È pacifico che la capacità di disporre per testamento deve essere presente al momento di redazione dell’atto mortis causa e non già al momento della morte del testatore, così come è fuor di dubbio che, pur in assenza della pronunzia di interdizione, può essere provato lo stato di incapacità di intendere e di volere, anche transitorio, del testatore, essendo necessaria, in ogni caso, la dimostrazione dell’incapacità con riguardo al momento di confezione della scheda. Non è sufficiente che fosse normalmente alterato il processo di formazione ed estrinsecazione della volontà del testatore – come nel caso di età avanzata – occorrendo invero che lo stato psico-fisico del testatore fosse tale, nel momento di confezione del negozio testamentario, da sopprimere totalmente l’attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente, il che andrà provato in modo rigoroso. Più precisamente la nozione di incapacità naturale del testatore, postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi. Ne discende, quindi, che non è sufficiente il lieve decadimento delle facoltà mentali, normalmente legato all’età avanzata del testatore così come non basta una generica alterazione del processo di formazione ed estrinsecazione della volontà occorrendo piuttosto una situazione che renda il soggetto privo della coscienza dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi.

Tribunale|Palermo|Sezione 2|Civile|Sentenza|14 giugno 2023| n. 2874

Data udienza 12 giugno 2023

TRIBUNALE DI PALERMO

SEZIONE SECONDA CIVILE

Il Tribunale di Palermo composto dai signori Magistrati

dott.ssa Monica Stocco – Presidente

dott.ssa Cristina Denaro – Giudice

dott.ssa Sara Monteleone – Giudice rel. est.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. R.G. …/2019, promossa da

P.D., rappresentata e difesa dall’avv. …giusta procura in atti,

attrice

CONTRO

P.G., rappresentata e difesa unitamente e disgiuntamente dall’avv. …e dall’avv…., come da mandato in atti,

convenuta

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione regolarmente notificato P.D. – premettendo di essere parente di terzo grado, in linea collaterale materna, della de cuius C.F., nonché erede universale della stessa in virtù di testamento del 2.8.2003 – ha evocato in giudizio P.G., chiedendo accertarsi in prima istanza la nullità ex art. 606 comma 1 c.c. del successivo testamento olografo attribuito a C.F. (deceduta l’8.6.2018), recante la data del 30.8.2015 e pubblicato in N.L.M. in data (…) (rep. (…), racc. (…)), nonché, comunque, l’invalidità dello stesso ai sensi dell’art. 591 c.c. per lo stato di incapacità in cui la testatrice si sarebbe trovata a causa delle condizioni di salute degeneratesi nel tempo (la F. era stata colpita da ictus ischemico nel 2009 ed era soggetta ad amministrazione di sostegno dal 2017).

Si è costituita in giudizio P.G. la quale ha chiesto il rigetto delle domande attoree deducendo tanto l’autenticità del testamento del 30.8.2015 quanto la piena capacità naturale della defunta al momento della redazione della scheda testamentaria.

Assegnato il procedimento a questo giudice solo nel dicembre 2020, la causa è stata istruita con l’espletamento della CTU grafologica affidata alla dott.ssa A.M., mentre sono state respinte, con ordinanza del 22.09.2022, sia le istanze di prova testimoniale articolate dalle parti “in quanto per un verso formulate in termini eccessivamente generici ed in parte irrilevanti ai fini del decidere in quanto tendenti a provare le condizioni di salute mentale della de cuius in periodi molto lontani nel tempo rispetto alla redazione della scheda testamentaria (o eccessivamente antecedenti come il 2009 ovvero significativamente successivi come il 2017)”, sia la richiesta di consulenza medico-legale formulata dall’attrice, poiché essa – in considerazione della estrema genericità delle allegazioni di parte attrice e della esigua e poco significativa documentazione sanitaria in atti – avrebbe avuto carattere meramente esplorativo.

Pertanto, all’esito della fase istruttoria, sulle conclusioni precisate dalle parti all’udienza del 31 gennaio 2023, la causa è stata rimessa al Collegio per la decisione con concessione dei termini ordinari ex art. 190 c.p.c.

