In tema di contratto preliminare, va qualificata in termini di declaratoria di risoluzione per inadempimento – soggetta, pertanto, alla relativa disciplina generale – e non quale esercizio del diritto di recesso, la domanda con cui la parte non inadempiente, che abbia conseguito il versamento della caparra, chieda, oltre alla risoluzione del contratto, la condanna della controparte al risarcimento di ulteriori danni; in tal caso, dunque, essa non può incamerare la caparra, che perde la sua funzione di limitazione forfetaria e predeterminata della pretesa risarcitoria e la cui restituzione è ricollegabile agli effetti propri della risoluzione negoziale, ma solo trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto su quanto le spetta, a titolo di anticipo dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati.

Corte d’Appello Catania, Sezione 2 civile Sentenza 5 aprile 2019, n. 788

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI CATANIA – SECONDA SEZIONE CIVILE

La Corte d’Appello di Catania – Seconda Sezione Civile – composta da:

1) Dott. Massimo ESCHER – Presidente

2) Dott.ssa Grazia LONGO – Consigliere rel. ed est.

3) Avv. Sergio FLORIO – Giudice ausiliario

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 1878/2016 R.G., avente per oggetto: “vendita di cose immobili”;

TRA

(…), nato a P.’ il (…), c.f. (…) e (…) nata a P.’ il (…) c.f. (…), entrambi rappresentati e difesi dagli avv. Ce.Fi. e (…) giusta procura in atti;

PARTE APPELLANTE

CONTRO

(…), nato a B. il (…), c.f. (…), rappresentato e difeso dall’avv. Al.Sa. giusta procura in atti;

PARTE APPELLATA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2390/2016 del 27 aprile 2016 il Tribunale di Catania rigettava la domanda, formulata da (…) e (…) quali eredi della madre, (…), di risoluzione dei contratti preliminari di vendita stipulati dall'(…) e (…) in data 15 ottobre 2002 per l’inadempimento del convenuto (…); accoglieva la domanda riconvenzionale del convenuto diretta ad ottenere sentenza di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto preliminare avente ad oggetto il locale sito al piano terra e, per l’effetto, trasferiva, a favore di (…) la proprietà del predetto locale, in catasto dei fabbricati del comune di (…) al foglio (…) particella (…) sub (…) via (…) categoria (…) classe (…), subordinando detto trasferimento al versamento da parte del convenuto in favore di parte attrice del saldo prezzo pari ad Euro 28.570,00; accoglieva, inoltre, la domanda riconvenzionale del convenuto di risoluzione del contratto preliminare avente ad oggetto un locale commerciale a piano cantinato, con annessi accessori, sito in (…), fraz. (…), in catasto dei fabbricati del comune di (…) al foglio (…), part. (…), sub. (…), via (…) piano 1/S categoria (…) classe (…), per inadempimento del promittente venditore e, per l’effetto, condannava l'(…) a restituire a parte convenuta la somma di Euro 15.000,00, quale rate di prezzo, con interessi legali a decorrere dal versamento, nonché, al rimborso delle spese di giudizio.

Avverso la suddetta sentenza hanno proposto appello G. e (…), in qualità di eredi di (…).

Con sentenza non definitiva del 20 settembre – 1 ottobre 2018 questa Corte ha accolto i primi due motivi dell’atto di appello proposto e, per l’effetto, ha pronunciato la risoluzione di entrambi i contratti preliminari stipulati in data 15 ottobre 2002 tra (…) e (…), per l’inadempimento di quest’ultimo, e lo ha condannato alla restituzione del locale commerciale a piano cantinato; ha rimesso la causa sul ruolo per l’istruttoria della domanda di risarcimento dei danni.

Disposta consulenza tecnica di ufficio al fine di quantificare il valore locativo del bene detenuto, con istanza depositata il 30 novembre 2018 la parte appellante ha dichiarato di rinunciare alla domanda di risarcimento dei danni per l’ipotesi di impossibilità di liquidazione dei detti danni in via equitativa, insistendo sul risarcimento delle altre voci di danno e sulle altre domande proposte.

Indi, sospese le operazioni di consulenza, all’udienza del 28 gennaio 2019 i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni come da verbale in atti e la causa è stata posta in decisione con termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta la correzione della sentenza non definitiva nel senso che a pag. 9, rigo 19, risulta scritto il nome (…) in luogo del nome e cognome corretti della suddetta parte “(…)”.

