quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi ed il danneggiato, sussistono tutte le condizioni necessarie perché i predetti soggetti siano corresponsabili in solido. Infatti, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se l’unico evento dannoso è imputabile a più persone, è sufficiente, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo di risarcimento, che le azioni o omissioni di ciascuna abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento. Ciò discende non tanto, dal fatto che l’art. 2055 c.c. costituisca un principio di carattere generale estensibile anche alla responsabilità contrattuale, ma dai principi stessi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di cause tutte egualmente efficienti della produzione di un determinato danno, di cui l’art. 2055 c.c. è un’esplicitazione in tema di responsabilità extracontrattuale.

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Tribunale|Napoli|Sezione 12|Civile|Sentenza|30 giugno 2022| n. 6567

Data udienza 30 giugno 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI NAPOLI

XII SEZIONE CIVILE

Il dott. Mauro Impresa, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n.r.g. 20047/2017 e vertente

TRA

(…) c.f. (…) c.f. (…) e (…) c.f. (…) rapp. e dif. dall’Avv.to (…) presso il cui studio hanno eletto domicilio

Attori

E

(…) c.f. (…)

Convenuto contumace

NONCHÉ

(…) c.f. (…) elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to (…) che lo rappresenta e difende unitamente all’Avv.to (…)

Convenuto

avente ad oggetto: garanzia per evizione del venditore e responsabilità professionale notarile

MOTIVI DELLA DECISIONE

(…) hanno citato in giudizio (…) al fine di vederli condannare al risarcimento in proprio favore dei danni sofferti a causa della demolizione dei manufatti adibiti a box auto da loro acquistati.

A sostegno della propria domanda, gli attori premettevano che in data (…), con atto per notar (…) rep. (…) e racc. (…) (…) acquistava da (…) la piena proprietà di un locale adibito ad autorimessa sito in N. alla via (…) come meglio descritto nel predetto atto; che in data (…), con atto per notar (…) rep. (…) e racc. (…), (…) acquistavano, in comunione dei beni, da (…) la piana proprietà di un ulteriore locale adibito ad autorimessa, sito in N. alla via (…), come meglio descritto nel predetto atto; che a seguito di ingiunzione a demolire disposta dal Pubblico Ministero in esecuzione della sentenza del Tribunale di Napoli del 15.02.2005, i box anzidetti venivano demoliti, in quanto costruiti in assenza di permesso di costruire; che l’area sulla quale erano stati edificati i box auto era, infatti, sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta in ragione della “dichiarazione di notevole interesse pubblico” di cui al D.M. n. 297 del 23 novembre 1957 ed ai vincoli di cui al D.P.R. n. 490 del 1999 ed al D.Lgs. n. 42 del 2004; che negli atti di compravendita, dopo aver dato atto che la costruzione dei box era avvenuta in assenza di concessione edilizia, il (…) dichiarava che erano state presentate le domande di condono n. 89614 e n.89661 del 10.12.2014; che il venditore garantiva, altresì, la “regolarità della domanda di condono e l’inesistenza di vincoli che ne pregiudichino l’accoglimento”; che, tuttavia, il (…) aveva artatamente taciuto l’esistenza della sentenza del Tribunale di Napoli del 15.02.2005, con la quale era stata ordinata la demolizione dei box auto oggetto di compravendita.

Invocavano, dunque, la garanzia per evizione del venditore, legalmente oltre che contrattualmente prevista, nonché la responsabilità professionale del notaio rogante, per avere lo stesso omesso di compiere gli accertamenti urbanistici necessari al fine di assicurare la validità degli atti di compravendita aventi ad oggetto i box auto.

Concludevano, pertanto, chiedendo il risarcimento dei danni sofferti a causa della demolizione dei manufatti adibiti a box auto da loro acquistati, nella misura di Euro 26.000,00 a favore di (…) nonché di Euro 26.000,00 a favore dei coniugi (…).