La domanda di impugnazione del testamento proposta dall’attrice è infondata sotto tutti i profili di invalidità dedotti.

Secondo quanto disposto dall’art. 606 c.c. “il testamento olografo è nullo quando manca l’autografia o la sottoscrizione, ovvero manca la redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell’uno o dell’altro, nel caso di testamento per atto di notaio. Per ogni altro difetto di forma il testamento può essere annullato su istanza di chiunque vi ha interesse. L’azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie”.

A mente dell’art. 602 c.c. il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano dal testatore.

Dall’esame delle norme emerge che in materia di forma del testamento se, da un lato, in virtù del favor testamenti, le ipotesi di nullità sono testuali, limitate cioè ai casi tassativamente previsti nella norma citata, dall’altro lato, la falsità e contraffazione del testamento olografo determinano la radicale invalidità delle disposizioni in esso contenute e la conseguente inesistenza di qualsiasi diritto dallo stesso derivante.

Sotto il profilo sostanziale deve infatti osservarsi come in tema di nullità del testamento olografo, la ratio del requisito della sottoscrizione, previsto dall’art. 602 c.c., è proprio quella di soddisfare l’imprescindibile esigenza di avere l’assoluta certezza, non solo della sua riferibilità al testatore, ma anche dell’inequivocabile paternità e responsabilità del medesimo che, dopo avere redatto il testamento abbia disposto del suo patrimonio senza alcun ripensamento; con la conseguenza che l’accertata apocrifia della sottoscrizione esclude in radice la riconducibilità dell’atto di ultima volontà al testatore (così Cass. ord. n. 18616/2017; Cass. n. 22420/2013; Cass. n. 13487/2005).

Pertanto se l’autenticità rappresenta un requisito positivo del testamento olografo, necessario e indispensabile perché lo stesso possa ritenersi valido e quindi produttivo di effetti, è evidente che il suo riscontro deve esserci in termini di assoluta certezza.

Tale disciplina sostanziale non contrasta ma deve essere rettamente coordinata con le regole processuali che presiedono la peculiare azione di impugnazione del testamento per vizio di forma.

Infatti, l’azione di accertamento negativo volta a contestare la provenienza della scheda testamentaria comporta che la parte interessata ponga in seno al processo una questio inexistentiae, volta a rimuovere il titolo della successione e quindi a negare gli effetti del testamento olografo falso.

Sulla parte che contesta l’autenticità del testamento olografo, ovverosia, che deduca che la scheda testamentaria non provenga da chi ne appare l’autore, come nel caso di specie, grava dunque l’onere della prova dei relativi fatti costitutivi.

E pertanto, se l’onere probatorio ha ad oggetto il fatto costitutivo che la scheda testamentaria non sia autentica, ovverosia che non provenga da chi ne appare l’autore, è evidente che sotto il profilo probatorio, il raggiungimento della prova che, con alta probabilità, la firma non appartenga al de cuius e quindi, ai sensi degli artt. 602 e 606 c.c., che il testamento olografo non sia autentico, soddisfa pienamente i canoni di accertamento probatorio richiesti nel processo civile, dovendosi invero rammentare che, nell’ambito del giudizio civile, il principio di equivalenza delle cause di cui agli artt. 40 e 41 cpv c.p., è temperato dal principio della causalità adeguata che si fonda sulla regola del più probabile che non (per tutte Cass. civ. SS.UU. n. 576/2008).

Non occorre, in altri termini, che l’accertamento probatorio sia condotto sulla base del canone della certezza, giacché tale impostazione sembra confondere il requisito positivo che il testamento deve avere per essere considerato valido ed efficace, ovverosia la indiscutibile certezza della autenticità, con la diversa tipologia di accertamento negativo della autenticità che si richiede a chi invece ne contesta la provenienza da parte del de cuius.

