Invero, nei contratti di mutuo, ai fini della verifica del rispetto della L. n. 108 del 1996, l’interesse di mora non va sommato a quello convenzionale, poiché, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse moratorio non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere la somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt. 821 e 1815 cod.civ.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 cod. civ.). L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque la somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

Per approfondire la tematica degli interessi usurari e del superamento del tasso soglia si consiglia la lettura del seguente articolo: Interessi usurari pattuiti nei contatti di mutuo

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Tribunale Roma, Sezione 17 civile Sentenza 7 novembre 2018, n. 21422

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE DICIASETTESIMA CIVILE

Il Giudice, in persona del dr. Tommaso MARTUCCI, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento civile di I grado iscritto al n. 75363/2014 del Ruolo Generale degli Affari Civili, posto in deliberazione all’udienza de 12/7/2018 e promosso da:

(…) con sede legale in R., via valledolmo n. 59/A, (C.F. (…))

(…) nata a R. il (…), ivi residente in via (…), (C.F. (…))

(…) nato a S. G. del S. (B.) il (…), residente in R., via (…), (C.F. (…)), tutti elettivamente domiciliati in Roma, via (…) presso lo studio dell’avv. Gi.De., che li rappresenta e difende in virtù di procura a margine dell’atto di citazione

ATTORI

contro

(…) con sede legale in R., via (…), (C.F. (…)), elettivamente domiciliata in Roma, via (…) presso lo studio dell’avv. Gi.Ma., che la rappresenta e difende in virtù di delega in calce alla comparsa di risposta

CONVENUTA

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato in data 25/11/2014 la s.a.s. (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché (…) e (…) convenivano in giudizio avanti all’intestato Tribunale la (…) soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendone la condanna alla ripetizione delle somme indebitamente percepite in esecuzione dei contratti di conto corrente e di mutuo ipotecario inter partes, previa declaratoria di nullità delle clausole contrattuali concernenti la determinazione dei tassi d’interesse e l’applicazione della commissione di massimo scoperto, con condanna della banca al risarcimento dei danni ed all’esecuzione della corretta segnalazione alla (…).

La parte attrice esponeva:

– che la s.a.s. (…) aveva stipulato il contratto di conto corrente n. (…) con la convenuta e che (…) e (…) avevano concluso con la controparte i contratti di mutuo repertorio n. (…), racc. n. (…) del 10/7/2007 per la somma di Euro 200.000,00 ed il mutuo repertorio n. (…), racc. n. (…) del 18/4/2011 per la somma di Euro 110.000,00;

– di aver riscontrato irregolarità in ordine a tutti i rapporti sopra descritti e che, in particolare, dalle analisi tecniche espletate era emerso un credito della società correntista, in ordine al conto corrente n. (…), di Euro 50.232,20, quale importo indebitamente pagato a titolo di interessi usurari ed il credito di Euro 6.546,74 per anatocismo illegittimamente applicato dalla banca e che, relativamente ai contratti di mutuo sopra descritti, la controparte aveva applicato tassi di interesse usurari, dando atto di aver potuto ricostruire solo parzialmente i rapporti a causa della indisponibilità di tutti documenti contrattuali;

– che la società mutuataria aveva subito ingenti danni a causa dell’usura contrattuale, dell’illegittima applicazione della commissione di massimo scoperto e dell’anatocismo, essendo stata privata di ingente liquidità di denaro.

Tanto premesso, gli attori invocavano l’applicazione del combinato disposto degli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., con la conseguente gratuità di tutti i rapporti sopra descritti.

La (…) soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi con comparsa del 17/6/2015, chiedeva il rigetto delle domande attoree, con condanna della controparte al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. ed al pagamento delle spese processuali.

La convenuta contestava le deduzioni attoree, deducendo che, relativamente al rapporto di conto corrente, i tassi di interesse erano stati espressamente pattuiti tra le parti, così come la facoltà della banca di variarne la misura, previa comunicazione alla correntista, esponendo che la capitalizzazione degli interessi era stata applicata conformemente alla Del.CICR del 9 febbraio 2000; quanto ai contratti di mutuo, la banca affermava la legittimità dei tassi di interesse pattuiti ed applicati, con conseguente infondatezza delle pretese di controparte.

