Infatti, il cortile tecnicamente e’ definito come l’area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di piu’ edifici, che serve a dare luce e aria agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all’ampia portata della parola e, soprattutto alla funzione di dare aria e luce agli ambienti che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell’edificio – quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi – che, sebbene non menzionati espressamente nell’articolo 1117 c.c., vanno ritenute comuni a norma della suddetta disposizione. Con l’effetto che per parti comuni dello stabile condominiale devono estensivamente intendersi anche quelle esterne, purche’ adibite all’uso comune di tutti i condomini. E tra le destinazioni accessorie del cortile comune, la cui funzione principale e’ quella di dare aria e luce alle varie unita’ immobiliari, rientra quella di consentire ai condomini l’accesso a piedi o con veicoli alle loro proprieta’, di cui il cortile costituisce un accessorio, nonche’ la sosta anche temporanea dei veicoli stessi, senza che tale uso possa ritenersi condizionato dall’eventuale piu’ limitata forma di godimento del cortile comune praticata nel passato.E d’altronde, al fine di accertare se l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti, sia attribuito ad uno o piu’ condomini, e’ irrilevante la circostanza che l’area stessa, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta piu’ proficuamente e frequentemente da uno dei condomini, occorrendo all’uopo un titolo di fonte negoziale (ravvisabile nel regolamento condominiale c.d. contrattuale) che conferisca al bene natura pertinenziale e la cui interpretazione presuppone un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito.

Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|22 giugno 2022| n. 20111

Data udienza 19 maggio 2022

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – rel. Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 10999/2017) proposto da:

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), che la rappresenta e difende, unitamente agli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Condominio (OMISSIS), sito in (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), in persona del suo amministratore pro – tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2443/2016, pubblicata in data 26 ottobre 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 maggio 2022 dal Consigliere relatore Dott. TRAPUZZANO Cesare;

letta la memoria depositata dalla ricorrente ai sensi dell’articolo 380-bis.1. c.p.c..

FATTI DI CAUSA

1.- (OMISSIS) conveniva, davanti al Tribunale di Venezia, il Condominio (OMISSIS) sito in Noale, chiedendo che fosse dichiarata la nullita’ o, in subordine, che fosse pronunciato l’annullamento della deliberazione condominiale del 7 febbraio 2012, con la quale era stata disposta la revoca della “delibera” del 26 febbraio 2003, con riferimento all’uso dello scoperto comune.

Al riguardo, sosteneva la validita’ della precedente scrittura privata del 26 febbraio 2003, con la quale i condomini avevano ceduto all’attrice, in uso e godimento esclusivo, un’area comune esterna al fabbricato, posta sui lati nord-ovest ed evidenziata in rosso nella planimetria ad essa allegata.

Esponeva, ancora, che, attraverso la predetta convenzione, erano state risolte pregresse contestazioni tra i condomini in ordine all’uso di detta area, uso che era stato pacifico e ininterrotto, in favore dell’attrice e dei suoi familiari, sin dal 1978, anno in cui la (OMISSIS) aveva iniziato ad abitare l’appartamento di cui era divenuta proprietaria nel 1994.

Deduceva, per l’effetto, che la delibera impugnata non poteva revocare la convenzione, avendo quest’ultima natura negoziale, e in ogni caso che, quand’anche si fosse ritenuto che la convenzione era equiparabile a una delibera, la sua revoca era avvenuta senza il consenso unanime dei partecipanti.

In via subordinata, chiedeva che fosse accertata l’inefficacia della delibera riguardante il diritto di proprieta’ sull’area in oggetto per intervenuta usucapione a suo vantaggio.

