I danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’articolo 2052 c.c., giacche’, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilita’ previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprieta’ o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema. Nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’articolo 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonche’ delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attivita’ di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti; la Regione puo’ rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno. In materia di danni da fauna selvatica a norma dell’articolo 2052 c.c., grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si e’ posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle piu’ adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema – di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi.
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Corte di Cassazione|Sezione 6 3|Civile|Ordinanza|23 settembre 2022| n. 27931
Data udienza 12 luglio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere
Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5730/2021 proposto da:
(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS) ((OMISSIS)), in proprio e quale genitore legale rappresentante della figliia minore (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) rappresentate e difese dagli avvocati (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));
-ricorrenti-
nei confronti di
REGIONE TOSCANA (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Presidente della Giunta Regionale, legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (C.F,: (OMISSIS));
-controricorrente-
nonche’
PROVINCIA DI LIVORNO (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore – intimata -per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1412/2020, pubblicata in data 23 luglio 2020;
udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 12 luglio 2022 dal consigliere Augusto Tatangelo.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS), quest’ultima in proprio e quale genitore legale rappresentante della figlia minore (OMISSIS), hanno agito in giudizio nei confronti della Regione Toscana e della Provincia di Livorno per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito della collisione con un gruppo di cinghiali dell’autovettura di proprieta’ della (OMISSIS), condotta dalla (OMISSIS), con a bordo la (OMISSIS) in qualita’ di trasportata, avvenuta sulla (OMISSIS), in territorio del comune di (OMISSIS).
La domanda e’ stata rigettata dal Tribunale di Livorno (davanti al quale il giudizio era stato riassunto, a seguito di dichiarazione di incompetenza per valore del Giudice di Pace di Livorno, inizialmente adito).
La Corte di Appello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorrono la (OMISSIS) e la (OMISSIS) (quest’ultima in proprio e nella qualita’ sopra indicata), sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la Regione Toscana.
Non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede l’altro ente intimato.
E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli articoli 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile.
E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto e’ stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.
Le ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 380-bis, comma 2, c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. E’ opportuno premettere che, in materia di danni causati dalla fauna selvatica, e’ stato di recente puntualizzato l’indirizzo di questa Corte con alcune pronunzie della Terza Sezione Civile (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7969 del 20/04/2020, Rv. 657572 – 01-02-03; Sez. 3, Sentenza n. 8384 del 29/04/2020; Sez. 3, Sentenza n. 8385 del 29/04/2020; conf., successivamente: Sez. 3, Ordinanza n. 13848 del 06/07/2020, Rv. 658298 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 20997 del 02/10/2020, Rv. 659153 – 01; nonche’, non massimate: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18085 del 31/08/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18087 del 31/08/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19101 del 15/09/2020; Sez.. 6 – 3, Ordinanza n. 25466 del 12/11/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3023 del 09/02/2021; cfr. anche Sez. 3, Ordinanza n. 25280 del 11/11/2020), in cui sono stati affermati i seguenti principi di diritto:
“i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’articolo 2052 c.c., giacche’, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilita’ previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprieta’ o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema”;
“nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’articolo 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonche’ delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attivita’ di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti; la Regione puo’ rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno”.
“in materia di danni da fauna selvatica a norma dell’articolo 2052 c.c., grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si e’ posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle piu’ adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema – di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi”.
2. Sebbene il collegio intenda dare continuita’ a tali principi di diritto, occorre rilevare che non solo la decisione impugnata e’ espressamente fondata sul contrario principio in base al quale i danni provocati dalla fauna selvatica sono risarcibili esclusivamente sulla base delle disposizioni generali in tema di condotta colposa lesiva, cioe’ ai sensi dell’articolo 2043 c.c., non quindi ai sensi dell’articolo 2052 c.c. (o sulla base di altre ipotesi di speciale imputazione della responsabilita’ stessa), ma addirittura che, come espressamente chiarito nella pronuncia di secondo grado (cfr. pagg. 7 e 8 della decisione impugnata), le stesse attrici avevano specificamente invocato esclusivamente l’indicato titolo generale di responsabilita’, a fondamento delle domande proposte nei confronti degli enti convenuti, escludendo anzi esplicitamente l’applicabilita’ di quello speciale di cui all’articolo 2052 c.c..
