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Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile Sentenza 28 marzo 2006, n. 7029

Il curatore fallimentare non è legittimato a proporre, nei confronti del finanziatore responsabile (nella specie, una banca), l’azione da illecito aquiliano per il risarcimento dei danni causati ai creditori dall’abusiva concessione di credito diretta a mantenere artificiosamente in vita una impresa decotta, suscitando così nel mercato la falsa impressione che si tratti di impresa economicamente valida. Nel sistema della legge fallimentare, difatti, la legittimazione del curatore ad agire in rappresentanza dei creditori è limitata alle azioni c.d. di massa – finalizzate, cioè, alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ed aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo – al cui novero non appartiene l’azione risarcitoria in questione, la quale, analogamente a quella prevista dall’art. 2395 cod. civ., costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, giacché, per un verso, il danno derivante dall’attività di sovvenzione abusiva deve essere valutato caso per caso nella sua esistenza ed entità (essendo ipotizzabile che creditori aventi il diritto di partecipare al riparto non abbiano ricevuto pregiudizio dalla continuazione dell’impresa), e, per altro verso, la posizione dei singoli creditori, quanto ai presupposti per la configurabilità del pregiudizio, è diversa a seconda che siano antecedenti o successivi all’attività medesima.

 

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Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile Sentenza 28 marzo 2006, n. 7029

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vincenzo Carbone – Presidente aggiunto

Dott. Giovanni Prestipino – Presidente di sezione

Dott. Mario Rosario Morelli – Consigliere

Dott. Giulio Graziadei – Consigliere

Dott. Guido Vidiri – Consigliere

Dott. Massimo Bonomo – Consigliere

Dott. Giuseppe Maria Berruti – Consigliere Relatore

Dott. Ettore Botta – Consigliere

Dott. Raffaele Bucciante – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Fallimento It. S.r.l., in persona del Curatore pro-tempore, elettivamente domiciliato in Ro., Via As. 8, presso lo studio dell’Avvocato St. Au., rappresentato e difeso dall’Avvocato Br. In., giusta delega a margine del ricorso;

ricorrente

contro

Banca Ro. S.p.A. (ora Ca. S.p.A.);

intimata

e sul 2° ricorso n. 05430/03 proposto da:

Ca. S.p.A. – Capogruppo del Gruppo Bancario Ca. S.p.A. (già Banca di Ro. S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Ro., Via Os. 6, presso lo studio dell’Avvocato Gi. Al., che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

controricorrente e ricorrente incidentale

contro

Fallimento It. S.r.l., in persona del Curatore pro-tempore, elettivamente domiciliato in Ro., Via As. 8, presso lo studio dell’Avvocato St. Au., rappresentato e difeso dall’Avvocato Br. In., giusta delega a margine del controricorso al ricorso incidentale;

controricorrente al ricorso incidentale

avverso la sentenza n. 930/02 della Corte d’Appello di Bari, depositata il 04/11/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/02/06 dal Consigliere Relatore Giuseppe Maria Berruti;

uditi gli Avvocati Br. In., Gi. Al.;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. Domenico Iannelli che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso principale, accoglimento del secondo motivo, rinvio per il resto ad una sezione semplice.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 5.09.1999 il fallimento It. S.r.l., in persona del curatore conveniva davanti al Tribunale di Foggia la Banca di Ro. S.p.A. per sentirla condannare in suo favore al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c. in ragione della abusiva concessione di credito alla It. S.r.l. predetta, quando era in bonis, in quanto effettuata in presenza di elementi tali da doverne far riconoscere la situazione di impresa insolvente. Precisava che il credito così concesso aveva tenuto artificiosamente in vita la It. S.r.l., suscitando nel mercato la falsa opinione che si trattasse di impresa economicamente valida.

