Il contratto atipico di vitalizio improprio o assistenziale si differenzia dalla donazione per l’elemento dell’aleatorietà, essendo caratterizzato dall’incertezza obiettiva iniziale circa la durata di vita del beneficiario e il conseguente rapporto tra valore complessivo delle prestazioni dovute dall’obbligato e valore del cespite patrimoniale cedutogli in corrispettivo. Ne consegue che l’originaria macroscopica sproporzione del valore del cespite rispetto al minor valore delle prestazioni fa presumere lo spirito di liberalità tipico della donazione, eventualmente gravata da modus. Al riguardo, si osserva che, per costante giurisprudenza, il contratto con il quale una parte, dietro corrispettivo della cessione di un immobile, si obbliga, anche per i propri eredi e aventi causa, a prestare all’altra, per tutta la durata della vita, una completa assistenza materiale e morale, provvedendo ad ogni sua esigenza, integra un negozio atipico qualificabile come vitalizio improprio o assistenziale. Detto contratto è caratterizzato: dall’aleatorietà, che può essere accertata comparando le prestazioni dedotte sulla base di dati omogenei, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento alla data di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, a detta epoca, della durata della vita e delle esigenze assistenziali del vitaliziato; dall’infungibilità di quanto pattuito, intesa come insostituibilità con una somma in denaro ed incoercibilità; dalla non patrimonialità, dovuta all’elemento di fiduciarietà che informa la scelta dell’obbligato e all’incertezza derivante dalla variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto allo stato di bisogno del beneficiario. La differenza fra il contratto de quo ed una donazione va apprezzata, soprattutto, avendo riguardo all’elemento dell’aleatorietà, poiché il vitalizio assistenziale è caratterizzato dall’incertezza obiettiva iniziale in ordine alla durata di vita del beneficiario e dalla correlativa eguale incertezza del rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dall’obbligato ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio, potendosi, peraltro, ritenere presuntivamente sussistere lo spirito di liberalità, tipico della donazione, proprio tramite la verifica della originaria sproporzione tra le prestazioni.

Tribunale|Trani|Civile|Sentenza|1 giugno 2023| n. 908

Data udienza 16 maggio 2023

Il Tribunale di Trani, sez. civile, riunito in camera di Consiglio nelle persone dei magistrati:

– dott. Giuseppe Rana – presidente

– dott.ssa Laura Cantore – giudice

– dott.ssa Maria Anna Altamura – giudice rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA PARZIALE

nella controversia, iscritta al n. …/2018 R.G.A.C.,

TRA

F.G., F.C., F.R., P.G. e P..M.S., rappresentati e difesi, come in atti, dall’avv….;

– ATTORI –

E

F.D., rappresentato e difeso, come in atti, dall’avv. …e dall’avv….;

– CONVENUTO –

Svolgimento del processo

F.G., F.R. e F.C., quali figli della de cuius D.M., vedova di F.R., e P.G. e P.A.S., quali nipoti della de cuius, in quanto figli della figlia premorta F.A., convenivano in giudizio dinanzi a questo Tribunale F.D., altro figlio della D., nominato erede universale dalla genitrice con testamento pubblico del 13.4.2010. Essendo stati totalmente pretermessi dalle disposizioni testamentarie della D., nata a B. il 9.8.1931, già ivi residente e deceduta in Bari il 26.12.2017, proponevano azione di riduzione, al fine di far accertare la loro qualità di eredi necessari (i germani P. in via di rappresentazione), unitamente al convenuto e vedersi attribuita la loro quota di eredità spettante per legge.

Una volta riconosciuta la qualità di eredi, gli attori chiedevano, infatti, lo scioglimento della comunione ereditaria, previo accertamento della invalidità degli atti dispositivi compiuti in vita dalla de cuius o declaratoria di indegnità dell’erede universale nominato, ai sensi dell’art. 463, n. 4, c.c.. Assumevano che i testamenti redatti dalla D.M. erano frutto di inganni e rappresentazioni fittizie della realtà indotti da F.D., al fine di fuorviare la volontà della genitrice a discapito degli altri coeredi.

Aggiungevano che la de cuius aveva effettuato donazioni a favore del solo figlio D., da dichiararsi nulle; riferivano, in particolare, che in più tranche fossero state prelevate somme dal conto cointestato tra la D. e il coniuge, in denaro contante o con assegni “a me medesimo” per Euro 400.000,00, che gli attori ritenevano essere state poi riversate dalla madre al figlio D., giacché la de cuius aveva risorse economiche tali da consentirle una vita dignitosa e, pertanto, non aveva nessun altro motivo per effettuare prelevamenti di rilevantissimi importi, se non quello di donare il denaro al figlio D..

