La differenza tra locazione di immobile (eventualmente con pertinenze) e affitto di azienda consiste nel fatto che, nella prima ipotesi, l’immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nella economia del contratto, come l’oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente e assorbente rispetto agli altri elementi i quali siano essi legati materialmente o meno all’immobile assumono carattere di accessorietà e rimangono collegati all’immobile funzionalmente. Diversamente, nell’affitto di azienda, l’immobile non viene considerato nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni mobili e immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e di complementarità per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicché l’oggetto del contratto è costituito dall’anzidetto complesso unitario.

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Corte d’Appello Genova, Sezione 1 civile Sentenza 30 gennaio 2019, n. 17

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA

SEZIONE PRIMA CIVILE

composta dai magistrati:

Leila Maria SANNA – Presidente

Cinzia CASANOVA – Consigliere rel.

Maria Margherita ZUCCOLINI – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

nella causa civile promossa da:

(…) in pers. leg. rapp.ti p.t. (…), elettivamente domiciliata in Genova presso gli avv. Ar., Cl. e Fr.Ro. che la rappresentano e difendono come da mandato in calce al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado

APPELLANTE

contro

(…) S.r.l., in persona del Consigliere, giusta delibera del Consiglio di Amministrazione del 18.7.2017 rappresentata e difesa dall’avv. Fa.Se. del Foro di Milano e dall’avv. Fe.Od. del Foro di Genova, ed elettivamente domiciliata presso lo Studio di quest’ultimo in Genova, giusta procura alle liti allegata ai sensi dell’art. 83, III comma, c.p.c., alla memoria di costituzione di primo grado

APPELLATA

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. del giugno 2017, (…) di (…) s.n.c. , conveniva in giudizio (…) s.r.l. esponendo:

di avere presentato a quest’ultima una proposta irrevocabile di affitto di ramo d’azienda, ubicata nel locale n.114 in Via (…), nel relativo Complesso polifunzionale, impegnandosi a versare l’importo di Euro.100.000,00 oltre iva, a titolo di ingresso nel Complesso polifunzionale, somma che sarebbe rimasta nella disponibilità dell’accettante (…) srl;

che nel giugno 2008 era stato, quindi, sottoscritto un contratto di affitto di azienda per la durata di sette anni ed un canone annuale di Euro.77.480,00;

che l’oggetto del contratto era costituito dal solo immobile poiché tutto l’allestimento del locale era a carico dell’affittuaria;

che il contratto era stato prorogato per due volte , con due scritture private, per un anno ciascuna, ed infine il locale era stato rilasciato il 31.1.2017.

Quindi affermava che:

1) quanto alla reale natura del contratto, essa doveva ritenersi quella di locazione ad uso commerciale in virtù del principio civilistico della prevalenza della sostanza sulla forma, poiché l’affitto di ramo d’azienda ha ad oggetto un complesso di beni organizzati unitamente per l’esercizio dell’impresa, mentre nella locazione il bene immobile è considerato nella sua individualità giuridica, come era nel caso in esame, ove l’affittuario si era fatto carico di tutto l’allestimento finale del locale offerto da (…) srl , del tutto privo di attrezzature necessarie all’attività commerciale.

Perché vi fosse un affitto d’azienda, infatti, era necessario che il concedente avesse la disponibilità dei beni strumentali all’azienda e che li destinasse all’affittuario.

Doveva quindi dichiararsi che il rapporto era una locazione con applicazione della L. n. 392 del 1978.

2) quanto al promesso pagamento della somma di Euro.100.000,00 rilevava come essa non fosse stata menzionata nel contratto di affitto d’azienda, sottoscritto in seguito, sicché non vi era alcuna clausola a conferma di tale impegno, che doveva, quindi, ritenersi revocato da tale successivo contratto; quindi, tale somma costituiva un arricchimento senza causa che (…) tratteneva indebitamente e che avrebbe dovuto restituire ex art.2041 c.c.

3) Quanto alla nullità delle scritture private sottoscritte, precisava la ricorrente che le parti volevano sottoscrivere un contratto di locazione ed, invece, avevano sottoscritto un contratto d’affitto d’azienda, dando vita ad una simulazione contrattuale parziale, sicché le scritture private sottoscritte tra le parti che prevedevano una proroga di un anno della locazione erano nulle per violazione della normativa applicabile di cui alla L. n. 392 del 1978 secondo cui il contratto di locazione , alla scadenza, si rinnova di sei anni in sei anni, sicché doveva ritenersi valido fino al 2020.

