In tema di responsabilità medica, allorché un paziente, già affetto da una situazione di compromissione dell’integrità fisica, sia sottoposto ad un intervento che, per la sua cattiva esecuzione, determini un esito di compromissione ulteriore rispetto alla percentuale che sarebbe comunque residuata anche in caso di ottimale esecuzione dell’intervento stesso, ai fini della liquidazione del danno con il sistema tabellare, deve assumersi come percentuale di invalidità quella effettivamente risultante, alla quale va sottratto quanto monetariamente indicato in tabella per la percentuale di invalidità comunque ineliminabile, e perciò non riconducibile alla responsabilità del sanitario. Pertanto, il danno c.d. iatrogeno va liquidato monetizzando il grado complessivo di invalidità permanente accertato in corpore, monetizzando il grado verosimile di invalidità permanente che sarebbe comunque residuato all’infortunio anche in assenza dell’errore medico e detraendo il secondo importo dal primo, al netto della personalizzazione del danno morale.

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Tribunale|Ancona|Civile|Sentenza|4 ottobre 2022| n. 1119

Data udienza 4 ottobre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ANCONA

SECONDA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Sergio Casarella

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5735/2020 promossa da:

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. BE.RU. e dell’avv. (…), elettivamente domiciliato in VIA (…) 60044 FABRIANO presso il difensore avv. BE.RU.

ATTORE/I

contro

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. SP.GI. e dell’avv. (…), elettivamente domiciliato in Via (…) null. 60019 SENIGALLIA presso il difensore avv. SP.GI.

CONVENUTO/I

OGGETTO: Responsabilità medica.

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione depositato il 17 dicembre 2020, (…) conveniva in giudizio l'(…), e per quanto d’interesse, esponeva che:

– il 4 ottobre 2013 si era recata al Pronto Soccorso dell'(…) con i sintomi di febbre e difficoltà respiratoria; dopo essere stata visitata, veniva dimessa con diagnosi di febbre e tosse, con sospetta flogosi alle vie respiratorie;

– nel mese di ottobre 2013 si recava nuovamente e più volte presso il medesimo pronto soccorso e si sottoponeva ad esami che evidenziavano problemi intestinali;

– nel mese di dicembre 2013 venivano effettuati nuovi accessi al pronto soccorso, all’esito dei quali veniva dimessa con diagnosi di sindrome influenzale e prescrizione di terapia sintomatica ed esami del sangue;

– nel mese di marzo 2014 a causa del riacutizzarsi dei dolori addominali si recava nuovamente presso l'(…), dove le venivano diagnosticate ileite in fase acuta ed altre forme di appendicite;

– in data 1 aprile 2014 veniva sottoposta ad intervento chirurgico in laparoscopia, che evidenziava la presenza di un tumore infiammatorio appendicolare e di un’infiammazione ed edema all’ansa ileale, e venivano eseguiti appendicectomia ed esame istologico sul reperto operatorio;

– dimessa il 7 aprile 2014, l’11 aprile 2014 si recava nuovamente presso l'(…) manifestando dolori addominali, ed il 15 aprile 2014 veniva ricoverata al reparto di chirurgia generale dell'(…) con diagnosi di ascesso addominale, cisti ovarica sinistra e sottoposta a intervento chirurgico di pulizia laparoscopica, asportazione di cisti ovarica, biopsia di linfonodo; veniva dimessa il 27 aprile 2014;

– il 29 aprile 2014 era nuovamente ricoverata presso l'(…), dove veniva per la prima volta ipotizzata una malattia infiammatoria cronica all’intestino;

– il 5 maggio 2014 veniva trasferita presso il reparto di Malattie Infiammatorie Croniche dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, dove finalmente le veniva correttamente diagnosticato il Morbo di Crohn;

