Nel contratto di agenzia la prestazione dell’agente consiste in atti di contenuto vario e non predeterminato (quali il compito di propaganda, la predisposizione dei contratti, la ricezione e la trasmissione delle proposte al preponente per l’accettazione), tutti tendenti alla promozione della conclusione di contratti in una zona determinata per conto del preponente; sicché, l’attività tipica dell’agente di commercio non richiede necessariamente la ricerca del cliente ed è sempre riconducibile alla prestazione dedotta nel contratto di agenzia anche quando il cliente, da cui proviene la proposta di contratto trasmessa dall’agente, non sia stato direttamente ricercato da quest’ultimo ma risulti acquisito su indicazioni del preponente (o in qualsiasi altro modo), purché sussista nesso di causalità tra l’opera promozionale svolta dall’agente nei confronti del cliente e la conclusione dell’affare cui si riferisce la richiesta di provvigione. Inoltre, l’attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l’obbligazione tipica dell’agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui possa solo indirettamente derivare un incremento delle vendite, ma deve consistere nell’attività di convincimento del potenziale cliente ad effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente, atteso che è proprio con riguardo a questo risultato che viene attribuito all’agente il compenso, consistente nella provvigione sui contratti conclusi per suo tramite e andati a buon fine.

Corte d’Appello|Roma|Sezione L|Civile|Sentenza|14 marzo 2023| n. 1000

Data udienza 8 marzo 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ROMA

III Sezione lavoro e previdenza

composta dai signori magistrati:

dott. Vito Francesco Nettis – Presidente

dott. Vincenzo Turco – Consigliere

dott. Enrico Sigfrido Dedola – Consigliere relatore

riunita in camera di consiglio ha pronunciato in grado di appello all’udienza dell’8 marzo 2023 la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 358/2021 del Ruolo Generale Sezione Lavoro, vertente

TRA

(…) S.r.l., con l’avv. Gi.Ma.

APPELLANTE

E

FONDAZIONE (…), con l’avv. Al.Gi.

APPELLATA

OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 9102/2020 del Tribunale del lavoro di Roma

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI

Con ricorso depositato in data 24 luglio 2019 la (…) S.r.l. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 4465/2019 con il quale il giudice del lavoro presso il Tribunale di Roma le aveva intimato il pagamento in favore di (…) della somma di Euro 14.591,66 a titolo di contributi previdenziali, sanzioni ed interessi derivanti da verbale ispettivo notificato il 10 agosto 2018 e riguardanti il periodo dal 1 aprile 2013 al 31 dicembre 2015.

Deduceva, dunque, la società l’invalidità del verbale presupposto per via della mancata comunicazione di avvio del procedimento ispettivo, in particolare rilevando che l’avviso risultava datato 31 gennaio 2018 e che la comunicazione sarebbe avvenuta a mezzo PEC nell’anteriore data del 30 gennaio 2018, senza indicazione del verbale stesso; sosteneva che tanto avrebbe compresso il proprio diritto di difesa, impedendo l’instaurazione di un reale contraddittorio endo-procedimentale; che, di conseguenza difettavano i presupposti per l’emissione del provvedimento monitorio; che, nel merito, il rapporto contestato, intercorso con tale (…), non era riconducibile al contratto di agenzia, quanto piuttosto ad un mero procacciamento di affari, stante la sussistenza di una collaborazione non continuativa ma solo occasionale e comunque cessata al 31 dicembre 2014, in contemporanea con la risoluzione della commessa intercorsa con (…); che le fatture prodotte dal (…) costituivano documenti di formazione unilaterale, come tali inidonei a dimostrare l’esistenza dei requisiti del rapporto di agenzia, anche per il contrasto con il contenuto concreto dell’incarico attribuitogli; che dalla disamina delle proprie dichiarazioni fiscali emergeva la sussistenza di meri rapporti di procacciamento di affari e non già di agenzia, in disparte il rilievo che esse non potevano costituire elemento di prova a proprio danno per essere mere dichiarazioni di scienza; che, dunque, difettava la prova dei fatti posti a fondamento della pretesa azionata da (…); che era erroneo il calcolo delle sanzioni irrogate, le quali non potevano superare il 60% del contributo non corrisposto.

Ciò premesso, concludeva richiedendo la revoca del decreto ingiuntivo e declaratoria che nulla era dovuto all’ente intimante o, in subordine, la rideterminazione delle sanzioni.

Instaurato il contraddittorio, si costituiva (…) ribadendo la legittimità e fondatezza della propria pretesa.