4) Quanto al diritto al risarcimento del danno per mancato guadagno, lamentava la ricorrente che interrompendo il contratto senza una disdetta, il rapporto di locazione aveva avuto una scadenza anticipata rispetto alla data del 2020, con suo danno per il mancato guadagno che avrebbe potuto conseguire negli ulteriori tre anni dal momento del rilascio al 2020, danno che essa indicava in Euro.68.000,00.

5) Quanto al diritto di essa ricorrente all’indennità per perdita di avviamento commerciale, reclamava tale indennità di avviamento, poiché essa non aveva ricevuto una regolare disdetta dal contratto per una delle ragioni indicate dall’art.29 L. n. 392 del 1978, sicché aveva diritto alla corresponsione di 18 mensilità del canone ex art. 34 L. n. 392 del 1978.

Poiché, inoltre, la (…) srl era titolare della licenza per l’esercizio della stessa attività, le competeva una indennità in misura doppia.

Dava atto, inoltre, di avere inutilmente esperito il procedimento di mediazione.

Si costituiva in giudizio (…) srl e, premesso che controparte aveva mosso contestazione ai contratti solo dopo anni dalla loro sottoscrizione, precisava di essere proprietaria del c.d. Centro divertimenti Fiumara , struttura integrata di cui facevano parte spazi comuni (quali parcheggi , gallerie, luoghi di svago che essa stessa gestiva, come pure provvedeva alla vigilanza, pulizia, manutenzione , riscaldamento e raffredamento dell’aria del complesso; oltre a ciò, essa curava anche attività promozionale del Centro a beneficio di tutti gli operatori commerciali ivi presenti.

Aggiungeva che tra i vari rami d’azienda facenti parte del Centro commerciale vi era l’azienda identificata al n.114 , munita dell’autorizzazione amministrativa n.19184, per cui controparte si era impegnata a sottoscrivere un affitto, ed a versare Euro.100 mila, regolarmente incamerati da (…) srl, avendo essa accettato la relativa proposta.

Contestava, poi, la qualificazione giuridica del contrattto come fatta da controparte, e rilevava come quest’ultima, nel corso del rapporto, non avesse mai contestato la sussistenza del contratto di un affitto d’azienda; inoltre, che si trattasse di un affitto d’azienda era confermato dal fatto che la ricorrente aveva goduto non solo dell’immobile ma anche dei servizi e degli spazi comuni del Centro Commerciale, e dell’organizzazione unitaria dei servizi che in esso si svolgevano.

Grazie all’inserimento dell’attività nel Centro commerciale, la ricorrente aveva registrato fatturati in costante crescita , fin dal primo mese di apertura, resi possibili proprio dalle attrattive presenti nel Centro; del resto, nella nozione di azienda dovevano ricomprendersi anche beni immateriali, rappresentati dalla potenzialità produttiva del bene anche , e soprattutto, in relazione al contesto in cui esso è inserito.

Inoltre, la ricorrente aveva potuto fruire dell’autorizzazione amministrativa che faceva capo a (…) srl, in cui essa, infatti, era subentrata.

Da ciò, l’infondatezza delle ulteriori difese svolte dalla ricorrente in punto nullità delle scritture , o di un suo diritto all’indennità di avviamento.

Sotto tale ultimo profilo, rilevava come nessuna indennità d’avviamento competesse, comunque, al locatore di un immobile sito in un Centro Commerciale, non essendo l’avviamento generato dal singolo conduttore ma essendo esso, in tal caso, il riflesso della peculiare collocazione dell’immobile nel Centro commerciale.

Infine, precisava come non fosse necessario reiterare l’impegno al versamento della somma di Euro.100.000,00 previsto nella promessa a sottoscrivere il contratto d’affitto d’azienda, poiché tale impegno aveva avuto la sua conclusione al momento dell’accettazione della proposta da parte della (…) srl; chiedeva, quindi, respingersi il ricorso.

Ritenuta la causa matura per la decisione, il primo Giudice fissava direttamente udienza di discussione, decidendo la causa con il rigetto di tutte le domande svolte dalla ricorrente, e condannandola al pagamento delle spese di lite.

