi che la legge, in generale, vieta di assumere.

Se si considera che “i crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente” (art. 1282 c.c.), risulta evidente che il divieto di anatocismo specificamente contraddice questa regola, postulando un debito per interessi, bensì “scaduto”, e quindi “esigibile” (art. 1282 c.c.) per essersi verificata la scadenza del termine di adempimento (e ogni altra condizione) che le parti hanno previsto in contratto, ma incapace di produrre a sua volta interessi (anatocistici) “se non dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

La più ampia applicazione giurisprudenziale del divieto di anatocismo nell’ultimo ventennio, ossia la dichiarazione di nullità della clausola del c/c bancario che prevede la chiusura trimestrale del c/c “anche solo saltuariamente debitore”, ha allargato il significato di “interessi scaduti”, al di là della pura e semplice “esigibilità”, intendendo “scaduto” – e quindi improduttivo di nuovi interessi ex art. 1283 c.c. – l’interesse che ha esaurito il periodo di maturazione, è stato liquidato con la chiusura contabile e annotato a debito, ancorché la banca possa non essere in grado di esigerne il pagamento immediato – ciò che dipende dalla presenza (o assenza) di un fido sul c/c e dal saldo alla chiusura.

Si intenda “l’interesse scaduto” ai fini dell’art. 1283 c.c. come “esigibile” oppure come interesse che ha esaurito il periodo di maturazione, si calcoli l’interesse sul capitale residuo o sulla quota capitale che viene a scadenza, comunque il tempo di maturazione e di esigibilità della quota interessi coincidono, secondo la periodicità delle rate prevista nel contratto (mensile, trimestrale, annuale o per ipotesi ultraannuale).

Non si dà quindi, nel piano di ammortamento redatto con metodo francese, il caso di interessi corrispettivi “scaduti” e nondimeno produttivi di interessi ulteriori, salvo il caso della mora, un tempo ammesso dall’art. 3 Delib.CICR 9 febbraio 2000.

La capitalizzazione composta prevista nella formula di calcolo del sistema francese, al fine di calcolare la rata costante che consente la chiusura finanziaria dell’operazione, secondo i dati del problema (capitale, tasso periodale, periodi), appare quindi estranea al campo dell’art. 1283 c.c..

Si assume però che tale disposizione, mentre vieta specificamente taluni fenomeni anatocistici, sia nondimeno suscettibile di generalizzarsi in una regola generale di divieto, avente a oggetto una determinata tecnica di matematica finanziaria, consistente appunto nella legge di capitalizzazione composta, connotata dalla progressione geometrica (esponenziale) degli interessi.

Questa generalizzazione tralascia, tuttavia, di considerare che il divieto riguarda i soli interessi “scaduti”, nel senso che è stato precisato, e soprattutto non considera le due eccezioni testualmente previste al divieto (salvi imprecisati “usi contrari”) – la domanda giudiziale, la convenzione posteriore alla scadenza – che spiegano e confermano la regola.

In base alla prima, la facoltà del creditore di pretendere, con autonoma e specifica domanda (Cass. sez. un. 14.10.1998 n. 10156), il pagamento di interessi moratori sugli interessi scaduti esclude a contrario che tale pretesa possa ricondursi alla interpellatio, di regola idonea a costituire il debitore in mora (art. 1219 c.c.), o al dies interpellat pro homine (art. 1219 n. 3 c.c.), ove pure ne ricorrano i presupposti. In altri termini, al creditore è impedito, in ossequio a un canone di solidarietà nell’esecuzione dell’obbligazione, di “lasciar correre” interessi di mora sugli interessi primari scaduti, profittando dell’impotenza del debitore a pagare.

La seconda eccezione consente al debitore di convenire col suo creditore una dilazione di pagamento degli interessi (se “dovuti” per almeno sei mesi) o altra forma di concessione di credito che comporti l’assimilazione dell’interesse primario scaduto al debito per capitale e quindi la sua idoneità a produrre interessi anatocistici, e vieta a contrario la convenzione anteriore.

