In tema di donazione modale, la risoluzione per inadempimento dell’onere non può avvenire “ipso iure”, senza valutazione di gravità dell’inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, istituto che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un “modus”. L’istituto della clausola risolutiva espressa come proprio dei contratti sinallagmatici, per i quali soltanto la risoluzione è configurata come effetto automatico dell’inadempimento, quale che ne sia la gravità, mentre per il modus, che accede invece a un negozio a titolo gratuito, non è stabilita una analoga disciplina, sicché resta ferma la necessità che il suo inadempimento, per poter comportare la risoluzione, non abbia scarsa importanza: è significativo che l’art. 793 c.c. consente al donante o ai suoi eredi di “domandare” la risoluzione per inadempimento dell’onere, se preveduta nell’atto di liberalità, con terminologia analoga a quella utilizzata per l’azione costitutiva nell’art. 1453 c.c., senza disporre in ordine alla risoluzione stabilita dall’art. 1456 c.c. come effetto “di diritto”, oggetto quindi di sentenza di accoglimento di domanda di semplice accertamento con la conseguenza che l’indagine sull’importanza dell’inadempimento del modus non può essere omessa dal giudicante in base all’erroneo presupposto dell’applicabilità nella specie dell’art. 1456 c.c. le cui disposizioni non si estendono all’ipotesi prevista dall’art. 793 c.c.

Tribunale|Avellino|Sezione 1|Civile|Sentenza|17 luglio 2023| n. 1184

Data udienza 13 luglio 2023

TRIBUNALE DI AVELLINO

PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Avellino, nelle persone dei seguenti magistrati riuniti in camera di consiglio:

dott. Raffaele Califano – Presidente

dott.ssa Maria Cristina Rizzi – giudice

dott.ssa Paola Beatrice – giudice relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA PARZIALE

nella controversia civile iscritta al numero 3947/2017 R.G. Affari Contenziosi

TRA

C.A. in proprio e nella qualità di erede di A.S. e C.F., nata in A. il (…) C.F. (…) , rappresentata e difesa, come da procura in atti, dall’avv. …ed elettivamente domiciliata in Avellino alla …

ATTRICE

CONTRO

S.A. nata in A. il (…) C.F. (…) e G.M.A. nato in A. il (…) C.F. (…), in proprio e quali amministratori e rappresentanti della società F. dei dott.ri G.M. e S.A. snc con sede in A. alla via T. (C.F. e P.IVA: (…)), rappresentati e difesi, come da procura in atti, dall’avv…., ed elettivamente domiciliati presso lo studio legale in Avellino alla via …