A ben vedere si tratta di due aspetti della medesima fattispecie che si muovono su piani differenti (sostanziale e processuale), potendosi tuttavia ricongiungere nella seguente osservazione: se è vero che il testamento olografo per essere valido ed efficace deve necessariamente e con assoluta certezza essere riferibile al de cuius nella sua scrittura, firma e data, è altrettanto vero che laddove sia accertato con alta probabilità che il testamento, nei requisiti formali anzidetti, non sia autentico e quindi non proveniente dal de cuius, non si può che concludere per la sua non autenticità e quindi nullità.

Nel caso di specie, alla luce degli illustrati criteri ed all’esito dell’accertamento peritale, può senz’altro affermarsi la riconducibilità del testamento olografo in esame a C.F..

La Consulente ha premesso che “trattasi di una scheda testamentaria vergata con penna a biro di colore nero, datata 30.8.2015 a firma F.C. costituita da n 39 righe di due fogli privi di righe. Il margine sinistro piuttosto regolare mentre il margine destro è molto frastagliato. Il testamento è stato accuratamente visionato e sottoposto ad un esame strumentale del tracciato (eseguito con l’utilizzo del Microscopio digitale “Miscope” ad alta risoluzione – 40X-140X- con raggi di luce W-UV-IR e canon digitare EOS 605) che ha permesso di rilevare che il supporto cartaceo è integro non emergono abrasioni e la grafia è priva di contraffazioni con mezzi meccanici (quali gomma o lamette) o strumentali (in particolare modifiche con solventi chimici/acidi). Il microscopio ha consentito al CTU di ingrandire enormemente le minuzie grafiche e gli idiotismi più ridotti le cui immagini verranno debitamente riportate, con ingrandimento, per evidenziare i dettagli più minuti e consentire un esame attento e dettagliato”.

Andando poi all’esame della scrittura del testo, nella relazione di consulenza si rileva che “che la grafia dell’intera scheda testamentaria possiede, complessivamente, quella disinvoltura espressiva stentata che caratterizza una scrittura naturale e spontanea di un soggetto anziano, probabilmente indebolito dai malanni senili con una capacità grafica mediamente sviluppata” e che inoltre “procedendo, con l’osservazione e analisi delle caratteristiche particolari, dei gesti fuggitivi dall’alto valore identificatorio, poiché involontari, intimi, non camuffabili e difficilmente emulabili, è possibile notare ulteriori idiotistiche corrispondenze sia all’interno del testo che tra questo e la sottoscrizione e ciò nonostante la fisiologica difformità tra firma e testo”, per concludere sul punto che “Tali analoghe e significative evidenze grafiche consentono di riconoscere una scrittura sostanzialmente omologa, pertanto, con ragionevole certezza, è possibile affermare che il testamento in verifica proviene interamente da una stessa mano scrivente”.

Quanto poi alla riconducibilità dello scritto alla mano della de cuius, per il cui accertamento il Consulente ha condotto un approfondito studio delle scritture di comparazione, nella relazione si legge “Nel caso in esame, tra le comparative, sono presenti firme e scritture non coeve vergate dalla sig.ra C. in tempi lontani dal testamento e, pertanto, poco omognee allo stesso (la più vicina al testamento è del 2004 quindi ben 11 anni precedente) e chiaramente risultano prive di stentatezze, invece, presenti nella scheda in verifica (v. ducts incerto e andamento estremante sinuoso) vergata quando la C. aveva 84 anni e, si presume, in condizioni di salute certamente più precarie rispetto ad 11 anni precedenti.

Dal confronto, tuttavia, emergono chiare corrispondenze sia nei restanti caratteri generali ma soprattutto nei gesti minuti e fuggitivi difficilmente camuffabili imitabili e, pertanto, dall’alto valore identificatorio e ciò nonostante la sig.ra C. avesse l’abitudine di firmare indistintamente “F.C.” (come nel testamento) e viceversa C.F.”.