La Banca di Ro. S.p.A. convenuta si costituiva e resisteva eccependo anzitutto la nullità della citazione, l’incompetenza del tribunale adito, la carenza di legittimazione attiva del curatore per esservi quella dei singoli creditori danneggiati dal preteso illecito, e la prescrizione quinquennale dell’azione. Quindi, quanto alle azioni revocatorie ne eccepiva la inammissibilità per superamento del periodo sospetto, che a suo avviso andava calcolato dalla sentenza del Tribunale di Foggia senza che dovesse darsi alcun rilievo a quella antecedente del Tribunale di Nola, cassata dalla Corte Suprema che aveva dichiarato la competenza del Tribunale pugliese. Ne eccepiva altresì il difetto di interesse con riferimento alla domanda risarcitoria il cui accoglimento avrebbe soddisfatto interamente i creditori.

Il Tribunale di Foggia con sentenza n 898 del 2001, non definitiva, rigettava le domande revocatorie per superamento del periodo previsto dalla legge; affermava la propria competenza territoriale sulla domanda risarcitoria della Curatela nonché la legittimazione attiva della stessa, e rigettava la relativa eccezione di prescrizione.

La Banca di Ro. S.p.A. proponeva regolamento facoltativo di competenza e la Corte di Cassazione con ordinanza n 12366 del 2001 confermava la competenza territoriale del Tribunale di Foggia ex art. 20 c.p.c., pur escludendo quella ex art. 24 L.F..

La Banca di Ro. S.p.A. proponeva anche appello al quale resisteva il fallimento che proponeva a sua vola appello incidentale.

La Corte di Bari, respinta la reiterata eccezione di nullità della citazione, in parziale riforma della prima sentenza dichiarava il difetto di legittimazione attiva del curatore fallimentare a proporre l’azione risarcitoria, fondata l’eccezione di prescrizione della domanda stessa ed infondata l’eccezione di inammissibilità dell’azione revocatoria dovendosi il periodo sospetto calcolare avendo riguardo alla sola sentenza del Tribunale di Foggia e non anche a quella, cassata, del Tribunale di Nola, giacché ciò avrebbe dato luogo a due distinti periodi sospetti.

Per quanto soprattutto attiene all’odierno giudizio, riteneva, aderendo alla pronuncia della Corte di Cassazione resa nelle citata ordinanza n. 12368 del 2001 che l’azione aquiliana in parola non costituisse azione di massa, in quanto la parte danneggiata dalla abusiva concessione del credito bancario non si identifica con la collettività dei creditori ma con ciascuno di essi, cosicché rispetto ad ognuno dei pretesi danneggiati occorre valutare, caso per caso, la sussistenza dell’illecito e del pregiudizio. Rilevava in proposito che la curatela non aveva allegato un pregiudizio risentito dall’intero ceto creditorio dal momento che la domanda identificava il danno risarcibile nella differenza tra le attività fallimentari e le passività nei confronti di soggetti diversi dalle banche, tra i quali soli dunque andrebbe suddiviso il risultato dell’eventuale esito favorevole della azione risarcitoria. La Corte barese negava che al curatore si possa riconoscere un generale potere di rappresentante dei dritti dei creditori del fallimento e, al di fuori dello strumento della revocatoria, quello di far valere in nome loro la eventuale responsabilità di terzi. Riteneva quindi che l’azione in parola fosse da assimilarsi a quella di cui all’art. 2395 c.c. e che fosse pertanto ininfluente ogni riferimento all’art. 146 della L.F. per pervenire alla affermazione della legittimazione di cui si tratta, e negava la applicabilità alla vicenda della previsione dell’art. 240 della L.F..

Quanto alla eccepita prescrizione delle azioni proposte dalla curatela riteneva che il decorso del relativo periodo si doveva considerare iniziato già alla data del 30.07.1994, nella quale le banche non approvarono il piano di rientro presentato dalla impresa, giacché da tale evento, molto pubblicizzato, i creditori non potettero dedurre la solvibilità della stessa.