Esperiti gli incombenti preliminari, intervenuto lo scambio delle memorie ex art. 183, co. VI c.p.c., il giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 12/7/2018, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini per le memorie conclusive.

Con particolare riferimento alla causa petendi, la s.a.s. (…), (…) e (…) chiedono l’accertamento della nullità parziale ex art. 1815 c.c. dei contratti di c/c e di mutuo inter partes e la condanna della (…) soc. coop. alla ripetizione delle somme indebitamente percepite a titolo di interessi, commissioni e spese, oltre al risarcimento dei danni.

Le domande sono infondate e devono essere rigettate.

I rapporti controversi traevano origine dai seguenti contratti:

– conto corrente n. (…) stipulato tra la s.a.s. (…) e la (…) soc. coop. in data 11/7/2000, con cui erano stati previsti l’interesse creditore pari a 0,75%, l’interesse debitore per scoperto in assenza di linea di credito del 13,55%, la commissione di massimo scoperto pari a 0,750%, con la previsione, all’art. 7 delle condizioni generali di contratto, che: “I rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente, in via normale, a fine dicembre di ogni anno, portando in conto, oltre agli interessi alle commissioni, anche le spese postali, telegrafiche e simili e le spese di tenuta di chiusura del conto ed ogni eventuale altra, con valuta data di regolamento”.

Nella lettera di apertura del conto corrente era previsto, sotto la voce “criteri di capitalizzazione”, “numeri dare trimestrale, numeri avere annuale”, ma, con l’integrazione alla lettera di apertura di conto corrente n. (…) del 11/7/2000, è stato previsto, all’art. 7, comma II, che i rapporti di dare e avere, debitori o creditori, sarebbero stati regolati con identica periodicità;

– il contratto di mutuo fondiario repertorio n. (…), racc. n. (…) stipulato in data 10/7/2007 tra (…) e (…) e la convenuta per la somma di Euro 200.000,00, da restituire in 12 anni mediante pagamento di n. (…) rate mensili posticipate, con la previsione del tasso di interesse nominale annuo del 5,60%, dell’ISC del 5,90% e del tasso di interesse moratorio pari a quello degli interessi corrispettivi, maggiorato del 3%;

– il contratto di mutuo fondiario repertorio n. (…), racc. n. (…) stipulato in data 18/4/2011 tra (…) e (…) e la convenuta per la somma di Euro 110.000,00, da restituire in 10 anni mediante il pagamento di n. (…) rate mensili posticipate, con la previsione del tasso di interesse nominale annuo del 4,65 %, del TAEG del 5,019% e del tasso di interesse moratorio pari a quello degli interessi corrispettivi, maggiorato del 3%.

Ciò posto, relativamente al conto corrente n. (…), gli attori deducono la nullità delle pattuizioni relative ai tassi d’interesse, alla commissione di massimo scoperto e alla capitalizzazione degli interessi, ritenendole non conformi alla legge.

Quanto all’eccepita usurarietà dei tassi d’interesse applicati, si osserva che, ai fini della verifica del rispetto della normativa in materia antiusura, deve aversi riguardo al momento della stipulazione, essendo del tutto irrilevante il fenomeno della cosiddetta usura sopravvenuta: osserva a tale riguardo il recente arresto delle sezioni unite della Suprema Corte che, nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 24675 del 19/10/2017).

Nella specie, il tasso di interesse pattuito è inferiore al tasso soglia antiusura vigente al momento della stipulazione del contratto, non dovendosi sommare, ai fini della determinazione del TEG, la commissione di massimo scoperto prevista ed applicata fino al 31/12/2009.