Infine, dopo avere analiticamente riportato nella relazione tutte le analogie e le caratteristiche particolari dei gesti fuggitivi dall’alto valore identificatorio, ravvisate sia nella scrittura che nella firma, il Consulente ha concluso affermando che “fra le scritture a confronto, nonostante le comparative siano cronologicamente distanti nel tempo rispetto al testamento, emergono numerose e significative analogie di elevato valore segnaletico-identificativo che consentono al tecnico di esprimere, con pieno convincimento, il seguente riassuntivo e conclusivo parere: Il testamento olografo del 30.08.2015 nella sua interezza – scrittura, data e sottoscrizione – è autografo, quindi, riferibile all’esclusiva mano della testatrice F.C.”.

Alla luce degli accertamenti peritali espletati – le cui conclusioni il Tribunale condivide in quanto complete, coerenti ed immuni da vizi logici, oltre che pienamente esaustive anche alla luce delle pertinenti risposte fornite dalla Consulente alle generiche osservazioni critiche del legale di parte attrice – deve concludersi, nel caso di specie, per la autenticità del testamento olografo del 30.8.2015 e per la certa riconducibilità dello stesso alla de cuius C.F..

Analogamente infondata appare la domanda attorea volta alla dichiarazione di invalidità del testamento ai sensi dell’art. 591 c.c. per l’asserita incapacità di intendere e di volere della testatrice.

La citata norma prevede una elencazione tassativa delle cause di incapacità del testore che possano comportare la invalidità del testamento e quella che nel caso di specie rileva è la causa di incapacità di cui al n. 3).

È pacifico che la capacità di disporre per testamento deve essere presente al momento di redazione dell’atto mortis causa e non già al momento della morte del testatore, così come è fuor di dubbio che, pur in assenza della pronunzia di interdizione, può essere provato lo stato di incapacità di intendere e di volere, anche transitorio, del testatore, essendo necessaria, in ogni caso, la dimostrazione dell’incapacità con riguardo al momento di confezione della scheda (Cass. n. 3411/1978; Trib. Lecce 27.7.2016; Trib. Udine 20.7.2016).

Costituisce inoltre costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità che non è sufficiente che fosse normalmente alterato il processo di formazione ed estrinsecazione della volontà del testatore – come nel caso di età avanzata – occorrendo invero che lo stato psico-fisico del testatore fosse tale, nel momento di confezione del negozio testamentario, da sopprimere totalmente l’attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente, il che andrà provato in modo rigoroso (Cass. n. 9508/2005; Cass. n. 8079/2005; Cass. n. 10571/1998; Cass. n. 2074/1985; Cass. n. 3411/1978).

Più precisamente “la nozione di incapacità naturale del testatore, postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi” (Corte di Cassazione 28758/2017).

Ne discende, quindi, che non è sufficiente il lieve decadimento delle facoltà mentali, normalmente legato all’età avanzata del testatore così come “non basta una generica alterazione del processo di formazione ed estrinsecazione della volontà occorrendo piuttosto una situazione che renda il soggetto privo della coscienza dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi” (ex multis Corte di Cassazione n. 3934/2018; n. 27351/2014).

In altri termini, quindi, un generico stato di deperimento cognitivo, anche se implicante anomalie comportamentali, non risulta idoneo ad integrare l’incapacità invalidante il testamento laddove non si dimostri – rigorosamente – che siano state integralmente compromesse la capacità volitiva e la capacità critica del testatore (Corte di Cassazione n. 3934/2018, n. 9081/2010).

Ciò premesso, nel caso di specie l’onere probatorio incombente su parte attrice non è stato ottemperato ed addirittura in punto di allegazione la domanda appare carente e disancorata dalla realtà fattuale emergente dagli atti.

Non può non rilevarsi invero che non solo non sia stato prodotto in giudizio neanche un documento sanitario relativo alle condizioni mentali e cognitive della de cuius, ma che l’attrice non abbia in effetti neanche allegato che la stessa fosse affetta da qualche patologia che ne compromettesse la capacità di autodeterminazione, né tanto meno che versasse in uno stato permanente di infermità mentale.