Costituitosi in giudizio, (…) deduceva di aver correttamente adempiuto ai suoi obblighi contrattuali, avendo svolto tutte le verifiche rientranti nella sua competenza. Affermava, altresì, che non esistevano condizioni obiettive di incommerciabilità dei beni acquistati dagli attori, né risultavano trascrizioni pregiudizievoli, posto che le sentenze penali a carico del (…) non erano state trascritte.

Concludeva, pertanto, chiedendo il rigetto dell’avversa domanda; in subordine, in caso di riconoscimento della sua responsabilità, chiedeva di essere tenuto indenne dal (…) di quanto fosse tenuto a corrispondere agli istanti.

In data 22.01.2018, rilevata la ritualità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio, veniva dichiarata la contumacia di (…).

All’udienza del 24.01.2019 veniva dichiarata l’interruzione del giudizio per la morte dell’Avv. (…), procuratore costituito del notaio (…) il giudizio veniva riassunto con ricorso ex art. 303 c.p.c. e, precisate le conclusioni, la causa veniva assegnata in decisione con termini ex art. 190 c.p.c.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di estinzione del giudizio sollevata dal convenuto all’udienza del 06.05.2019, posto che la dedotta nullità della notificazione del ricorso in riassunzione proposto dagli attori appare essersi sanata per raggiungimento dello scopo, stante la costituzione in giudizio del (…)

Venendo al merito, si osserva che gli attori hanno proposto contemporaneamente due differenti azioni, che vanno pertanto esaminate separatamente.

Relativamente alla prima domanda, gli istanti hanno agito al fine di ottenere da(…) il risarcimento del danno patito in conseguenza della demolizione dei box auto dallo stesso acquistati con atti di compravendita a ministero del Notaio (…), rispettivamente, del 01.02.2007 e del 31.01.2008 (doc. 1-2 fascicolo di parte attrice). Ed invero, con Provv. del 20 maggio 2009 il PM presso il Tribunale di Napoli-in esecuzione del dispositivo della sentenza penale di condanna n. 9878/2005 emessa nei confronti di (…) – ha ordinato la demolizione dei box auto acquistati dagli odierni attori, in quanto opere realizzate in assenza di titolo abilitativo su un’area sottoposta ai vincoli di cui al D.P.R. n. 490 del 1999 (attuale L. n. 42 del 2004) e ricadente in zona sismica.

Tale domanda va sussunta nell’ambito dell’art. 1483 c.c. in aderenza a quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, nell’ipotesi di compravendita di un immobile costruito senza licenza edilizia si verifica, nei rapporti fra venditore e compratore, una fattispecie riconducibile alla disciplina dell’art. 1483 c.c. che ha gli effetti sostanziali dell’evizione totale, in quanto l’eventuale ordinanza di demolizione della costruzione abusiva comporta la perdita assoluta e definitiva della cosa per effetto dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione (cfr. Cass. civ. n. 5272 del 1978).

Orbene, come è noto, la garanzia per evizione rappresenta una delle obbligazioni principali del venditore ex art. 1476 n. 3 c.c. oltre che un effetto naturale del contratto di compravendita, operando senza che sia necessaria una specifica pattuizione in tal senso. Ciò non esclude che il compratore possa rinunziarvi o contentarsi di una garanzia minore, a condizione che ciò risulti da una pattuizione espressa e inequivoca del contratto. In tal senso, la Suprema Corte ha chiarito che “può essere modificata od esclusa convenzionalmente la responsabilità per evizione elemento naturale del contratto di compravendita – mediante clausola specifica da cui risulti l’intento di aumentare, diminuire od escludere gli effetti dalla garanzia” (Cass. Civ. , n. 4007/1968, v. anche Cass. Civ., n. 686/1961).