In particolare, emerge dagli atti che il giudice di primo grado, senza in alcun modo operare alcuna riqualificazione della domanda avanzata dalle attrici ai sensi dell’articolo 2043 c.c., l’aveva rigettata, limitandosi ad affermare il difetto di legittimazione passiva degli enti convenuti.
Neanche in sede di appello, peraltro, le attrici avevano modificato il titolo di attribuzione della responsabilita’ civile invocato a sostegno delle loro domande, confermando quindi l’originaria impostazione della loro prospettazione, fondata sull’allegazione di una responsabilita’ per colpa delle amministrazioni convenute esclusivamente ai sensi dell’articolo 2043 c.c.. La corte di appello ha poi espressamente affermato di condividere tale impostazione e, sulla base di essa, ha applicato il conseguente principio di diritto per cui la responsabilita’ per i danni provocati alla circolazione stradale dagli animali selvatici spetta all’ente dotato dei poteri di gestione della strada in cui si verifica il sinistro (escludendo, quindi, la responsabilita’ degli enti convenuti nel presente giudizio, dal momento che tali poteri di gestione spettavano alla Provincia di Firenze, non evocata).
Le ricorrenti non contestano, nella presente sede, che il titolo di responsabilita’ che esse stesse avevano invocato a fondamento delle domande proposte fosse esclusivamente quello generale di cui all’articolo 2043 c.c. e non quello speciale di cui all’articolo 2052 c.c. e/o quello di cui all’articolo 2051 c.c. (il che, del resto, trova piena conferma nel contenuto dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado e di quello di appello). Con il presente ricorso, esse deducono invece la violazione, da parte dei giudici di merito, degli articoli 205:1 e 2052 c.c., sostenendo, nella sostanza, che questi ultimi avrebbero potuto e dovuto riqualificare di ufficio la domanda da loro proposta, sebbene la stessa fosse stata avanzata dichiaratamente ai sensi dell’articolo 2043 c.c. (e, anzi, addirittura sull’assunto espresso dell’inapplicabilita’ alla fattispecie dello stesso articolo 2052 c.c.), in quanto i fatti dedotti a suo fondamento avrebbero comunque potuto, a loro avviso, essere inquadrati anche nell’ambito delle previsioni di cui alle indicate disposizioni speciali.
Denunziano infatti, con il primo motivo del ricorso, la “violazione dell’articolo 2052 c. c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.” e, con il secondo, la “violazione dell’articolo 2051 c.c. in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 3 c.o.c.”.
3. Orbene, oltre ad essere pacifico ed evidente che la questione di diritto della eventuale applicabilita’ alla fattispecie dei criteri speciali di imputazione della responsabilita’ di cui agli articoli 2051 e 2052 c.c. non e’ mai stata sollevata nel corso del giudizio di merito, si deve rilevare che nel ricorso, in violazione dell’articolo 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non vi e’ neanche un adeguato e specifico richiamo al contenuto dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, che consenta di verificare se effettivamente fossero stati in quella sede dedol:ti tutti i fatti costitutivi delle fattispecie di attribuzione della responsabilita’ di cui agli articoli 2051 e 2052 c.c., ne’ risulta che tali fatti siano stati in concreto accertati o, quanto meno, possano considerarsi pacifici, in quanto non contestati.
Di conseguenza (sebbene il Collegio, diversamente da quanto indicato nella proposta del relatore, non ritenga sussistere un giudicato interno sul punto), le censure proposte nella presente sede finiscono per risolversi nella prospettazione di una questione giuridica nuova, che richiede accertamenti di fatto, il che non e’ consentito nel giudizio di legittimita’ (giurisprudenza pacifica di questa Corte: cfr., ex multis: Cass., Sez. 6 5, Ordinanza n. 32804 del 13/12/2019, Rv. 656036 – 01: “qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimita’, onde non incorrere nell’inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa”; conf.: Sez. 2, Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019, Rv. 652251- 02; Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009- 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018, Rv. 649332 – 01; Sez. L, Sentenza n. 20518 del 28/07/2008, Rv. 604230 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28480 del 22/12/2005, Rv. 585743 – 01).