Si costituiva in giudizio il Condominio (OMISSIS), il quale resisteva alla domanda e sosteneva: a) che la convenzione del 26 febbraio 2003, priva dell’asserita natura transattiva, era “inefficace”, poiche’ mancava la sottoscrizione di un condomino, ossia della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che non aveva manifestato, neanche in seguito, il suo consenso;

b) che, nel corso degli anni, lo scoperto comune era stato utilizzato da tutti i condomini per parcheggiare i veicoli ed attraversarlo a piedi; c) che il cancello carraio e pedonale preesisteva al momento dell’ingresso della (OMISSIS) nell’unita’ immobiliare; d) che la barriera di protezione tra la parte nord e quella ovest era stata predisposta dall’attrice nel 2004, dopo la sottoscrizione della convenzione; e) che il regolamento condominiale accettato dall’attrice includeva tale spazio nella proprieta’ e uso comune.

In via riconvenzionale, il Condominio chiedeva che fosse accertata e dichiarata, in suo favore, la proprieta’ dell’area contesa, con condanna dell’attrice al rilascio.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 1003/2015, depositata il 18 febbraio 2015, in accoglimento della domanda principale, dichiarava la nullita’ della delibera assembleare del Condominio (OMISSIS), adottata il 7 febbraio 2012, limitatamente al punto relativo alla revoca della delibera del 26 febbraio 2003 e con riferimento alla disciplina dello scoperto comune; accoglieva, altresi’, la domanda riconvenzionale spiegata dal Condominio (OMISSIS) e, per l’effetto, dichiarava la proprieta’ e l’uso comune, in favore del Condominio, dello scoperto condominiale, con condanna dell’attrice al rilascio del bene.

In particolare, la pronuncia di prime cure evidenziava: 1) che l’assemblea del 7 febbraio 2012 aveva deliberato a maggioranza; 2) che l’oggetto della delibera era comunque impossibile, poiche’ aveva ad oggetto un accordo “inefficace”, in forza del quale si intendevano limitare i diritti dei condomini sulla proprieta’ comune, senza il loro consenso unanime, espresso in forma scritta ad substantiam; 3) che, infatti, la predetta convenzione non era stata sottoscritta da tutti i condomini, mancando la firma della Cassa di Risparmio; 4) che erano irrilevanti eventuali successivi comportamenti della Cassa di Risparmio sotto forma di asseriti facta concludentia.

2. – Sul gravame interposto da (OMISSIS), la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e confermava la pronuncia impugnata.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava:

a) che legittimamente la delibera assembleare del 7 febbraio 2012 era stata dichiarata nulla per difetto di consenso unanime, poiche’ l’oggetto della delibera – ossia la revoca o la conferma dell’accordo del 26 febbraio 2003, indipendentemente dalla sua natura – riguardava diritti reali;

b) che, peraltro, non era chiaro l’interesse dell’appellante ad ottenere una diversa motivazione della declaratoria di nullita’ della delibera del 7 febbraio 2012, invocata dalla stessa appellante;

c) che la sentenza di prime cure, statuendo la radicale inefficacia della convenzione del 26 febbraio 2003, aveva affermato l’impossibilita’ dell’oggetto della deliberazione del 7 febbraio 2012, concernente il richiamato accordo, in quanto la limitazione dei diritti dei condomini sulla proprieta’ comune avrebbe prodotto un vincolo di natura reale e la sua approvazione, come l’eventuale sua successiva modifica, esigeva il consenso unanime espresso in forma scritta, non sussistente nella fattispecie;

d) che era inammissibile – in quanto introduceva un tema d’indagine nuovo – il motivo di gravame con cui si contestava l’avvenuta declaratoria di inefficacia dell’intera convenzione del 26 febbraio 2003, in quanto i firmatari avrebbero perso la quota di competenza del possesso sull’area, poiche’ con la citazione introduttiva del giudizio di primo grado l’attrice aveva invocato, in forza di detta convenzione, il possesso esclusivo e perenne dell’area esterna al fabbricato, in ragione della cessione dell’uso e del godimento esclusivi sull’area stessa;