Evidentemente, la legge della capitalizzazione composta,o l’effetto indotto della progressione geometrica degli interessi, non possono costituire la ratio del divieto, poiché lo stesso meccanismo anatocistico s’applica invece alla convenzione posteriore (valida). Il discrimine tra il caso ammesso (convenzione posteriore) e quello vietato (convenzione anteriore) consiste dunque nel diverso momento in cui l’obbligazione anatocistica è assunta, se prima o dopo la scadenza dell’interesse primario.

Vietando la convenzione anteriore, l’art. 1283 impedisce al debitore di impegnarsi “ora per allora” al pagamento di interessi anatocistici sugli interessi primari scaduti prima che l’obbligazione sia scaduta, ossia lo tutela contro una promessa fatta con leggerezza, confidando sulla possibilità (futura) di adempiere alla scadenza, promessa che l’ordinamento giudica rischiosa perché le conseguenze del suo impegno – quale sarà il ritardo di pagamento, quale il “delta” di interessi anatocistici maturando – sono ex ante indefiniti e potenzialmente illimitati.

L’eccezione al divieto conferma questa ratio: dopo che l’interesse primario è scaduto, la convenzione anatocistica è ammessa perché il debitore è (o deve ritenersi) in condizione di avere piena coscienza delle sue possibilità e limiti e quindi è in grado di calcolare le conseguenze di un impegno anatocistico.

Sotto questo profilo, la ratio legis del divieto di anatocismo s’avvicina a quella del divieto di patto commissorio, che costituisce come l’art. 1283 c.c. altro storico presidio dell’integrità della sfera giuridica del debitore, contro il rischio di convenzioni eccessivamente onerose e “in odore” di usura.

L’eccessiva onerosità della convenzione commissoria consiste, specificamente, nel pericolo di sproporzione tra il valore del bene al momento in cui si verifichi l’inadempimento e l’ammontare del debito non adempiuto, tanto è vero che la giurisprudenza ha ormai ammesso la validità della clausola marciana, che assicura che “il debitore perderà la proprietà del bene ad un giusto prezzo, determinato al momento dell’inadempimento, con restituzione della differenza rispetto al maggior valore” (Cass. 28.1.2015 n. 1625).

Il pericolo di sproporzione è tuttavia rilevante come causa di nullità della convenzione commissoria soltanto se essa è anteriore al verificarsi dell’inadempimento, poiché l’art. 2744 c.c. non consente alle parti di convenire che “il trasferimento della proprietà della cosa sia condizionato sospensivamente al verificarsi dell’evento futuro ed incerto del mancato pagamento del debito”, ma non osta invece ad ammettere che “il trasferimento o la promessa di trasferimento vengano, invece, pattuiti al fine di soddisfare un precedente credito rimasto insoluto e di liberare, quindi, il debitore dalle conseguenze connesse alla sua pregressa inadempienza” (Cass. 12.11.1982 n. 6005; Cass. 5.6.2001 n. 7585; Cass. 6.10.2004 n. 19950; Cass. 28.6.2006 n. 14903) e ciò in quanto la dazione in pagamento è espressamente ammessa per valida anche se il bene trasferito è “di valore maggiore” (art. 1197).

In definitiva, la ratio del divieto non riposa in una generica sfiducia del codice civile nei confronti di una tecnica di matematica finanziaria, ma nella preoccupazione, certamente più “terrena” e coerente con la vocazione della legge, di evitare di esporre il debitore, colto in un momento di debolezza finanziaria – l’interesse scade senza essere pagato -, al pericolo di una crescita indefinita e senza limiti degli interessi composti.

In definitiva, come è stato acutamente rilevato in dottrina, il medesimo fenomeno economico – la capitalizzazione composta – ha luogo in contesti giuridici diversi e assume connotati giuridici differenti, a seconda della situazione. Specificamente, con riguardo ai contratti di credito, in particolare al sistema francese per il calcolo della rata costante del mutuo, la capitalizzazione composta è solo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte all’altra in esecuzione del contratto concluso tra loro; è, in altre parole, una forma di quantificazione di una prestazione, che ove nota ed accettata a mezzo della cognizione di tutte le sue componenti, non può dirsi né vietata né illecita.

Per tali ragione la principale doglianza di parte attrice non merita accoglimento e va rigettata.