Impugnavano anche il contratto vitalizio stipulato dalla D. con il figlio D. per atto del notaio dott.ssa F.P.N. del 22.9.2009, perché nullo per difetto di causa, in assenza del requisito della aleatorietà, oltre che per la sproporzione tra il valore dei beni ceduti, pari a Euro 710.900,00, rispetto alle presumibili esigenze della vitalizianda, in considerazione anche della sua età al momento della stipula del contratto. Assumevano, comunque, trattarsi, di una donazione di immobili, per cui una gran parte dei beni donati (non tutti) dovevano confluire nel patrimonio relitto.

Così nel relictum reputavano dovessero essere considerati Euro 400.000,00 circa quale importo donato in denaro in favore del figlio D., Euro 710.900,00 quale valore dei beni oggetto del contratto di vitalizio del 22.9.2009, Euro 752.484,73 quale quota spettante alla de cuius della eredità del coniuge F.R. (in relazione alla quale pendeva altro procedimento previamente iscritto dinanzi a questo Tribunale), Euro 20.000,00 circa (salvo miglior conteggio) pari alla sua quota delle somme esistenti sui c/c n.(…) e (…) accesi presso la B.A. (ora I.S.P. S.P.A.) e la B.C., filiali di B..

Concludevano, pertanto, chiedendo dichiararsi che D.M. non aveva rispettato il disposto delle norme in tema di successione necessaria e, per l’effetto, accogliersi l’azione di riduzione, così riconoscendo gli attori eredi legittimari della de cuius, aventi diritto alla quota di eredità prevista dagli artt. 536 e segg. c.c., con contestuale riduzione delle disposizioni testamentarie della de cuius nella parte in cui gli istanti venivano pretermessi e veniva nominato erede universale il solo convenuto; accolta l’azione di riduzione, accertata la qualità di eredi degli attori e dichiarata aperta la successione della D.M., conseguentemente e subordinatamente all’accoglimento dell’azione di riduzione, procedersi alla divisione dei beni relitti dalla de cuius, previo accertamento della entità dell’asse ereditario; accertata la nullità del contratto di vitalizio, stipulato in data 22.9.2009 dalla de cuius con il convenuto, dichiararsi, conseguentemente, che tutti i beni che con quell’atto erano trasferiti al convenuto concorrono nella formazione del relictum; in via subordinata, ove il contratto di vitalizio non fosse ritenuto nullo, ma fosse ritenuto costituire una donazione, parimenti dichiarare detto bene facente parte della massa ereditaria sia pure in ragione delle norme della successione necessaria; dichiararsi, poi, nulle per difetto forma le donazioni effettuate dalla D. in favore del figlio D., mediante prelievi di denaro dal conto B.C., ovvero, ove non dichiarate nulle, dichiararsi che costituiscono donazioni indirette e, conseguentemente, che compresa nell’asse ereditario è anche la somma di Euro 400.000,00 prelevata dalla D.; dichiararsi che fa parte dell’asse ereditario anche la quota spettante alla de cuius della eredità del defunto F.R., nonché le somme giacenti sui conti della D..

Determinato il valore del relictum, domandavano attribuirsi agli attori le quote di loro pertinenza secondo legge e secondo gli accertamenti peritali, previa declaratoria di indegnità dell’erede universale F.D..

Instaurato il contraddittorio si costituiva il convenuto, assumendo di non aver mai indotto la madre a disporre per testamento in proprio favore e che, comunque, le circostanze ex adverso allegate a sostegno della domanda di indegnità a succedere non concretassero le ipotesi di cui all’art. 463, comma 4, c.c.. Spiegava in via riconvenzionale domanda di indegnità a succedere dei germani G., R. e C., per le condotte agite nei confronti della mamma, come da procedimento penale conclusosi con mera pronuncia di prescrizione del reato. Ove accolta la domanda di riduzione, specificava che l’asse ereditario fosse costituito solo dalla quota parte dell’eredità del coniuge F.R., per la cui determinazione pendeva altro giudizio, a cui aggiungersi solo eventuali somme presenti sui conti correnti. Su tali somme poteva disporsi lo scioglimento della comunione ereditaria, salvo il riconoscimento al convenuto della quota disponibile.

Ove accertate eventuali donazioni a favore del figlio D., affermava che le stesse dovessero essere poste in collazione e non essere dichiarate nulle. Ribadiva la validità del contratto di vitalizio, considerando le necessità economiche, morali e assistenziali della D.. Ove ritenuto il contratto vitalizio quale donazione, anche questo dovesse essere posto in collazione.

Il fascicolo era rimesso ex art. 274 c.p.c. al Presidente della Sezione Civile per la valutazione della riunione a quello previamente iscritto sub n. (…) r.g. avente ad oggetto la divisione dei beni relitti da F.R. coniuge della D., della cui successione si discorre nel presente giudizio, costituita dalla quota parte dei beni pervenuti dal coniuge; il Presidente del Tribunale riteneva la sussistenza dei presupposti per la riunione dei due giudizi, ma il giudice titolare del fascicolo di più remota iscrizione reputava di non procedere alla riunione e rimetteva il fascicolo alla scrivente (il Presidente della Sezione Civile a cui era rimesso il fascicolo, procedeva alla formale riassegnazione dello stesso).