e) che, confermando la statuizione resa sul punto dal Tribunale, la successiva delibera assembleare del 16 aprile 2003 non poteva essere intesa quale ratifica e conferma scritta dell’accordo del 26 febbraio 2003, da parte della Cassa di Risparmio, poiche’: – la delibera del 16 aprile 2003 non riguardava la regolamentazione dell’area comune, l’assenso della Banca, manifestato in detta deliberazione, concerneva la sola prosecuzione dei lavori di ristrutturazione del sottotetto da parte della (OMISSIS) S.r.l., – dalla lettera dal 27 novembre 2002 si desumeva la contrarieta’ della Banca ad eventuali cessioni di quote condominiali; sicche’ non vi era uno scritto contenente la manifestazione di volonta’ chiara e inequivocabile di concludere il contratto per adesione;

f) che non poteva essere accolto neanche il motivo di gravame con cui si censurava la dichiarazione, del Giudice di prime cure, di assorbimento della domanda di usucapione proposta dall’attrice, e cio’ perche’ doveva essere confermato che detta domanda era stata proposta in via subordinata rispetto alla domanda di accertamento della nullita’ della delibera impugnata del 7 febbraio 2012, domanda, quest’ultima, che era stata accolta;

g) che, in ogni caso, il Tribunale aveva ad abundantiam motivato sulla infondatezza della domanda di usucapione e, dunque, il motivo era destituito di fondamento;

h) che la domanda riconvenzionale proposta dal Condominio era ammissibile, in quanto connessa alla domanda principale, e l’amministratore condominiale era legittimato a far valere le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini, previa autorizzazione dell’assemblea;

i) che l’onere probatorio relativo alla domanda riconvenzionale di rivendicazione proposta dal Condominio era attenuato, in quanto la (OMISSIS) non aveva contestato che, almeno fino all’anno 1978, data di decorrenza del suo asserito possesso esclusivo, l’area fosse di proprieta’ condominiale;

l) che, a fronte di tale presunzione di condominialita’ dell’area, non vi era nessun titolo contrario che comprovasse la sua proprieta’ esclusiva;

m) che doveva essere, altresi’, respinto il motivo di gravame con il quale l’appellante lamentava l’erronea valutazione delle prove orali e dei documenti depositati, che aveva indotto il Tribunale a disattendere la domanda di usucapione proposta dall’attrice, poiche’ dalla espletata prova per interpello e testimoniale non era risultato che, all’epoca della convenzione del 26 febbraio 2003, l’attrice avesse gia’ acquistato la proprieta’ della porzione comune in controversia per possesso ultraventennale, continuato, pacifico e ininterrotto (in proposito, la Corte di merito confutava analiticamente le obiezioni mosse dall’appellante, ripercorrendo l’esito della prova per interpello deferita all’amministratore e delle deposizioni rese dai testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)).

3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, (OMISSIS). Ha resistito con controricorso l’intimato Condominio (OMISSIS) sito in Noale.

4.- La ricorrente ha presentato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli articoli 183 e 345 c.p.c., nonche’ degli articoli 99, 101 e 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che, in relazione all’interpretazione del contratto del 26 febbraio 2003, l’appellante avesse mutato la domanda, allorche’ in sede di gravame ha chiesto che fosse accertato che, attraverso tale convenzione, i condomini firmatari avevano trasferito la quota di competenza sull’area in questione.

Sul punto, si deduce che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che l’appellante avesse introdotto un nuovo tema d’indagine, poiche’, a fronte della richiesta di verifica dell’uso esclusivo dell’area in favore della (OMISSIS), la riconduzione di tale effetto al trasferimento delle quote di competenza di ciascun condomino costituiva una mera specificazione automatica della domanda e non gia’ un suo mutamento.

1.1.- La doglianza e’ infondata.

Secondo quanto emerge dalla stessa esposizione della sentenza della Corte d’appello – e come risulta avvalorato all’esito di una disamina degli atti, alla stregua dell’error in procedendo dedotto – l’attrice ha richiesto, nel giudizio di prime cure, che fosse accertata la validita’ della scrittura del 26 febbraio 2003 in ragione del trasferimento, da parte dei condomini, non gia’ delle quote ideali spettanti sull’area comune, bensi’ dell’uso e godimento esclusivo sull’area comune, esterna al fabbricato, nella sua interezza.

