la divulgazione del ritratto di una persona nota, quale l’odierno attore, è sempre lecita se risponde ad esigenze di pubblica informazione e documentazione, e solamente se detta divulgazione avvenga per fini diversi, come quello pubblicitario, la mancanza di autorizzazione da parte dell’interessato rende illecito tale comportamento obbligando l’autore al risarcimento del danno ex art. 2043.c.c.

Tribunale Milano, Sezione 1 civile Sentenza 21 febbraio 2019, n. 1772

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MILANO – Sezione Prima Civile

Il Tribunale, nella persona della dott. Paola Maria Gandolfi

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 9496/2017 R.G. promossa da:

(…) (c.f. (…) ), con il patrocinio degli avv. e NA.AN. ((…)) RIVIERA DI CHIAIA, 207 80121 NAPOLI;

ATTORE;

(…) (c.f. (…) ), con il patrocinio degli avv. NA.AN. e,

ATTORE;

contro:

(…) (C.F. (…) ), con il patrocinio dell’avv. Si.Pa. e

CONVENUTO

(…) (C.F. (…) ), con il patrocinio dell’avv. Si.Pa. e

CONVENUTO

(…) SPA (C.F. (…) ), con il patrocinio dell’avv. Si.Pa. e

CONVENUTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 24/2-4/3/17 il gen. (…) e sua moglie signora Si.Pa. chiamavano in giudizio (…), (…) e la s.p.a (…) per sentire accertare il carattere diffamatorio dell’articolo, pubblicato il 30/6/14 sul settimanale Si.Pa. dal titolo “il Generale (…)- IMAGISTRATI DICONO: HA VISSUTO NEL LUSSO CON SOLDI PROIBITI”, con conseguente condanna al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 200.000,00.

Premessa una sintetica ricostruzione della carriera del Generale Si.Pa., gli attori allegavano di essere stati messi in cattiva luce dal settimanale Si.Pa., con accostamenti suggestionanti e notizie false, oltre che artificiosamente scandalistiche, estranee all’esercizio corretto del diritto di cronaca e di critica.

Si costituivano i convenuti, eccependo la scriminante del diritto di cronaca e critica.

Concessi i termini id cui all’art. 183,VI c.p.c., senza istruttoria orale, il G.I. all’udienza del 24/10/18 tratteneva la causa in decisione.

Successivamente a tale data, la difesa dei convenuti dichiarava l’intervenuto decesso di (…), chidendo l’interruzione del processo. Il G.I. segnalava come, ex art. 300 c.p.c., gli eventi interruttivi successivi all’assunzione in decisione non hanno effetto processuale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Quanto alla pubblicazione dell’immagine degli attori, ripresi alla serata della “prima” del San Carlo, va ricordato come la divulgazione del ritratto di una persona nota, quale l’odierno attore, è sempre lecita se risponde ad esigenze di pubblica informazione e documentazione, e solamente se detta divulgazione avvenga per fini diversi, come quello pubblicitario, la mancanza di autorizzazione da parte dell’interessato rende illecito tale comportamento obbligando l’autore al risarcimento del danno ex art. 2043.c.c.

Risulta indubbia l’esigenza di documentazione ricoperta dall’immagine in questione a corredo di un articolo di critica di costume quale quello di cui si controverte. Non appare peraltro contestato che anche in precedenza i coniugi (…) siano stati fotografati in occasione di eventi mondani che coinvolgevano il “bel mondo” napoletano ed anzi, che le medesime fotografie di cui si controverte, riprese in luogo pubblico, fossero già state pubblicate, senza reazione alcuna degli odierni attori.

Nel merito dell’articolo, come detto, i convenuti eccepiscono il diritto di cronaca e critica.

Da tempo, la giurisprudenza ha consolidato il suo orientamento, sottolineando come, nel valutare la eventuale sussistenza del reato di cui all’art. 595 c.p. deve considerarsi che ciascun soggetto – secondo le previsioni della L. n. 47 del 1948 – ha il diritto di diffondere tramite la stampa notizie e commenti, così come garantito dalla disposizione di cui all’art. 21 Cost.

Il diritto riconosciuto dalla Costituzione integra una causa di giustificazione che scrimina il comportamento del giornalista in quanto sussista l’oggettivo interesse che i fatti narrati rivestono per l’opinione pubblica (principio della pertinenza), la correttezza con cui essi vengono esposti (principio della continenza) e la corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati (principio della verità).

Se ciò vale in relazione all’esercizio del diritto di cronaca, particolari considerazioni sono state espresse in riferimento alla capacità scriminante dell’esercizio di critica anch’esso tutelato dall’art. 21 Cost.