Passando, poi, alla censura per cui l’ISC/TAEG fissato in contratto non sarebbe pari a quello effettivamente applicato (applicazione di tassi diversi da quelli pubblicizzati), la medesima, oltre a rivelarsi indeterminata al punto di non poter consentire sul punto una consulenza meramente esplorativa, non avrebbe potuto trovare accoglimento in seno alla presente controversia con la richiesta di applicazione ai sensi dell’art. 125 bis TUB degli interessi sostitutivi ex art. 117 TUB, in quanto norma riservata ai contratti di credito al consumo stipulati successivamente al 2010 e di valore inferiore ai 75.000,00 Euro, a dispetto del presente contratto concesso a un soggetto imprenditore ante 2010 e per un importo nettamente superiore a quello sopraindicato.

Per completezza di motivazione – e riportando un significativo precedente di sezione ( cfr. Tribunale di Napoli, sentenza del 28.05.19 resa nel procedimento RGN. 27855/2014) – si osserva, in ogni caso che, nel caso di specie, non trova certo applicazione la disciplina consumeristica di cui all’art. 124 TUB, relativo ai contratti di credito al consumo stipulati anteriormente al 19/9/2010, né quella di cui all’art. 125 bis, comma 7, TUB, relativa ai soli contratti di finanziamento stipulati con il consumatore, di importo non superiore ad Euro 75.000,00 e successivi al 19/9/2010.

L’art. 124 TUB, nel testo vigente prima del 19/9/2010, relativo ai contratti di credito al consumo, non faceva alcun riferimento all’ipotesi di conteggio non corretto del TAEG, ed, al quinto comma, ricollegava l’applicazione del tasso annuo effettivo globale sostitutivo alle sole ipotesi di assenza della relativa indicazione o di sua nullità (ad esempio perché indicato in modo indeterminato o indeterminabile).

Tale soluzione più restrittiva risultava maggiormente coerente con la ratio sottostante l’istituto del TAEG, ossia una finalità informativa tramite un dato unico complessivo del costo del finanziamento, in modo da consentire al consumatore, considerata l’asimmetria informativa che si suppone esistente rispetto alla controparte professionale, di poter agevolmente comparare le diverse proposte di finanziamento a lui sottoposte, e, quindi, valutare quella per lui maggiormente conveniente.

Solo a decorrere dal 2010, con l’introduzione dell’art. 125 bis TUB, è stata espressamente prevista, per tutti contratti stipulati con il consumatore, e non solo per i contatti di credito al consumo, l’applicazione dell’interesse sostitutivo anche in caso di non corretta indicazione del TAEG o ISC, configurandosi, pertanto, come una vera e propria sanzione civile a carico dell’intermediario del credito, in quanto il rimedio è destinato ad operare a prescindere dal vulnus informativo che l’errata indicazione del TAEG può effettivamente aver comportato nel consumatore.

In via generale, nei casi non disciplinati dall’art. 125 bis TUB, la difformità tra ISC pattuito ed ISC applicato, secondo l’orientamento al quale intende aderire la scrivente, non rende nulle le pattuizioni sugli interessi, in quanto l’indicatore sintetico di costo (o il TAEG) serve solo ad informare il mutuatario del costo complessivo del credito a lui erogato, mentre le varie voci di costo, compresa prima di tutto la misura degli interessi corrispettivi sono pattuite in altre specifiche clausole.

Giova premettere che la disciplina di riferimento è prevista dagli artt. 116 e 117 D.P.R. n. 385 del 1993, che impongono alle Banche di pubblicizzare in modo chiaro le condizioni economiche applicate nei rapporti con i clienti e l’art. 116, comma 3 T.U.B. demanda il compito di individuare più specificamente gli obblighi informativi in capo agli istituti di credito al CICR, che, con Delib. del 4 marzo 2003, ha demandato alla (…) l’individuazione dei contratti per i quali gli istituti di credito devono riportare espressamente l’indicatore sintetico di costo ed indicarne il contenuto ed i parametri di calcolo.

La (…), dando esecuzione alla citata normativa, ha disciplinato l’ISC nel Titolo X delle proprie Istruzioni di vigilanza ed ha emanato le disposizioni sulla “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” il 29 luglio 2009, successivamente integrate il 9 febbraio 2011), secondo cui i finanziamenti (intesi come operazioni di mutuo, anticipazioni bancarie, aperture di credito in conto corrente, nonché i prestiti personali e i prestiti c.d. “finalizzati”) devono riportare nel foglio illustrativo e nel documento di sintesi l’ISC, calcolato secondo la formula prevista dalla (…) per il TAEG.