Contro questa sentenza ha proposto appello la società (…) di (…) s.n.c., che ha censurato la sentenza per le seguenti ragioni:

VIOLAZIONE DI LEGGE: VIOLAZIONE DEGLI ARTT.2555 C.C.; VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 27, 28, 29 e 34 della L. n. 392 del 1978; INSUFFICIENTE MOTIVAZIONE

Sostiene l’appellante che è preminente valutare la reale natura del contratto , da qualificarsi come locazione ad uso commerciale, avendo ad oggetto il solo bene immobile, e non essendovi , nel caso in esame, un complesso di beni organizzati per l’esercizio di una impresa; afferma, infatti, che, per la sussistenza di una azienda devono esservi beni produttivi, che, invece, non erano stati forniti da (…).

Dalla lettura del contratto risultava che nell’azienda erano ricomprese le licenze e le autorizzazioni amministrative, nonché una serie di beni che non costituivano beni materiali e immateriali destinatati all’azienda, ma semplicemente la normale dotazione di un immobile ( e così la chiave della cassetta della posta; i pavimenti e rivestimenti… il servizio sanitario… con boiler e estrattore d’aria… impianto di climatizzazione… predisposizione impianto telefonico …. porte interne…).

Censura l’appellante che il primo Giudice abbia ritenuto, sulla base di un unico precedente della Corte d’appello di Lecce, che non fosse rilevante la circostanza per cui era stato consegnato un locale vuoto valorizzando, invece, che esso fosse inserito in una complessa struttura commerciale, del quale fanno parte molti beni immateriali, e che segni distintivi del contratto d’affitto d’azienda era il penetrante controllo della concedente sulla utilizzatrice, la voltura dell’autorizzazione amministrativa e la possibilità di fruire di tutti i servizi comuni.

Secondo l’appellante, invece, questi elementi non possono fondare la distinzione tra le due tipologie di contratto; per la stessa giurisprudenza della Cassazione la voltura della concessione amministrativa non è rilevante a tal fine, né può esserlo l’uso di servizi comuni, da assimilare a quello dei servizi condominiali né detti servizi potevano dirsi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’impresa.

Censura, poi, che il Tribunale non abbia valutato quale rilievo aveva avuto l’immobile nel complessivo rapporto contrattuale , tenuto conto che non poteva darsi peso alla qualificazione data dalle parti al contratto.

Secondo l’appellante la circostanza per cui l’immobile era inserito in un Centro commerciale non poteva rendere un locale totalmente vuoto oggetto di una affitto di azienda, poiché un bene immobile, al più, può essere uno degli elementi in cui si compone un’azienda.

Da ciò la censura della sentenza e l’illegittimità della risoluzione ed il diritto della (…) snc al risarcimento del danno ed all’indennità per la perdita dell’avviamento ex art. 34 L. n. 392 del 1978, nella somma incontestata di Euro 116.220,00.

Quanto alla somma di Euro.100.000,00, l’appellante dichiara, espressamente, che il relativo capo della sentenza non viene gravato.

Si è costituita (…) srl che ha affermato, innanzittutto, come le eccezioni svolte dalla ricorrente non sarebbero idonee a pervenire ad una diversa qualificazione del contratto rispetto a quella di affitto di ramo d’azienda; ha censurato, poi, che il gravame sarebbe inammissibile, anche per violazione del chiaro disposto di cui all’art. 434 c.p.c., trattandosi di semplice reiterazione delle eccezioni proposte in primo grado, compiutamente respinte dalla sentenza impugnata, neppure dettagliatamente evidenziando le parti da modificare o le decisioni auspicate, donde l’inammissibilità dell’impugnazione, in conformità ai principi voluti dal legislatore con la riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

Nel merito, ha chiesto il rigetto dell’appello.

All’udienza del 9 gennaio 2019 le parti hanno discusso la causa e la stessa è stata decisa dando lettura del dispositivo allegato.

Osserva la Corte:

Preliminarmente si rileva che non può condividersi la censura di inammissibilità dell’appello mossa dall’appellata.

Ed infatti, se è vero che l’atto di appello motivato deve essere redatto in modo più organico e strutturato rispetto al passato, dovendo indicarsi al giudice quali parti del provvedimento impugnato si intendono sottoporre a riesame e, per tali parti, quali modifiche si richiedono rispetto a quanto oggetto della ricostruzione compiuta dal primo giudice, così da consentire al Giudice una valutazione preventiva se l’impugnazione appaia evidente, già prima facie, che non abbia nemmeno una probabilità di accoglimento, tuttavia, nel caso di specie l’atto di appello, contesta con sufficiente chiarezza la sentenza impugnata e le parti in ordine alle quali chiede che venga riformata e contiene le ragioni di fatto e di diritto a fondamento della domanda e la specifica indicazione degli errori nei quali il primo giudice sarebbe incorso, sicché è necessario procedere alla valutazione del merito della vicenda per decidere riguardo all’accoglibilità o meno del gravame.

