La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, ha come presupposto che due fondi o due parti del medesimo fondo, appartenenti in origine ad un proprietario unico o a più proprietari in comunione, siano stati posti da lui stesso o da loro stessi in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio l’uno rispetto all’altro, atta ad integrare, di fatto, il contenuto di una servitù prediale e che abbiano mantenuto inalterata tale situazione nel cessare di appartenere allo stesso soggetto. Fino a quando, però, i due fondi o le due parti del fondo, posti appunto in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio corrispondente “de facto” al contenuto proprio di una servitù, continuano ad appartenere allo stesso proprietario o a più proprietari in comunione, la servitù non può sorgere, ostandovi il principio nemini res sua servit.

Tribunale Benevento, Sezione 1 civile Sentenza 4 gennaio 2019, n. 8

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI BENEVENTO

SEZIONE PRIMA CIVILE

in composizione monocratica, in persona del Giudice Dott. Luigi GALASSO, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 2790/2015 R.G.A.C.

TRA

(…), rapp.ta e difesa, giusta procura a margine dell’atto di citazione, dall’Avv. Vi.MA., di altro Foro, e dall’Avv. Gi.RU., nello studio del quale ultimo è elett.te dom.ta;

ATTRICE

E

(…), rapp.to e difeso, giusta procura a tergo della comparsa di costituzione e risposta, dall’Avv. Gi.DE., nel cui studio è elett.te dom.to;

CONVENUTO

Avente ad oggetto: “Servitù”

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. (…) traeva in giudizio, innanzi al Tribunale di Benevento, (…), chiedendo: che si dichiarasse “che a carico del suolo di proprietà ed in possesso di (…) sito in (…) (…) e riportato in catasto al foglio (…) alla part.lla (…) sub (…) (ex (…) ed ex (…)) ed a favore del locale di proprietà ed in possesso di (…) sito in (…) (…) e riportato in catasto al fol. (…) alla part.lla (…) sub (…) (ex (…) sub (…)) sussiste una servitù di passaggio, a piedi e con veicoli e per tutta la larghezza della porta d’ingresso”; che si ordinasse al (…) “di tenere il suolo sempre libero e sgombero da persone e cose”.

Con vittoria di spese.

2. Resisteva (…), il quale chiedeva rigettarsi la domanda: con vittoria di spese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La lamentata genericità della domanda, della quale si duole il convenuto, non gli ha impedito di difendersi puntualmente nel merito: sicché non assume rilevanza.

2. L’oggetto della controversia è, da ultimo, descritto, in maniera puntuale e specifica, ed aderente allo stato dei luoghi, come visibile nelle immagini depositate, e come risultante dagli altri documenti, alla pagina quattro della comparsa conclusionale dell’attrice: si trascrive il passo per l’utilità che esso presenta:

La controversia ha per oggetto l’area di proprietà di (…); sita in (…) (…); riportata in catasto al fol. (…) alla part.lla (…) sub (…) (ex (…) ed ex (…)); della lunghezza di circa 3 metri; della larghezza di circa 2 metri; antistante il locale facente parte del fabbricato sito nello stesso abitato in Via (…), posizionato al piano S1-T del fabbricato stesso, riportato in catasto al fol. (…) alla part.lla (…) sub (…) (ex (…) sub (…)) e di proprietà una volta di (…) e (…), poi di (…) ed infine di (…); antistante il finitimo locale facente parte del medesimo fabbricato, posizionato al piano S1-T di quest’ultimo, riportato in catasto al fol. (…) alla part.lla (…) sub (…) e di proprietà prima di (…) e (…) ed infine di (…); e confinante, sulla sinistra, per chi guarda il fabbricato, con il vicolo cieco San Bernardino e, frontalmente, sempre per chi guarda il fabbricato, con piazza e strada pubblica (si vedano in proposito le fotografie prodotte dall’attrice al momento dell’iscrizione a ruolo della causa e con la memoria ex art. 183, 2 termine, c.p.c. e non contestate da controparte).