Ciò posto, dalla lettura degli atti di compravendita del 01.02.2007 e del 31.01.2008 non risulta alcun tipo di limitazione o rinuncia, da parte degli acquirenti, alla suddetta garanzia; al contrario, l’art. 6 (“Garanzie”) di entrambi i contratti dispone espressamente che “il venditore presta ogni più ampia garanzia per evizione o molestia, dichiarando che l’immobile alienato è libero da oneri reali di garanzia o di godimento, privilegi o vincoli di alcun genere”.

Né appare ostativa all’operatività della garanzia per evizione la circostanza che il venditore abbia dichiarato in contratto che la costruzione dei box auto “è stata realizzata senza licenza o concessione edilizia” (cfr. art. 7 dei contratti citati) e che quindi l’evizione fosse astrattamente prevedibile dagli acquirenti. Al riguardo giova rammentare che la garanzia per evizione opera indipendentemente dalla sussistenza della colpa del venditore o dalla buona fede dell’acquirente e, quindi, non è esclusa neppure dalla conoscenza, da parte del compratore, della possibile causa di futura evizione, ove la stessa effettivamente si verifichi (cfr. Cass. n. 2005 del 1980; Cass. n. 6491 del 1986; Cass. n. 4853 del 1993). Infatti, la Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare che gli effetti della garanzia per evizione conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, in quanto fatto comportante l’alterazione dell’equilibrio del sinallagma funzionale, con la conseguente necessità di porvi rimedio col ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell’acquisto (cfr. Cass. civ. n. 20877 del 2011).

In ragione delle precedenti considerazioni, deve ritenersi fondata la domanda formulata dagli attori ex art. 1483 c.c. nei confronti del (…) il quale va conseguentemente condannato al risarcimento del danno patito dagli istanti ai sensi dell’art. 1479 c.c..

Ciò posto, è ora possibile concentrare l’indagine sulla responsabilità del convenuto notaio per l’asserito inadempimento della prestazione professionale, in relazione al rogito di un atto pubblico di compravendita; inadempimento consistito nella omessa rilevazione e indicazione nell’atto, e comunque, nel mancato avvertimento agli attori, della sussistenza del vincolo sismico a cui è soggetta l’area ove sono ubicati gli immobili demoliti.

A tal fine è necessario riprendere gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità in tema di obblighi del pubblico ufficiale rogante atti di compravendita, con particolare riferimento al caso di inadempimento agli obblighi informativi sullo stesso gravanti.

Va premessa la natura contrattuale del rapporto in esame, data dal contratto di opera professionale concluso tra lo stesso notaio e le parti, sicché esso va adempiuto secondo i canoni della “diligenza qualificata” di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, per l’adempimento della prestazione professionale (cfr. Cass. 19 giugno 2013 n. 15305).

È peraltro pacifico che a fronte di un incarico formale conferito al notaio, sorgono naturalmente a suo carico una serie di obblighi relativi allo svolgimento della sua prestazione “qualificata”, che trovano la loro fonte non solo nell’art. 1176, comma 2 cc in tema di diligenza nell’adempimento della prestazione professionale; ma anche nell’art. 47, comma 2 L. not. secondo cui “il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell’atto”; nonché nell’art. 42, comma 1, lett. a) del codice deontologico, che prevede specifici obblighi informativi.

Il notaio è tenuto, in particolare, a svolgere, anche nell’autenticazione delle firme nelle scritture private, in modo adeguato e fattivo le seguenti attività:

a) informare le parti sulle possibili conseguenze della prestazione richiesta, in tutti gli aspetti della normale indagine giuridica demandatagli e consigliare professionalmente le stesse, anche con la proposizione di impostazioni autonome rispetto alla loro volontà e intenzione;

b) proporre la scelta del tipo negoziale più adeguato alle decisioni assunte dalle parti, accertandone la legalità e la reciproca congruenza, svolgendo le richieste attività preparatorie e dirigendo quindi la formazione dell’atto nel modo tecnicamente più idoneo per la sua completa efficacia e per la stabilità del rapporto che ne deriva;

c) dare alle parti i chiarimenti richiesti o ritenuti utili a integrazione della lettura dell’atto per garantire ad esse il riscontro con le decisioni assunte e la consapevolezza del valore giuridicamente rilevante dell’atto, con speciale riguardo ad obblighi e garanzie particolari e a clausole di esonero o limitative di responsabilità, nonché agli adempimenti che possono derivare dall’atto, valendosi, per questo ultimo aspetto, anche di separata documentazione illustrativa.