– in data 9 maggio 2014 la paziente veniva sottoposta intervento di resezione parziale dell’intestino e, in considerazione della gravità della situazione (importante flogosi pelvica con coinvolgimento delle tube e degli annessi), veniva anche eseguito dal ginecologo un intervento di ovarioplastica dell’ovaia sinistra e incisione dell’ostio tubarico destro; veniva dimessa il 16 maggio 2015;

– il decorso operatorio veniva seguito dall’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, dove veniva visitata e ricoverata più volte negli anni successivi. Il 18 giugno 2015 veniva sottoposta ad un ultimo intervento chirurgico di chiusura di ileostomia con confezionamento di anastomosi ileoileale meccanica;

– attualmente versava in buone condizioni di salute, ma accusava costantemente dolori addominali, senso di trazione per cicatrice addominale, alterazione dell’alvo (aumento della frequenza giornaliera) e necessita di assumere farmaci;

– con ricorso ex artt. 696-696bis c.p.c. depositato il 4 dicembre 2018 introduceva un procedimento di ATP, che si concludeva con il deposito di una consulenza da parte degli esperti nominati dal giudice, depositata agli atti del presente giudizio.

Si costituiva in giudizio l'(…), la quale eccepiva l’improcedibilità dell’azione promossa dall’attrice e contestava nel merito ogni responsabilità dell'(…), nonché il quantum del risarcimento, chiedendo inoltre la rinnovazione della CTU medico-legale.

Tanto premesso in fatto, formulate le considerazioni in diritto, acquisita nel fascicolo la documentazione relativa al procedimento di ATP, le parti concludevano, come di seguito:

Parte Attrice (…):

Piaccia all’Ecc.mo Tribunale adito, accertati i fatti per cui è causa, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, ivi compresa quella di inammissibilità e improcedibilità ex adverso proposta in quanto totalmente infondata in fatto e diritto: ….

Nel merito: accertata e dichiarata la responsabilità della (…) in relazione alla vicenda dedotta in lite, nella natura, termini e per le ragioni tutte meglio descritte in citazione ed anche emergenti dalla relazione peritale resa dalla dott.ssa (…) e dal Prof. (…) in seno al giudizio di ATP n. 7493/2018, condannare la convenuta, in persona del Direttore Generale legale rappresentante pro tempore, all’integrale risarcimento di tutti i danni, diretti e indiretti, patrimoniali e non patrimoniali, subiti e subendi dalla Sig.ra (…), come in atti rappresentata, in conseguenza della responsabilità medica de qua, nelle voci, tipologie ed entità meglio enucleate in citazione, liquidando in favore della attrice la complessiva somma di Euro 323.758,50, ovvero quella maggiore o minore che sarà accertata in corso di causa e che sarà ritenuta equa e di giustizia, comunque da maggiorarsi di interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo. Con ogni conseguente statuizione e con il favore delle spese di lite”.

Parte convenuta (…):

“Voglia Codesto Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis,

– in via preliminare: dichiarare inammissibile e/o improcedibile l’avversa domanda, in quanto non applicabile al caso di specie la disciplina di cui alla L. n. 24 del 2017 e non avendo comunque l’attrice correttamente assolto alla condizione di procedibilità prevista dall’art. 8, comma III, della predetta norma;

– in via principale: respingere integralmente la domanda proposta dall’attrice nei confronti dell'(…), in quanto infondata in fatto e in diritto e per l’effetto dichiarare quest’ultima esente da ogni responsabilità;

– in via subordinata: nella denegata e non creduta ipotesi in cui il Tribunale adito accertasse e dichiarasse una qualsivoglia responsabilità in capo all'(…) con diritto di parte attrice a vedersi risarcire per i presunti lamentati danni in conseguenza dei fatti di causa, limitare la quantificazione dell’inabilità temporanea assoluta al 100% a giorni 36, parziale al 75% a giorni 60 e parziale al 50% a giorni 36, mediante applicazione dei parametri minimi, nonché la quantificazione del danno biologico da invalidità permanente al 20% (venti per cento) escluse tutte le altre voci di danno; . . ..

