Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata (o ente ospedaliero) ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal Servizio Sanitario Nazionale o da altro Ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personalemedico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’Ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto. Alla stregua di tale orientamento, dunque, oggetto della obbligazione non è solo la prestazione del medico, ma una prestazione complessa definita di “assistenza sanitaria”, fondata sul contratto atipico individuato in base allo schema della “locatio operis”, con obbligazione di risultato; unitario è il criterio della responsabilità, sia per la casa di cura privata che pubblica, non essendo possibile differenziare la responsabilità in base alla natura del soggetto danneggiante, trattandosi di violazioni che incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale dalla nostra Carta costituzionale, senza possibilità di limitazioni di responsabilità o differenze risarcitorie a seconda della diversa natura (pubblica o privata) della struttura sanitaria, in entrambi i casi, dunque, troveranno applicazione le norme civilistiche di cui agli artt. 1176, 1218 e 2236 c.c.; inoltre, è irrilevante, ai fini della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, lo status giuridico del medico in relazione alla struttura ospedaliera nella quale è stato eseguito l’intervento o la prestazione: in ogni caso questi, nel momento in cui effettua la prestazione all’interno della struttura sanitaria, è considerato quale ausiliario necessario, sia in presenza che in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, sussistendo comunque un collegamento tra la prestazione medica e l’organizzazione aziendale; tale collegamento permane anche se il sanitario risulti essere “di fiducia” del paziente.

Tribunale|Salerno|Sezione 2|Civile|Sentenza|22 agosto 2023| n. 3581

Data udienza 22 agosto 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI SALERNO

SEZIONE SECONDA CIVILE

SECONDA UNITA’OPERATIVA

In persona del Giudice Unico monocratico dott.sa Maria Stefania Picece ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 2756 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2019, trattenuta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti all’udienza cartolare del 24.01.23.

TRA

(…), C.F. (…) , nata in S. il (…), ivi residente al Viale dei M. L. n.1, rappresentata e difesa dall’avv. Ma.Ie. (C.F. (…) – (…)), giusta mandato a margine dell’atto introduttivo, elettivamente domiciliata presso lo studio legale sito in Salerno alla via (…), cap 84127.

ATTRICE

E

AZIENDA (…)”, in persona del legale rapp. te p.t., assistita e difesa dall’avv. Ev.An. (C.F. (…)), per mandato in atti e per deliberazione di incarico, elettivamente domiciliata presso l’Ufficio Avvocatura – Funzione Affari Legali – dell’Azienda (…) sita in S. alla Via S. L.; ai fini delle comunicazioni – ex art. 176 c.p.c. – si indicano i seguenti recapiti: fax: (…), ovvero all’indirizzo pec: (…)

CONVENUTA

AVENTE AD OGGETTO

Azione di risarcimento dei danni derivanti da responsabilità professionale medica.

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Con atto di citazione per l’udienza del 18.06.19, regolarmente notificato ed iscritto a ruolo, (…) conveniva, innanzi al Tribunale di Salerno, l’Azienda (…), nella qualità, per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni: “A) accertare che la responsabilità delle lesioni patite dall’attore sia imputabile alla errata diagnosi e prestazione medica del convenuto; B) per l’effetto, accertare il nesso causale tra danno patito dall’attore ed evento dannoso, ed il conseguente diritto dell’attore al risarcimento di tutti i danni patiti, id est danno biologico, invalidità temporanea totale e parziale, danno morale, danno esistenziale e danno patrimoniale, oltre che il rimborso delle spese di cura e danno per mancato consenso informato; C) conseguentemente, condannare il convenuto, in persona del legale rappresentante pro-tempore, al risarcimento dei predetti danni (biologico, invalidità temporanea totale e parziale, morale, esistenziale, patrimoniale e non patrimoniale, danno per mancato consenso informato) di valore indeterminabile, da quantificare in sede istruttoria in corso di causa, oltre interessi legali maturati e maturandi dal giorno del sinistro sino all’effettivo soddisfo; D)condannare il convenuto al pagamento di spese di giustizia, con attribuzione al sottoscritto avvocato che si dichiara antistatario”.