d) prestare alle parti la propria assistenza con diligenza ed impegno professionale, se necessario anche dopo il perfezionamento dell’atto.

Dalle disposizioni sopra indicate sorgono indubbiamente dei doveri di consiglio e di informazione a carico del notaio, pur se va osservato come la legge non precisa puntualmente in cosa consistano tali doveri e quali siano i loro limiti. In merito, un ruolo di supplenza è stato svolto dalla giurisprudenza, la quale con particolare riguardo agli atti immobiliari ha individuato varie regole applicabili allo svolgimento della prestazione notarile.

Limitando l’analisi ai profili che riguardano l’inadempimento agli obblighi informativi, può richiamarsi quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 3984/2019, la quale definisce in modo significativo il cd. “dovere di consiglio” del notaio, determinando che esso “va espletato nei confronti delle parti, esplicitando rischi e conseguenze connessi alla stipula, con attività di completa e compiuta informazione” (cfr. conforme, Cass. sentenza 18/5/17 n. 12482).

A tal proposito va rammentato che, per consolidata giurisprudenza, il notaio rogante un contratto di compravendita immobiliare è sempre vincolato al compimento delle attività necessarie a conseguire il risultato voluto dalle parti, in particolare ad effettuare le visure catastali e ipotecarie atte ad individuare esattamente il bene e a verificare che sia libero da vincoli (in tal senso Cass., 28/7/1969, n. 2861 e più recentemente Cass., 24/9/1999, n. 10493 e Cass., 18/1/2002, n. 547).

La sussistenza di tale obbligo può infatti ricavarsi dal combinato disposto degli artt. 2913 c.c. e 28 della Legge Notarile (in ragione della funzione pubblica del notaio), nonché dagli artt. 4 e 14 del D.P.R. n. 640 del 1972, in base ai quali il notaio è tenuto all’attività di verifica catastale ed ipotecaria, al fine di accertare la condizione giuridica ed il valore di un immobile – attività peraltro distinta dalle normali indagini prodromiche alla stipulazione dell’atto (in tal senso Cass., 23/7/2004, n. 13825).

Merita peraltro sottolineare che, secondo la giurisprudenza più recente, l’opera prestata dal notaio non si esaurisce nel mero accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto, estendendosi anche alle attività preparatorie e successive, volte ad assicurare gli effetti tipici che ne derivano oltre che il risultato pratico perseguito dalle parti (in tal senso Cass., Sez. Un., 31/7/2012, n. 13617).

Si è quindi affermato che la responsabilità del notaio è esclusa solo in caso di espresso esonero (per motivi di urgenza o per altre ragioni), previsto mediante apposita clausola appositamente inserita nella scrittura, che, come tale, non deve considerarsi una mera formula di stile bensì una parte integrante del contratto, purché sia giustificata da esigenze concrete delle parti (così Cass., 1/12/2009, n. 25270; conforme Cassazione, sentenza del 9 maggio 2016, n.9320).