In ogni caso con vittoria di spese e competenze professionali oltre accessori come per Legge.”

Precisate le conclusioni la causa veniva trattenuta in decisione con i termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda risarcitoria proposta dall’attrice è fondata e, in quanto tale, merita accoglimento per quanto di ragione.

Sull’eccezione di inammissibilità ed improcedibilità della domanda risarcitoria

L’eccezione di inammissibilità ed improcedibilità della domanda risarcitoria sollevata dalla parte convenuta è infondata e va rigettata.

La convenuta eccepisce l’inapplicabilità, al caso di specie, della L. n. 24 del 2017 in materia di responsabilità sanitaria, in quanto il fatto per cui è causa si è verificato in data antecedente l’entrata in vigore della legge stessa, per cui non può ritenersi sussistente una responsabilità di natura contrattuale in capo alla struttura sanitaria, bensì una responsabilità eventualmente aquiliana.

Ciò comporterebbe un diverso accertamento della responsabilità.

Prima dell’intervento chiarificatore operato dalla legge Gelli Bianco, la giurisprudenza era chiamata a ricostruire la responsabilità civile della struttura sanitaria in chiave di responsabilità contrattuale o aquiliana. Secondo l’orientamento maggioritario, la responsabilità ascrivibile in capo all’ente ospedaliero era di tipo contrattuale, risultando essa fondata sul cd. contratto di spedalità, ossia il contratto in forza del quale la struttura sanitaria si obbliga a fornire al paziente una complessa prestazione di assistenza sanitaria (consistente nella predisposizione degli spazi necessari, di personale sanitario sufficiente ed efficiente e di attrezzature e macchinari adeguati).

Ricondotta l’obbligazione della struttura sanitaria al contratto di spedalità, la giurisprudenza configurava la relativa responsabilità civile come contrattuale ex artt. 1218 c.c. e ss.

La Corte di Cassazione ha recentemente affermato: “In tema di responsabilità medica, nel regime anteriore alla L. n. 24 del 2017, la responsabilità della struttura sanitaria, integra, ai sensi dell’art.1228 c.c., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario, la quale trova fondamento nell’assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall’utilizzazione di terzi nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l’imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell’art.2049 c.c.; pertanto, nel rapporto interno tra la struttura e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., atteso che, diversamente opinando, la concessione di un diritto di regresso integrale ridurrebbe il rischio di impresa, assunto dalla struttura, al solo rischio di insolvibilità del medico convenuto con l’azione di rivalsa, e salvo che, nel relativo giudizio, la struttura dimostri, oltre alla colpa esclusiva del medico rispetto allo specifico evento di danno sofferto dal paziente, da un lato, la derivazione causale di quell’evento da una condotta del sanitario del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità e, dall’altro, l’evidenza di un difetto di correlate trascuratezze, da parte sua, nell’adempimento del relativo contratto, comprensive di omissioni di controlli atti ad evitare rischi dei propri incaricati” (Cassazione civile sez. III, 20/10/2021, n.29001).

La legge Gelli Bianco è intervenuta chiarendo in maniera espressa quanto già sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, qualificando la responsabilità della struttura sanitaria come contrattuale ex art. 1218 c.c. e ss.

Quanto all’inammissibilità del ricorso per ATP, detta eccezione, infondata, è già stata rigettata in sede di ATP e non merita accoglimento: l’ATP si è infatti svolto nel pieno rispetto delle finalità dell’istituto, che prevede la conciliazione come sbocco possibile, ma non obbligato, potendo ben instaurarsi anche nel corso di un giudizio di merito.

La presunta assenza di volontà conciliativa da parte dell’attrice non ha dunque alcuna rilevanza ai fini dell’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria.

Osserva inoltre questo Tribunale che, sia nel procedimento di ATP sia nel presente procedimento a cognizione ordinaria e piena, parte convenuta è stata pienamente messa nelle condizioni di esercitare il proprio diritto di difesa, per cui non vi è stata nessuna violazione o limitazione del contraddittorio o del diritto di difesa delle parti.