Non vi è dubbio, infatti, che il richiamo all’esercizio del diritto di critica da parte dell’autore dell’articolo implichi di per se stesso l’esame e la valutazione non già dell’esposizione di fatti a fini informativi – rispetto ai quali assumono rilievo i citati criteri dell’interesse pubblico o sociale della notizia, della verità oggettiva o putativa dei fatti riportati e della continenza formale dell’esposizione – quanto piuttosto una interpretazione di fatti e comportamenti necessariamente frutto di una visione soggettiva, difficilmente riconducibile al criterio della necessità della verità del fatto in quanto l’esercizio del diritto di critica – nel suo aspetto puro, cioè disgiunto da ogni finalità informativa – comporta una valutazione da parte del lettore e dell’interprete che può esprimersi in termini di condivisibilità o meno delle tesi affermate, non già sotto il profilo della verità delle medesime.

Tuttavia anche l’espressione di un’opinione critica in merito a determinati fatti, per essere effettivamente tale, non può prescindere -soprattutto quando si accompagni anche a finalità informative- dal riferimento ai medesimi quali effettivamente accaduti e storicamente reali, altrimenti del tutto infondato sarebbe il richiamo alla capacità scriminante dell’art. 21 Cost.

Ancora recentemente il S.C. ha rilevato come

“in tema di diritto di critica, i presupposti per il legittimo esercizio della scriminante di cui all’art. 51 c.p., con riferimento all’art. 21 Cost., sono:

a) l’interesse al racconto, ravvisabile anche quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini ma di quello della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione;

b) la continenza ovvero la l’informazione non deve assumere contenuto lesivo dell’immagine e del decoro;

c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti;

d) l’esistenza concreta di un pubblico interesse alla divulgazione”. (Cass. 2357/18 ord.).

Secondo il S.C. quindi, merita tutela anche l’interesse pubblico della categoria di soggetti ai quali si indirizza una pubblicazione di natura mondana e blandamente scandalistica quale quella di cui si discute (dovendo restare estranei alla scriminante solo i mezzi finalizzati all’esclusiva denigrazione ed offesa, quali taluni “blog”).

Sotto il profilo del pubblico interesse, il S.C. ha altresì statuito che

“in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, qualora la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di critica, stabilire se lo scritto rispetti il requisito della continenza verbale è valutazione che non può essere condotta sulla base di criteri solo formali, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita (art. 21 Cost.), bilanciamento ravvisabile nella pertinenza della critica all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto, che costituisce, assieme alla continenza, requisito per l’esimente dell’esercizio del diritto di critica.” (Cass. 15443/13).

Quanto alla “verità”, “in tema di responsabilità civile per diffamazione, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; per riconoscere efficacia esimente all’esercizio di tale diritto, occorre tuttavia che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive” (Cass. 25420/17, ord.).

Con riferimento ad attività e dichiarazioni oggetto di attività giudiziaria penale, da tempo si afferma che “il criterio della verità sostanziale della notizia non riguarda il contenuto di una dichiarazione resa in sede giudiziaria e l’attendibilità del dichiarante.

La verità va riferita al fatto rappresentato, cioè al fatto che vi sia stata effettivamente quella dichiarazione, con indicazione, se necessario, del contesto giudiziario nel quale è stata resa, sempre che quanto riportato corrisponda al reale contenuto della dichiarazione, senza alterazioni del significato sostanziale che possano creare nel lettore una realtà diversa da quella effettivamente attribuibile alla dichiarazione.

In tal caso il giornalista si pone quale semplice intermediario tra i fatti e le situazioni realmente accaduti nell’ attività giudiziaria da un lato e l’opinione pubblica dall’altro e non è tenuto a svolgere specifiche indagini sull’attendibilità del dichiarante” (Cass. 12358/06).

Ora, anche se le indagini successive hanno radicalmente smentito le ipotesi investigative dei PM, all’epoca dell’articolo di cui si controverte, la Procura di Napoli stava indagando l’attore per corruzione.

Come emerge dal decreto di perquisizione prodotto dai convenuti sub. 8, secondo i PM “dalle indagini finora svolte è emerso lo stretto legame di ordine personale tra Me.” (comandante provinciale GdF di Livorno, arrestato nell’inchiesta)” e (…), contatti riferiti anche da appartenenti alla GdF, mentre altri soggetti “hanno riferito di rapporti ispirati a richieste di favori di rilevo economico riguardanti il predetto (…)”. Pertanto, la fonte del dubbio di corruzione di cui fa riferimento (…) appare più che autorevole (quantomeno sotto il profilo giornalistico).