Esponeva in fatto l’attrice che: “1) che l’attore, in data 20.09.2007 l’attore si recava presso il presidio Ospedaliero convenuto in Salerno e veniva ricoverata alle ore 18.41, con diagnosi “frattura trimalleolare esposta, lussazione della caviglia esposta, ipertensione essenziale non specifica”, come da cartella clinica n. 27696/2007; 2) che l’attore veniva sottoposta ad un intervento chirurgico, ma detto intervento, però – peraltro senza “consenso informato” – veniva mal eseguito, determinando un danno biologico; 3) che, causa dell’evidente errore nella diagnosi e dell’esecuzione della giusta terapia da parte dei medici dell’Ospedale suddetto, l’istante pativa un danno biologico”.

Con comparsa depositata in cancelleria il 18.06.19 si è costituita l’Azienda (…) convenuta la quale allegava l’assenza di responsabilità e la mancanza di prova fra l’evento dannoso ed il comportamento dei sanitari, chiedendo il rigetto della domanda.

Il giudizio è stato istruito con l’acquisizione di documentazione varia, e con l’espletamento di consulenza medico legale sulla persona di (…).

All’udienza cartolare del 24.01.23 il giudizio è stato trattenuto in decisione previa assegnazione dei termini ex art. 190 per il deposito degli scritti conclusionali e di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda non è risultata sufficientemente fondata.

In ordine alla configurazione della responsabilità in capo alla struttura ospedaliera presso la quale fu sottoposta a cure sanitarie la parte attrice, nonché relativamente ai generali principi di diritto da applicarsi nel caso di specie, oggetto di approfondita analisi giurisprudenziale e dottrinale come evolutasi nel corso degli anni, si osserva quanto segue.

La Cassazione ha costantemente inquadrato la responsabilità dell’ente ospedaliero nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (v. per es. Cass. n. 5939/1993; Cass. n. 4152/1995; Cass. n. 7336/1998; Cass. n. 589/1999; Cass. n. 3492/2002; Cass. n. 11316/2003; Cass. n. 10297/2004, Cass. n.9085/2006).

A fondamento di detta responsabilità contrattuale, parte della giurisprudenza più risalente individuava un contratto avente il medesimo contenuto di quello stipulato con il professionista, pertanto un contratto d’opera professionale, con conseguente applicabilità del relativo regime (specialiter l’art.2236 c.c.).

Tale impostazione appariva, tuttavia, imprecisa (non ricorrendo in tale fattispecie il requisito della personalità proprio del contratto d’opera intellettuale) e comunque insufficiente a fotografare il complesso delle prestazioni alle quali è tenuta la struttura sanitaria per effetto del contratto con il paziente.

Ecco perché appare preferibile l’orientamento più recente della giurisprudenza (già in nuce in Cass., Sez. Un., n. 9556/2002), che pone a fondamento della responsabilità della struttura sanitaria la figura del contratto atipico c.d. di spedalità o di assistenza sanitaria.

Si è, in particolare, affermato che “Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata (o ente ospedaliero) ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal Servizio Sanitario Nazionale o da altro Ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personalemedico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’Ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto ” (Cass., n. 13066/2004; e negli stessi termini Cass. n. 2042/2005).

Alla stregua di tale orientamento, dunque, oggetto della obbligazione non è solo la prestazione del medico, ma una prestazione complessa definita di “assistenza sanitaria”, fondata sul contratto atipico individuato dalla sentenza Cassazione n. 13066/2004 in base allo schema della “locatio operis”, con obbligazione di risultato; unitario è il criterio della responsabilità, sia per la casa di cura privata che pubblica, non essendo possibile differenziare la responsabilità in base alla natura del soggetto danneggiante, trattandosi di violazioni che incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale dalla nostra Carta costituzionale, senza possibilità di limitazioni di responsabilità o differenze risarcitorie a seconda della diversa natura (pubblica o privata) della struttura sanitaria, in entrambi i casi, dunque, troveranno applicazione le norme civilistiche di cui agli artt. 1176, 1218 e 2236 c.c. ( cfr. Cass. n. 5939/1993 e negli stessi termini Cass. n. 4152/1995, Cass. n. 4058/2005); inoltre, è irrilevante, ai fini della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, lo status giuridico del medico in relazione alla struttura ospedaliera nella quale è stato eseguito l’intervento o la prestazione: in ogni caso questi, nel momento in cui effettua la prestazione all’interno della struttura sanitaria, è considerato quale ausiliario necessario, sia in presenza che in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, sussistendo comunque un collegamento tra la prestazione medica e l’organizzazione aziendale; tale collegamento permane anche se il sanitario risulti essere “di fiducia” del paziente (Cfr. in tal senso Cass. n. 10297/2004).