E’ infondata inoltre l’eccezione di inutilizzabilità della CTU resa in sede di ATP, ai sensi dell’art. 8 della L. n. 24 del 2017, per mancato rispetto dei termini di 90 giorni previsto dal detto articolo di legge.

La norma impone alla ricorrente di introdurre il giudizio di merito entro il termine, da ritenersi perentorio, di 90 giorni dal deposito della relazione o, qualora ciò non sia avvenuto, dalla scadenza del termine perentorio fissato per la conclusione del procedimento di ATP.

In primo luogo si ritiene sia da escludere che il rispetto di detto termine sia richiesto sia per rendere procedibile la domanda sia per assicurarne gli effetti, e che in tal modo il legislatore avrebbe imposto una doppia condizione di procedibilità ossia prima l’attivazione del procedimento di ATP e, una volta concluso lo stesso, il rispetto del termine per proporre il giudizio di merito.

La perentorietà del suddetto termine di 90 giorni deve essere intesa nel senso che il suo rispetto è funzionale esclusivamente a preservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introdotta con il ricorso per ATP e non per rendere procedibile la domanda di merito.

Non si ritiene, infatti, di condividere l’orientamento più rigoroso, secondo cui il rispetto del termine in questione sarebbe determinante, ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità e che, di conseguenza, ritiene che la sua violazione determini l’improcedibilità del ricorso tardivamente depositato.

Del resto, come evidenziato tanto dalla Corte Costituzionale quanto dalla Corte di Cassazione, le disposizioni relative a condizioni di procedibilità devono essere interpretate in maniera restrittiva, limitandone l’operatività alle sole ipotesi in cui un estremo rigore risulti necessario (Corte Cost. 403/07; Cass. 26560/14; Cass. 6130/11).

Un atteggiamento di totale rigore non pare né opportuno né tantomeno necessario rispetto alla disposizione di cui all’art. 8 della L. n. 24 del 2017 e, pertanto, l’improcedibilità del giudizio per mancato rispetto del termine di 90 giorni per l’instaurazione del giudizio deve essere esclusa, se non altro perché si risolverebbe nella necessità di riproporre il giudizio, anche nelle forme ordinarie (cioè con atto di citazione), in chiara violazione della ragionevole durata del processo e con il solo risultato di aggravare inutilmente le modalità ed i tempi di accesso alla giurisdizione.

Inoltre, essendo l’ATP un procedimento di istruzione preventiva svoltosi nel rispetto del contraddittorio e con le garanzie di legge, la relativa relazione peritale può essere in ogni caso e sempre validamente utilizzata come fonte di prova nel successivo giudizio di merito, sia esso ordinario, sia sommario, come previsto dall’art. 696 bis comma 5 c.p.c..

Nel merito, con riferimento alla responsabilità della struttura sanitaria

Chiarito che la responsabilità della convenuta (…) è di tipo contrattuale, ex artt. 1218 e 1228 c.c., è onere dell’attore fornire la prova dell’esistenza del contratto di spedalità, allegare l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e l’inadempimento qualificato del debitore, e dimostrare il nesso di causalità materiale tra condotta del medico in violazione delle regole di diligenza ed evento dannoso, consistente nella lesione della salute, non essendo sufficiente la semplice allegazione dell’inadempimento del professionista; è, invece, onere della controparte, ove il paziente abbia dimostrato tale nesso di causalità materiale, provare o di avere agito con la diligenza richiesta o che il suo inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile (Cass. ordinanza 26907/2020; Cass. sentenza n. 28991/2019; Cass. sentenza n. 4792/2013).

In merito all’esistenza del contratto di spedalità, che obbliga la struttura sanitaria allo svolgimento della prestazione medica nei confronti del paziente, esso si presume stipulato nel momento stesso in cui il paziente viene accettato nella struttura.