4. E’ opportuno chiarire in proposito che, come espressamente precisato nei precedenti gia’ richiamati di questa Corte (ed invocati dalle ricorrenti a sostegno della presente impugnazione), con i quali si e’ affermata l’applicabilita’ dell’articolo 2052 c.c. alle ipotesi di danni causati dalla fauna selvatica, “nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici (ipotesi invero statisticamente molto frequente, nel tipo di contenzioso in esame), non puo’ ritenersi sufficiente – ai fini dell’applicabilita’ del criterio di imputazione della responsabilita’ di cui all’articolo 2052 c. c. – la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata e neanche che si sia verificato l’impatto tra l’animale ed il veicolo, in quanto, poiche’ al danneggiato spetta di provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” del danno e poiche’, ai sensi dell’articolo 2054, comma 1, c. c., in caso di incidenti stradali il conducente del veicolo e’ comunque onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, quest’ultimo – per ottenere l’integrale risarcimento del danno che allega di aver subito dovra’ anche allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilita’ ed irrazionalita’ per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno” (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7969 del 20/04/2020, in motivazione, al paragrafo 6.1).
E’ d’altronde evidente, anche in linea generale, che i fatti da accertare ai fini dell’affermazione della responsabilita’ civile generale per colpa di cui all’articolo 2043 c.c. e quelli da accertare ai fini dell’affermazione della speciale ipotesi di imputazione della responsabilita’ di cui all’articolo 2052 c.c. sono diversi (e altrettanto e’ a dirsi con riguardo all’altro criterio speciale di imputazione della responsabilita’ di cui all’art:. 2051 c.c., che peraltro non puo’ in nessun caso venire in rilievo con riguardo ai danni provocati dagli animali selvatici, avendo ad oggetto solo i danni provocati da cose).
Nella specie, il giudizio di merito ha avuto ad oggetto solo l’accertamento dei fatti rilevanti ai fini della attribuzione agli enti convenuti della responsabilita’ generale per colpa di cui all’articolo 2043 c.c. (accertamento concluso in senso negativo, almeno con riguardo ai predetti enti), cioe’ i fatti dedotti dalle attrici a sostegno della loro domanda, fondata esclusivamente su tale disposizione.
Non puo’ quindi condividersi, almeno in termini assoluti, l’assunto in diritto per cui, sulla base dei medesimi fatti accertati ai fini della valutazione del titolo di responsabilita’ di cui all’articolo 2043 c.c., si potesse giungere ad affermare la responsabilita’ degli stessi enti convenuti anche in forza del criterio speciale di imputazione della responsabilita’ di cui all’articolo 2052 c.c..
A tal fine, le ricorrenti avrebbero avuto quanto meno l’onere di richiamare nel ricorso, in modo espresso, puntuale e specifico, il preciso contenuto dell’atto introduttivo del giudizio (direttamente, mediante trascrizione dei passaggi rilevanti, ovvero indirettamente, mediante indicazione specifica degli stessi passaggi nell’ambito del relativo documento), onde consentire a questa Corte di valutare se le allegazlioni in fatto in esso prospettate fossero tali da poter sostenere, in astratto, anche l’imputazione della responsabilita’ a carico degli enti convenuti ai sensi dell’articolo 2052 c.c., nonche’ di richiamare gli atti del giudizio di merito dai quali potesse desumersi che tali allegazioni di fatto non fossero state contestate dalle controparti costituite, ovvero fossero state in qualche modo oggetto di accertamento in sede probatoria.
Cio’ non e’ avvenuto, in violazione dell’articolo 366, comma 1., n. 6, c.p.c., come gia’ evidenziato nel § 3. Lo stesso riferimento contenuto nel ricorso ai mezzi di prova articolati e non ammessi nel corso del giudizio di merito risulta formulato in termini del tutto generici, senza il preciso richiamo al contenuto ed all’oggetto degli stessi.
Il ricorso deve pertanto ritenersi inammissibile, in quanto le censure poste a suo fondamento riguardano questioni di diritto avanzate per la prima volta solo in sede di legittimita’ e implicanti la necessita’ di accertamenti di fatto.
5. Il ricorso e’ dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimita’ possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione delle oggettive incertezze applicative e dei mutamenti di indirizzo nella giurisprudenza di questa stessa Corte, in ordine alle questioni di diritto in tema di responsabilita’ per i danni causati dagli animali selvatici.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilita’ o improcedibilita’ dell’impugnazione) di cui al D.P.R.n. 115 del 30 maggio 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dal L.n. 228 del 24 dicembre 2012 articolo 1, comma 17.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso;
– dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimita’.
Si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilita’ o improcedibilita’ dell’impugnazione) di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 30 maggio 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dal L. n. 228 del 24 dicembre.2012 articolo 1, comma 17, per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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