Contro questa sentenza vi è ricorso per cassazione da parte della curatela del fallimento con quattro motivi. Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato la Banca di Ro. S.p.A., ora Ca. S.p.A.. Resiste al ricorso incidentale condizionato con altro controricorso la Curatela del fallimento. Le parti hanno depositato memorie.

La causa è stata rimessa all’esame di queste Sezioni Unite per la soluzione della questione di massima di particolare importanza relativa alla legittimazione attiva del curatore fallimentare.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti.

Vanno esaminati, prima del ricorso principale, il primo ed altresì il secondo motivo del ricorso incidentale, ancorché questo sia espressamente condizionato all’accoglimento del principale, giacché con essi la Banca di Ro. S.p.A. propone questioni pregiudiziali di rito che incidono su quella di massima il cui esame è stato demandato a queste Sezioni Unite.

2.a. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Banca di Ro. S.p.A. lamenta il mancato esame da parte della Corte Barese di un motivo di appello da essa proposto relativo alla già eccepita incompetenza del Tribunale di Foggia.

2.b. Osserva il collegio che la sentenza impugnata, sia pure senza farne un capo di decisione formalmente evidenziato, ha tuttavia trattato la questione ed ha dato conto di avere esaminato la eccezione di incompetenza, rigettandola, rilevando che la questione era stata risolta dalla ordinanza delle Sezioni Unite n. 12368 del 2001. In tal modo dunque la Corte di merito ha anche motivato in ordine alla ritenuta competenza, giacché ha espressamente richiamato, condividendolo, il dictum delle Sezioni Unite.

Il motivo è infondato.

2.c. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale lamenta il mancato rilievo della nullità della domanda originaria di risarcimento dei danni da abusiva concessione del credito, sotto il profilo della mancanza di specificazione. La citazione infatti, come la Corte Barese non ha notato, non indicava i singoli finanziamenti che sarebbero stati effettuati commettendo l’abuso.

2.d. Osserva il collegio che la domanda della curatela è stata interpretata dalla Corte di merito come fondata sulla allegazione di un complessivo comportamento professionale del banchiere protratto per un certo periodo, il cui effetto è stata la produzione nel mercato della percezione della impresa sovvenuta come ancora finanziabile. La domanda, rileva la sentenza impugnata sul punto, si conclude con la richiesta di un risarcimento commisurato alle passività bancarie complessive. Esattamente la Corte Barese ha ritenuto la domanda, così intesa, specificata nei suoi elementi. La doglianza è dunque anch’essa infondata.

Con il primo motivo del ricorso principale la Curatela lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. nonché la motivazione insufficiente, contraddittoria ed omessa sul punto decisivo dell’affermata carenza di legittimazione attiva del curatore a proporre l’azione risacitoria. Sostiene che siccome il curatore è legittimato a proporre, quale avente causa dal fallito, ogni azione che questi avrebbe potuto proporre, egli nella vicenda ha fatto valere per l’appunto un pregiudizio subito dalla It. S.r.l. per effetto della abusiva concessione di credito da parte della Banca di Ro. S.p.A.. Il valore economico di un finanziamento secondo questa prospettazione è neutralizzato dal suo costo complessivo, cosicché esso assume rispetto al patrimonio del soggetto finanziato, un valore negativo. La condotta della Banca di Ro. S.p.A., illecita perché connotata non già dal rispetto dei principi di sana e corretta gestione del credito, ma invece diretta a mantenere artificiosamente in vita un imprenditore decotto, avrebbe cagionato al patrimonio della società per l’appunto con i non dovuti finanziamenti un danno diretto, il cui ristoro può essere chiesto dal curatore allo stesso titolo per il quale avrebbe potuto chiederlo l’imprenditore danneggiato.