È dunque evidente che nel caso di specie un contratto di spedalità sussiste, né ciò è oggetto di contestazione da parte convenuta.

Così come sono manifesti e provati i plurimi pregiudizi subiti dalla paziente all’esito delle diverse operazioni subite e del lungo iter di degenza ospedaliera e di convalescenza, consistenti, fra gli altri, in dolore addominale, senso di trazione per la cicatrice operatoria, alterazione dell’alvo e perdita di un’ovaia con annessa lesione della genitorialità.

Con riferimento all’inadempimento della struttura sanitaria, questo Tribunale rileva la sussistenza di una condotta inadempiente sul piano medico.

Come accertato dai CTU, i sanitari dell'(…) possedevano già nel dicembre 2013 tutti gli elementi clinici necessari per poter effettuare, secondo le regole della scienza medica, che costituisce il parametro per misurare la diligenza del debitore nelle cause di responsabilità sanitaria, una corretta diagnosi della patologia che affliggeva la paziente: la sintomatologia manifestata dalla paziente infatti suggeriva chiaramente che la stessa fosse affetta dal morbo di Crohn (cfr. pp. 52-57 CTU).

Detta diagnosi non veniva tuttavia effettuata né nel dicembre 2013, quando veniva posta una diagnosi simil-influenzale “fortemente riduttiva” a detta dei CTU, né nei successivi ricoveri della paziente fino al maggio 2014, occasione nella quale finalmente i sanitari diagnosticavano il Morbo di Crohn.

Pertanto, i sanitari avrebbero potuto e dovuto effettuare una corretta diagnosi non immediatamente al primo ricovero della paziente, ma comunque diversi mesi prima rispetto al momento in cui poi questa è stata effettivamente posta, quando tuttavia la situazione della paziente si era ormai aggravata e la stessa era già stata sottoposta a plurimi interventi chirurgici.

Il ritardo diagnostico, inequivocabilmente accertato dai periti nominati in sede di ATP, produceva delle conseguenze dannose per la paziente.

Se infatti la diagnosi fosse stata formulata tempestivamente, la paziente non avrebbe dovuto sottoporsi a tutti gli interventi chirurgici effettuati, ma esclusivamente a quello di resezione intestinale necessario per trattare il morbo di Crohn (patologia che richiede un intervento chirurgico nella maggior parte dei casi); tale intervento avrebbe tuttavia potuto essere effettuato in misura meno demolitiva ed in un periodo di tempo successivo.

Come stabilito dai CTU, “il ritardo nella diagnosi bruciava le possibili tappe terapeutiche della patologia, computate nel danno temporaneo, portando direttamente la (…) ad uno stato complicato con fistole ed ascessi ed alla necessità di un intervento in laparatomia; all’età di 23 anni, a pochi mesi dalla diagnosi di Malattia di Crohn, la (…) era costretta ad affrontare un intervento chirurgico demolitivo che invece si sarebbe potuto rendere necessario successivamente, e non a pochi giorni dalla formulazione della diagnosi, come invece avvenne. Da tale errata gestione derivava un danno biologico permanente, da quantificare in termini di maggior danno. È lecito ritenere, che una pronta diagnosi della patologia, così come la somministrazione di terapia specifica (per il quadro di malattia infiammatoria cronica intestinale) avrebbero permesso con elevata probabilità di evitare l’intervento di appendicectomia e l’interessamento degli organi pelvici, ovaio e salpinge. Si può infatti ritenere che la sig.ra (…), qualora si fosse giunti prontamente alla corretta diagnosi senza il conseguente ritardo terapeutico, ad oggi si troverebbe ad uno stadio II di malattia2, con organi genitali presumibilmente ancora integri. La attuale patologia del tenue è invece classificabile in stadio III2, in quanto vi è stato un coinvolgimento della valvola ileo-cecale, si è resa necessaria una ovarioplastica sinistra nonché il confezionamento di una neosalpingostomia destra” (cfr. pp. 65-66 CTU).