3. Il convenuto eccepisce di aver acquistato l’immobile, sul quale l’attrice vanta la servitù, nel 2005, mediante permuta, dal Comune di Mirabella Eclano: al quale perveniva in forza di acquisizione gratuita ex art. 9, L. n. 219 del 1981 (come si legge nel rogito).

A detta del (…), il possesso anteriore al trasferimento della proprietà non potrebbe essere considerato utile ai fini dell’usucapione, giacché la proprietà era pubblica: né egli, in quanto non proprietario, avrebbe potuto opporsi al possesso medesimo.

Trattandosi di bene patrimoniale disponibile, tuttavia, è ben possibile che l’usucapione si compia anche contro l’ente pubblico: e l’acquirente subisce gli effetti del possesso già maturato, quand’anche non potesse opporsi nel passato all’esercizio del possesso medesimo (residuandogli, comunque, la possibilità, tuttavia, di reagire avverso la protrazione di tale possesso).

La L. n. 219 del 1981 non prevede, invero, che si tratti di bene demaniale, o di bene patrimoniale indisponibile: né imprime una specifica destinazione o funzione alle aree di sedime gratuitamente acquisite.

Il convenuto, nella memoria di replica, assume trattarsi di bene demaniale in quanto destinato alla viabilità, o ad essa adiacente, secondo la previsione dell’art. 22, co. 3, L. n. 2248 del 1865, all. F: ma, in realtà, non risulta da alcun elemento che mai tale spazio sia stato destinato all’uso pubblico (e cfr. Cass. civ., Sez. II, 2.2.2017, n. 2795: “La presunzione di demanialità stabilita dall’art. 22 della L. n. 2248 del 1865, all. F, non si riferisce ad ogni area comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle che, per l’immediata accessibilità, integrano la funzione viaria della rete stradale, in guisa da costituire pertinenza della strada; nelle altre ipotesi, invece, affinché un’area privata venga a far parte del demanio, è necessario che essa sia destinata all’uso pubblico e che sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia trasferito il dominio alla Pubblica Amministrazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto la natura demaniale di un’area sulla base del solo requisito della contiguità alla strada, omettendo ogni valutazione sull’effettiva funzione integrativa della viabilità stradale svolta dalla stessa).”).

4. Il (…) eccepisce, ancora, l’inesistenza di opere visibili e permanenti, invocando l’art. 1061 c.c.

In realtà, le fotografie depositate dall’attrice mostrano la porta, suddivisa in quattro elementi, di ampiezza tale da consentire il passaggio di veicoli (peraltro rappresentati nelle fotografie prodotte, e ricordati da testi), che consente immediatamente l’accesso, dal locale terraneo dell’attrice allo spazio di proprietà del convenuto, e, quindi, da quest’ultimo all’adiacente viabilità pubblica.

Per immediatezza di comprensione, si inserisce nel presente testo una fotografia, depositata dall’attrice nel termine ex art. 183, co. 6, n. 2, c.p.c.

Si può agevolmente notare la menzionata porta, quadripartita, del locale della (…), ad angolo rispetto alla saracinesca di un immobile appartenente al (…): l’area, oggetto della domanda, di forma quadrangolare, è quella antistante i due varchi.

Omissis

In generale, “Il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione ex art. 1061 c.c., si configura come presenza di opere visibili e permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio che rivelino in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile” (Cass. civ., Sez. II, 25.10.2017, n. 25355).

La S.C. ha affermato, altresì (in un caso molto simile al presente), che non è “necessario che dette opere insistano sul fondo servente, potendo trovarsi anche sul fondo dominante o su quello appartenente a un terzo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto compiuta l’usucapione della servitù di passaggio sul rilievo che l’accesso al fondo servente era praticato attraverso un portone carraio sito sul fondo dominante e utilizzato come via d’accesso al cortile di proprietà della controparte)” (Cass. civ., Sez. II, 4.4.2006, n. 7817).

Deve reputarsi, allora, che vi siano opere visibili e permanenti.