CONVENUTI

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione depositato il 6.09.2017 C.A., in proprio e nella qualità di erede di A.S. e C.F., ha convenuto in giudizio la F.A. dei dott.ri G.M. e S.A. snc e G.M.A. e S.A., quest’ultimi nella qualità di eredi dei defunti genitori, chiedendo al Tribunale di Avellino di accertare e dichiarare la risoluzione della donazione modale del 25.7.2002 disposta dal padre S.A. nei confronti della donataria convenuta “Farmacia A. snc”, di condannare la convenuta Farmacia al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in proprio e/o nella qualità di erede della signora F.C. a causa dell’inadempimento, di accertare il suo diritto alla successione nei beni oggetto della donazione modale con conseguente riapertura della successione legittima del padre, ricostruzione del relativo asse ereditario con inclusione dei beni e dell’azienda oggetto della donazione e con formazione ed assegnazione delle quote spettanti agli eredi. L’attrice ha chiesto, altresì, al Tribunale di accertare e dichiarare l’apertura della successione di C.F. determinando il valore dell’intero asse ereditario, comprensivo dei beni oggetto di donazione, e delle singole quote da assegnare agli eredi. In punto di fatto, l’attrice, dopo aver premesso che il padre, dott. S.A., era titolare e proprietario della Farmacia A. che gestiva unitamente ai tre figli, ha esposto che questi, con atto del notaio N.P. del 25/07/2002, aveva donato l’intero esercizio farmaceutico, unitamente alla proprietà del locale e con cessione dei debiti, dei crediti e di alcuni beni mobili, alla società “F.A. dei dott.ri G.M. e S.A. snc” arricchendo indirettamente i figli G. e S.. L’attrice ha, poi, precisato che con la donazione in esame era stato imposto, ai sensi dell’art. 793 c.c., l’adempimento dell’onere di versare nei suoi confronti e in favore della madre F.C. una rendita vitalizia pari rispettivamente ad Euro 26.000,00 ed Euro 52.000,00 in soluzioni trimestrali posticipate di Euro 6.500,00 ed Euro 13.000,00 con scadenze al 30 marzo, al 30 giugno, al 30 settembre e al 30 dicembre di ogni anno e con decorrenza dal 30 dicembre successivo alla data di consegna della farmacia. La parte ha, poi, esposto che, dopo il decesso del padre avvenuto il 22/03/2003 era stata aperta la successione legittima limitatamente al 50% del patrimonio oggetto della comunione legale dei beni con la coniuge, con la determinazione delle quote pari a 1/6 in suo favore e dei fratelli e a 3/6 in favore di C.F. (da quest’ultima successivamente rinunciate) senza tener conto della farmacia e dell’immobile di via T.. L’attrice ha, inoltre, riferito che, in seguito al decesso della madre del 9.4.2017, erano stati pubblicati il 13/06/2017 i testamenti olografi redatti dalla stessa il 22/2/2017, il 31/12/2016 e il 20/07/2016 nei quali veniva disposto rispettivamente “Tutta la mia proprietà del 50% deve passare a T. mia figlia adorata”; “Sono certa che questa Farmacia deve essere di tutti in parti uguali con fratello G. e sorelle (S. più T.); Non so scrivere bene perché la mano mi trema ma sono certa che T. è identica a S. che lavora la metà.

Voglio che T. abbia la metà di quanto ci…… omissis …. Tutti i miei gioielli vanno a T. – T. – è la migliore di tutti – Lo scriverò anche a N. e fidanzato che la rendono felicissima lo merita in pieno. T. la migliore-migliore, buona, migliore migliore – Non so dire altro – T. è la migliore”; “Lascio tutte le mie proprietà a T. mia figlia presente in questi anni della mia vita” chiedendo di procedere alla corretta formazione dell’asse ereditario materno e delle quote ereditarie anche tenendo conto delle gravi inadempienze alla donazione modale del padre.

Con riferimento alla domanda di risoluzione, la parte attrice ha invocato l’applicazione della disciplina di cui all’art. 793 c.c. evidenziando che, nel corso degli anni, la donataria Società A. snc aveva smesso di versare quanto dovuto a C.F. nonostante le sollecitazioni della madre compiute nei confronti dei figli affinché venisse ristabilito quanto dovuto e quanto voluto dal de cuius al momento della stipula della donazione e i suoi inviti ad adempiere e, richiamando gli estratti del conto corrente intestati alla defunta madre da cui risultavano corrisposti, come ultimi versamenti, quelli del 10 ottobre 2012 e del 10/05/2012 per un importo pari ed Euro 10.160,00, ha quantificato la rendita non versata sino al decesso in circa 3000.000,00 Euro. La parte attrice ha, quindi, richiesto, quale conseguenza della risoluzione, la restituzione dell’azienda e del relativo bene immobile strumentale nell’asse ereditario del padre e la condanna al risarcimento del danno da determinarsi secondo equità. In ordine al risarcimento dei danni, l’attrice ha chiesto il ristoro dei danni patrimoniali subiti anche a seguito della mancata corresponsione della rendita vitalizia della defunta madre.