Anche la giurisprudenza di merito, allineandosi all’indirizzo di legittimità, pur mantenendo fermo il principio secondo cui rientrano nell’opera professionale notarile tutte le predette attività preparatorie e successive finalizzate al miglior compimento dell’atto, afferma l’esistenza di un “dovere di consiglio” nei limiti delle proprie conoscenze specialistiche, per cui il Notaio non è tenuto a rispondere per quelle circostanze che la stessa parte avrebbe potuto percepire o rappresentarsi per conto proprio (cfr. in tal senso, Tribunale di Milano n. 8900/18). In definitiva, “per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura, costituisce, salvo espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo derivante dall’incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell’oggetto della prestazione d’opera professionale, poiché l’opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell’atto medesimo. Conseguentemente, l’inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del notaio dà luogo a responsabilità ex contractu per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità, e, stante il suddetto obbligo, non è ontologicamente configurabile il concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 cod. civ.” (cfr. Cassazione sentenza n. 8703/2016).

Tanto premesso e venendo alla specifica questione rimessa a questo Giudice, soccorre la sentenza n. 25113/2017 della Terza Sezione della Corte di Cassazione, che ha avuto occasione di pronunciarsi proprio in relazione al mancato avvertimento, da parte del notaio, della presenza di un vincolo (nella specie, archeologico) sui beni oggetto di trasferimento immobiliare, vincolo in ragione del quale l’amministrazione aveva poi revocato, in autotutela, la concessione edilizia precedentemente rilasciata, ordinando, successivamente, anche la demolizione delle opere realizzate. In tale occasione, la Suprema Corte ha sancito che in materia di responsabilità professionale del notaio, l’omessa indicazione dell’esistenza di un vincolo su un bene immobile oggetto di compravendita o permuta “determina, secondo i criteri della preponderanza dell’evidenza (o del “più probabile che no”) e della regolarità causale, l’addebito al professionista dell’evento dannoso consistito nella successiva adozione, da parte del Comune, della revoca in autotutela della concessione edilizia e dell’ordine di demolizione delle opere nel frattempo realizzate, nonché nell’acquisizione dell’area al patrimonio demaniale”.

In questo contesto – ha precisato la Corte – se la demolizione in via amministrativa dell’opera edilizia realizzata dipenda anche dalla mancanza di talune autorizzazioni amministrative e da difformità urbanistiche, questi ultimi fattori, pur imputabili al danneggiato, non valgono ad interrompere la serie causale. Difatti, quest’ultimo, se avesse conosciuto dell’esistenza del vincolo, non avrebbe, secondo un criterio logico-probabilistico, acquistato il terreno e non avrebbe intrapreso alcuna attività edilizia (criterio della preponderanza dell’evidenza).

Venendo, dunque, al caso di specie, dall’esame degli atti di causa risulta che l’area sulla quale insistevano i box auto acquistati dagli attori risultava sottoposta a vincolo paesistico-ambientale.

In merito deve osservarsi come i vincoli paesaggistici ed ambientali in senso proprio, non divengono vincoli (meramente) urbanistici per il solo fatto di essere recepiti nel P.R.G. di riferimento, ma mantengono la loro natura – di vincoli dichiarativi ad effetto costitutivo non sottoposto a termine, in quanto discendenti non da una scelta discrezionale dell’amministrazione, bensì da qualità intrinseche del bene tutelato, che il provvedimento di vincolo deve soltanto riconoscere e dichiarare; ciò che li distingue nettamente dai vincoli urbanistici in senso proprio, i quali – ancorché possano essere ispirati da analoghe finalità di salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente – non si sottraggono, qualora siano preordinati all’espropriazione o comunque rivestano carattere sostanzialmente espropriativo, all’alternativa tra temporaneità ed indennizzabilità” (cfr. TAR Umbria Sez.I sent. 71 del 4 marzo 2009).

Ne deriva che la loro sussistenza comporta ex se la ragionevole certezza che, nemmeno in ipotesi di espressione della più ampia discrezionalità amministrativa, dallo stesso vincolo possa prescindersi per l’ottenimento di una sanatoria di eventuali opere abusive realizzate.