Invero, la commissione di massimo scoperto (CMS), intesa come remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, applicata fino all’entrata in vigore dell’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, introdotto con la legge di conversione n. 2 del 2009, è “in thesi” legittima, almeno fino al termine del periodo transitorio, fissato al 31 dicembre 2009, posto che i decreti ministeriali che hanno rilevato il tasso effettivo globale medio (TEGM) – dal 1997 al dicembre del 2009 – sulla base delle istruzioni diramate dalla (…), non ne hanno tenuto conto al fine di determinare il tasso soglia usurario (essendo ciò avvenuto solo dall’1 gennaio 2010);

ne consegue che l’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, cit. non è norma di interpretazione autentica dell’art. 644, comma 3, c.p., ma disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare – per il futuro – la complessa disciplina, anche regolamentare (richiamata dall’art. 644, comma 4, c.p.), tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari.

Ne deriva, inoltre, che, per i rapporti bancari esauritisi prima dell’1 gennaio 2010, allo scopo di valutare il superamento del tasso soglia nel periodo rilevante, non deve tenersi conto delle CMS applicate dalla banca, ma occorre procedere ad un apprezzamento nel medesimo contesto di elementi omogenei della rimunerazione bancaria, al fine di pervenire alla ricostruzione del tasso soglia usurario, come sopra specificato (cfr. Cass. civ. n. 12965 del 22/06/2016).

Con il citato intervento legislativo del 2009 si è dunque stabilito che:

1) è legittima la commissione di massimo scoperto, sub specie sia di commissione di massimo scoperto, sia di commissione di messa a disposizione dei fondi;

2) vanno introdotte alcune limitazioni a tutela della clientela per entrambe le ipotesi (sussistenza di un saldo a debito – su un conto affidato – per un periodo continuativo pari o superiore a trenta giorni);

3) sono nulle le (sole) clausole contrattuali stipulate in violazione delle suddette limitazioni;

4) la CMS (letteralmente le “commissioni comunque denominate che prevedono una remunerazione per la banca dipendente dall’effettiva durata di utilizzazione dei fondi da parte del cliente”) è rilevante, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ai fini dell’applicazione tanto dell’art. 1815 cod. civ. che dell’art. 644 cod. pen.. Può pertanto dirsi che la norma, pure omettendo ogni definizione più puntuale della CMS, abbia effettuato una ricognizione dell’esistente con l’effetto sostanziale di sancire definitivamente la legittimità di siffatto onere e, per tale via, di sottrarla alle censure di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa.

Successivamente, l’art. 6-bis del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201-Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, (inserito in sede di conversione), ha introdotto nel TUB l’art. 117-bis rubricato “Remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamene” e, poi, a distanza ravvicinata, prima l’art. 27, co. 4, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1-Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, ha abrogato il primo e il terzo comma dell’art. 2-bis del D.L. n. 185 del 2009 e a seguire l’art. 1, co. 1, del D.L. 24 marzo 2012, n. 29-Disposizioni urgenti recanti integrazioni al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, e al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, nonché modifiche alla L. 31 luglio 1997, n. 249, convertito, con modificazioni, in L. 18 maggio 2012, n. 62, ha novellato il ridetto art. 117-bis TUB. Infine, in attuazione di quanto disposto dall’art. 117-bis, co. 4, TUB, è stato approvato il D.M. 30 giugno 2012, n. 644-Disciplina della remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti in attuazione dell’articolo 117-bis del Testo unico bancario, entrato in vigore il successivo 1/7/2012. Nella formulazione dell’articolo 117-bis, attualmente vigente – nel testo a decorrere dal 22 maggio 2012 – al primo comma vengono tipizzate le commissioni di affidamento (CA) per l’apertura di credito in conto corrente, al secondo comma sono disciplinate le commissioni applicabili in caso di sconfinamento; il terzo comma prevede la nullità delle clausole che prevedono oneri diversi e non conformi a quelli indicati nei primi due.

Il quarto comma, infine, attribuisce al CICR la competenza ad adottare disposizioni, anche di trasparenza, applicative dell’articolo e ad estendere il raggio di azione della norma a contratti ulteriori rispetto ad aperture di credito e conti correnti “per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del diente”.