Quanto all’intervento di appendicectomia, è anche possibile che esso sarebbe stato comunque necessario, ma una diagnosi tempestiva ne avrebbe comunque ragionevolmente consentito un’effettuazione meno impattante, più lontana nel tempo e contestuale alla resezione intestinale (cfr. p. 59 e 64 CTU).

La paziente non è stata invece sottoposta al trattamento medico che sarebbe stato necessario, ma solamente a cure somministrate sulla base dell’errata diagnosi, dagli effetti minimi sull’infiammazione intestinale (cfr. p. 58 CTU), infiammazione la cui estensione sarebbe con ogni probabilità stata molto più ridotta in presenza di una tempestiva diagnosi (cfr. p. 62 CTU).

Al contrario, il ritardo diagnostico ha prodotto un aggravamento della salute della paziente, rendendo necessario lo svolgimento immediato degli interventi citati, finalizzati a trattare gli aggravamenti insorti e particolarmente invasivi, con inevitabili ripercussioni sulla condizione fisica della paziente, alcune delle quali, come la rimozione dell’ovaia, definitive (cfr. CTU pp. 57-64).

Da quanto detto deriva che l’inadempimento di parte convenuta, ossia il ritardo diagnostico, è stato causa dei pregiudizi subiti dalla paziente: il nesso di causalità è pertanto presente e provato.

Dagli accertamenti effettuati dai CTU, che questo Tribunale condivide, emergono dunque la sussistenza di una condotta inadempiente, di un danno e del nesso di causalità tra tali elementi: ricorrono pertanto tutti gli elementi costitutivi della responsabilità medica e l’onere probatorio di parte attrice risulta assolto.

Di contro parte convenuta non ha prodotto alcun elemento che potesse fornire la prova liberatoria della correttezza della condotta dell'(…), o in alternativa dell’impossibilità oggettiva e non imputabile di porre in essere la diagnosi corretta.

Al contrario, come chiaramente espresso dai CTU, i medici possedevano tutti gli elementi necessari per formulare una diagnosi corretta in tempi abbondantemente anteriori rispetto al momento in cui tale diagnosi è stata effettivamente posta.

Né è da accogliere l’eccezione di parte convenuta, secondo cui il danno subito dalla paziente sia anche da imputare alla condotta dei sanitari dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna: tale condotta è stata infatti assolutamente corretta da un punto di vista medico, come accertato dai CTU (cfr. pp. 63-64 CTU).

La struttura sanitaria fabrianese e per essa l'(…), è dunque responsabile contrattualmente nei confronti della paziente (…), per l’inesatto adempimento delle prestazioni contrattuali assunte con il ricovero, in ragione del contratto di spedalità, per cui risponderà sia per i danni causati dalla propria struttura organizzativa, sia per i danni causati dalle condotte dei sanitari di cui l’azienda si avvale per il compimento delle proprie obbligazioni, ex artt. 1218 e 1228 c.c..

Il danno risarcibile: danno non patrimoniale

La conseguenza della condotta colposa dei sanitari è l’obbligo al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da questi causati.

Il danno non patrimoniale è da considerarsi categoria unitaria ed omnicomprensiva.

Esistono difatti varie forme di manifestazioni di danno (ad es. lesione del diritto all’immagine, lesione del diritto alla reputazione, lesione della salute psicofisica, morte di un congiunto, ecc.), alle quali però non corrispondono autonome categorie giuridiche.

E’ quanto chiarito nel 2008 dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975), intervenute a dirimere un lungo ed articolato dibattito dottrinale e giurisprudenziale ed a sancire l’unitarietà dalla categoria del danno non patrimoniale, considerata “una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici”.

La categoria unitaria del danno non patrimoniale è stata anche recentemente ribadita dall’ordinanza n. 7513 del 27 marzo 2018, con la quale la Corte di Cassazione è tornata a puntualizzare che “il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomenologicamente) unitaria” e che “categoria unitaria vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole ed ai medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 1226, 2056, 2059 c.c.)”.