Acclarata la natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria, secondo l’orientamento attualmente prevalente, tale responsabilità si fonderà: sulla norma generale di cui all’art. 1218 c.c. per l’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico (responsabilità per fatto proprio); sulla previsione di cui all’art. 1228 c.c., per i fatti dolosi e colposi dei terzi (sanitari, personale paramedico, ausiliario etc.) di cui si avvale la struttura sanitaria nell’adempimento dell’obbligazione (c.d. responsabilità oggettiva per fatto altrui).

In quest’ultimo caso, peraltro, la responsabilità sarà configurabile solamente nel caso in cui sia accertata la colpa del sanitario (oltre che il nesso di causalità tra la condotta del sanitario e il danno al paziente).

Alla stregua di quanto evidenziato sopra, le obbligazioni a carico della struttura sanitaria possono sintetizzarsi in:

1) prestazioni di diagnosi, cura e assistenza postoperatoria;

2) prestazioni di tipo organizzativo relative anche alla sicurezza e manutenzione delle attrezzature e dei macchinari in dotazione;

3) vigilanza e custodia dei pazienti;

4) prestazione di natura alberghiera (vitto-riscaldamento-alloggio).

Viene così esaltata, dalla dottrina e giurisprudenza più recenti, l’affermazione di una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria:

– non solo collegata all’intervento diagnostico e/o terapeutico dei medici, e all’attività strumentale ed accessoria del personale ausiliario, paramedico etc.;

– ma anche direttamente imputabile alla stessa struttura nel complesso, per i danni provocati dalla insufficiente organizzazione o dalla inefficienza dei servizi e delle attrezzature.

In definitiva, l’attività del medico all’interno della struttura sanitaria non è che un segmento della più complessa prestazione richiesta all’Ente e può, quindi, sussistere una responsabilità della struttura sanitaria anche in mancanza di responsabilità del personale sanitario.

In termini più chiari, la struttura sanitaria risponderà del danno da disorganizzazione nell’ipotesi di violazione dell’obbligo accessorio, connesso alla prestazione principale, di non recare danno ingiusto al paziente per omissione di diligenza nel predisporre gli strumenti necessari all’esatto adempimento della prestazione sanitaria ex artt. 1175 e 1375 cod. civ.

Omologate le responsabilità della struttura sanitaria e del medico come responsabilità entrambe di natura contrattuale, si elidono per il paziente le differenze di regime giuridico a seconda che agisca nei confronti dell’ente ospedaliero o del medico dipendente: e ciò, in particolare, sia ai fini della rilevanza del grado della colpa (ex art. 1176, comma 2 in combinato disposto con l’art. 1218 c.c., nonché ex art. 2236 c.c.), di cui si è detto, che della ripartizione dell’onere probatorio.

In ordine a quest’ultimo profilo, è possibile distinguere due tappe fondamentali dell’evoluzione giurisprudenziale: ante e post intervento delle Sezioni Unite con la sentenza n. 13533/2001.

L’orientamento tradizionale della giurisprudenza, non poco criticato dalla dottrina, muovendo dalla considerazione che l’obbligazione del sanitario (e corrispondentemente della struttura sanitaria), in quanto professionale, è obbligazione di mezzi, differenzia il regime probatorio di queste ultime (artt. 1176, comma 2 e 2236 c.c.) rispetto a quello ordinario previsto dall’art. 1218 c.c. (riferibile, secondo tale tesi, alle sole obbligazioni di risultato).

In definitiva, mentre ai sensi dell’art.1218 c.c. sul creditore incombe l’onere di provare il titolo (contratto) dal quale scaturisce l’obbligazione e la scadenza del termine (se previsto) per l’adempimento, limitandosi ad allegare l’inadempimento (gravando ex adverso sul debitore l’onere della prova del fatto estintivo dell’obbligazione: adempimento o impossibilità sopravvenuta della prestazione); nel caso di obbligazioni di mezzi, il creditore è altresì tenuto a provare l’inesatto adempimento.

Tale onere subisce, tuttavia, un temperamento nel caso di interventi operatori di routine o comunque di non difficile esecuzione ai quali consegua un risultato (inaspettatamente) peggiorativo delle condizioni finali del paziente.

In tali casi, infatti, la Cassazione ha più volte affermato che “la dimostrazione da parte del paziente dell’aggravamento della sua situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie è idonea a fondare una presunzione semplice in ordine all’inadeguata o negligente prestazione, spettando all’obbligato fornire la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile” (Cass. n. 6141/1978; Cass. n. 6220/1988; Cass. n. 3492/2002).