Con comparsa di costituzione del 21.11.2017 si sono costituiti in giudizio la società F. dei dott.ri G.M. e S.A. snc e G.M. e S.A. chiedendo il rigetto della domanda di risoluzione della donazione per inadempimento e, in caso contrario, di disporre il conferimento all’asse ereditario della sola differenza tra il valore dei beni donati ed il valore dell’onere vitalizio, di riconoscere il loro diritto ad ottenere il pagamento dei miglioramenti apportati all’azienda farmacia e di condannare, in via riconvenzionale, l’attrice alla restituzione alla Farmacia delle somme incassate a titolo di vitalizio con interessi sino al soddisfo. I convenuti hanno chiesto, in via riconvenzionale, anche di dichiarare l’acquisto da parte loro della Farmacia per usucapione ex art. 714 c.c.. e di accertare la nullità delle disposizioni testamentarie della madre F.C. per incapacità di intendere e volere della testatrice o, in via subordinata, di disporre la riduzione della volontà testamentarie entro il limite della disponibile da parte della de cuius, di disporre la divisione dei beni appartenuti ai genitori defunti mediante nomina di un ctu e la predisposizione di un comodo progetto di divisione. Infine, la parti hanno chiesto al Tribunale di ordinare all’attrice di rendere il conto della gestione del conto corrente acceso presso la B. di A., di consegnare l’oro e i gioielli della loro defunta madre nonché di disporre il rimborso in loro favore delle spese del funerale materno pari ad Euro 3.827,50 e di tutte le spese ed oneri sostenuti per la gestione dei beni in comunione e per le necessità ed esigenze materne. In punto di fatto, i convenuti hanno esposto che il defunto padre, dott. S.A., preoccupato di subire un’eventuale condanna al risarcimento dei danni per l’incidente stradale del 1976, aveva provveduto a stipulare la donazione dell’esercizio farmaceutico e del relativo immobile prevedendo a carico del donatario l’onere di corrispondere in favore di C.F. e di C.A. un vitalizio rispettivamente di Euro 52.000,00 e di Euro 26.000,00 annui. In proposito, i convenuti hanno allegato di aver regolarmente adempiuto alla corresponsione del vitalizio in favore della defunta madre fino al mese di maggio 2013 deducendo la non imputabilità, successiva, dell’inadempimento in ragione del rifiuto della stessa di ricevere il vitalizio espresso alla fine del 2012, telefonicamente e di propria iniziativa, alla società S. srl delegata alla cura della contabilità dell’esercizio farmaceutico. I convenuti hanno, dunque, sottolineato la volontà della defunta madre di donare le somme ancore dovute in favore dei tre figli che, gestendo insieme la farmacia fino al 31.12.2015, ne avevano in concreto goduto per l’incremento degli utili della stessa. In ogni caso i convenuti hanno eccepito la non gravità dell’inadempimento sia in ordine al dato morale che materiale precisando che la sospensione del vitalizio era dipesa dalla volontà espressa e decisa di C.F. e di aver versato, in suo favore, fino al maggio 2013 circa 533.500,00 Euro risultando inadempienti per soli Euro 69.500.00. I convenuti, inoltre, dopo aver premesso che all’epoca della donazione i beni donati avevano un valore negativo, che il vitalizio era complessivamente pari a 78.000,00 e che, quindi, il peso dell’onere risultava assorbire totalmente il beneficio della donazione, hanno precisato che l’eventuale obbligo di conferimento sarebbe in ogni caso limitato alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell’onere e hanno concluso eccependo il difetto dell’interesse ad agire dell’attrice sia per il vantaggio alla stessa attribuito in termini di accrescimento degli utili aziendali sia per aver la stessa percepito nel periodo 2003-2015 Euro 700.000,00. Con riferimento alla condizione di salute della madre le parti hanno evidenziato che le sue condizioni, come accertato dal geriatra dott. F.D.G. in data 18/04/2016, erano progressivamente peggiorate manifestando la stessa tra gli anni 2015 e 2016 la perdita di ogni autonomia nel movimento, decadimento psicofisico, demenza senile, declino cognitivo con episodi di delirium fino raggiungere l’esordio finale nel 2017 a causa dell’edema polmonare. A tale proposito, le parti hanno esposto, tra l’altro, di aver pagato i funerali della signora C. e di sostenere tutti i pagamenti delle utenze domestiche delle proprietà comuni rivendicando il loro diritto, in caso di declaratoria della risoluzione della donazione, ad una rideterminazione dell’asse ereditario in base al passivo ereditario, alle spese ed oneri sostenuti per la gestione dell’esercizio farmaceutico e alle spese sostenute per il pagamento dei vitalizi e dei funerali della defunta madre. Con riferimento al periodo dal 2002 fino al 2015 le parti hanno riferito che l’attrice era stata associata in partecipazione con apporto di lavoro e che, successivamente, era stata assunta come dipendente unitamente alla figlia. I convenuti hanno, inoltre, esposto che C.A. alla fine dell’aprile 2017 aveva consegnato al notaio P. delle lettere contenenti le volontà testamentarie della defunta madre e che, invitata a definire la vicenda in modo bonario, non si era mai presentata inviando loro biglietti contenenti frasi avvelenate e cattive. Infine, le parti hanno riferito che la sorella T. custodisce anche delle buste contenenti i gioielli della defunta madre ed evidenziato che, a causa di gravi motivi, erano stati costretti ad allontanare l’attrice dalla farmacia a far data dall’11/10/2017. I convenuti hanno, inoltre, eccepito l’invalidità delle disposizioni testamentarie delle defunta madre in quanto scritte in una condizione di declino cognitivo e di delirium accertate dal dott. F.D.G..