Sicche’ la prospettazione della validita’ della scrittura per l’asserita cessione, da parte dei condomini firmatari, del godimento della cosa, nei limiti della quota spettante ad ognuno, ai sensi dell’articolo 1103 c.c., comma 1, ha introdotto una nuova causa petendi, debitamente dichiarata inammissibile in sede di gravame.

Questa ricostruzione e’ suffragata dal fatto che nella fattispecie, a fronte della rivendicazione della natura condominiale del bene (recte dell’area esterna al fabbricato), il relativo atto traslativo esigeva, a pena di nullita’, il consenso unanime dei condomini, con l’effetto che, affinche’ potesse farsi valere il diritto potestativo di ciascun comunista a disporre della sua quota di pertinenza, avrebbe dovuto previamente essere dedotto il mutamento della natura dell’area da bene condominiale a bene comune, per effetto di un’apposita delibera assembleare.

Infatti, la deliberazione condominiale (a cui deve essere equiparata la convenzione stipulata dai condomini), con la quale vengono assegnate parti comuni in proprieta’ esclusiva ad alcuni condomini, richiede l’unanimita’ degli stessi, incidendo sulla pregressa comproprieta’ originaria ex lege di parti comuni e comportando l’esclusione dal vincolo reale di alcuni dei condomini (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6090 del 04/03/2020; Sez. 2, Sentenza n. 20612 del 31/08/2017; Sez. 2, Sentenza n. 15024 del 14/06/2013).

Ugualmente accade allorche’ sia costituito un diritto reale di godimento sul bene condominiale in via esclusiva in favore di un condomino, essendo anche in questo caso necessario il consenso scritto di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20543 del 29/09/2020; Sez. 2, Sentenza n. 25775 del 14/12/2016).

E nella fattispecie la nullita’ della convenzione e’ stata dichiarata proprio perche’ la concessione dell’uso e del godimento esclusivo dell’area, in favore di (OMISSIS), attraverso la scrittura privata del 26 febbraio 2003, e’ stata rilasciata senza il consenso unanime di tutti i condomini, mancando la sottoscrizione di un condomino.

Pertanto, nell’ipotesi di cessione a terzi di un uso siffatto della cosa comune, non e’ al singolo condomino – o a piu’ condomini – che spetta la legittimazione alla cessione stessa, essendo, all’uopo, necessario il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, giusta quanto disposto dell’articolo 1108 c.c., comma 3, norma applicabile al condominio per effetto del rinvio di cui all’articolo 1139 c.c. (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 5060 del 25/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 2255 del 01/03/2000).

Ed inoltre, ai sensi dell’articolo 1118 c.c., comma 2, come il condomino non puo’ rinunziare al suo diritto sulle parti comuni, cosi’ non puo’ cedere la quota spettante su esse, indipendentemente dalla cessione del piano o porzione di piano di proprieta’ esclusiva.

Sicche’ solo qualora un bene oggetto di proprieta’ condominiale subisca – in base ad apposita delibera assembleare – un mutamento di destinazione tale da farne cessare la qualita’ condominiale, al medesimo non si applicheranno piu’ le norme concernenti la disciplina dei beni comuni del condominio, bensi’ quelle della comunione ordinaria, in base alle quali ciascun partecipante puo’ cedere ad altri il suo diritto di comproprieta’, ai sensi dell’articolo 1103 c.c., comma 1; ne consegue che – solo in questa evenienza -, ove la vendita di quel bene sia stata stipulata soltanto da uno o piu’, ma non da tutti i comproprietari, si determina non la nullita’, bensi’ l’inefficacia relativa del negozio, che non puo’, pertanto, essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma solo dalla parte acquirente, che e’ l’unica titolare dell’interesse a che il bene indiviso sia venduto per l’intero e che puo’ anche scegliere di riconoscere validita’ al contratto di trasferimento di singole quote di proprieta’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8092 del 08/04/2011).