Ciò posto, si sono diffusi vari orientamenti sulle conseguenze della difformità tra l’ISC indicato in contratto e quello concretamente applicato.

Secondo un primo orientamento l’indicazione nel contratto di un ISC inferiore rispetto al TAEG costituirebbe una violazione dell’art. 117, comma VI, del TUB, secondo cui sono da ritenersi nulle quelle clausole che prevedono per i clienti condizioni economiche più sfavorevoli di quelle pubblicizzate, con conseguente nullità della clausola relativa agli interessi e, conseguentemente, la necessità di applicare – in sostituzione del tasso dichiarato nullo – il tasso nominale dei buoni ordinari del tesoro ai sensi dell’art. 117, comma 7 TUB (cfr. Trib. Chieti, n. 230 del 23 aprile 2015).

Secondo un più recente e condivisibile indirizzo ermeneutico, invece, l’ISC non rappresenta una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, svolgendo unicamente una funzione informativa finalizzata a porre il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. L’erronea quantificazione dell’ISC, quindi, non potrebbe comportare una maggiore onerosità del finanziamento (non mettendo in discussione la determinazione delle singole clausole contrattuali che fissano i tassi di interesse e gli altri oneri a carico del mutuatario) e, conseguentemente, non renderebbe applicabile a tale situazione quanto disposto dall’art. 117, comma 6 TUB (cfr. Trib. Roma 19 aprile 2017).

Quest’ultimo orientamento è stato ribadito anche dal Tribunale di Milano, secondo cui non si rinviene nel diritto positivo la sanzione della nullità per la fattispecie in questione, essendo stata prevista una simile sanzione solo nel settore del credito al consumo, nella cui disciplina l’art. 125-bis, comma VI, del TUB dispone che, nel caso in cui il TAEG indicato nel contratto non sia stato determinato correttamente, le clausole che impongono al consumatore costi aggiuntivi (rispetto a quelli effettivamente computati nell’ISC) sono da considerarsi nulle.

Ne consegue che, qualora il legislatore avesse voluto sanzionare con la nullità la difformità tra ISC e TAEG nell’ambito di operazioni diverse dal credito al consumo, l’avrebbe espressamente previsto, analogamente a quanto avvenuto con l’art. 125 bis, comma VI, TUB, pertanto l’erronea indicazione dell’ISC non determina nessuna incertezza sul contenuto effettivo del contratto stipulato e del tasso di interesse effettivamente pattuito, e, quindi, la violazione dell’obbligo pubblicitario perpetrata dalla Banca mediante l’erronea quantificazione dell’ISC non è suscettibile di determinare alcuna invalidità del contratto di mutuo (né tantomeno della sola clausola relativa agli interessi), ma può configurarsi unicamente come illecito e, in quanto tale, essere fonte di responsabilità della Banca (cfr. Trib. Milano n. 10832 del 26/10/2017).

Pertanto, l’errata indicazione del TAEG non altera il consenso negoziale del consumatore e la parte mutuataria può esclusivamente far valere una responsabilità contrattuale della banca e dedurre che, a causa della errata informazione sull’ISC, fosse stata indotta a stipulare un mutuo che altrimenti, conoscendone il costo effettivo, non avrebbe stipulato ed allegare e provare un pregiudizio di tipo risarcitorio collegato a tale lesione informativa.

Ne consegue l’integrale rigetto integrale delle domande attoree.

Le spese di lite, liquidate secondo il D.M. n. 147 del 1922 e sulla scorta del valore dichiarato della lite e della complessità dell’attività svolta, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Napoli, II sezione Civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa promossa come in narrativa, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: 1. Rigetta le domande avanzate da (…) s.r.l. relative al contratto di mutuo ipotecario stipulato con la (…) s.p.a. in data 11.01.06;

2. Condanna per l’effetto (…) s.r.l. al pagamento in favore di (…) s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. delle spese di lite che si liquidano in Euro 8.626,00 per compensi professionali oltre Iva, Cpa e rimborso forfetario al 15%.

Così deciso in Napoli il 6 febbraio 2023.

Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.