La causa era così istruita con la assunzione dell’interrogatorio formale deferito dagli attori al convenuto e con la disposizione di una consulenza tecnica di ufficio per la stima del valore dei beni oggetto del contratto di vitalizio.

Fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni in modalità cartolare, le parti depositavano note scritte, così, all’udienza del 16.1.2023 la causa era trattenuta alla decisione del Tribunale in composizione collegiale con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di memorie conclusionali e di replica. Il fascicolo era rimesso al giudice relatore il 12.4.2023.

Motivi della decisione

Preliminarmente, si osserva che la presente causa rientra nell’ipotesi prevista dal primo comma n. 6 (riduzione per lesione di legittima) dell’art. 50 bis c.p.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, e come tale è riservata alla decisione del Tribunale in composizione collegiale.

azione di riduzione avverso le disposizioni testamentarie della de cuius.

Orbene, gli attori lamentano che la de cuius D.M. aveva disposto per testamento a favore del solo figlio D., istituendolo erede universale. Sulla base di tale presupposto hanno proposto azione di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della propria posizione di legittimari.

In punto di diritto, si osserva che l’azione di riduzione è quello strumento che viene concesso ai legittimari per ottenere la reintegrazione della quota di riserva, mediante la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni eccedenti la quota di cui il testatore poteva disporre.

In punto di fatto, non è controverso che con la disposizione testamentaria di cui al testamento pubblico del 13.4.2010, di analogo contenuto di quello precedente del 22.9.2009, con cui D.M. istituì erede universale il convenuto F.D., è stata lesa la quota di legittima dei suoi figli F.G., F.R. e F.C., nonché di P.G. e P.A.S., nipoti della de cuius, quali figli della figlia premorta F.A., totalmente pretermessi.

Invero, in ossequio al principio di intangibilità quantitativa della legittima, a tutela dell’interesse generale alla solidarietà familiare, l’ordinamento giuridico prevede, con disposizioni che hanno carattere inderogabile, che i più stretti congiunti del de cuius abbiano il diritto di ottenere, anche contro la volontà del defunto ed in contrasto con gli atti di disposizioni dallo stesso posti in essere, una quota di valore del patrimonio ereditario e dei beni donati in vita dal defunto stesso (c.d. diritto di legittima o di riserva).

La legge configura così una “successione necessaria”, in forza della quale le disposizioni del defunto lesive della “quota di legittima”, pur non essendo invalide (nulle o annullabili), sono, tuttavia, soggette a riduzione, sono cioè suscettibili, su domanda del legittimario leso (c.d. azione di riduzione), di essere private della loro efficacia giuridica nella misura necessaria e sufficiente a reintegrare il diritto del legittimario.

In tal senso, l’azione di riduzione, di cui all’art. 557 c.c., si distingue dalle azioni dirette ad impugnare il testamento o le donazioni per vizi di volontà o di forma e si configura propriamente come un’azione a carattere costitutivo, con la quale il legittimario, leso nel suo diritto di legittima dalle disposizioni testamentarie o dagli atti di donazione posti in essere dal de cuius, può ottenere la pronuncia di inefficacia, nei suoi confronti, delle disposizioni del defunto lesive della sua quota di riserva.

Il legittimario, quando sia stato interamente pretermesso dal testatore, non ha la posizione di chiamato all’eredità; tuttavia, egli, a seguito dell’esercizio dell’azione di riduzione, acquista la qualità di erede, conseguendo perciò una quota dell’eredità.

La legge non riserva ai legittimari tutta l’eredità, ma riserva loro solo una quota o frazione di essa (c.d. quota di riserva), consentendo che la restante parte (c.d. quota disponibile) possa mantenere la destinazione voluta dal de cuius.

La domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie della D., come proposta dagli attori, merita accoglimento.

Gli attori hanno allegato in giudizio la propria qualità di legittimari (quali figli della de cuius e, con riferimento ai germani P., nipoti della stessa, che succedono in via di rappresentazione ex art. 467 c.c.), la lesione totale della quota riservata loro dalla legge, l’atto dispositivo mortis causa (testamento pubblico per notar dott.ssa F.P.N.) che tale lesione ha concretato ed il relativo beneficiario, nella persona del convenuto.

Ciò posto, va dichiarata aperta la successione di D.M. e riconosciuta, in accoglimento della domanda di riduzione, la qualità di eredi degli attori gli uni, F.G., F.R. e F.C., figli della de cuius, gli altri, P.G. e P.A.S., nipoti della de cuius, eredi per rappresentazione, in quanto figli della figlia premorta F.A..