Passando all’esame del merito, con il terzo motivo di appello la parte censura la sentenza del primo giudice per averla condannata alla restituzione della somma di Euro 15.000,00, oltre agli interessi legali, sul presupposto dell’inadempimento da parte di essa promittente venditrice; sostiene, invece, l’appellante che, atteso l’inadempimento della controparte, è suo diritto ritenere la caparra versata al momento della stipulazione del contratto preliminare.

Con gli ulteriori motivi di appello (quarto – erroneamente indicato come quinto -, quinto e sesto) la parte censura la sentenza del Tribunale per non aver condannato la controparte al pagamento dei frutti per la consegna anticipata dei beni, nonché al risarcimento dei danni morali subiti da essi attori per l’aggravamento delle condizioni di salute e per la morte della madre, deceduta nel 2006, causate anche dal comportamento della controparte e dalle infondate denunce dallo stesso presentate, e dei danni patrimoniali, subiti dalla madre per aver perso la caparra di Euro 10.000,00 versata a seguito della stipulazione di altro preliminare per l’acquisto di un immobile vicino Pavia, caparra persa per non aver potuto stipulare il definitivo non disponendo della provvista derivante dalla vendita dei beni allo (…).

Detti motivi, da trattarsi congiuntamente perché strettamente connessi, appaiono infondati e vanno, di conseguenza, rigettati.

Ed invero, va premesso che “In tema di contratto preliminare, va qualificata in termini di declaratoria di risoluzione per inadempimento – soggetta, pertanto, alla relativa disciplina generale – e non quale esercizio del diritto di recesso, la domanda con cui la parte non inadempiente, che abbia conseguito il versamento della caparra, chieda, oltre alla risoluzione del contratto, la condanna della controparte al risarcimento di ulteriori danni; in tal caso, dunque, essa non può incamerare la caparra, che perde la sua funzione di limitazione forfetaria e predeterminata della pretesa risarcitoria e la cui restituzione è ricollegabile agli effetti propri della risoluzione negoziale, ma solo trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto su quanto le spetta, a titolo di anticipo dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati” (Cass. n. 20957/17; cfr. in questo senso, più recentemente, Cass. n.2747/18).

Nella specie, quindi, atteso che la parte appellante, attrice in primo grado, chiede la risoluzione dei contratti preliminari e la condanna della controparte al risarcimento dei danni specificamente indicati, non può di per se stessa ritenere la caparra confirmatoria se non quale garanzia per i danni o acconto di quanto spetta alla parte non inadempiente a titolo di anticipo dei danni da accertare e liquidare in sede di giudizio, secondo quanto previsto dall’art. 1223 c.c.

Tuttavia, nella specie la domanda di risarcimento dei danni è, in parte infondata, e, in parte, risulta abbandonata dalla stessa appellante.

Ed invero, i R. con istanza depositata il 30 novembre 2018 comunicano, per l’ipotesi di impossibilità di quantificare i danni in via equitativa senza consulenza tecnica di ufficio, di rinunciare alla domanda di risarcimento dei danni per la detenzione dell’immobile e dei danni alla salute della madre; rinuncia, poi, questa ribadita anche in sede di precisazione delle conclusioni.

A tal riguardo va osservato che la rinuncia alla domanda non necessita di formule sacramentali per come previsto in caso di rinuncia agli atti del giudizio ex art. 306 c.p.c., poiché rientra fra i poteri del difensore, in quanto espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate né tantomeno necessita dell’accettazione dell’altra parte processuale (cfr. in questo senso Cass. n. 23749/11).

Orbene, rileva la Corte che alla mancata prova del danno non può sopperire peraltro la valutazione equitativa dello stesso, considerato che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili, ma che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, fermo restando dunque l’onere della parte di dimostrare l’an debeatur del diritto al risarcimento.

Nella specie, non è impossibile quantificare il danno a mezzo di consulenza tecnica di ufficio, di guisa che, attesa la volontà della parte di non anticipare le spese della consulenza tecnica di ufficio in violazione del principio di anticipazione delle spese del processo civile ex art. 91 c.p.c., non si può far altro che prendere atto della rinuncia alla domanda di risarcimento dei danni.

Infondata appare, invece, la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali per la perdita della caparra versata dalla madre degli appellanti a seguito della stipulazione di altro contratto preliminare per l’acquisto di un immobile vicino Pavia, con i proventi derivanti dalla vendita dei beni allo (…); infatti non si ha la prova né della stipulazione di questo contratto, né dell’epoca e del versamento della caparra, né dell’eventuale recesso della promittente venditrice per l’inadempimento della (…).