3.a. Deve, a questo punto, essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del motivo, avanzata dalla Banca di Ro. S.p.A. resistente sotto il profilo della sua novità. La Banca di Ro. S.p.A. infatti sostiene che la domanda risarcitoria era stata avanzata esclusivamente sotto il profilo della spettanza al Curatore della tutela immediata dei diritti della massa e non dei diritti derivati al creditore da pretese lesioni del patrimonio della società fallita.

3.b. Osserva il collegio che la citazione introduttiva del primo giudizio allega a fondamento della accusa di illecita concessione di credito bancario, la direzione a mantenere “artificiosamente in vita” una impresa decotta, “suscitando nel mercato la falsa opinione si trattasse di impresa economicamente valida”. La direzione a mantenere artificiosamente in vita l’impresa non è, in questa prospettazione, allegazione distinta da quella della produzione della falsa opinione del mercato, corrispondente cioè a circostanza fattuale a sua volta distinta e capace di dare luogo ad evento ulteriore, come sostiene la curatela rispondendo sul punto alla eccezione della Banca di Ro. S.p.A.. Essa è, piuttosto, il presupposto della seconda. Si manteneva in via artificiosamente un’impresa che era insolvente e con ciò appunto si suscitava nel mercato una errata percezione della sua realtà finanziaria ed economica. Effetto questo che a sua volta conduceva i terzi a contrattare o a continuare a contrattare con la società.

Detta prospettazione unitaria della condotta della Banca di Ro. S.p.A. da parte della Curatela, trova conferma nella sottolineatura di circostanze dalle quali, secondo l’attrice, doveva emergere una sorta di complicità tra i vertici della impresa ed i funzionari della banca, tendente a rendere apparenti le istruttorie ed ad evitare che esse facessero emergere la vera situazione della impresa. Attività scorretta che peraltro nello stesso atto introduttivo viene attribuita all’intero ceto bancario interessato e che viene valutata come estesa a tutto il gruppo Ca. del quale la It. S.r.l. era componente.

Siffatta impostazione della domanda, e dunque la causa pretendi, si riflette sul petitum. Tant’è che la domanda risarcitoria viene specificata in citazione nell’ammontare delle passività non bancarie della fallita, detratte le attività.

Infatti, in assoluta coerenza alla predetta interpretazione della domanda la sentenza impugnata a foglio 13 e 14 rileva la novità della prospettazione della curatela secondo la quale il diritto leso consisteva anche nella impossibilità nella quale la fallita società era stata messa relativamente all’esercizio delle azioni revocatorie e ritiene di non poterla esaminare. Ciò in quanto, appunto, l’azione originariamente esercitata dal curatore era relativa alla tutela della massa dei creditori, lesi da una attività bancaria che li aveva indotti a ritenere, tutti indistintamente, effettivamente sussistente una organizzazione di impresa che invece era una apparenza, frutto del predetto artificio finanziario.

3.c. Va peraltro osservato che il danno da abuso di credito cagionato nei confronti dei terzi, creditori inclusi, ha natura aquiliana. Esso è il pregiudizio che segue alla insufficienza del riparto, pur dopo l’esperimento delle azioni esecutive. Esso, diversamente dalla diminuzione che subisce il patrimonio del creditore per effetto dell’inadempimento, risale anche alla attività di un soggetto diverso dall’inadempiente, e richiede per il suo accertamento, prima ancora che per la sua liquidazione, l’esperimento delle azioni, per l’appunto di massa, che tendono alla conservazione della garanzia generica.

Consegue che le due responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, risalgono a fatti pregiudizievoli distinti ed autonomi, i quali possono dare luogo a distinti eventi dannosi. La rispettiva allegazione in giudizio a fondamento della domanda risarcitoria, a prescindere dalla questione della legittimazione a proporre quest’ultima, deve essere differenziata non potendo l’una essere dedotta automaticamente dall’altra.

