La sporgenza del manufatto dal suolo, quale requisito necessario perche’ lo stesso sia soggetto alle disposizioni sulle distanze legali nei rapporti di vicinato, va riscontrata con riferimento al piano di campagna, cioe’ al livello naturale del terreno.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 11 settembre 2018, n. 22049

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza della corte d’Appello di Brescia n. 402 depositata il 26 marzo 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28 marzo 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco.

RITENUTO IN FATTO

(OMISSIS) e (OMISSIS), con ricorso ex articolo 703 c.p.c., denunciavano avanti al Tribunale di Brescia che (OMISSIS), proprietaria del fondo confinante con quello dei ricorrenti, aveva commesso le seguenti irregolarita’:

a) aveva realizzato un terrapieno con innalzamento del piano di campagna e aveva costruito un muro di contenimento in violazione delle distanze dal confine, creando una veduta diretta su fondo dei ricorrenti e provocando stillicidio sul medesimo.

b) aveva realizzato una rampa di accesso e alcuni box sempre in violazione delle distanze legali dal confine.

Il tribunale, fra la molteplicita’ delle violazioni oggetto delle conseguenti domande di demolizione e arretramento, accoglieva solo quella relativa ai box e limitatamente a una porzione di modesta entita’ emergente dal piano di campagna.

La Corte d’Appello di Brescia, investita con appello principale dalla Morgese e con appello incidentale da (OMISSIS) e (OMISSIS) (attuali ricorrenti), rigettava ambedue le impugnazioni.

In particolare, quanto all’appello incidentale, rilevava che non vi era stato innalzamento del piano di campagna e, conseguentemente, il muro di contenimento non costituiva costruzione; che identicamente non costituiva costruzione, soggetta alle norme sulle distanze, la rampa di accesso ai box, non elevandosi neanch’essa al di sopra del piano di campagna.

Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi, illustrati con memoria.

(OMISSIS) e’ rimasta intimata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I tre motivi di ricorso, con identica rubrica, denunciano violazione e falsa applicazione degli articolo 873, 877 e 878 c.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

In particolare con il primo motivo si censura quanto statuito dalla sentenza impugnata con riguardo al terrapieno e al muretto di contenimento, nella parte in cui la corte d’appello ha negato che vi fosse stato innalzamento del piano di compagna.

I ricorrenti sostengono che tali opere riflettevano invece un artificioso innalzamento del piano di campagna.

Esse, quindi, costituivano costruzioni secondo i consolidati principi di giurisprudenza della Suprema Corte.

Si sottolinea che “sul punto la difesa dei ricorrenti “aveva chiesto una nuova consulenza tecnica, poiche’ il perito (…) aveva dimostrato di non volersi discostare dai suoi erronei convincimenti”.

Tuttavia i giudici di merito hanno disatteso tale richiesta, “continuando a basare la lettura dei fatti di causa sulle fuorvianti argomentazioni e ipotesi del consulente”.

I ricorrenti richiamano il principio secondo cui “in caso di fondi a dislivello non puo’ considerarsi “costruzione” ai fini e per gli effetti dell’articolo 873 c.c., il muro di contenimento realizzato per evitare smottamento o frane. Nel caso invece di dislivello derivante dall’opera dell’uomo devono, invece, considerarsi costruzioni in senso tecnico giuridico il terrapieno ed il relativo muro di contenimento che lo abbiano prodotto o che abbiano accentuato quello gia’ esistente per la natura dei luoghi” (Cass. n. 4511/1997; n. 1217/2010)”.

Il motivo e’ infondato.

In primo luogo si ritiene di precisare che la duplice intitolazione del motivo di ricorso, in relazione al n. 3 al n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, non corrisponde a una effettiva deduzione di piu’ profili di censura (Cass. n. 9100/2015).

Questa Suprema corte ha chiarito che l’applicazione di una norma a una fattispecie concreta ricostruita dal provvedimento impugnato in modo erroneo o carente non ridonda necessariamente in violazione di quella stessa norma, ma puo’ anche costituire espressione di un giudizio di merito la cui censura, in sede di legittimita’, e’ possibile, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) e’ segnata in modo evidente dal fatto che solo quest’ultima censura e non anche la prima e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 15499/2004).

Cio’ posto e’ evidente che il motivo non denuncia l’erronea ricostruzione della fattispecie normativa astratta da parte dei giudici di merito (in cio’ consiste il vizio di violazione di legge), ma un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa (Cass. n. 26110/2915; n. 24155/2017): il dislivello derivava dall’opera dell’uomo.

Ora, la ricostruzione del fatto e’ censurabile in cassazione nei limiti consentiti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Cass. 23940/2017).

E’ noto che tale norma, applicabile nella specie ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia (Cass. n. 23238/2917; conf. Cass., S.U. n. 8053/2014).

Le Sezioni Unite di questa Suprema corte hanno chiarito che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. n. 8053/2014 cit.).

Tutto cio’ premesso, e’ evidente che i ricorrenti non deducono l’omesso esame di un fatto inteso nel senso sopra indicato e, a un attento esame, neanche l’omesso esame di elementi istruttori, ma si dolgono della valutazione degli elementi istruttori da parte del giudice di merito (in particolare di aver condiviso la valutazione del consulente tecnico, senza disporre la rinnovazione della stessa consulenza tecnica).

Ma gia’ con riferimento al testo precedente dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, era stato chiarito che “La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita’, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorieta’ della medesima, puo’ legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” (Cass. n. 19547/2017; n. 17477/2007).

Il secondo motivo e’ infondato.

Il principio di diritto con il quale esso si coordina e’ quello secondo cui “Ai fini dell’osservanza delle distanze di cui all’articolo 873 c.c., la nozione di costruzione comprende qualunque opera non completamente interrata avente i requisiti della solidita’ e della immobilizzazione rispetto al suolo” (Cass. n. 4277/2011).

Ma analogamente al primo motivo, la censura non attiene a un errore della corte di merito nell’interpretazione di tale principio.

La decisione e’ denunciata per aver fatto proprie le conclusioni del consulente tecnico, la’ dove questi aveva ritenuto che l’autorimessa era stata costruita al 95% nel sottosuolo”, mentre la violazione aveva ben piu’ ampie proporzioni.

Pertanto, come la precedente, la censura prelude a una inammissibile rivisitazione del giudizio di fatto.

“Il controllo di logicita’ del giudizio di fatto, consentito dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realta’, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilita’ per la S.C. di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa” (Cass. n. 11789/2005).

Lo stesso dicasi per il terzo motivo.

Si sostiene che gli elementi istruttori avrebbero dovuto indurre la corte d’appello a riconoscere che la rampa sporgeva dal piano di campagna, il che la rendeva costruzione soggetta alla disciplina sulle distanze.

In questi caso il principio di diritto che viene in considerazione e’ quello secondo cui “La sporgenza del manufatto dal suolo, quale requisito necessario perche’ lo stesso sia soggetto alle disposizioni sulle distanze legali nei rapporti di vicinato, va riscontrata con riferimento al piano di campagna, cioe’ al livello naturale del terreno” (Cass. n. 13629/1002; n. 5450/1998).

Ma ancora una volta la censura non si dirige verso un’errata interpretazione della norma da parte del giudice di merito, ma sollecita una diversa valutazione delle risultanze processuali: cio’ in cassazione non e’ consentito (supra).

In conclusione il ricorso va rigettato.

Nulla sulle spese.

Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

dichiara ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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Avv. Umberto Davide

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