Nel caso di specie, tra le parti trova applicazione la disposizione dell’art. 537, comma 2, c.c. che, nel concorso di più figli, individua in 2/3 del patrimonio del defunto la quota riservata ai figli, da dividersi tra tutti in parti uguali (ai germani P. spetta la quota che sarebbe spettata alla loro madre) e nel restante terzo la quota disponibile.

Orbene, poiché nella fattispecie de qua la de cuius istituì il convenuto P.D. come erede universale, pretermettendo gli altri figli, occorre procedere a ridurre le disposizioni testamentarie ai sensi dell’art. 554 c.c., dichiarando inefficace in parte qua il testamento perché lesivo della quota di riserva spettante agli attori.

reciproche domande di indegnità a succedere ex art. 463, n. 4, c.c.

Non meritevoli di accoglimento sono, invece, le reciproche domande di indegnità a succedere formulate dagli attori nei confronti del convenuto e da quest’ultimo nei confronti di F.G., F.C. e F.R..

Con riferimento alla domanda formulata dagli attori, si osserva che “la dichiarazione d’indegnità a succedere, ai sensi dell’art. 463, n. 4), cod. civ., per captazione della volontà testamentaria, richiede la dimostrazione dell’uso, da parte sua, di mezzi fraudolenti tali da trarre in inganno il testatore, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26258 del 30.10.2008).

Come argomentato anche nella memoria di replica, gli attori sostengono che F.D. avesse captato la volontà testamentaria della madre sulla base della dichiarazione resa nel procedimento penale a carico di F.G., F.C. e F.R. per maltrattamenti nei confronti della D. dalla teste L.L., che nel corso del dibattimento ritrattava quanto riferito alla Polizia di Stato, affermando ” … quello che ho dichiarato non è vero perché me l’hanno detto loro … … oggi non posso dire la bugia … io quando l’ho detto, era per aiutarla perché lei piangeva. È anziana, aveva paura e così l’ho fatto”.

Orbene, la dichiarazione non è affatto indicativa di violenza o mezzi fraudolenti usati dal F.D. per trarre in inganno la testatrice. La teste nulla riferiva in merito a condotte di F.D. e non è possibile desumere dalla allegazione di parte attrice che la de cuius avesse contatti solo con il figlio D., che fosse quest’ultimo ad aver incusso timore nella madre. Si tratta di una deduzione priva di riscontri oggettivi. Gli stessi attori discorrono di una “prova (sia pure indiretta ed atipica)”, non idonea secondo l’insegnamento della Corte di legittimità a suffragare una domanda di indegnità, che richiede una prova, seppur presuntiva, che sia fondata su fatti certi.

Non vi è prova che sia stato il convenuto a indurre la madre a ritenere che i figli, odierni attori, avessero costretto il coniuge a sottoscrivere un preliminare di vendita e/o permuta ovvero a denunciare il figli, ovvero ancora che sia stato il convenuto ad ostacolare le visite dei figli nei confronti del padre F.R., coniuge della D.. Così come risulta dal decreto del G.T., trattasi di circostanza allegata nel procedimento per la apertura di amministrazione di sostegno a favore del F.R., dai figli odierni attori, dunque, di una circostanza priva di riscontro probatorio e basata su dichiarazioni della stessa parte che la invoca nel presente giudizio a supporto dei propri assunti.

“In tema di impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, per potere configurarne la sussistenza non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti, i quali – avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano, di identificare e ricostruire la attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14011 del 28.5.2008, conf. da Sez. 2 -, Sentenza n. 4653 del 28.2.2018).

Ancora, “in tema di impugnazione della disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore, non potendosi tale prova desumere unicamente dal fatto che il beneficiario (nella specie, figlio del testatore) convivesse col de cuius” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 824 del 16.1.2014).

Allo stesso modo non meritevole di accoglimento è la domanda riconvenzionale del convenuto di dichiararsi indegni a succedere nei confronti della D. i figli F.G., F.C. e F.R., sempre ai sensi dell’art. 463, n. 4, c.c.; la norma prevede che “è escluso dalla successione come indegno chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l’ha impedita”. In assenza del fatto materiale della revoca o del mutamento del precedente testamento, manca proprio l’elemento della fattispecie che consentirebbe di porre a carico degli attori la sanzione civile con funzione essenzialmente afflittiva che è la dichiarazione di indegnità a succedere. Non è, infatti, sufficiente, come invece ritenuto nella comparsa conclusionale dal convenuto, un assunto intento doloso, persecutorio e fraudolento posto in essere dagli attori in danno della madre, che, se pure fosse stato dimostrato in giudizio, non essendosi tradotto effettivamente in una induzione a modificare le proprie volontà testamentarie, non avrebbe potuto essere sussunto nella fattispecie di cui all’art. 463, n. 4, c.c..