In conclusione nella vicenda in esame il dedotto danno al patrimonio della società non è mai stato allegato autonomamente, ma solo quale indistinto elemento del danno alla massa. Un danno diretto ed immediato al patrimonio della fallita, quale presupposto dell’azione che al curatore spetta come successore nei rapporti del fallito e titolare dei diritti sorti in capo a questi non venne mai dedotto. La questione, come tale, è nuova perché avanzata per la prima volta in questa sede, e pertanto inammissibile.

Con il secondo motivo di ricorso la Curatela del Fallimento lamenta la violazione degli artt. 2043, 1175, 1375, 2740, 2741 c.c., degli artt. 51 e 52 L.F., degli artt. 99 e 100 c.p.c., degli artt. 6 e 31 della L.F. nonché la motivazione carente sul punto della legittimazione attiva del curatore fallimentare. Sostiene che il comportamento della Banca di Ro. S.p.A., contrario a correttezza e buona fede, ha leso il diritto della massa alla realizzazione del credito nella esecuzione concorsuale. Sostiene che la Banca di Ro. S.p.A. con l’allegato comportamento non solo ha violato i doveri del proprio stato, ma ha realizzato il proprio interesse con il danno contemporaneo dei creditori della fallita diminuendo la soddisfazione che questi avrebbero potuto realizzare attraverso il riparto. Ciò tanto con riferimento ai creditori anteriori al compimento dell’illecito quanto a quelli successivi. Il motivo quindi rileva che la banca ha operato perché attraverso la abusiva concessione del credito venisse allargato il passivo, così pregiudicando il patrimonio della fallita e facendo oggettivamente diminuire le quote spettati ai partecipanti al riparto. L’iniziativa del curatore dunque sarebbe diretta a tutelare la intera massa al maggior riparto possibile. L’interesse della fallita alla conservazione del patrimonio e quello dei creditori ad un più ampio riparto sarebbero coincidenti.

4.a. Osserva il collegio che in via di principio non si può ritenere, come sembra presupporre la ricorrente, che nel sistema fallimentare il curatore sia titolare di un potere di rappresentanza di tutti i creditori, indistinto e generalizzato. Il sistema piuttosto prevede che la funzione del curatore sia diretta a conservare il patrimonio del debitore, garanzia del diritto del creditore, attraverso l’esercizio delle cosiddette azioni di massa, dirette ad ottenere, nell’interesse del creditore, la ricostituzione del patrimonio predetto, come avviene per l’appunto attraverso l’esercizio delle azioni revocatorie e surrogatorie. Tale principio peraltro non è assoluto, come ancora pare ritenere il ricorrente, ma va armonizzato con quello secondo il quale siffatta legittimazione ad agire, sostitutiva dei singoli creditori, non sussiste in presenza di azioni esercitabili individualmente in quanto dirette ad ottenere un vantaggio esclusivo e diretto del creditore nei confronti di soggetti diversi dal fallito, come avviene mediante le azioni di cui agli artt. 2395 e 2449 c.c.. (vedi Cass. n 18147 del 2002)

Il quesito sottoposto alla Corte è dunque se la azione di danno da abusiva concessione di credito possa essere ritenuta azione di massa, nel senso precisato, con conseguente legittimazione attiva del curatore fallimentare. La risposta, anche sulla scorta della dominante opinione scientifica, deve essere negativa.

4.b. L’azione di massa è caratterizzata dal carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito positivo. Essa nell’immediato perviene all’effetto di aumentare la massa attiva, quali che possano essere i limiti quantitativi entro i quali i creditori se ne avvantaggeranno. Essa tende direttamente alla reintegrazione del patrimonio del debitore, inteso come sua garanzia generica e comunque esso sarà suddiviso attraverso il riparto.

Non appartiene a tale novero di azioni ogni pretesa che richiede l’accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad uno o più creditori. Né vi appartiene ogni azione che, per quanto diffusa possa essere una specifica pretesa, necessita pur sempre dell’esame di specifici rapporti e del loro svolgimento, non essendo sufficiente ad assicurarne l’eventuale beneficio la mera appartenenza ad un ceto.