Ella si è invero limitata a dedurre in modo generico ed apodittico l’incapacità naturale della C., ancorando tale convincimento, da un lato, all’episodio di ictus ischemico del 2009, risalente quindi a diversi anni prima rispetto alla redazione della scheda testamentaria e, dall’altro lato, al provvedimento di nomina di amministratore di sostegno adottato in favore della de cuius nel 2017, quindi due anni dopo rispetto alla confezione del testamento per cui è causa.

Ebbene se dalla relazione di dimissione ospedaliera del 4.03.2009 emerge un quadro di disorientamento prevalentemente temporale, è altrettanto vero tuttavia che gli accertamenti medici successivi dimostrano un significativo miglioramento – non infrequente nei casi di ictus – attestando che la paziente era vigile ed orientata.

In particolare, nel certificato medico del 29.7.2009, di appena qualche mese successivo alla dimissione ospedaliera, il personale medico attestava quale esito del recente ictus ischemico semplicemente un disturbo del linguaggio, riferendo per il resto che la paziente risultava vigile, orientata, collaborante, con buona comprensione ma ridotta fluenza verbale e modesto deficit della memoria di fissazione, con assenza di deficit motori o sensitivi.

Analogamente, con successivo certificato medico dell’ospedale V.S. del 04.06.2010, in esito ad esame obiettivo si confermavano i precedenti accertamenti, attestando che la paziente risultava vigile, orientata, collaborante, con linguaggio discretamente fluente – quindi con miglioramento sotto tale profilo rispetto alla precedente visita di controllo del 29.7.2009 – e modesti disturbi della memoria.

Dalla documentazione sanitaria in atti, quindi, emerge che l’ictus ischemico – cui parte attrice àncora la dedotta incapacità naturale della testatrice – non abbia avuto altro esito se non un disturbo del linguaggio (peraltro rapidamente recuperato nei mesi successivi) e modesti disturbi della memoria, tra l’altro verosimilmente compatibili con l’età avanzata della stessa.

In nessuno dei certificati in atti si rinviene un solo elemento che permetta di pervenire ad un giudizio di incapacità di intendere e di volere della testatrice al momento della redazione dell’atto – nel senso preteso dalla giurisprudenza di legittimità di totale compromissione della capacità di autodeterminarsi – né che attesti uno stato permanente di infermità mentale o anche semplicemente di declino cognitivo della stessa talmente grave da sopprimere del tutto la capacità di comprendere il significato dei propri atti.

Giova osservare che poco significativa appare sotto tale profilo la generica indicazione di “disturbi della memoria” o “deficit della memoria” contenuta nei menzionati certificati, non solo e non tanto perché – in assenza di ulteriori documenti di riscontro – appaiono disturbi compatibili con l’età avanzata della donna, ma piuttosto e soprattutto in quanto, trattandosi notoriamente di disturbi di carattere episodico, per ciò solo non risultano di per sé idonei a ritenere totalmente compromessa la capacità di autodeterminazione della testatrice al momento della redazione dell’atto, avvenuta ben sei anni dopo.

Inoltre, a fronte delle risultanze dei certificati prodotti in atti, che mai in alcun punto o passaggio riconsegnano uno stato cognitivo deficitario della de cuius tale da mettere in discussione la sua capacità di autodeterminazione rispetto all’atto di ultima volontà, depone invece per la lucidità di quest’ultima nel momento della redazione del testamento, l’estrema cura con cui esso appare redatto, sia sotto il profilo grafico che sotto l’aspetto del contenuto.

Infine, privo di rilievo appare il verbale di visita collegiale della Commissione medica Inps del 14.4.2009, volto all’accertamento dell’invalidità civile, il quale, oltre ad essere poco significativo in ordine alla capacità di autodeterminazione della testatrice al momento della redazione del testamento – in quanto risalente a molti anni prima – risulta altresì, in assoluto, poco rilevante nel contenuto, in quanto, essendo finalizzato al riconoscimento del beneficio economico dell’indennità di accompagnamento, non trae fondamento, relativamente alle condizioni cognitive della de cuius che interessano in questa sede, da un accertamento di tipo specialistico, bensì da un’anamnesi generale fondata generalmente su quanto riferito dalla paziente.