I casi di indegnità sono, infatti, tassativamente contemplati dalla legge, come conferma la giurisprudenza; già nella remota pronuncia della Corte di legittimità, Sez. 2, Sentenza n. 314 del 25.3.1946, non disattesa da successive pronunce difformi, si affermava che “i casi di indegnità a succedere sono tassativamente stabiliti dalla legge, che non è suscettibile di interpretazione estensiva”.

domanda di nullità delle donazioni in denaro a favore del convenuto

Ancora non merita accoglimento la domanda di nullità delle donazioni in denaro effettuate dalla D. a favore di F.D., perché manca la dimostrazione in giudizio che effettivamente la madre abbia donato al figlio quelle

somme di denaro, prelevate dal conto cointestato con il coniuge.

Vi è documentazioni in atti che dimostra prelievi in contanti o con assegni a sé medesimo da parte della de cuius, ma non si è dimostrato che tali somme siano state, poi, corrisposte dalla D. al convenuto. F.D. ha negato, nell’interrogatorio formale deferitogli ed assunto alla udienza del 14.7.2021, di aver ricevuto dalla madre elargizioni in denaro. Esplorative sarebbero state le richieste indagini tributarie sulla destinazione dei prelievi di somme da parte della de cuius, così come la C.T.U. contabile sollecitata nell’atto introduttivo, su cui, comunque, parte attrice non ha insistito.

Gli attori hanno meramente affermato che il prelievo della ingente somma in contanti fosse sintomatica “dell’intento della D.M.”, rimettendo al Tribunale la valutazione “se il prelievo poteva avere una diversa giustificazione rispetto alla volontà di donare la somma prelevata”.

A livello generale, la donazione diretta viene definita all’art. 769 c.c. come: “il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione”. Due sono, dunque, gli elementi costitutivi propri della donazione diretta, ossia l’elemento oggettivo, consistente nell’arricchimento del beneficiario, e l’elemento soggettivo, consistente nello spirito di liberalità (animus donandi) del benefattore. Nel caso di specie manca la prova dell’elemento oggettivo, ovvero del trasferimento delle somme dalla D. al figlio D., con impoverimento dell’una e arricchimento dell’altro. Nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c. gli attori discorrevano di “prelievi di svariate centinaia di migliaia di Euro la cui sorte non è dato di conoscere”.

Alla dimostrazione della effettiva attribuzione di denaro, in via diretta o indiretta, non può sopperirsi con la generica asserzione della mancanza di diversa giustificazione del prelievo di somme ingenti da parte della D., come assunto dagli attori. Come correttamente argomentato dal convenuto nella comparsa conclusionale “nessuna prova è stata fornita dagli attori in corso di giudizio. Solo semplici supposizioni sulla base di prelievi di denaro effettuati dalla sig.ra D. astrattamente elargibile a chiunque”.

Non provato è l’uso della carta bancomat associata al conto cointestato ai genitori per effettuare prelievi da parte di F.D. (nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., argomentavano gli attori “Chi è andato ad effettuare l’operazione presso l’apparecchio bancomat?”, ma nessuna istanza probatoria articolavano sul punto); non allegata prima della comparsa conclusionale e non provata è la circostanza addotta dagli attori che i prelevamenti erano stati effettuati direttamente “per il tramite della delega ad operare sul conto cointestato alla D.M. e al F.R.”; gli attori, oltre a riferire nella stessa comparsa conclusionale, in pagine successive, che il prelievo era “effettuato personalmente dalla D.M. presso la Filiale della B.C.”, nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. articolavano il capitolo di prova per l’interrogatorio formale deferito a F.D. nei seguenti termini “Vero che ha ricevuto dalla D.M. in più riprese la complessiva somma di oltre Euro.360.000,00 prelevata da essa D. dal conto C. e di cui alla documentazione prodotta da parte attrice”.

Sempre nella comparsa conclusionale gli attori introducevano la diversa nuova circostanza, non prima tempestivamente allegata, non provata e che neppure avevano chiesto di provare, che F.D. accompagnava la D. in banca per effettuare i prelievi ovvero che fosse stato il F.D. a negoziare e incassare gli assegni firmati dalla D..

La documentazione bancaria prodotta reca la firma, in calce alle distinte delle operazioni in contanti, di D.M., per cui proprio i documenti prodotti in giudizio dagli attori smentiscono le loro affermazioni. Inoltre, dalle copie prodotte risulta che gli assegni erano negoziati dalla stessa D., che firmava sul retro per quietanza.

domanda di nullità del contratto vitalizio del 22.9.2009

Occorre ora valutare la domanda formulata dagli attori in merito al contratto vitalizio stipulato dalla de cuius con F.D. il 22.9.2009 per atto del notaio dott.ssa F.P.N..