5. La tolleranza, pure eccepita dal convenuto, non risulta provata in alcun modo, come era onere del medesimo convenuto, trattandosi di fatto impeditivo: e di circostanza tant o meno probabile, quanto più lunga, come nella specie, la durata dell’invocato possesso ad usucapionem (Cass. civ., Sez. II, 16.4.2018, n. 9275: “In materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, poiché l’uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la mera tolleranza, essendo quest’ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorietà ed occasionalità, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa spetta a chi lo abbia subito l’onere di dimostrare che lo stesso è stato dovuto a mera tolleranza.”; Cass. civ., Sez. II, 19.9.2014, n. 19830: “Colui che assume di essere stato spogliato del possesso di una servitù di passaggio non è tenuto a dare la prova dell’inesistenza della tolleranza, trattandosi di fatto impeditivo che deve provare l’altra parte”).

6. Nessuna rilevanza assume la mancanza (pure eccepita dal convenuto) di un titolo amministrativo del passaggio veicolare, in capo alla (…) od al di lei dante causa (il padre): non si tratta di un requisito richiesto dal codice civile, e la sola rilevanza di una simile carenza si dispiega nel rapporto tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione.

7. Non è possibile ravvisare la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, come infondatamente assume l’attrice.

Come da tempo segnalato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. II, 18.4.2001, n. 5699),

“La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, ha come presupposto che due fondi o due parti del medesimo fondo, appartenenti in origine ad un proprietario unico o a più proprietari in comunione, siano stati posti da lui stesso o da loro stessi in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio l’uno rispetto all’altro, atta ad integrare, di fatto, il contenuto di una servitù prediale e che abbiano mantenuto inalterata tale situazione nel cessare di appartenere allo stesso soggetto. Fino a quando, però, i due fondi o le due parti del fondo, posti appunto in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio corrispondente “de facto” al contenuto proprio di una servitù, continuano ad appartenere allo stesso proprietario o a più proprietari in comunione, la servitù non può sorgere, ostandovi il principio “nemini res sua servit”.”.

Nella specie, la proprietà del suolo, sul quale la (…) chiede che si accerti l’esistenza del proprio diritto di servitù, veniva trasferita dal Comune di Mirabella Eclano a (…) nel 2005, quando il fabbricato era stato ultimato, a detta della medesima (…), nel 1990: e, dunque, la situazione di fatto veniva creata quando i due immobili appartenevano a proprietari diversi: e la successiva riunione in un’unica mano non integra i presupposti della destinazione del padre di famiglia.

8. La servitù, tuttavia, è stata acquisita per usucapione.

Il convenuto, innanzitutto, il 30 Novembre 2016, sottoposto all’interrogatorio formale, dichiarava che la comunicazione di ultimazione dei lavori del fabbricato risaliva al Maggio del 1990: sicché è possibile e verosimile che l’immobile del (…), che affaccia sullo spazio oggetto della presente lite, sia stato utilizzato da quell’anno, come afferma l’attrice.

Lo stesso convenuto, inoltre, conferma che l’area de qua vertitur sia percorribile non solamente a piedi, bensì pure con veicoli.

All’udienza del 6 Marzo 2017, venivano escussi i testimoni (…) (addotto dall’attrice), (…) (addotto dal convenuto) e (…) (di parte attrice: si tratta del marito della (…)).

(…) era comproprietario, per pochi millesimi, del fabbricato: al momento della costruzione, tuttavia, donava al figlio.

Egli ha affermato:

Ricordo che per un periodo in questo vano id est, quello oggi dell’attrice c’era la macchina del parroco (…) … si trattava di circa quindici o venti anni fa.

(…) ha riconosciuto, nella fotografia esibitagli, il locale della (…), ed ha dichiarato di parcheggiare la propria automobile, sin dal 2003 o dal 2004, nel locale del (…), che affaccia sullo stesso spazio.

Il teste, inoltre, ha affermato:

Ho visto macchine di altre persone di mia conoscenza che venivano parcheggiate in quel locale.

Se non sbaglio si trattava delle macchine di (…), di (…) e del Dottor (…).

Non ho visto più parcheggiare queste automobili dopo che è morto il sig. (…).

Non ricordo esattamente quando è morto il sig. (…) ma sarà stato intorno al 2008.