Più specificamente, l’onere della prova è stato ripartito tra le parti nel senso che:

– spetta al medico provare che il caso è di particolare difficoltà e al paziente l’inesatto adempimento del medico, ovvero le modalità di negligente esecuzione dell’intervento;

– ovvero spetta al paziente provare che si tratta di un intervento di routine o comunque di facile esecuzione dal quale è derivato un esito peggiorativo e al medico fornire la prova liberatoria dell’esatto adempimento o dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione (sub specie di mancanza di colpa: cfr. su tutte Cass. n. 4852/1999 e Cass. n. 1127/1998).

In quest’ultimo caso, alcuna parte della dottrina ha parlato di metamorfosi dell’obbligazione di mezzi in obbligazione di (quasi) risultato, anche al fine di sconfessare l’utilità della stessa distinzione tra i due tipi di obbligazione. Altra parte (e con essa la giurisprudenza prevalente), in modo più cauto, ha invece precisato che non si verifica alcuna metamorfosi sul piano sostanziale, ma opera più semplicemente sul piano processuale il principio res ipsa loquitur: vale a dire una presunzione relativa di responsabilità in tutti i casi in cui l’operato del medico presenti aspetti tali da rendere giuridicamente presumibile una negligenza professionale.

I risultati sopra riassunti sono stati riletti da una giurisprudenza più recente (specialiter Cass. nn. 10297, 11488 e 9471 del 2004), alla luce del principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite con la sentenza 30.10.01, n. 13533, in tema di onere della prova dell’inadempimento e dell’inesatto adempimento. Le Sezioni Unite, nel risolvere un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici, hanno enunciato il principio, secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento.

Analogo principio è stato enunciato con riguardo all’inesatto adempimento, rilevando che al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto, adempimento.

Applicando detti principi alla responsabilità professionale del medico, la Cassazione inaugura un nuovo orientamento, secondo il quale “il paziente che agisce in giudizio deducendo deve provare il contratto e allegare l’inadempimento del sanitario restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento” (Cass. n.10297/2004 e Cass. n.9085/2006).

Più precisamente, il paziente dovrà provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, restando a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.

“La distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non rileva dunque più quale criterio di distribuzione dell’onere della prova, ma dovrà essere apprezzata per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando comunque a caricodel sanitario la prova che la prestazione era di particolare difficoltà” (Cass. n. 10297/2004).

Tali conclusioni, del resto, appaiono pienamente coerenti con i principi tradizionalmente posti alla base del riparto dell’onere probatorio:

– il principio di c.d. persistenza del diritto in capo al creditore, gravando sul debitore la prova contraria della sua estinzione;

– e di c.d. vicinanza o riferibilità della prova, inteso come apprezzamento dell’effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla.

Significativo è, con riferimento a quest’ultimo principio, il ragionamento di Cass. 21.0.04, n. 11488, la quale afferma che “la prova dell’incolpevolezza dell’inadempimento (ossia della impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore) e della diligenza nell’adempimento è sempre riferibile alla sfera d’azione del debitore, in misura tanto più marcata quanto più l’esecuzione della prestazione consista nell’applicazione di regole tecniche, sconosciute al creditore in quanto estranee al bagaglio della comune esperienza e specificamente proprie di quello del debitore”.

E ancora, se nell’obbligazione di mezzi l’oggetto della prestazione è un comportamento diligente e, specularmente, l’inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell’esecuzione della prestazione, “non vi è dubbio che la prova sia vicina a chi ha eseguito la prestazione, tanto più che trattandosi di obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell’inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività alla quale il debitore è tenuto” (Cass. n. 10297/2004 cit.).

Quindi, per il principio di vicinanza della prova, compete al medico, che è in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore nonché del bagaglio conoscitivo necessario, provare l’esatto adempimento o l’incolpevole inadempimento.

Con la precisazione, peraltro, che la prova cui è tenuto il medico (e la struttura sanitaria) dell’assenza di colpa non va intesa come “prova negativa”, bensì come prova positiva del fatto contrario (ovvero che la prestazione è stata eseguita diligentemente).

Pertanto, la trasposizione della sentenza delle Sezioni Unite del 2001 si è tradotta in un ribaltamento dell’onere della prova in punto di inadempimento, essendo il creditore-paziente tenuto solo ad allegarlo.