Quindi, quanto alla richiesta di accertare che vi era stata simulazione parziale del contratto, che , secondo l’appellante pur essendo un contratto di affitto d’azienda, avrebbe dissimulato, in realtà, un contratto di locazione commerciale si ricorda che:

“In tema di simulazione, se il contratto è stato redatto per iscritto, tra le parti trova applicazione la regola generale secondo la quale la prova della simulazione, sia essa assoluta o relativa, può essere data soltanto mediante la cosiddetta controdichiarazione, costituente atto di riconoscimento o di accertamento della simulazione avente carattere negoziale, che può essere anche posteriore all’accordo simulatorio e può provenire da una sola parte (ovvero quella contro il cui interesse è stata redatta), purché sia consegnata alle altre parti che hanno redatto l’atto simulato” (Cassazione civile sez. II, 10/04/2015, n.7270).

Nel caso in esame, all’evidenza, tale controdichiarazione manca.

Ciò posto, la principale censura dell’appellante (da cui derivano, poi, consequenzialmente, le altre) consiste nell’avere il primo Giudice ritenuto, con motivazione insufficiente, che la reale natura del contratto intercorso tra le parti fosse un contratto d’affitto d’azienda, e non, invece, una locazione commerciale, poiché, in realtà, l’azienda sarebbe consistita in null’altro più che il mero locale commerciale, avendo essa appellante dovuto farsi carico di dotare l’esercizio di attrezzature ed arredi.

Questa censura non può essere condivisa.

Infatti, innanzitutto, deve prendersi in esame il contratto: l’interpretazione del contratto, operazione diretta alla individuazione della comune volontà delle parti (art. 1362 cod. civ.) si esercita, nell’ipotesi di accordi stipulati in forma scritta, sul contenuto delle clausole negoziali, salvo il ricorso, in via sussidiaria, ad elementi estrinseci, quale il comportamento delle parti anche successivo alla sua stipulazione.

In tale prospettiva: ” il principio “in claris non fit interpretatio” rende superfluo qualsiasi approfondimento interpretativo del testo contrattuale quando la comune intenzione dei contraenti sia chiara, non essendo a tal fine però sufficiente la chiarezza lessicale in sé e per sé considerata, sicché detto principio non trova applicazione nel caso in cui il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti”. (Cassazione 09/12/2014, n. 25840);

E’ infatti pacifico che: “ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da escludere la ricerca di una volontà diversa” (Cassazione 23/06/2014, n. 14206).

Nel caso di specie, non è dubbio che le parti abbiano inteso concludere un contratto di affitto di azienda, non solo perché l’hanno espressamente qualificato in questo modo (cfr. contratto di affitto di azienda del 17.6.2008) ma soprattutto perché le clausole che lo compongono sono in larga misura compatibili unicamente con tale tipo di contratto.

Solo in questa ottica si giustifica,infatti, il controllo penetrante e stringente di (…) sull’attività es ercitata dall’affittuario, che deve, tra l’altro, trasmettere alla concedente i dati giornalieri delle transazioni commerciali (cfr. art.9); e riconoscere alla concedente un potere di indirizzo del Centro poiché (…) ha un: “diritto/dovere di assicurare il miglior funzionamento del Complesso Polifunzionale a tutela dei propri interessi e di quelli degli operatori economici insediati…che eserciterà … tramite il Direttore e/o gestore del Complesso Polifunzionale …(cfr.art.9).

E’ significativo, poi, che l’affittuaria sia tenuta a “gestire l’azienda senza modificarne l’attuale destinazione” (cfr.art. 7); come già condivisibilmente affermato da Corte appello Lecce sez. I 22 novembre 2012 n. 803, cui ha fatto riferimento, seppure in modo sintetico, il primo Giudice:

“L’obbligo di esercitare, all’interno di un centro commerciale, solo una determinata attività commerciale e il divieto permanente di modificarla sono circostanze incompatibili con la locazione di immobile a uso commerciale, in quanto necessariamente collegate a un’organizzazione aziendale e al mantenimento dell’equilibrio economico e strutturale della medesima, esse permettono di classificare il contratto come affitto di ramo di azienda”.