Nel locale di proprietà (…) non ho mai visto parcheggiare automobili condotte da donne. Accedo al locale del sig. (…) quasi tutti i giorni in qualunque orario mi serva la macchina.

(…), infine, ha dichiarato:

Mi sono fidanzato con mia moglie nel 1989. Da questo periodo ho iniziato a frequentare la sua abitazione.

Qualche mese dopo il fabbricato è stato ultimato e mio suocero ha iniziato ad utilizzarlo sia per depositare i materiali, essendo muratore, sia per parcheggiare l’automobile. Preciso che mio suocero è deceduto il 29.7.2008.

È vero che mio suocero accedeva al locale sia con la macchina sia con veicoli più grandi e automezzi e tutt’ora c’è una betoniera all’interno.

Mio suocero da ultimo abitava in una casa posta di fronte nella quale è anche deceduto.

Tra i vari particolari posso riferire che mio suocero era solito parcheggiare la sua FIAT TIPO di colore azzurro metallizzato, lasciando in estate aperta la porta del locale: trovava comodo ripararla dal sole ma non sempre chiudeva l’accesso.

Io e mia moglie abitiamo a Potenza dal 2000.

So che mio suocero ha consentito a più persone di parcheggiare in quel locale, ad esempio (…), il dottor (…), anche ad un avvocato del quale non ricordo il nome.

Nel 2012/13 mia moglie con un avviso affisso nel locale invitò le persone che parcheggiavano le automobili a cessare di farlo perché dovevano essere eseguiti dei lavori condominiali che avrebbero potuto creare pericolo alle autovetture. Al termine dei lavori di ristrutturazione esterni, nel 2013 mia moglie si è ritrovata sic la pavimentazione.

Oltre a questa l’accesso era impedito prima da delle transenne e poi da una sbarra.

Ogni qualvolta mia moglie si recava in paese o per fare visita alla madre o per occuparsi di un suo terreno, utilizzava quel locale come parcheggio. Mia suocera è deceduta nel 2013. Tutt’ora mia moglie utilizza il locale per parcheggiare anche perché la sbarra è stata rimossa.

Mia moglie va perlomeno una volta al mese sul posto.

All’udienza del 12 Giugno 2017, veniva udito (…), figlio del convenuto, che affermava:

Né (…) il padre dell’attrice né nessuno della famiglia ha mai parcheggiato, per quello che io posso riferire, la macchina nel vano del fabbricato anche perché (…) aveva un box dall’altro lato della strada e quindi parcheggiava sempre lì.

Anche la figlia di (…) non ha mai parcheggiato lì anche perché se non ricordo male abita o a P. o a M..

Dal 2007 io abito in un appartamento di quel palazzo.

So che il vano veniva utilizzato come parcheggio sino a quando era in vita (…), dal parroco (…) e da un dottore, che si chiama (…), e anche dal Dottore (…) che parcheggiava la moto.

Ne sono certo anche perché il mio appartamento cade proprio sulla verticale della porta di questo deposito.

Il 18 Dicembre 2017, infine, veniva escusso (…) (di parte attrice), il quale dichiarava:

Non so chi sia proprietario dello spazio antistante il fabbricato.

Qualcuno passava con la macchina ma non so a che titolo. Io sto parlando dell’epoca forse fino al 2005.

Mi sembra di ricordare che qualche volta sia passati il dott. (…).

Aprivamo la porta che affaccia sullo spazio antistante il fabbricato quando andavamo io e il Geom. (…). La chiave veniva presa a casa di (…).

Il dott. (…) è passato finché era vivo (…). Non so se sia passato anche successivamente.

Come si può notare, i testi ricordano che diverse persone (il parroco (…), il Dottor (…), il Dottor (…), tal (…)) parcheggiassero nel locale del (…), e che costui disponesse della chiave.

Lo stesso (…), con (…) e (…) (fratello di (…), come si desume dal testo del ricorso per la reintegrazione nel possesso, risalente al 2013 ed allegato alla citazione), del resto, prima che venisse completato il fabbricato, concludevano una transazione (il cui testo è prodotto dall’attrice), mediante la quale definivano la causa n. n. 8/1986 R.G.