Istruita in forma documentale, la causa era decisa con la sentenza n. 9102/2020, depositata il 29 dicembre 2020, che respingeva integralmente l’opposizione, altresì condannando (…) al pagamento delle spese processuali.

Con atto depositato il 9 febbraio 2021 la società impugnava tempestivamente la sentenza in forza dei motivi che di seguito si riepilogano succintamente.

Con il primo si doleva dell’errata valutazione del contenuto del rapporto intercorso tra le parti, riferibile al procacciamento di affari e non già al contratto di agenzia, richiamando ampiamente tutte le deduzioni già formulate in primo grado in tema di mancanza di stabilità e continuatività.

Con il secondo motivo lamentava la violazione degli artt. 115, 116 e 183 c.p.c., per via del malgoverno delle norme che disciplinano l’acquisizione delle prove e la loro valutazione, affermando che nessuna prova, nemmeno di natura presuntiva, era stata fornita da (…) a supporto della propria pretesa, riferendosi in particolare alle dichiarazioni fiscali prodotte, costituenti mere dichiarazioni di scienza e non di volontà, prive di efficacia probatoria. Evidenziava, inoltre, la mancata assunzione di mezzi istruttori, pur richiesti, in violazione degli artt. 115 e 183, comma 7, c.p.c..

Con un terzo motivo, in subordine, deduceva l’illegittimità della procedura seguita da (…), con conseguente violazione dell’art. 633 c.p.c. per non esserle mai stato comunicato l’avvio del procedimento, il che avrebbe comportato l’illegittimità del verbale ispettivo presupposto.

Con un quarto motivo censurava la sentenza in ordine alla quantificazione dei contributi dovuti e delle sanzioni applicate, lamentando la genericità e indeterminatezza dei criteri di calcolo adottati da (…), riguardanti anche il 2015, sebbene il rapporto col (…) fosse cessato a fine 2014, oltre che violativi di quanto previsto nello stesso regolamento dell’ente, con particolare riferimento all’art. 34.

Concludeva richiedendo la riforma della sentenza gravata e l’accoglimento dell’opposizione spiegata in primo grado, vinte le spese del doppio grado di giudizio, con loro distrazione.

Nuovamente istituito il contraddittorio, si costituiva in giudizio (…) concludendo per la conferma della sentenza stante l’infondatezza delle doglianze proposte dalla società.

All’esito della discussione orale e della successiva camera di consiglio, la causa è stata decisa come da dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello è infondato e va respinto per le seguenti ragioni.

Quanto alla prima doglianza, vertente sulla riferibilità del rapporto intercorso con il (…) non già all’istituto dell’agenzia, ma al più a quello del procacciamento di affari, come tale non assoggettato all’obbligo contributivo vantato da (…), la Corte osserva che si devono prendere le mosse dalla lettura del contratto stipulato tra le parti.

Orbene, in esso si rilevano una molteplicità di pattuizioni chiaramente riconducibili al contratto di agenzia. Infatti, in apertura il (…) era esplicitamente definito come “AGENTE”; quindi, si premetteva che la società, titolare di mandato conferito da V.O.N., intendeva “utilizzare una rete di agenti che si incaricheranno diillustrare a potenziali clienti i tipi, le modalità e le condizioni degli abbonamenti proposti da V.”; che “il (sic!) AGENTE ha dichiarato, e qui conferma assumendo ogni responsabilità al riguardo, di essere in possesso di tutti i requisiti per l’esercizio dell’attività”; che “il (sic!) AGENTE assume stabilmente l’incarico, che il Preponente gli conferisce, di promuovere esclusivamente con la clientela di cui all’articolo 2 e nella zona di cui all’articolo 3”; che gli incarichi sarebbero stati svolti “dall’AGENTE avvalendosi della propria ed autonoma organizzazione”, dichiarata “perfettamente idonea allo scopo”; che “gli eventuali subagenti e collaboratori dell’AGENTE, della cui opera questi intenda avvalersi sotto la propria esclusiva responsabilità, dipenderanno direttamente dall’AGENTE medesimo con totale estraneità del Preponente”; che i compensi provvigionali erano regolati su basi di continuità e regolarità negli allegati al contratto.

Come si nota agevolmente, si tratta di pattuizioni immediatamente riferibili all’istituto dell’agenzia che, come è noto (si vedano per tutte Cass. n. 31353/2021; Cass. n. 16565/2020) si caratterizza per la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo, con quest’ultimo, una collaborazione professionale autonoma non episodica, con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo.