Conseguentemente, nel vigore della nuova disciplina, i contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici “oneri” per il cliente, da un lato, una commissione “omnicomprensiva” (ma inferiore allo 0,5 per cento per trimestre), “calcolata in maniera proporzionata rispetto alla somma a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento”, dall’altro, un tasso di interesse debitore sulle somme utilizzate.

Secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 2, lett. il), del D.M. 30 giugno 2012, n. 644 (del CICR) la commissione di affidamento si applica “sull’intera somma messa a disposizione del cliente in base al contratto”, e per il periodo in cui la stessa somma è messa a disposizione del cliente.

Nella specie, considerata la normativa applicabile ratione temporis fino al 31/12/2009, la commissione di massimo scoperto era prevista dal contratto e non è stato provato in modo idoneo che sia stata applicata in violazione della legge o delle condizioni contrattuali.

E’ appena il caso di osservare che, nei rapporti bancari in conto corrente, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida “causa debendi”, sicché il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute (cfr. Cass. civ. n. 24948 del 23/10/2017: nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva condannato la banca alla restituzione al correntista delle somme indebitamente trattenute, nonostante la produzione in giudizio soltanto di una parte degli estratti conto in cui erano state annotate le rimesse oggetto della domanda di ripetizione).

In tal senso è stato altresì ritenuto che l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, in tal caso la relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (cfr. Cass. civ. n. 9201 del 7/5/2015).

Parimenti infondata è la doglianza attorea concernente la capitalizzazione trimestrale degli interessi per asserita violazione della L. n. 342 del 1999, che prescrive la forma scritta della pattuizione in ordine all’anatocismo, e della Del.CICR del 9 febbraio 2000.

Premesso che nella fattispecie vengono in rilievo rapporti contrattuali stipulati in data successiva all’entrata in vigore, il 22/4/2000, della Del.CICR del 9 febbraio 2000, le condizioni generali del citato contratto di conto corrente prevedono, conformemente alla citata delibera, la regolamentazione dei rapporti di dare/avere tra le parti con identica periodicità trimestrale: trattasi, quindi, di una clausola conforme al disposto della delibera del C.I.C.R. del 9/2/2000, che prevede la validità ed efficacia delle clausole contrattuali che, in materia di interessi, prevedono l’identica periodicità della loro capitalizzazione con riferimento agli interessi attivi e passivi.

Relativamente ai contratti di mutuo si osserva quanto segue.

Gli attori deducono la nullità dei mutui sopra menzionati per la usurarietà dei tassi di interesse pattuiti.

La domanda è infondata.

Le questioni giuridiche rilevanti nel caso di specie attengono all’applicabilità della disciplina in materia di usura al tasso degli interessi moratori ed al criterio di determinazione del TEG.

Giova premettere che, in tema di contratto di mutuo, con norma di interpretazione autentica, l’art. 1, comma 1, D.L. n. 394 del 2000, conv. da L. n. 24 del 2001, ha stabilito che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento e, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. n. 5324 del 04/04/2003).

Rileva, tuttavia, il giudicante che il tasso di mora ha una funzione autonoma e distinta rispetto agli interessi corrispettivi, poiché mentre l’uno sanziona il ritardato pagamento, gli interessi corrispettivi costituiscono la effettiva remunerazione del denaro mutuato, pertanto, stante la diversa funzione ed il diverso momento di operatività, la verifica della usurarietà degli interessi moratori va effettuata in modo distinto ed autonomo da quella relativa agli interessi corrispettivi, con esclusione della loro sommatoria.

Ciò posto, si sono diffusi al riguardo due opposti orientamenti:

il primo (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Milano 29.1.2015; Trib. Roma 7.5.2015; Trib. Rimini 6.2.2015; Trib. Vibo Valentia; Trib. Brescia 24.11.2014; Trib. Salerno 27.7.1998; Trib. Macerata 1.6.1999; Trib. Napoli 5.5.2000; Trib. Treviso 12.11.2015; Cass. Pen. 5689/2012) esclude l’applicabilità agli interessi di mora della normativa antiusura sulla base dei seguenti rilievi: gli artt. 1815, comma 2, c.c. e 644, comma 1, c.p. si riferiscono, rispettivamente, agli interessi “convenuti” e “in corrispettivo”, dunque valorizzano la fase fisiologica del rapporto (Trib. Verona 12.9.2015); le Istruzioni della (…) per il calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) non contemplano gli interessi di mora (c.d. principio di omogeneità di confronto), posto che la L. n. 108 del 1996 esige la rilevazione comparata di “operazioni della stessa natura”; la mancanza di un tasso soglia ad hoc degli interessi moratori (cfr. Trib. Varese 26.4.2016 e Trib. Milano 28.4.2016); la diversa funzione degli interessi moratori – peraltro eventuali – aventi natura risarcitoria/sanzionatoria, rispetto agli interessi corrispettivi, aventi natura remunerativa (cfr. Trib. Treviso 12.11.2015, secondo cui gli interessi moratori non remunerano affatto il creditore dell’erogazione del credito, ma lo ristorano per il protrarsi della perdita della disponibilità di somme di denaro che egli non ha accettato, ma che subisce per effetto dell’inadempimento del debitore e per un periodo di tempo non prevedibile); il TAEG di cui alle Direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE non contempla gli interessi moratori.

Il secondo indirizzo ermeneutico esclude il tasso di mora dall’ambito di operatività della L. n. 108 del 1996, valorizzando il D.L. n. 132 del 2014, convertito in L. n. 162 del 2014, che all’art. 17, comma 1, ha novellato l’art. 1284, ult. co., c.c., prevedendo che il saggio degli interessi (di mora), dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale, ove non sia pattuito dalle parti, è pari a quello previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 in materia di transazioni commerciali e questo tasso, con riferimento a talune categorie di operazioni, quali i mutui, è spesso risultato superiore al tasso-soglia: ne consegue, secondo questo indirizzo giurisprudenziale, la liceità della pattuizione di un interesse di mora pari o anche superiore a quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, quindi superiore al tasso-soglia (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Vibo Valentia 22.7.2015; Trib. Treviso 12.11.2015; Trib. Monza 3.3.2016; Trib. Varese 26.4.2016; Trib. Milano 28.4.2016).

Prevale, tuttavia, in dottrina ed in giurisprudenza l’orientamento secondo cui gli interessi moratori sono soggetti alle soglie d’usura (cfr. Cass. civ. nn. 4251/1992, 5286/2000, 14899/2000, 5324/2003, 350/2013, 602/2013, 603/2013 nonché Corte Cost. n. 29 del 2002, secondo cui è “plausibile l’assunto” che gli interessi di mora siano assoggettati al tasso-soglia): il principale argomento posto a sostegno di questo indirizzo è l’affermazione del “principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione” e la circostanza che “il ritardo colpevole … non giustifica il permanere della validità di una obbligazione così onerosa e contraria alla legge” (così la Corte di cassazione nelle decisioni da ultimo citate).

Quest’ultimo orientamento, consolidatosi nella recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. 23192/2017), si fonda anche sui seguenti ulteriori argomenti:

a) la L. 28 febbraio 2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. n. 108 del 1996, testualmente disciplina gli “interessi … promessi o convenuti, a qualunque titolo”, quindi anche gli interessi moratori (depone in tale direzione anche la Relazione governativa al D.L. n. 394 del 2000);

b) l’art. 644 c.p. statuisce il “limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” senza distinzioni tra tipologie di interessi;

c) i rischi dell’utilizzazione strumentale degli interessi moratori, se sottratti alla disciplina antiusura;

d) l’irrazionalità di sanzionare i vantaggi usurari nella fase fisiologica del rapporto e non in quella patologica (mora)

L’adito giudicante condivide l’ultimo degli orientamenti sopra citati ed i principi su cui si fonda: nondimeno, la rilevazione dell’usurarietà degli interessi moratori postula l’analisi dei relativi tassi autonomamente rispetto agli interessi corrispettivi, con esclusione di ogni ipotesi di sommatoria tra gli stessi.

Invero, nei contratti di mutuo, ai fini della verifica del rispetto della L. n. 108 del 1996, l’interesse di mora non va sommato a quello convenzionale, poiché, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse moratorio non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere la somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt. 821 e 1815 cod.civ.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 cod. civ.).