E’, infatti, relativo al solo ambito dei beni che rientrano nella comunione ordinaria l’assunto in forza del quale la vendita di una cosa comune indivisa, qualora prevista e predisposta per l’intero, ma in concreto stipulata soltanto da alcuni dei comproprietari, non e’ affetta da nullita’, bensi’ e’ solo incompleta e inefficace. Tale inefficacia e’, pero’, relativa, nel senso che non puo’ essere fatta valere dai venditori intervenuti all’atto, i quali non hanno un interesse giuridicamente apprezzabile a che la cosa sia venduta esclusivamente per l’intero (salvo che cio’ costituisca il contenuto di una espressa condizione in favore di tutti i comproprietari), ma soltanto dal compratore, il quale, ove non intenda avvalersi di detta inefficacia, potra’ pretendere che il contratto venga eseguito soltanto per le quote dei comproprietari intervenuti, a meno che non ricorra l’inscindibilita’ della prestazione da dedursi e verificarsi nel giudizio di merito (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5047 del 14/08/1986; Sez. 2, Sentenza n. 5647 del 28/10/1982; Sez. 3, Sentenza n. 2438 del 18/06/1975).

1.2. – Quale ulteriore articolazione dello stesso motivo, la ricorrente prospetta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli articoli 99, 101 e 112 c.p.c., in relazione all’articolo 1421 c.c., per avere la Corte territoriale dichiarato la nullita’ della convenzione del 26 febbraio 2003, senza che fosse stata formulata una specifica domanda sul punto e senza che fosse previamente stimolato il contraddittorio.

Ancora, ad avviso dell’istante, ove fossero stati assegnati alle parti i termini per controdedurre sulla questione rilevata d’ufficio, la declaratoria di nullita’ sarebbe stata preclusa, perche’ inapplicabile, difettando la possibilita’ del Condominio di restituire le prestazioni corrisposte a titolo di corrispettivo per la concessione del godimento esclusivo dell’area in favore della (OMISSIS), all’esito della consumazione di dette prestazioni.

Si rileva, quindi, che il Condominio e i singoli condomini non avrebbero potuto richiedere la nullita’ della convenzione, neanche in via di eccezione, poiche’ avevano contribuito a determinare detta nullita’, avendo goduto dei relativi effetti, ossia del mantenimento del possesso sull’altra area, evidenziata, nella planimetria allegata alla convenzione, con il colore verde, e del consenso prestato da tutti i condomini nei confronti del condomino (OMISSIS), affinche’ realizzasse i lavori di trasformazione edilizia dell’ultimo piano, cosi’ da ottenere la licenza a costruire, a suo tempo sospesa su intervento della (OMISSIS).

1.3.- Tale critica e’ infondata.

E tanto perche’ risulta che la domanda riconvenzionale di rivendicazione, proposta dal Condominio (OMISSIS) nel giudizio di primo grado, era espressamente fondata sull’accertamento della “inefficacia” della convenzione del 26 febbraio 2003 per mancata sottoscrizione di un condomino, ovvero della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che non aveva mai manifestato il suo consenso.

Pertanto, la nullita’ – per la stessa ragione recepita dalla pronuncia di primo grado – e’ stata espressamente fatta valere e non e’ stata rilevata d’ufficio, cosicche’ non e’ stato introdotto un nuovo tema di indagine, sul quale le parti non avevano avuto modo di confrontarsi. Non ricorre, pertanto, l’ipotesi della sentenza a sorpresa o della terza via, per violazione dell’articolo 101 c.p.c., comma 2, idonea ad inficiare la validita’ della sentenza.

Rispetto ad un profilo espressamente trattato dal Condominio convenuto, ossia l’inidoneita’ della convenzione contenuta nella scrittura privata del 26 febbraio 2003 a produrre effetti, poiche’ – attraverso di essa – si disponeva di un bene condominiale, senza che vi fosse il consenso di tutti i condomini, la declaratoria di nullita’, pur postulando il riferimento a una questione mista, di fatto e di diritto, non avrebbe potuto implicare l’introduzione di prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti ovvero una attivita’ assertiva in punto di fatto ulteriore, appunto perche’ il thema decidendum era espressamente esteso alla verifica della validita’ di tale accordo, per effetto della domanda riconvenzionale proposta dal Condominio (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11724 del 05/05/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 11440 del 30/04/2021; Sez. 2, Sentenza n. 20870 del 30/09/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 30716 del 27/11/2018).