Il danno non patrimoniale risarcibile nel caso di specie, valutato unitariamente, comprende sia il danno biologico di tipo fisico e psichico (che deve essere provato sotto il profilo medico-legale), sia il danno morale, consistente nella sofferenza morale soggettiva, nel turbamento d’animo, nel dolore intimo sofferti.

L’attrice ha dato prova del danno subito alla propria salute, attraverso la documentazione allegata in atti (cartelle cliniche, referti e certificati medici) e la CTU espletata in sede di ATP.

Si tratta del danno biologico consistente nel danno alla salute, ovvero la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona, che incide negativamente sulla capacità di svolgere ordinarie attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, senza alcuna ripercussione sulla capacità di produrre reddito.

Il danno biologico comprende sia i danni fisici che quelli psichici e andrà risarcito indipendentemente dai riflessi sulla situazione patrimoniale del danneggiato, con criteri di liquidazione equitativi, basati sulle Tabelle del Tribunale di Milano.

Infatti, la Corte di Cassazione – con l’ordinanza n. 38077/2021 – ha riaffermato la preminenza “paranormativa” delle tabelle milanesi per il calcolo del danno non patrimoniale, in quanto la liquidazione del danno risulta più congrua con un sistema basato sui punti di invalidità che tengono conto tanto dei danni fisici e alla vita di relazione quanto alle sofferenze morali che ne derivano normalmente.

Nel caso di specie, i CTU hanno accertato che “relativamente al danno biologico, ad oggi, la sig.ra (…), di anni 29, presenta una situazione momentaneamente stabilizzata, con alvo canalizzato con 2-4 evacuazioni/die di feci semisolide, senza diarrea. La dieta è libera. Il peso corporeo è nella norma, così come l’emocromo, gli indici di funzionalità epatica, di flogosi, la creatinemia e la sideremia. Presenta dunque un quadro di remissione post-chirurgica non complicato. Quali esiti permanenti, presenta attualmente:

– plurimi esiti cicatriziali di piccoli dimensioni, tutti ben consolidati compatibili con gli accessi laparoscopici dei primi due interventi chirurgici, nonché dei drenaggi posizionati anche negli interventi successivi;

– un esito cicatriziale lineare ombelico-pubico, conseguenza dell’intervento di resezione intestinale eseguito in laparotomia mediana nonché l’esito della pregressa ileostomia protettiva;

– appendicectomia;

– resezione intestinale con asportazione di ileo terminale di cm 15, valvola ileo-cecale e cieco di 8 cm (con fistola);

– ovarioplastica sinistra;

– neosalpingostomia destra” (cfr. pp. 64-65 CTU).

Questo Tribunale, pertanto, ritiene congruo aumentare nella misura del 36% il punto di danno biologico permanente, a titolo di personalizzazione per la grave lesione alla genitorialità subita dall’attrice come conseguenza degli interventi chirurgici svolti.

In base alle Tabelle del Tribunale di Milano ed alle risultanze della CTU, il danno non patrimoniale risarcibile è così determinato: danno biologico 42%, di cui solo il 20% ascrivibile alla condotta dei medici e dunque risarcibile (cfr. p. 66 CTU), con livello di sofferenza moderato, l’inabilità temporanea biologica è di 132 gg totali (dal 28 dicembre 2013, momento in cui la corretta diagnosi avrebbe potuto essere effettuata, al 9 maggio 2014, data dell’intervento di resezione intestinale), dei quali: 36 giorni di inabilità temporanea assoluta al 100%, 60 giorni di inabilità temporanea parziale al 75%, 36 giorni di inabilità temporanea parziale al 50%.