Alla stregua delle superiori considerazioni, non sussistendo danni derivanti alla parte dalla risoluzione del contratto, deve essere rigettata la domanda di ritenzione della caparra confirmatoria per il locale commerciale, dovendosi confermare la condanna alla restituzione disposta dal primo giudice, nonostante il riconosciuto inadempimento dello (…), e ciò in quanto “Ai sensi dell’art. 1458 c.c., alla risoluzione del contratto consegue sia un effetto liberatorio, per le obbligazioni che ancora debbono essere eseguite, sia un effetto restitutorio, per quelle che siano, invece, già state oggetto di esecuzione ed in relazione alle quali sorge, per l'”accipiens”, il dovere di restituzione, anche se le prestazioni risultino ricevute dal contraente non inadempiente” (Cass. n. 6911/18).

Per l’altro contratto non si può disporre alcunché sulla caparra mancando una domanda di restituzione della parte appellata, ribadita in questo grado.

Quanto alle spese processuali, il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale.

Inoltre, va evidenziato che in caso di rinuncia a singole domande rientra nel potere discrezionale del difensore, le spese del giudizio devono essere liquidate dal giudice secondo il criterio della soccombenza virtuale, e che tale liquidazione non richiede, peraltro, un’espressa domanda della parte virtualmente vittoriosa e può essere legittimamente emessa dal giudice a carico del soccombente anche d’ufficio.

Orbene, a parere della Corte, sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio nella misura di un terzo, in considerazione del rigetto della domanda di risarcimento dei danni morali e patrimoniali, e del rigetto della domanda di ritenzione della caparra confirmatoria; mentre per i restanti due terzi vanno poste a carico dello (…) attesa la sua soccombenza con riferimento sia alla domanda di risoluzione dei due contratti, sia, pur virtualmente, alla domanda di risarcimento dei danni per l’occupazione senza titolo degli immobili; le spese vanno liquidate nella misura indicata in dispositivo in considerazione del valore della controversia (valore da Euro 52.001,00 a Euro 260.000,00 – valore indeterminabile medio, in considerazione del valore dei beni oggetto dei due preliminari).

Quanto all’ammontare delle spese, non possono essere rimborsate le spese di trasferta del difensore considerato che, nel processo civile, la parte vittoriosa non può ottenere (dalla parte soccombente) il rimborso delle spese di trasferta sostenute dal proprio procuratore, ove la trasferta sia conseguita alla scelta – sia pure legittima – di un difensore residente in una sede diversa da quella del giudice adito.

Non sussistono, poi, i presupposti per la condanna della parte appellata al pagamento di una somma ai sensi dell’art. 96, 3 co., c.p.c., in quanto, a prescindere dal merito, in ogni caso, la disposizione introdotta con l’art. 45, comma 12, L. n. 69 del 2009, con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore e, quindi, non al presente giudizio iniziato con atto di citazione notificato il 25 febbraio 2008.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Catania, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 1878/2016 R.G.,

corregge la sentenza non definitiva emessa nel presente procedimento nel senso che a pag. 9, rigo 19, dove risulta scritto il nome (…), deve correttamente intendersi “(…)”, e dispone l’annotazione di detta correzione in calce alla suddetta sentenza.

Rigetta tutti gli altri motivi di appello, diversi dai primi due già accolti con la sentenza non definitiva.

Condanna lo (…) al rimborso in favore della controparte di due terzi delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, spese che liquida, quanto al primo grado, in complessivi Euro 8.823,33, di cui Euro 230,00 (2/3 di Euro 345,00) per spese ed Euro 8.953,33 per compensi, di cui Euro 1.620,00 (2/3 di Euro 2.430,00) per fase di studio della controversia, Euro 1.033,33 (2/3 di Euro 1.550,00) per fase introduttiva del giudizio, Euro 3.600,00 (2/3 di Euro 5.400,00) ed Euro 2.700,00 (2/3 di Euro 4.050,00) per fase decisoria, oltre alle spese forfettarie del 15% ex art. 2 D.M. 10 marzo 2014, n. 55, IVA e CPA e, quanto al secondo, in complessivi Euro 6.879,33, di cui 536,00 (2/3 di Euro 804,00) per spese ed Euro 6.343,33 per compensi, di cui Euro 1.890,00 (2/3 di Euro 2.835,00) per fase di studio della controversia, Euro 1.213,33 (2/3 di Euro 1.820,00) per fase introduttiva del giudizio ed Euro 3.240,00 (2/3 di Euro 4.860,00) per fase decisoria, oltre alle spese forfettarie del 15% ex art. 2 D.M. 10 marzo 2014, n. 55, IVA e CPA. Compensa il restante terzo di entrambi i gradi.

Così deciso in Catania l’1 aprile 2019.

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.