Nessuna violazione del diritto di difesa puo’ dunque prospettarsi, appunto perche’ l’attrice avrebbe potuto far valere le sue ragioni sin da quando il contraddittorio sul punto e’ stato attivato, con la proposizione della domanda riconvenzionale di rivendicazione, basata sulla “inefficacia” della convenzione, in quanto priva della sottoscrizione di uno dei condomini.

Sicche’, per definizione, nel caso in esame la dichiarazione di nullita’ della convenzione e’ stata contemperata e coordinata con il principio della domanda, fissato dagli articoli 99 e 112 c.p.c., nel senso che essa ha fatto seguito alla tempestiva proposizione della questione in giudizio sulla stessa ragione di invalidita’ poi accertata in sentenza (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 11106 del 27/04/2021; Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014).

1.4.- Tanto premesso, la declaratoria di nullita’, all’esito dell’accertamento dell’effettiva ricorrenza della causa di invalidita’, non poteva essere condizionata dall’asserita irripetibilita’ delle prestazioni eseguite in favore del Condominio e dei singoli condomini, poiche’ – a fronte del pregiudizio alla possibilita’ concreta di ripetizione delle prestazioni, alla stregua del contenuto di queste ultime, secondo le regole degli articoli 2033 e ss. c.c., quale mera azione conseguenziale all’accertamento della nullita’ del contratto – potra’ operare altrimenti, ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l’azione generale di arricchimento prevista dall’articolo 2041 c.c., ma non certo essere compromesso l’accoglimento dell’azione pregiudiziale di nullita’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9052 del 15/04/2010; Sez. 1, Sentenza n. 21647 del 08/11/2005).

Che l’irripetibilita’ della prestazione non possa incidere sulla pregiudiziale dichiarazione di nullita’ e’, del resto, suffragato dal dato normativo e segnatamente dalla previsione di cui all’articolo 2035 c.c., secondo cui – all’esito della dichiarazione della nullita’ strutturale del contratto per illiceita’ della causa, perche’ contraria al buon costume, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 1343 c.c. e articolo 1418 c.c., comma 2, – la prestazione contraria al buon costume non puo’ essere ripetuta. Pur trattandosi, in questa ipotesi, di una impossibilita’ giuridica e non gia’ materiale che la prestazione fornita possa formare oggetto di obbligazione restitutoria (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25631 del 27/10/2017; Sez. 3, Sentenza n. 2420 del 14/07/1972), il richiamo alla norma e’ emblematico, poiche’ e’ significativo della circostanza secondo cui il dato effettuale della irripetibilita’ non puo’ mai incidere sul dato pregiudiziale dell’invalidita’, che costituisce una patologia che affligge sin dall’origine il negozio.

Ne consegue che nella fattispecie il fatto che le prestazioni asseritamente poste in nesso sinallagmatico con la concessione in godimento esclusivo dell’area, in favore della (OMISSIS), fossero state consumate, con la conseguente inattuabilita’ della ripetizione, non costituiva comunque ragione ostativa della declaratoria di nullita’.

1.5.- In ultimo, la nullita’ del contratto puo’ essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ex articolo 1421 c.c., sicche’ nessuna preclusione poteva derivare dall’asserito fatto di avere contribuito alla causazione di detta nullita’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5626 del 18/04/2002; Sez. 2, Sentenza n. 1511 del 19/02/1997).

2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’articolo 1117 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che l’area esterna al fabbricato, oggetto della convenzione del 26 febbraio 2003, ricadesse tra le parti dell’edificio di cui si presume la proprieta’ comune, nonche’ la violazione degli articoli 948 e 2697 c.c., per avere la Corte di merito accolto la domanda di rivendicazione della proprieta’ dell’area, proposta dal Condominio, senza che quest’ultimo avesse fornito la prova della proprieta’.