Nel contratto di agenzia la prestazione dell’agente consiste in atti di contenuto vario e non predeterminato (quali il compito di propaganda, la predisposizione dei contratti, la ricezione e la trasmissione delle proposte al preponente per l’accettazione), tutti tendenti alla promozione della conclusione di contratti in una zona determinata per conto del preponente; sicché, l’attività tipica dell’agente di commercio non richiede necessariamente la ricerca del cliente ed è sempre riconducibile alla prestazione dedotta nel contratto di agenzia anche quando il cliente, da cui proviene la proposta di contratto trasmessa dall’agente, non sia stato direttamente ricercato da quest’ultimo ma risulti acquisito su indicazioni del preponente (o in qualsiasi altro modo), purché sussista nesso di causalità tra l’opera promozionale svolta dall’agente nei confronti del cliente e la conclusione dell’affare cui si riferisce la richiesta di provvigione. Inoltre, l’attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l’obbligazione tipica dell’agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui possa solo indirettamente derivare un incremento delle vendite, ma deve consistere nell’attività di convincimento del potenziale cliente ad effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente, atteso che è proprio con riguardo a questo risultato che viene attribuito all’agente il compenso, consistente nella provvigione sui contratti conclusi per suo tramite e andati a buon fine (Cass. n. 6482/2004; Cass. n. 18686/2008; Cass. n. 20453/2018).

Ritiene la Corte che tutti i caratteri fino a questo punto tratteggiati siano rinvenibili nelle pattuizioni di cui al contratto intercorso tra (…) e il (…) in quanto descrivono un rapporto connotato da stabilità e continuità e dall’incarico di svolgere, a proprio rischio e per conto della casa mandante, un’attività indeterminata di promozione commerciale finalizzata alla conclusione dei contratti a monte proposti da V., cui era espressamente condizionata l’erogazione della corrispondente remunerazione.

Si aggiunga che le fatture acquisite in atti riportano una numerazione pressocché consecutiva e attengono a tutte le mensilità oggetto del rapporto, comprensive della trattenuta (…); che esse sono state regolarmente accettate dalla società, che ha eseguito i conseguenti bonifici nella misura esattamente determinata dal (…) e con la medesima causale da questi indicata. Si aggiunga che la società, a dispetto della dedotta cessazione del rapporto al termine del 2014, ha saldato compensi in favore del (…) fino a tutto il primo quadrimestre del 2015, il che esclude quella occasionalità allegata dalla parte appellante, anche alla luce della durata di circa due anni del rapporto stesso, ciò che comporta la superfluità delle richieste istruttorie formulate dall’appellante, il che conduce alo scrutinio della seconda censura.

A tale proposito si osserva che il Tribunale non risulta affatto avere fatto alcun cenno alle dichiarazioni fiscali cui la società diffusamente si riferisce, avendo basato la sua condivisibile decisione sulla portata del contratto e sulla regolarità delle fatture emesse dal F., in disparte la considerazione sull’inapplicabilità al processo del lavoro dell’art. 183 c.p.c. invocato.

In riferimento alla terza doglianza, l’avvio del procedimento è stato ritualmente comunicato da (…) con PEC del 30 gennaio 2018, come inequivocabilmente dimostrato dalla produzione documentale dell’ente datata 21 novembre 2019 in formato .msg, che comprova l’invio del messaggio di posta certificata contenente l’avviso di accertamento ispettivo del quale si discute, con evidenza solo in un momento successivo protocollato in maniera formale dall’ente, di guisa che nessuna violazione procedurale si riscontra sul punto.

Ne maggior fondatezza ha l’ultimo motivo, atteso che le sanzioni sono state correttamente applicate nella misura di legge, risultando le somme conclusivamente richieste maggiorate non già per violazione del disposto regolamentare, con particolare riferimento all’art. 34, quanto piuttosto per l’applicazione dei dovuti interessi, atteso il mancato tempestivo pagamento delle relative somme da parte dell’odierna appellante, come persuasivamente chiarito da (…).

In conclusione, l’appello deve essere respinto, con la conferma della sentenza gravata. Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Si deve, infine, dare atto che per l’appellante sussistono le condizioni oggettive richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando sull’appello proposto da (…) S.r.l. con ricorso depositato il 9 febbraio 2021 avverso la sentenza del Tribunale del lavoro di Roma n. 9102/2020, così provvede:

– respinge l’appello;

– condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.000,00 oltre 15% per spese generali ed accessori di legge;

– dà atto che per l’appellante sussistono le condizioni oggettive richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.

Così deciso in Roma l’8 marzo 2023.

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2023.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.