Gli attori hanno proposto domanda di nullità del contratto, per mancanza di causa, perché assente era l’alea del contratto. Nell’atto introduttivo riferivano che la disponente aveva 78 anni all’epoca di conclusione del contratto ed era affetta da una malattia che “sia pure dopo circa otto anni”, la avrebbe portata alla morte. Aggiungevano che non avesse necessità economiche e/o assistenziali, disponendo di proprie rendite, che giustificassero tale attribuzione di beni di valore sproporzionato rispetto alle presumibili e prevedibili esigenze della vitalizianda.

Come osservato dal convenuto nella comparsa di costituzione, nessuna specifica malattia da cui era affetta la D. veniva indicata dagli attori nell’atto di citazione; neppure con le memorie istruttorie nulla era specificato, tanto che il G.I. con ordinanza dell’11.5.2021 osservava che “Esplorativa, anche in mancanza di documentazione medica e di allegazione delle patologie di cui era affetta la D., è la richiesta di C.T.U. medica sulla situazione di salute della disponente”. Solo con la memoria di replica ex art. 190 c.p.c. gli attori adducono che la D. era affetta da una patologia di natura ematologica, ma non vi è prova che trattavasi di una malattia talmente grave da essere mortale (anche tenendo conto che, come detto, il decesso della de cuius interveniva dopo otto anni).

Sul punto occorre richiamare la motivazione di una recentissima sentenza della Corte di Appello di Bari in cui si legge:

“A giudizio del Tribunale, le condizioni precarie anche per l’età avanzata delle germane omissis, non consentivano di prevederne la morte nel volgere di pochi mesi, tanto che la omissis è morta a distanza di anni dalla conclusione del contratto in questione. Né parte attrice aveva dato la prova del nesso causale tra il decesso delle omissis e le patologie di cui le medesime erano affette al momento della stipula del contratto di mantenimento. Questa Corte condivide la pronuncia del Tribunale anche alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità a mente della quale “il contratto è nullo per mancanza di alea ove, al momento della sua conclusione, il beneficiario sia affetto da malattia che, per natura e gravità, renda estremamente probabile un esito letale e ne provochi la morte dopo breve tempo o abbia un’età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere oltre un arco di tempo determinabile” (Cass. civ., II sez., ordinanza del 27.10.2017, n.25624).

L’aleatorietà postula, pertanto, un giudizio di presumibile equivalenza (o di palese sproporzione) da impostarsi con riferimento al momento della conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, che deve sussistere a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato. Nella specie, infatti, non è stata data valida prova del prevedibile decesso a breve termine del vitaliziato, nonostante l’età avanzata delle germane omissis. Difatti, dall’attività istruttoria svolta non è emerso, in termini di prevedibilità della durata della sopravvivenza delle germane omissis, che dal momento della stipula del contratto di mantenimento in questione il loro decesso sarebbe sopraggiunto in breve termine. Pertanto, quando non è possibile prevedere anticipatamente, in termini di altissima probabilità, i vantaggi e le perdite cui le parti vanno incontro, l’alea deve ritenersi sussistente. Con riferimento specifico all’età delle beneficiarie vitaliziate, è utile richiamare la sentenza della Corte di Cassazione n.15848/2011, con cui si è riconosciuta la validità del contratto di mantenimento stipulato in favore di una persona di 84 anni, poiché all’epoca del contratto non sussistevano elementi di fatto tali da indurre a ritenere estremamente probabile un imminente decesso. Sul punto è opportuno osservare che diversamente opinando si giungerebbe inevitabilmente a snaturare la finalità e l’efficacia del contratto in esame, posta la sua innegabile funzione sociale di tutela della popolazione di età più avanzata” (Sentenza n. 657/2023 pubbl. il 21.4.2023).

Tanto deve argomentarsi ancor più nel caso di specie, in considerazione della età della vitalizianda, settantottenne all’epoca di conclusione del contratto, in assenza di allegazione e prova di patologie gravi da cui la stessa fosse affetta.

Né dimostrata e anzi documentalmente smentita è la asserzione di cui agli scritti conclusionali di parte attrice che, data la sua patologia e la sua età, D.M. fosse stata ritenuta inidonea a gestire il coniuge nella attività di vita quotidiana; invero il G.T., nel decreto di apertura della amministrazione di sostegno a favore di F.R., decideva di nominare un amministrazione esterno al nucleo familiare non per difficoltà fisiche della D., che pure era stata proposta da F.D., difficoltà a cui neppure faceva riferimento, ma sulla base dell’alta conflittualità tra i membri della famiglia.

La domanda di nullità del contratto di vitalizio per assenza di aleatorietà, quale causa tipica dello stesso, non può essere accolta.

Gli attori hanno lamentato anche la sproporzione tra il valore della nuda proprietà dei beni ceduta al F.D. dalla madre e le prestazioni dovute dall’obbligato.