In ordine a tale aspetto, si evidenzia che l’area esterna al fabbricato non sarebbe di per se’ condominiale, operando la presunzione di condominialita’ solo con riferimento all’area su cui sorge il fabbricato ed avendo l’area in oggetto una individuazione catastale autonoma, sicche’ – in difetto di alcuna prova documentale dell’acquisto in favore del Condominio – la domanda di rivendica avrebbe dovuto essere respinta.

2.1.- Il motivo e’ infondato.

Infatti, come e’ stato osservato dalla Corte territoriale, l’onere probatorio relativo alla domanda riconvenzionale di rivendicazione proposta dal Condominio era attenuato, in quanto la (OMISSIS) non aveva contestato che, almeno fino all’anno 1978, data di decorrenza del suo asserito possesso esclusivo, l’area fosse di proprieta’ condominiale. Pertanto, la presunzione di condominialita’ dell’area e’ stata ricavata proprio dal tenore della difesa dell’attrice nel giudizio di prime cure e appellante nel giudizio di gravame.

A fronte di questa presunzione, ha aggiunto la sentenza d’appello, non vi era nessun titolo contrario che comprovasse la proprieta’ esclusiva in testa alla (OMISSIS).

Per l’effetto, la sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio secondo cui il rigore probatorio rimane attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente (nella fattispecie esplicitamente), o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa, all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28865 del 19/10/2021; Sez. 2, Sentenza n. 25793 del 14/12/2016; Sez. 2, Sentenza n. 15539 del 23/07/2015).

Peraltro, lo stesso fondamento causale della convenzione di cui alla scrittura privata del 26 febbraio 2003, mediante la quale alcuni condomini hanno concesso il godimento esclusivo l’area esterna al fabbricato in favore della (OMISSIS), riposava sul fatto che tale bene rientrasse nella proprieta’ comune dell’edificio.

2.2.- A fortiori la Corte d’appello ha richiamato l’articolo 1117 c.c., per affermare che anche l’area in questione rientra nell’elencazione ivi contenuta. Peraltro, la stessa sentenza d’appello fa cenno al fatto che il Condominio aveva eccepito, nel giudizio di prime cure, che l’articolo 5 del regolamento condominiale, accettato dall’attrice, includeva espressamente tale area tra i beni comuni.

E in effetti, secondo la costante giurisprudenza di legittimita’, le aree esterne al fabbricato e ad esso adiacenti sono assimilate nella nozione di cortile, espressamente richiamata dall’articolo 1117 c.c., n. 1.

Infatti, il cortile tecnicamente e’ definito come l’area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di piu’ edifici, che serve a dare luce e aria agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all’ampia portata della parola e, soprattutto alla funzione di dare aria e luce agli ambienti che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell’edificio – quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi – che, sebbene non menzionati espressamente nell’articolo 1117 c.c., vanno ritenute comuni a norma della suddetta disposizione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3852 del 17/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 16241 del 29/10/2003; Sez. 2, Sentenza n. 7889 del 09/06/2000).

Con l’effetto che per parti comuni dello stabile condominiale devono estensivamente intendersi anche quelle esterne, purche’ adibite all’uso comune di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22911 del 26/09/2018; Sez. 2, Sentenza n. 9206 del 04/05/2005).

E tra le destinazioni accessorie del cortile comune, la cui funzione principale e’ quella di dare aria e luce alle varie unita’ immobiliari, rientra quella di consentire ai condomini l’accesso a piedi o con veicoli alle loro proprieta’, di cui il cortile costituisce un accessorio, nonche’ la sosta anche temporanea dei veicoli stessi, senza che tale uso possa ritenersi condizionato dall’eventuale piu’ limitata forma di godimento del cortile comune praticata nel passato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13879 del 09/06/2010; Sez. 2, Sentenza n. 5848 del 16/03/2006; Sez. 2, Sentenza n. 621 del 11/02/1977).