Come previsto in contratto, poi, oggetto del contratto era , anche, sicuramente l’autorizzazione amministrativa già di (…) e che la società (…) S.n.c., poté utilizzare volturandola a proprio favore per lo svolgimento dell’attività commerciale.

Il locale in esame, come detto, è inserito in un Centro Commerciale e i suoi spazi (parcheggi, aree comuni, corridori), servizi di guardiania, e servizi promozionali delle attività del Centro stesso, pacificamente curati da (…), di cui poteva fruire l’affittuario, devono considerarsi parte integrante della stessa azienda.

Sul punto si richiama anche Cassazione civile, sez. III , 11/06/2007 , n. 13683 secondo cui:

La differenza tra locazione di immobile (eventualmente con pertinenze) e affitto di azienda consiste nel fatto che, nella prima ipotesi, l’immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nella economia del contratto, come l’oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente e assorbente rispetto agli altri elementi i quali siano essi legati materialmente o meno all’immobile assumono carattere di accessorietà e rimangono collegati all’immobile funzionalmente. Diversamente, nell’affitto di azienda, l’immobile non viene considerato nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni mobili e immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e di complementarità per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicché l’oggetto del contratto è costituito dall’anzidetto complesso unitario”.

Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, l’elemento qualificante del contratto non fosse il godimento dell’immobile, in sè considerato, ma appunto, la possibilità di svolgere l’attività commerciale utilizzando le potenzialità che derivavano dall’organizzazione aziendale del C.F. (sul punto cfr. Cass. civ. sez. III, 18/05/2016, n.10154 secondo cui: “La configurabilità di un contratto di affitto di azienda non è condizionata dall’effettiva produttività dei beni che la compongono al momento della conclusione del contratto, essendo sufficiente la potenziale attitudine produttiva, quale prevista e considerata dalle parti contraenti, attitudine da valutarsi, peraltro, anche in relazione al luogo o alla particolarità del contesto ove si esercita l’impresa.”).

Né va dimenticato che il contratto ha avuto regolare esecuzione per circa nove anni e che solo al suo venir meno ne è stata contestata la natura, dopo che esso era stato espressamente qualificato affitto di azienda.

Circa il fatto, poi, che il godimento di servizi e di spazi comuni potrebbero, comunque, essere assimilabili a quelli fruiti dal singolo condomino di un edificio condominiale, si osserva che, nel caso in esame, l’affittuaria non fruiva solo di servizi e spazi comuni ma risultava destinataria anche delle iniziative promozionali del Centro, e, comunque, poteva profittare di una struttura aziendale complessa che le assicurava vantaggi economico – commerciali non altrimenti ottenibili all’esterno del Centro.

Non altrimenti si spiega il versamento della non insignificante somma di Euro.100 mila che l’appellante ebbe a pagare a titolo di ingresso nel Centro Polifunzionale, rimasta contrattualmente acquisita dalla concedente.

Del resto, nemmeno sussistono elementi che denotino una volontà diversa da quella fatta chiara dal contratto, sicché la qualificazione del contratto fatto dal primo Giudice deve essere condivisa.

Da ciò segue l’inapplicabilità della normativa di cui alla L. n. 392 del 1978 e la non debenza di alcuna indennità per perdita di avviamento ex art. 34 L. n. 392 del 1978; poiché tutte le ulteriori domande dell’appellante costituiscono corollari di quella di cui si è evidenziata l’infondatezza, l’appello deve essere integralmente respinto.

Gravano su parte appellante le spese di questo grado di giudizio che si liquidano in base al D.M. n. 55 del 2014, in Euro.9.515,00 per compensi (di cui Euro.2835,00 per la fase di studio; Euro.1820,00 per la fase introduttiva; Euro.4.860,00 per la fase decisionale), oltre spese generali ed oneri di legge.

P.Q.M.

la Corte d’Appello di Genova, definitivamente pronunciando:

respinge l’appello;

condanna l’appellante a rifondere a parte appellata le spese di lite del presente grado che liquida in complessivi Euro.9.515,00 per compensi, oltre spese generali e oneri di legge;

dà atto , ai sensi dell’art.13 c.1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 che l’appello è stato integralmente respinto.

Così deciso in Genova il 9 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.