4.c. Va dunque anzitutto rilevato che l’azione risarcitoria di cui si tratta nella sua ontologia costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, analogamente alle azioni che traggono origine da atti degli amministratori della società fallita che danneggiano il terzo, ai sensi dell’art. 2395 c.c.. Il danno che deriva da siffatta attività andrà, comunque, caso per caso valutato nella sua esistenza e nella sua entità, essendo ben ipotizzabile che creditori che pur hanno diritto di partecipare al riparto non hanno titolo per il risarcimento di cui si tratta, non avendo ricevuto danno dalla continuazione della attività di impresa.

4.d. Inoltre la posizione dei singoli creditori nei confronti di siffatta attività di sovvenimento abusivo dell’imprenditore si differenzia a seconda che i crediti siano antecedenti oppure successivi alla stessa. La circostanza temporale infatti può escludere oppure costituire il presupposto del pregiudizio, negando pertanto il carattere indifferenziato che struttura l’azione di massa.

I creditore antecedente l’abusiva concessione del credito avrà titolo a dolersi per la partecipazione al riparto pur sempre all’esito delle azioni conservative del patrimonio da ripartire, dei creditori successivi. Questi ultimi, invece, esclusivamente dell’eventuale incapienza e per tale parte soltanto.

4.e. Va ancora osservato, sviluppando un argomento cui si è cennato innanzi ai soli fini processuali rilevanti nell’esame del primo motivo, che la odierna ricorrente partecipò al contratto che dette luogo alla abusiva concessione del credito. Essa dunque da quel contratto non trasse un credito nei confronti della Banca di Ro. S.p.A., oggi rivendicabile dal curatore. Piuttosto dette luogo, nella stessa costruzione proposta dalla curatela, all’illecito di cui si discute. Dunque non può ragionarsi in termini di compensazione delle colpe, come pretende la curatela, giacché l’ipotesi di cui all’art. 1227 c.c. non può applicarsi al caso in cui entrambe le parti del rapporto danno vita, consapevolmente, al medesimo illecito, riguardando la norma codicistica la fattispecie nella quale distinte condotte, diversamente efficienti a produrre l’evento di danno, ma tuttavia l’una avente titolo nella colpa, concorrono a produrre l’evento pregiudizievole.

Nelle vicenda in esame si ha che l’abuso del credito affermato si è perfezionato mediante la conclusione di un contratto al quale la It. S.r.l. partecipò con i suoi organi, a tanto legittimati dai suoi statuti. Potrebbe, al più, ipotizzarsi una responsabilità di costoro per mala gestio, ma questa esclude comunque l’azione risarcitoria di cui si tratta per la ragione che alcun diritto di credito verso il proprio contraente in capo alla società finanziata abusivamente potette nascere, da un fatto illecito prodotto anche da attivata infedele dei suoi rappresentanti.

Ragionare diversamente, pare il caso di osservare, vorrebbe dire ammettere che la Banca di Ro. S.p.A. dopo di avere subito l’azione risarcitoria, e dunque avere conferito alla massa l’equivalente del pregiudizio arrecato, possa poi, non essendo venuta meno la sua qualità di creditore del fallito, partecipare al riparto della massa così costruita e riprendere quanto versato. Siffatto duplice eventuale ruolo della Banca di Ro. S.p.A., creditrice e insieme responsabile di un pregiudizio, viene autorevolmente indicato in dottrina come ulteriore ragione di esclusione della legittimazione di cui si tratta.

4.f. Osserva ancora la Corte che la abusiva concessione del credito per perfezionarsi e produrre pregiudizio, non deve essere collegata di necessità all’evento fallimento, come la suggestiva prospettazione del ricorrente sembra supporre. Essa infatti rimane illecita e dunque possibile fonte di pregiudizio aquiliano, ancorché non venga seguita dal fallimento ed addirittura prima ancora che questo si verifichi.