Sulla scorta di quanto esposto, il (…) va dichiarato responsabile, in solido con il (…) delle conseguenze dannose subite dagli attori, posto che l’omessa rilevazione del vincolo paesaggistico ambientale gravante sull’immobile compravenduto ha avuto una indubbia efficacia causale nella verificazione dell’evento dannoso lamentato da parte attrice. Ed infatti, allineandosi alla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, secondo il criterio della preponderanza dell’evidenza, deve affermarsi la sussistenza di una probabilità logica che gli attori non avrebbero acquistato gli immobili se avessero avuto contezza dei vincoli insistenti sull’area di costruzione degli immobili acquistati.

Venendo, così, all’individuazione dei danni risarcibili agli attori ed alla relativa quantificazione, si osserva che nel nostro ordinamento vige il principio di indifferenza o di integralità del danno, evincibile dall’art. 1223 c.c., a mente del quale il

risarcimento del danno da inadempimento deve comprendere così la perdita subita (danno emergente) dal creditore come il mancato guadagno (lucro cessante).

Appare peraltro opportuno evidenziare che nell’ipotesi di evizione totale, il principio di integralità trova una parziale deroga laddove il venditore abbia agito in buona fede. In tale caso, infatti, così come desumibile dal combinato disposto degli artt. 1483 e 1479 c.c., il legislatore limita il danno risarcibile al cosiddetto interesse negativo, costituito dalla restituzione del prezzo dal rimborso delle spese della vendita e dai frutti, che l’Acquirente abbia dovuto corrispondere a colui dal quale sia stato evitto, oltre gli accessori e le spese giudiziali. Il principio di indifferenza torna, tuttavia, a trovare piena applicazione nel caso di mala fede del venditore; ed invero, come affermato dalla Corte di legittimità, “qualora si accerti che abbia agito con dolo o con colpa, in riferimento alla particolare causa che ha determinato la evizione, il venditore è obbligato al risarcimento integrale del danno, comprensivo anche del lucro cessante, ponendosi la causa di evizione sullo stesso piano giuridico dell’inadempimento” (cfr. Cass. n. 1511/1979).

Orbene, per quel che qui rileva, appare inverosimile ipotizzare che, al momento della stipula degli atti di compravendita (risalenti il primo al 2007 ed il secondo al 2008), il venditore non fosse a conoscenza dell’abusività dei box auto per cui è causa. Solo pochi anni prima, infatti, il Tribunale di Napoli, con sentenza del 15.02.2005, aveva accertato la penale responsabilità di (…) fratello dell’odierno convenuto nonché suo dante causa, ed aveva disposto, tra le altre cose, la demolizione dei box acquistati dagli odierni attori.

Posto, dunque, che – esclusa la buona fede del venditore – non opera alcuna astratta limitazione alla risarcibilità dei danni prodotti dai convenuti, occorre procedere ad una valutazione in concreto, che tenga conto delle emergenze processuali secondo il consueto riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.

In tema di responsabilità contrattuale non è, infatti, sufficiente la prova dell’inadempimento del debitore, ma deve anche essere provato il pregiudizio effettivo e reale incidente nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato e la sua entità (Corte di Cassazione, III sez. civile, sent. n. 24632/2015). In tema, la Cassazione evidenzia infatti che nell’ambito della responsabilità contrattuale si applica il principio della presunzione della colpa, ma ciò non esonera l’attore dall’onere di dimostrare da un lato l’inadempimento e dall’altro l’entità del danno (nelle sue componenti di danno emergente e lucro cessante), ferma restando la possibilità del debitore di sottrarsi all’obbligo risarcitorio dimostrando l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause a lui non imputabili.

Affinché sorga il diritto al ristoro dei danni e alla reintegrazione patrimoniale è pertanto preliminare fornire la prova dell’inadempimento del creditore; tuttavia, onde conseguire un risarcimento sarà anche necessaria la prova che da un simile comportamento è derivato un pregiudizio effettivo e reale che ha inciso nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato, da precisarsi nella sua entità.