“Il contratto atipico di vitalizio improprio o assistenziale si differenzia dalla donazione per l’elemento dell’aleatorietà, essendo caratterizzato dall’incertezza obiettiva iniziale circa la durata di vita del beneficiario e il conseguente rapporto tra valore complessivo delle prestazioni dovute dall’obbligato e valore del cespite patrimoniale cedutogli in corrispettivo. Ne consegue che l’originaria macroscopica sproporzione del valore del cespite rispetto al minor valore delle prestazioni fa presumere lo spirito di liberalità tipico della donazione, eventualmente gravata da modus” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15904 del 29.7.2016).

Si legge in motivazione: “Al riguardo, si osserva che, per costante giurisprudenza, il contratto con il quale una parte, dietro corrispettivo della cessione di un immobile, si obbliga, anche per i propri eredi e aventi causa, a prestare all’altra, per tutta la durata della vita, una completa assistenza materiale e morale, provvedendo ad ogni sua esigenza, integra un negozio atipico qualificabile come vitalizio improprio o assistenziale. Detto contratto è caratterizzato: dall’aleatorietà, che può essere accertata comparando le prestazioni dedotte sulla base di dati omogenei, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento alla data di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, a detta epoca, della durata della vita e delle esigenze assistenziali del vitaliziato; dall’infungibilità di quanto pattuito, intesa come insostituibilità con una somma in denaro ed incoercibilità; dalla non patrimonialità, dovuta all’elemento di fiduciarietà che informa la scelta dell’obbligato e all’incertezza derivante dalla variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto allo stato di bisogno del beneficiario (Cass. S.U. n. 6532/94 e Cass. n. 1503/98).

La differenza fra il contratto de quo ed una donazione va apprezzata, soprattutto, avendo riguardo all’elemento dell’aleatorietà, poiché il vitalizio assistenziale è caratterizzato dall’incertezza obiettiva iniziale in ordine alla durata di vita del beneficiario e dalla correlativa eguale incertezza del rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dall’obbligato ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio, potendosi, peraltro, ritenere presuntivamente sussistere lo spirito di liberalità, tipico della donazione, proprio tramite la verifica della originaria sproporzione tra le prestazioni (Cass. n. 7479/13, resa in un giudizio finalizzato ad accertare la simulazione di una donazione). Nello specifico, la Corte d’appello ha ritenuto che il negozio in questione fosse ispirato “da un intento di liberalità” (peraltro, non negato dal ricorrente nel suo atto di impugnazione). Tale intento è stato desunto dalla corte territoriale, coerentemente con i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, sulla base di una serie di elementi di fatto, quali l’età dei coniugi al momento della stipula del contratto, l’obbligo alimentare che, comunque, sarebbe gravato sul figlio per legge, e, soprattutto, la macroscopica differenza fra il minor valore della prestazione gravante sull’obbligato e quello, ben maggiore, dell’immobile trasferito. La corte territoriale ha messo in evidenza che l’impegno assunto da omissis, “attesa la segnalata sproporzione del suo contenuto economico rispetto al valore del bene alienato”, non era sufficiente a imprimere al negozio carattere di onerosità, “essendo piuttosto qualificabile come modus”, con la conseguenza che, nella specie, doveva ritenersi che le parti avessero stipulato una donazione modale, da considerare valida perché conclusa “dinanzi a un notaio e alla presenza di testimoni, quindi secondo la forma prescritta per le donazioni” (Cass 15904/16 cit.).

Anche nel caso di specie si apprezza la notevole sproporzione tra il valore delle prestazioni da rendere alla vitalizianda e il valore della nuda proprietà dei beni oggetto del contratto di vitalizio, come calcolata in Euro 634.700,00 dal C.T.U. ing. L.L., le cui conclusioni, immuni da vizi logici e di metodo, il Collegio condivide appieno.

Il C.T.U., infatti, con una valutazione peritale da cui non v’è motivo di discostarsi, ha tenuto conto del metodo del valore normale dei beni, corrispondente al valore di mercato, come determinato dall’Agenzia delle Entrate, quale valore ufficiale di riferimento per le compravendite immobiliari. I dati relativi all’anno 2009, in cui era stipulato il contratto, dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare hanno costituito l’elemento di riferimento; a questi il C.T.U. correttamente ha applicato l’opportuno coefficiente di cui al decreto 7 gennaio 2008 – Adeguamento delle modalità di calcolo dei diritti di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni in materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni e donazioni (GU Serie Generale n. 9 dell’11.1.2008). D.M. (nata a B. il 9.8.1931) alla data del vitalizio (22.9.2009) aveva 78 anni compiuti e, quindi, ai sensi e per gli effetti del suddetto decreto, il coefficiente per la determinazione dei diritti di usufrutto calcolati al saggio di interesse del 3% è pari a 9,00. Discende che i diritti di usufrutto e di nuda proprietà sono così calcolati:

Diritti di usufrutto = 3 % x 9,00 = 27 %

Diritto di nuda proprietà = 100 % – 27 % = 73 %

Pertanto, il valore della nuda proprietà degli immobili di cui al contratto di vitalizio alla data del 22.9.2009 era pari al 73% del valore commerciale di detti immobili alla stessa data.