Ora, sull’uso dell’area da parte dei condomini la sentenza della Corte di merito ha richiamato le deposizioni rese dai testi escussi nel giudizio di primo grado.

E d’altronde, al fine di accertare se l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti, sia attribuito ad uno o piu’ condomini, e’ irrilevante la circostanza che l’area stessa, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta piu’ proficuamente e frequentemente da uno dei condomini, occorrendo all’uopo un titolo di fonte negoziale (ravvisabile nel regolamento condominiale c.d. contrattuale) che conferisca al bene natura pertinenziale e la cui interpretazione presuppone un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20712 del 04/09/2017).

Senonche’, in ordine alla censura sollevata sulla portata dell’onere probatorio del Condominio che rivendichi la proprieta’ di un bene comune, per tutelare la proprieta’ di un bene appartenente a quelli indicati dall’articolo 1117 c.c., non e’ necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rei vindicatio la comproprieta’ del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioe’ sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente, con le unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprieta’ esclusiva darne la prova (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20593 del 07/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 11195 del 07/05/2010; Sez. 2, Sentenza n. 15372 del 01/12/2000).

3.- Con il terzo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della violazione degli articoli 112 e 132 c.p.c., in relazione all’articolo 1158 c.c. e agli articoli 99, 101 e 339 c.p.c., per avere la Corte d’appello mancato di esaminare la domanda di usucapione proposta dall’attrice gia’ nel giudizio di prime cure, avente ad oggetto la contesa area esterna al fabbricato, la cui fondatezza sarebbe emersa dalla stessa ammissione di controparte, in forza dell’articolo 2735 c.c., nella convenzione del 26 febbraio 2003.

Secondo la ricorrente, sarebbe mancata totalmente la motivazione sulla domanda di usucapione, non essendo stato deciso sul devolutum, poiche’ il Giudicante non avrebbe preso in alcuna considerazione la confessione extragiudiziale resa dal Condominio nella richiamata convenzione, nella quale quest’ultimo riconosceva che l’area in contesa (ossia la porzione con campitura in rosso nell’allegata planimetria) era stata sempre goduta ininterrottamente e pacificamente da (OMISSIS).

3.1.- Anche tale mezzo e’ privo di fondamento.

In disparte la commistione tra omessa pronuncia e omessa motivazione, la Corte territoriale – e ancora prima il Tribunale adito in primo grado – hanno esaminato la domanda di accertamento dell’acquisto della proprieta’ dell’area per usucapione, pur ritenendola pregiudizialmente assorbita dalla sua proposizione in via subordinata (ossia condizionata al mancato accoglimento della domanda di accertamento della nullita’ della delibera del 7 febbraio 2012).

In specie, la sentenza d’appello, rispondendo allo specifico motivo di gravame avanzato, con il quale l’appellante lamentava l’erronea valutazione delle prove orali e dei documenti depositati, ha ritenuto che dovevano essere confermate le ragioni che avevano indotto il Tribunale a disattendere la domanda di usucapione proposta dall’attrice, poiche’ dalla espletata prova per interpello e testimoniale non era risultato che, all’epoca della convenzione del 26 febbraio 2003, l’attrice avesse gia’ acquistato la proprieta’ della porzione comune in controversia per possesso ultraventennale, continuato, pacifico e ininterrotto.

In proposito, la sentenza della Corte di merito ha confutato analiticamente le obiezioni mosse dall’appellante, ripercorrendo l’esito della prova per interpello deferita all’amministratore e delle deposizioni rese dai testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

Tali risultanze sono state valutate comparativamente con i “documenti depositati”, secondo quanto riportato nella sentenza d’appello.

Sicche’ non ricorre ne’ l’omessa pronuncia, ne’ l’omessa motivazione.

Tanto esposto, la valutazione compiuta dal giudice di merito – che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa (o meno) del fatto che si intende provare – non e’ mai sindacabile nel giudizio di legittimita’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7187 del 04/03/2022; Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).

4.- In definitiva, il ricorso deve essere disatteso.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 5.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

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