Che la Procura avesse fatto trapelare il contenuto delle indagini in corso emerge poi dai vari articoli prodotti sul tema dai convenuti, che di per sé non avrebbero alcuna efficacia probatoria di una verità quantomeno putativa, se non accompagnati, come nel caso che ci occupa da atti provenienti dall’Autorità Inquirente.

Naturalmente, la provenienza delle informazioni esonerava il giornalista da ulteriori riscontri fattuali, su eventi oggetto dell’attenzione dei PM, non potendo pretendersi che i giornalisti si sostituiscano all’AG nella ricostruzione corretta della fattispecie.

Nell’articolo che ci occupa, il giornalista riassume il contenuto dell’inchiesta, ribadendo due volte che si tratta della ricostruzione degli inquirenti (come tale suscettibile di diverse evoluzioni) e vi aggiunge alcune notazioni di (forte) critica di costume, congruenti con le finalità del giornale per cui scrive, definendo l’attore come un “uomo di potere che non ha mai nascosto la sua propensione per la vita mondana, senza badare a spese”, sfoggiando un lusso ed un’eleganza considerati, sino a quel periodo, come simboli di autorevolezza sociale.

Secondo V., all’esito delle indagini in corso “è inevitabile, in attesa che le cose si chiariscano, guardare con un minimo di sospetto le immagini di lusso di gioielli e di pellicce” che corredano l’articolo.

Si tratta di un giudizio, che i fatti successivamente accertati hanno radicalmente sconfessato, ma che sulla scorta della verità putativa dell’epoca appare giustificabile, pur nella sua potenzialità lesiva della reputazione dell’attore e della signora (…).

Quanto al profilo della continenza va ricordato come

“in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esercizio del diritto di critica, che, quale manifestazione della propria opinione, non può essere totalmente obiettivo e può manifestarsi anche con l’uso di un linguaggio colorito e pungente, è condizionato, al pari del diritto di cronaca, dal limite della continenza, sia sotto l’aspetto della correttezza formale dell’esposizione, sia sotto quello sostanziale della non eccedenza dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse, sicché deve essere accompagnato da congrua motivazione del giudizio di disvalore incidente sull’onore o la reputazione, e non può mai trascendere in affermazioni ingiuriose e denigratorie o in attacchi puramente offensivi della persona presa di mira” (Cass. 1434/15).

In proposito, il giornalista esprime la sua opinione critica senza gratuite offese agli attori, e si limita a porre degli interrogativi sull’origine del lusso che ha caratterizzato il tenore di vita dei coniugi Si.Pa., rese legittime (anche se rivelatesi inveritiere) dalle gravi accuse di associazione per delinquere, corruzione aggravata, induzione indebita a dare o promettere utilità, rivelazione del segreto d’ufficio per cui il generale Si.Pa. era indagato.

Anche il titolo, elaborato dalla redazione, pur nella sua imprecisione (i magistrati non fanno riferimento al lusso, ma solo alla provenienza illecita del patrimonio del gen. (…)) rappresenta una sintesi del contenuto dell’articolo di (…), con toni anche meno attenti e prudenti, ma pur sempre espressione del diritto di critica, che come visto, può anche manifestarsi con un linguaggio colorito e pungente.

In conclusione, nel bilanciamento tra l’interesse individuale degli attori alla reputazione (ex art. 2 Cost) e quello alla libera manifestazione del pensiero (ex art. 21 Cost) quest’ultimo è destinato a prevalere, sussistendo la scriminante del diritto di cronaca e critica.

La signora P. è coinvolta nelle fotografie e nell’articolo solo in quanto coniuge del gen. Si.Pa., accomunata a lui dallo sfoggio di eleganza e lusso delle cui origini patrimoniali si discute, senza che le venga addebitato personalmente alcunchè.

Pertanto, dovendo, nel bilanciamento degli interessi tra il diritto alla reputazione (ex art. 2 Cost.) e quello alla libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) ritenersi la prevalenza di quest’ultimo, le pretese attoree non possono trovare accoglimento.

Tuttavia, essendo il rigetto frutto della ricordata operazione di bilanciamento tra diritti costituzionalmente garantiti, resta il carattere oggettivamente lesivo ai danni del gen. Si.Pa. e della signora (…) dello scritto di cui si controverte, pur in assenza di illiceità della condotta. Tali considerazioni costituiscono motivo di compensazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande proposte con atto di citazione notificato il 24/2-4/3/17 dal gen. (…) e dalla signora Si.Pa. nei confronti di (…), (…) e la s.p.a (…), ogni altra domanda ed eccezione disattesa:

A) rigetta le domande;

B) compensa interamente tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Milano il 21 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.