Pretura di Mirabella Eclano, stabilendo che il (…) avrebbe occupato l’area di sedime del fabbricato preesistente “invece che fino al Vicoletto cieco S. Bernardino (come attualmente autorizzato dal Comune) a metri due e cent. trenta (M. 2,30) dallo stesso sicché dovrà rimanere uno spazio di tale larghezza onde consentire l’accesso carrabile allo immobile di (…) e (…)”.

Ebbene, la rientranza profonda metri due e centimetri trenta, della quale si parla nella transazione, è (come si desume anche dal grafico allegato al testo della transazione) proprio quella che, oggi, costituisce l’area oggetto di causa.

Tale accordo, insomma, consente di comprendere come (…), sin dall’inizio, volesse consentire che lo spazio fosse utilizzato da (…): e, pertanto, benché lo spazio medesimo gli fosse poi trasferito, dal Comune, soltanto nel 2005, si è dinanzi ad un evidente elemento di persuasione, che induce a ritenere che al locale del (…) si sia acceduto, sin dalla costruzione di esso, attraverso il varco in esame, transitando proprio nell’area oggi appartenente al (…).

Se l’area era sottoposta alla concreta signoria di (…), anche mediante persone di sua conoscenza, il solo teste (…), marito dell’attrice, ricorda che anche costei abbia utilizzato ed utilizzi l’immobile.

A sostegno di tale asserzione, tuttavia, è l’esito della controversia possessoria che, nel 2013, la (…) promuoveva, affinché ella fosse reintegrata nel possesso dell’area, dapprima transennata per l’esecuzione di lavori di pavimentazione, e, poi, terminati quei lavori, chiusa da una sbarra metallica.

La lite non veniva decisa nel merito, in quanto (…) (e (…), all’epoca comproprietario col primo) rimuoveva l’ostacolo: ma il Giudice, nell’ordinanza che concludeva il giudizio, riteneva cessata la materia del contendere, ascrivendo ai resistenti la soccombenza virtuale (“Le spese … vanno poste a carico di parte resistente, che sarebbe stata soccombente”: ricorso ed ordinanza sono stati prodotti dalla (…)).

In definitiva, gli elementi acquisiti inducono, nel loro complesso, a reputare che (…) e, poi, la di lui avente causa, (…), odierna attrice, abbiano utilizzato l’area in questione, per oltre vent’anni, pubblicamente, come luogo di passaggio per l’accesso al loro locale terraneo, senza alcun titolo e senza aver acquistato il possesso con violenza o clandestinamente: tutto ciò che fonda il possesso ad usucapionem. (artt. 1158 e 1163 c.c.).

Consegue l’accoglimento della domanda.

9. La sentenza va trascritta, ai sensi dell’art. 2651 c.c.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo: lo scaglione di valore è quello indicato dalla stessa attrice all’iscrizione a ruolo (Euro 2.386,00).

P.Q.M.

IL TRIBUNALE

definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. 2790/2015 R.G.A.C., promossa da (…) contro (…), ogni diversa domanda, eccezione, richiesta disattesa, così decide:

1. dichiara “che a carico del suolo di proprietà ed in possesso di (…) sito in (…) ((…)) e riportato in catasto al foglio (…) alla part.lla (…) sub (…) (ex (…) ed ex (…)) ed a favore del locale di proprietà ed in possesso di (…) sito in (…) ((…)) e riportato in catasto al fol. (…) alla part.lla (…) sub (…) (ex (…) sub (…)) sussiste una servitù di passaggio, a piedi e con veicoli e per tutta la larghezza della porta d’ingresso.”;

2. condanna (…) a tenere il suolo, oggetto di servitù, sempre libero da persone e vuoto di cose;

3. ordina la trascrizione della presente sentenza;

4. condanna (…) a rifondere a (…) le spese di lite, liquidate in Euro 2.430,00 per compensi ed in Euro 137,27 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali secondo i vigenti parametri, all’I.V.A. ed alla Cassa come per legge.

Così deciso in Benevento il 30 dicembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.