Preme inoltre al riguardo osservare che, secondo condivisibile giurisprudenza di merito, neppure la produzione in giudizio di certificato medico del de cuius, riferibile al periodo in cui lo stesso ha redatto il testamento, dal quale si deduca uno stato di decadimento, tipico dell’età avanzata del testatore, ma dal quale non sia dato ricavare la sussistenza di una patologia tale da compromettere seriamente ed indiscutibilmente la capacità di intendere e volere dello stesso, non è sufficiente, ove non suffragata da ulteriori inequivoci elementi, ai fini dell’annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore (Trib. Milano 7.1.2011). Elementi ulteriori che nel caso di specie per le ragioni appena esposte non sono stati affatto forniti.

Alla luce del descritto quadro istruttorio si è ritenuto di non potere disporre neanche una CTU medico-legale – al fine di accertare se il quadro clinico della de cuius avesse avuto una incidenza causale sulla capacità di intendere e di volere al momento del confezionamento della scheda testamentaria, sopprimendola integralmente – in quanto essa, in considerazione della esigua e poco significativa documentazione sanitaria in atti, avrebbe avuto carattere meramente esplorativo.

Né alcun utile elemento di prova avrebbe potuto trarsi dalla prova testimoniale articolata dall’attrice in quanto, da un lato, vertente su circostanze già oggetto di produzione documentale (e cioè l’episodio di ictus ischemico del 2009 ed il procedimento che ha condotto alla nomina di amministratore di sostegno nel 2017) e, dall’altro lato, formulata in termini eccessivamente generici e rimessi alla mera percezione dei testi (sull’alterazione della ragione e delle facoltà mentali della de cuius, inoltre in periodi imprecisati).

Deve pertanto essere rigettata anche la domanda attorea volta ad ottenere l’annullamento per incapacità di intendere e di volere del testamento olografo di C.F. (deceduta l’8.6.2018), recante la data del 30.8.2015 e pubblicato in Notaio L.M. in data 19.6.2018 (Rep. (…), racc. (…)), il quale va invece ritenuto valido titolo della successione del medesimo testatore.

Quanto alla domanda subordinata formulata dall’attrice volta alla divisione dell’immobile di via delle S. 12-14, essa è in primo luogo inammissibile trattandosi di domanda nuova tardivamente formulata per la prima volta in sede di memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c.

Giova rammentare al riguardo che ai sensi dell’art. 183 c.p.c. la domanda nuova dell’attore è ammissibile, purché formulata nel corso della prima udienza, e sempre nei limiti in cui costituisca conseguenza della riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto, laddove nel caso di specie la domanda di divisione non solo non risulta conseguenza delle eccezioni sollevate dalla convenuta, ma per di più è stata proposta dall’attrice soltanto con la memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c.

La domanda risulta comunque infondata, in quanto oggetto del lascito testamentario in favore della convenuta non è una quota indivisa dell’immobile di via delle S. 12/14, bensì una porzione ben individuata dello stesso e costituente appartamento autonomo e già di fatto separato dalla restante parte dell’immobile.

Le spese – da liquidare ai sensi delle tabelle accluse al D.M. n. 147 del 2022, parametri prossimi ai minimi, valevoli per cause di valore indeterminabile a media complessità – seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Palermo, definitivamente pronunciando, contrariis reiectis così provvede:

– rigetta le domande di declaratoria di invalidità del testamento olografo C.F. (deceduta il 8.06.2018), recante la data del 30.08.2015 e pubblicato in Notar L.M. di P. con verbale del 19.10.2018 (rep. (…), racc. (…)), registrato in Palermo il 20.06.2018 al n. 7907 serie 1T;

– rigetta la domanda subordinata di divisione;

– condanna l’attrice P.D. a rifondere le spese di lite in favore della parte convenuta, liquidate in Euro 5.431,00, oltre IVA, C.P.A. e oltre spese generali pari al 15% sul compenso totale.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del 12 giugno 2023.

Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2023.

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Eredità e successione ereditaria

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Avv. Umberto Davide

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