Ai fini della quantificazione del danno iatrogeno differenziale (e cioè l’aggravamento, per imperizia del medico, di postumi che comunque sarebbero residuati, ma in minor misura) questo Giudice aderisce al principio enunciato dalla Corte di Cassazione secondo il quale “in tema di responsabilità medica, allorché un paziente, già affetto da una situazione di compromissione dell’integrità fisica, sia sottoposto ad un intervento che, per la sua cattiva esecuzione, determini un esito di compromissione ulteriore rispetto alla percentuale che sarebbe comunque residuata anche in caso di ottimale esecuzione dell’intervento stesso, ai fini della liquidazione del danno con il sistema tabellare, deve assumersi come percentuale di invalidità quella effettivamente risultante, alla quale va sottratto quanto monetariamente indicato in tabella per la percentuale di invalidità comunque ineliminabile, e perciò non riconducibile alla responsabilità del sanitario” ( Cass. n.6341 del 19 marzo 2014).

Pertanto, il danno c.d. iatrogeno va liquidato monetizzando il grado complessivo di invalidità permanente accertato in corpore, monetizzando il grado verosimile di invalidità permanente che sarebbe comunque residuato all’infortunio anche in assenza dell’errore medico e detraendo il secondo importo dal primo, al netto della personalizzazione del danno morale (cfr.Cass. Sez. Terza Civile Sentenza 27 settembre 2021, n. 26117).

L’età del danneggiato, alla data del sinistro, era di 23 anni;

Percentuale di invalidità permanente complessiva accertata 42%

Punto danno biologico Euro 5.544,28

Danno non patrimoniale risarcibile Euro 207.245,00

Percentuale di danno biologico permanente residuale non dovuto alla responsabilità sanitaria è 22% (42%-20%)

Punto danno biologico corrispondente al 22% Euro 3.483,90

Danno non patrimoniale non risarcibile Euro 68.215,00

Danno biologico differenziale Euro 207.245,00 – Euro 68.215,00= Euro 139.030,00

Danno biologico personalizzato, aumentato del 36% Euro 189.080,80

Punto base I.T.T. Euro 100,00

Invalidità temporanea totale Euro 3.600,00

Invalidità temporanea parziale al 75% Euro 4.500,00

Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 1.800,00

Totale danno biologico temporaneo Euro 9.900,00

Totale danno non patrimoniale con personalizzazione Euro 198.980,80

Le somme, già attualizzate, devono essere maggiorate degli interessi legali dalla data della domanda al saldo.

Il danno patrimoniale

Si riconoscono altresì – a titolo di danno emergente – le spese indicate dall’attrice da liquidarsi nella misura debitamente documentata:

– le spese sostenute in favore dei CTU designati in sede di ATP pari ad Euro 4.000,00, come liquidate in sede di ATP;

– le spese di lite per il procedimento di ATP, che qui si liquidano in Euro 3.700,00, calcolati considerando i valori medi relativi allo scaglione tra 52.001 e 260.000 Euro;

– le spese mediche documentate nelle fatture prodotte dell’importo totale di Euro 10.873,00.

Le spese del presente giudizio, ivi comprese quelle di CTU, seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. 5735/2020 RG Trib., rigettata ogni diversa domanda, eccezione o istanza, così provvede:

– condanna l'(…) al risarcimento del danno non patrimoniale in favore di (…), che si quantifica in Euro 198.980,0, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

– condanna l'(…) al rimborso delle spese mediche sostenute da (…), che si quantificano nella complessiva somma di Euro 10.873,00 da maggiorarsi degli interessi legali dalla data della domanda al saldo;

– condanna la convenuta l'(…) al pagamento in favore di (…) delle spese relative alla fase sommaria di ATP che liquida in Euro 3.700,00 per compensi legali, oltre ad Euro 4000,00 per la CTU;

– condanna la convenuta l'(…) al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di (…) che si liquidano in Euro 13.450,00 per compenso legale, oltre spese generali, oltre IVA e CAP come per legge

Così deciso in Ancona il 4 ottobre 2022.

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2022.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.