L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque la somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

Non vale in contrario richiamare la nota sentenza della Corte di cassazione n. 350 del 9/1/2013, in cui non si afferma di doversi procedere al cumulo tra i tassi d’interesse corrispettivo e moratorio ai fini della verifica del rispetto della soglia antiusura, ma solamente che anche per gli interessi di mora occorre verificarne l’usurarietà, principio già in precedenza affermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. civ. n. 5286 del 22/4/2000; Cass. n. 5324 del 4/4/2003).

Non rilevano, ai fini della verifica del superamento della soglia antiusura del tasso degli interessi moratori, le spese relative al contratto bancario, posto che l’interesse di mora non attiene alla remunerazione del capitale, bensì alla penalità per il ritardato adempimento del mutuatario, fatto imputabile a quest’ultimo e meramente eventuale, in una fase patologica del rapporto.

Osserva al riguardo la prevalente giurisprudenza di merito che è infondata la modalità di conteggio del “tasso effettivo di mora (T.E.M.O.)”, posto che la previsione contrattuale di interessi moratori concerne la mera ipotesi, patologica ed eventuale, di un ritardo nel pagamento delle rate ed è, dunque, riferita a fattispecie che si discosta dal corso fisiologico del contratto, avendo tali oneri natura risarcitoria, diversamente dagli interessi corrispettivi, connessi all’erogazione del credito.

Tanto premesso, se da un lato si reputa corretto computare, unitamente agli interessi corrispettivi, i restanti costi ed oneri connessi all’erogazione del credito ai fini della determinazione del tasso corrispettivo applicato al rapporto (conteggio del TEG), dall’altro pare incoerente replicare tale modalità di calcolo con riferimento agli interessi di mora, attesa la ribadita diversa natura di questi ultimi” (cfr. Trib. Milano, n. 11854 del 22 ottobre 2015; App. Milano, 20 gennaio 2015).

Ed ancora, pur rilevando, ai fini del tasso soglia, anche il tasso d’interesse moratorio, per verificare il superamento i due tassi d’interesse non si sommano, in quanto succedono l’uno all’altro; in particolare, il moratorio succede al corrispettivo in caso di inadempimento o ritardo (cfr. Trib. Roma, ord. 3 giugno 2015).

Corrobora l’orientamento sopra espresso il punto 4) dei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 2/7/2013, che costituisce un valido parametro interpretativo della disciplina antiusura, secondo cui i TEG medi rilevati dalla (…) includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito.

Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente.

L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo.

Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela.

Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora.

L’esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze i quali specificano che “i tassi effettivi globali medi (…) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento.

In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti – usura.

Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”.

In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la (…) adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo”.

Nella specie, i tassi d’interesse corrispettivo e moratori pattuiti con i contratti di mutuo sopra descritti sono inferiori al tasso soglia antiusura, pari, alla data del 10/7/2007, al 15,42% per gli interessi corrispettivi ed al 18,57% per gli interessi moratori ed alla data del 18/4/2011 al 7,02% per gli interessi corrispettivi ed al 10,17% per interessi moratori.

Con particolare riferimento al tasso soglia antiusura previsto per i tassi di interesse moratori, in conformità con le indicazioni della (…), si rileva che gli interessi di mora sono stati sempre esclusi dal calcolo operato per addivenire alla media degli interessi convenzionali praticati dalle banche, proprio perché sono interessi che non attengono alla fisiologia del rapporto ma alla sua patologia. “Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela” ((…), “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 3 luglio 2013).

I tassi soglia antiusura sono, infatti, determinati attraverso un automatismo stabilito dalla legge che prende in esame i tassi medi di mercato rilevati trimestralmente dalla (…) e pubblicati dal Ministero delle Finanze.

Come indicato da queste medesime Autorità, le banche nel riportare i tassi di interesse medi applicati indicano i soli interessi convenzionali e non vi comprendono anche i tassi di mora: è ovvio che se fossero invece inclusi anche i tassi di mora, si avrebbe un innalzamento dei tassi medi applicati, con aumento anche del TEG periodico e dei tassi soglia antiusura.