Del resto, anche il danno patrimoniale da mancato guadagno “presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta, e deve pertanto escludersi per i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte” (Cass. 19 dicembre 2006, n. 27149).

Nella specie, gli attori quantificano la propria richiesta risarcitoria in Euro 26.000,00 – ritenendo che tale sia il valore al momento della demolizione – per ciascun box auto, laddove il corrispettivo pattuito negli atti di compravendita risulta essere di Euro 8.000,00 per il box acquistato dalla (…) e di Euro 12.000,00 per il box acquistato dai coniugi (…) Appare di tutta evidenza che gli istanti abbiano inteso incorporare nella quantificazione del danno anche un mancato guadagno parametrato ad un ipotetico maggior valore di mercato degli immobili demoliti. Tale circostanza appare, tuttavia, sfornita di prova, in quanto meramente ipotetica: è onere del creditore, infatti, provare, anche in via indiziaria, l’utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta (Cass. 19 dicembre 2006, n. 27149).

Quanto alla voce relativa al danno emergente, può, invece, ritenersi raggiunta la prova limitatamente al corrispettivo pagato dagli attori per l’acquisto degli immobili: all’art. 3 di entrambi gli atti di compravendita si attesta, infatti, l’avvenuto pagamento del prezzo al venditore, il quale ha contestualmente rilasciato espressa quietanza di pagamento.

I convenuti devono, dunque, essere condannati, in solido tra loro, al pagamento di Euro 8.000,00 in favore di (…) e di Euro 12.000,00 in favore di (…) e (…) con interessi legali a far data dalla costituzione in mora (11.10.2016 per il (…) e 03.03.2017 per il (…)

Quanto alla domanda riconvenzionale proposta da (…) nei confronti di (…) la stessa non può essere accolta.

Il pregiudizio subito dagli attori è la conseguenza di due inadempimenti dei convenuti ognuno dei quali deve pertanto risponderne e la Corte di Cassazione ha chiarito che quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi ed il danneggiato, sussistono tutte le condizioni necessarie perché i predetti soggetti siano corresponsabili in solido. Infatti, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se l’unico evento dannoso è imputabile a più persone, è sufficiente, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo di risarcimento, che le azioni o omissioni di ciascuna abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento (Cass. 28 gennaio 1985, n. 488, Cass. 4 dicembre 1991, n. 13039; Cass. 10 dicembre 1996, n. 10987 e, da ultimo, Cass. n. 5946/99 cit.).

Secondo la S.C. “ciò discende non tanto, come pure si è sostenuto, dal fatto che l’art. 2055 c.c. costituisca un principio di carattere generale estensibile anche alla responsabilità contrattuale (Cass. 26 maggio 1995, n. 7231), ma dai principi stessi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di cause tutte egualmente efficienti della produzione di un determinato danno, di cui l’art. 2055 c.c. è un’esplicitazione in tema di responsabilità extracontrattuale”.

Naturalmente una volta che abbia soddisfatto la pretesa il condebitore avrà diritto a recuperare dall’altro la metà di quanto ha pagato.

Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico dei convenuti in solido in base al principio della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Napoli definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (…) ed (…) nei confronti di (…) e (…) ogni diversa istanza, difesa ed eccezione disattesa, così provvede:

1) accoglie la domanda formulata dagli attori e, per l’effetto, condanna i convenuti, in solido tra loro, al pagamento della somma di Euro 8.000,00 in favore di (…) e di quella di Euro 12.000,00 in favore di (…), oltre interessi legali dalla costituzione in mora (11.10.2016 per il (…) 03.03.2017 per il (…) al saldo;

3) condanna i convenuti, in solido tra loro, alla refusione in favore degli attori delle spese di lite, che si liquidano in Euro 568,02 per spese vive ed Euro 4.835 per compensi, oltre accessori di legge ;

4) rigetta la domanda proposta da (…) nei confronti di (…)

Così deciso in Napoli il 30 giugno 2022.

Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2022.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.