Una concessione di credito estranea alle regole di corretta amministrazione del medesimo, mantenendo artificialmente in vita una impresa quando essa invece dovrebbe uscire dal mercato, le consente di continuare una concorrenza che altrimenti non eserciterebbe. Con ciò essa, quale ne possa essere la sorte, produce danno di natura concorrenziale al concorrente, il quale a prescindere dal fallimento, può esercitare azione risarcitoria nei confronti della impresa stessa, oltre che della Banca di Ro. S.p.A..

Si deve dunque dedurre che l’effetto dannoso della attività illecita di cui si tratta non è di necessità e dunque esclusivamente la erronea percezione della solvibilità della impresa finanziata. Lo specifico effetto piuttosto è potenzialmente plurimo, e dipende dalla relazione giuridica con il terzo danneggiato. Situazione tutt’affatto estranea a quella caratterizzata dalla omogeneità delle azioni di massa.

Nella fattispecie in esame il fallimento della impresa abusivamente finanziata, come autorevole dottrina ha chiarito, si pone che evento storico, non essenziale a renderla rilevante. Laddove invece, ad esempio un pagamento effettuato con modalità anomale, rileva quale oggetto di una revocatoria fallimentare, solo se è seguita dal fallimento.

In questo senso peraltro deve essere intesa la giurisprudenza della Corte di Cassazione che si è occupata dell’abuso del credito al fine di determinare la competenza territoriale sulla relativa domanda (oltre alla già citata ord. n. 12369 del 2001, vedi la n. 13934 del 2003).

Essa osserva che tale competenza si individua con riferimento al luogo nel quale si è verificato l’evento dannoso, che non è costituito dal fallimento, fatto estraneo alla struttura del danno, ma dall’aggravamento del dissesto economico della impresa artificiosamente tenuta in vita. Evento che per l’appunto si realizza laddove essa svolge la sua attività economica.

4.g. Tale considerazione toglie utilità alla prospettazione ulteriormente avanzata dalla ricorrente relativa alla piena coincidenza del pregiudizio alla massa con quello al patrimonio della società, di cui s’è detto nel rilevare la inammissibilità quale motivo di ricorso, e che viene in questa sede adoperata quelle argomentazione di rincalzo.

4.h. Pare infine utile precisare che la interpretazione che si è appena sostenuta è coerente con la linea di tendenza che emerge dalle recenti riforme nella materia fallimentare ( D.L. 35 del 2005 L. 60 del 2005 e D.Lgs. n. 122 del 2005). Mentre infatti le finalità recuperatorie della azione revocatoria risultano ribadite, viene ulteriormente rafforzata la opinione oramai risalente che sostiene lo sganciamento dell’istituto dalle forme di tutela nei confronti dell’illecito, e dunque viene ulteriormente sottolineata la differenza con la azione ordinaria. Cosicché pare di dovere concludere che ogni pretesa che pur riguardando il patrimonio del fallito, allega a fondamento un illecito da questi subito, sfugge alla logica della universalità e della concorsualità, tipiche delle azioni esecutive di massa.

Con ciò, va pure rimarcato, confermandosi quella autorevole lettura dell’art. 240 L.F. che considera, a fronte di un illecito, eccezionale la doppia legittimazione ad agire del curatore e del creditore.

Il motivo deve essere respinto.

Vanno dunque rigettate le prime due doglianze del ricorso incidentale e le prime due doglianze del ricorso principale.

Gli atti vanno rimessi al Primo Presidente per la assegnazione alla Sezione Semplice che dovrà esaminare le restanti questioni.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale ed il primo ed il secondo motivo del ricorso principale. Rimette gli atti al Primo Presidente per la assegnazione della causa alla sezione semplice per l’esame delle restanti questioni.

 

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Avv. Umberto Davide

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