Scelta che è rispettosa sia della natura del rapporto, appunto perché i tassi di mora sono meramente eventuali e patologici, sia delle esigenze dei clienti dato che altrimenti si avrebbe un incremento dei tassi medi di interesse e un corrispondente innalzamento del tasso soglia antiusura.

Se, quindi, i tassi convenzionali antiusura non comprendono gli interessi di mora, non è sostenibile, né logicamente né con fondamento normativo, che nell’esame di un contratto si debba procedere alla somma del tasso convenzionale con quello di mora per confrontare tale risultato con il tasso soglia antiusura (determinato, appunto, senza gli interessi di mora).

Non è corretto, inoltre, il confronto indicato tra gli interessi di mora previsti in contratto e il tasso soglia antiusura previsto pro tempore per gli interessi corrispettivi, essendo questi ultimi inferiori a quelli di mora (previsti in misura superiore per la loro diversa funzione: non di corrispettivo per il godimento del denaro ma di risarcimento per il danno causato dall’inesatta restituzione della somma): ne consegue che il limite antiusura previsto all’epoca per gli interessi convenzionali non può essere acriticamente applicato agli interessi di mora, necessariamente maggiori rispetto a quelli convenzionali.

A conferma si evidenzia che, a partire dal Decreto del Ministero della Finanze del 25 marzo 2003 e in tutti quelli successivi, è stato chiarito che “i tassi effettivi globali medi di cui all’articolo l comma 1 del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”.

In proposito i medesimi Decreti avevano rilevato che da un’indagine statistica allora condotta dalla (…), era risultato che i tassi di mora applicati dagli intermediari erano mediamente pari a 2,1 punti percentuali oltre il Tasso Effettivo Globale medio.

La stessa (…) ha affermato che “in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori”, si possa fare riferimento al “criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo” ((…), Chiarimenti citato del 3.7.2013).

Sono, quindi, infondate le domande di nullità parziale dei rapporti inter partes, cui consegue l’infondatezza delle domande di ripetizione di indebito e risarcitorie degli attori.

Quanto alla pretesa risarcitoria, la domanda è sfornita di idonea allegazione e prova della natura e dell’entità del danno asseritamente subito e da risarcire.

Ai fini della risarcibilità ex art. 1223 c.c., in relazione all’art. 1218 c.c. o agli artt. 2043 e 2056 c.c., il creditore o il preteso danneggiato deve infatti allegare non solo l’altrui inadempimento ovvero allegare e provare l’altrui fatto illecito, ma in entrambi i casi deve pur sempre allegare e provare l’esistenza di una lesione, cioè della riduzione del bene della vita (patrimonio, salute, immagine, ecc.) di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore o del danneggiante: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente o illecita; in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto (cfr. Cass. 5960/2005).

In adesione al principio ermeneutico basato sul concetto di danno – conseguenza in contrapposizione a quello di danno – evento ed escludendo l’ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, così da coincidere con l’evento, appare quindi evidente che la domanda risarcitoria deve essere provata, sia pure ricorrendo a presunzioni, sulla base di conferente allegazione: non si può invero provare ciò che non è stato oggetto di rituale ed adeguata allegazione (cfr. Cass. SU 26972/2008).

Nella specie, difettano la prova della condotta inadempiente o illegittima della convenuta e del danno patrimoniale sofferto, oltre che del nesso causale.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

visto l’art. 281-quinquies c.p.c.;

il Tribunale di Roma, definitivamente pronunziando sulle domande proposte con atto di citazione notificato in data 25/11/2014 dalla s.a.s. (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché da (…) e (…) avverso la (…) soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, contrariis reiectis:

RIGETTA le domande proposte dalla s.a.s. (…), nonché da (…) e (…) avverso la (…) soc. coop.;

CONDANNA gli attori al pagamento in favore della (…) soc. coop. delle spese processuali, che liquida in Euro 6.500,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma il 6 novembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.