Non può accedersi al diverso calcolo del valore della nuda proprietà come indicato dal convenuto negli scritti conclusionali, utilizzando un diverso coefficiente che sostanzialmente retrodati l’epoca del contratto, considerando la dichiarazione resa nell’atto dalla D. che nell’atto pubblico “ad ogni buon conto riconosce” che il figlio D. aveva prestato già da dieci anni prima assistenza alla madre. La dichiarazione non circostanziata non consente neppure, in assenza di diversa ed univoca indicazione della volontà della disponente, di conferire alla donazione anche carattere remuneratorio.

Invero, secondo l’insegnamento della Corte di legittimità, tenuto conto dell’ingente valore dei beni trasferiti e il minor valore della assistenza da prestare da parte del figlio D. alla madre, anche a voler considerare una aspettativa di vita della vitalizianda di altri venti anni rispetto all’epoca dell’atto, in assenza di prova di specifici e rilevanti esborsi che l’assistenza da prestarsi alla D. comportasse, il contratto di vitalizio va riqualificato come donazione modale.

In questo senso erano le conclusioni subordinate degli attori, ove chiedevano in via gradata, “laddove l’atto richiamato nella conclusione precedente non venga ritenuto nullo per i motivi indicati in narrativa ma venga ritenuto costituire donazione, parimenti dichiarare che detto bene fa parte della massa ereditaria sia pure in ragione delle norme della successione necessaria”.

Si aggiunge per completezza che, alla luce della citata pronuncia della Corte di legittimità del 2016, priva di fondamento è l’eccezione di parte convenuta di cui agli scritti conclusionali di mancata proposizione da parte attrice della domanda di simulazione del contratto di vitalizio, trattandosi di contratto effettivamente voluto dalle parti, riqualificabile dal Collegio, per l’intento di liberalità che lo caratterizza, quale donazione di cui il contratto possedeva i requisiti di forma (atto notarile stipulato alla presenza di due testimoni), come in via subordinata richiesto dagli attori.

Con separata ordinanza va disposta la prosecuzione del giudizio per la determinazione dell’asse ereditario, relictum e donatum, e per lo scioglimento della comunione ereditaria, con individuazione delle quote spettanti a ciascun erede (considerando che la disponibile per volontà della de cuius spetta a F.D.).

Le spese di lite vanno rimesse alla decisione definitiva, anche in relazione alle spese di C.T.U.. già liquidate con decreto del 14/21.4.2022.

P.Q.M.

Il Tribunale di Trani, Sezione Civile, parzialmente pronunciando sulle domande proposte da F.G., F.C., F.R., P.G. e P.M.S. nei confronti di F.D., nonché sulle domande riconvenzionali del convenuto, ogni altra domanda, eccezione e difesa rigettate, così provvede:

– dichiara che le disposizioni del testamento pubblico del 13.4.2010 di D.M. (nata a B. il (…), già ivi residente e deceduta in Bari il 26.12.2017), per atto del notaio dott.ssa F.P.N. (rep. degli atti di ultima volontà n. (…), racc. n. (…)), ledono la quota di legittima degli attori e, per l’effetto, riduce le suddette disposizioni nei limiti della disponibile in favore degli attori, dichiarando l’inefficacia in parte qua del citato testamento;

– rigetta la domanda di indegnità a succedere proposta dagli attori nei confronti del convenuto;

– rigetta la domanda di indegnità a succedere proposta dal convenuto nei confronti di F.G., F.C., F.R.;

– rigetta la domanda di nullità del contratto vitalizio stipulato il 22.9.2009, per atto del notaio dott.ssa F.P.N. (rep. n. (…), racc. n. (…));

– rigetta la domanda di nullità delle donazioni in denaro da parte della D. a favore del figlio F.D.;

– dichiara aperta la successione ereditaria di D.M.;

– dispone da separata ordinanza la prosecuzione del giudizio;

– rimette la decisione sulle spese alla sentenza definitiva.

Così deciso in Trani, addì 16 maggio 2023, nella Camera di consiglio della Sezione civile del Tribunale.

Depositata in Cancelleria il 1 giugno 2023.

Per ulteriori approfondimenti in materia di successioni e donazioni, si consigliano i seguenti articoli:

Il testamento olografo, pubblico e segreto.

La donazione art 769 c.c.

La revoca della donazione.

Eredità e successione ereditaria

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.