Il nesso causale, al di là e prima di qualsivoglia analisi di prevedibilità/evitabilità soggettiva, è, puramente e semplicemente, la relazione esterna intercorrente tra comportamento ed evento, svincolata da qualsivoglia giudizio di prevedibilità soggettiva: la rigorosa oggettivazione del concetto di eziologia dell’evento consente di tenere irrinunciabilmente distinti i due piani di analisi strutturale dell’illecito, fungendo la colpa come limite alla oggettiva affermazione della responsabilità una volta accertata la relazione causale tra la condotta e l’evento.

Quanto al riparto dell’onus probandi, con specifico riferimento alla responsabilità medica, si afferma che: il positivo accertamento del nesso di causalità deve formare oggetto di prova da parte del danneggiato-paziente, in quanto elemento costitutivo della domanda risarcitoria; la colpa medica, alla luce dell’orientamento ormai ampiamente condiviso, deve solo essere allegata dal paziente, gravando ex adverso sul medico la prova liberatoria dell’assenza della stessa (si v. anche Cassazione civile sez. III 12/09/2013 n. 20904: “Allorquando la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale (o da “contatto”),la distribuzione, “inter partes”, dell’onere probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo. Ne consegue che, per il paziente/danneggiato, l’onere probatorio in ordine alla ricorrenza del nesso di causalità materiale – quando l’impegno curativo sia stato assunto senza particolari limitazioni circa la sua funzionalizzazione a risolvere il problema che egli presentava – si sostanzia nella prova che l’esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno, rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta la prestazione, o dal suo aggravamento, fino ad esiti finali costituiti dall’insorgenza di una nuova patologia o dal decesso del paziente “).

Tanto premesso, deve rilevarsi che – nel caso di specie – non è stata sufficientemente raggiunta la prova dell’inadempimento della struttura sanitaria convenuta, nel senso che – come accertato dal consulente medico legale nominato dal Tribunale – l’intervento chirurgico eseguito sulla paziente, attuale parte attrice, non ha causato alcun danno di matrice iatrogena.

Così, testualmente, il (…) dott. (…): “Indicazione assoluta al trattamento chirurgico sono le fratture scomposte e con incongruenza articolare, con distruzione della porzione metafisaria tibiale e deviazione assiale (come nel caso in esame …). Scopo del trattamento chirurgico è il ripristino della superficie articolare assicurando contemporaneamente una stabilità che consenta il movimento precoce, usando tecniche che minimizzano la vascolarizzazione ossea e dei tessuti molli. Le tecniche chirurgiche più comunemente in uso per le fratture distali di tibia instabili prevedono incisioni anche estese, con ulteriori lesioni del microcircolo locale e l’utilizzo anche di “grandi” placche. Da ciò, si evince che, nel caso in argomento, il trattamento degli ortopedici è stato appropriato. L’eccessiva instabilità della frattura avrebbe comportato ulteriori danni a causa della mobilità dei frammenti ossei. Tale considerazione ha obbligato gli ortopedici a praticare una precoce stabilizzazione con placca e viti. Non si individuano, pertanto, profili, omissivi e/o commissivi, di responsabilità professionale in capo agli ortopedici dell’A.S. che hanno attuato, nei tempi e nei modi previsti, secondo l’ars medica, il protocollo diagnostico e terapeutico per casi del genere (frattura-lussazione pluriframmentaria scompostadel pilone tibiale). Le attuali sequele invalidanti della Sig.ra (…) rappresentano una “evolutio” normale del quadro lesionale “ab initio” e sono ascrivibili e correlabili esclusivamente all’evento traumatico del 20/09/2007. Pertanto non sono ravvisabili profili di responsabilità professionale a carico degli operatori sanitari (ortopedici) dell'(…) e, in concorso, della stessa struttura sanitaria”.

La domanda va – dunque – rigettata.

Le spese possono essere compensate attesa la controvertibilità in fatto della questione sottoposta al vaglio del giudicante e la non manifesta infondatezza della domanda; le spese di (…), come liquidate in separato decreto, rimangono a definitivo carico della parte attrice.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando:

– Rigetta la domanda.

– Compensa integralmente le spese di lite; pone a definitivo carico di (…) le spese di (…) come liquidate in separato decreto.

Così deciso in Salerno il 22 agosto 2023.

Depositata in Cancelleria il 22 agosto 2023.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.