All’udienza dell’11.07.2018 l’attrice ha eccepito l’improcedibilità della domanda di usucapione formulata dai convenuti per mancato esperimento della procedura di mediazione richiamando il verbale del 9/07/2018. In proposito, i convenuti hanno rappresentato che l’usucapione costituisce una domanda autonoma e ordinaria che non necessita di alcuna mediazione.

Con memoria depositata ai sensi dell’art. 183 numero 1 c.p.c. l’attrice, dopo aver reiterato l’eccezione di improcedibilità della domanda di usucapione per mancato esperimento della procedura di mediazione nonostante il termine perentorio fissato dal giudice alla prima udienza, in punto di precisazione della domanda, ha evidenziato che il bene oggetto di donazione modale, al pari di tutti gli altri beni, è assoggettato all’obbligo di collazione e che l’onere comporta comunque una diminuzione del valore della donazione con la conseguente necessità di operare la determinazione del valore, in caso di lesione della quota di legittima spettante per legge ad altri congiunti, considerando il valore dell’onere da porre in detrazione al valore del bene donato. La parte ha, ancora, precisato le modalità della collazione indicando l’alternativa tra rendere il bene in natura o imputarne il valore, al tempo dell’aperta successione, alla propria porzione, a scelta di chi conferisce ai sensi dell’art.747 c.c.. Infine la parte ha articolato, per l’ipotesi di mancato accoglimento della domanda di risoluzione della donazione modale, la richiesta di condanna della convenuta “FARMACIA A. snc” all’esatto adempimento del modus, ovvero al pagamento in suo favore, in proprio e/o nella qualità di erede della signora F.C., delle somme non erogate dalla donazione in poi a titolo di rendita vitalizia.

Con provvedimento depositato in data 1.04.2020 il giudice, ritenendo prodromica la domanda di risoluzione per inadempimento e matura la causa per la relativa decisione, ha fissato l’udienza per la precisazione delle conclusioni e la causa è stata, poi, assegnata al Collegio per la decisione.

Con note di trattazione scritte depositate per l’udienza del 24/11/2022 le parti hanno precisato le rispettive conclusioni. In particolare, la parte attrice ha chiesto la risoluzione della donazione modale e la condanna della “Farmacia A. dei dottori G.M.A. e S.A. snc” al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti sia in proprio che nella qualità di erede di C.F..

Con comparsa conclusionale del 22.02.2023 l’attrice ha reiterato le proprie conclusioni, anche con riferimento alla domanda subordinata di adempimento, precisando che l’inadempimento del modus previsto nella donazione nei confronti della signora F.C. è quantificabile in oltre Euro 210.840,00, tenuto conto dell’obbligo annuale di Euro 52.000,00 e dell’ultimo versamento di Euro 10.160,00 eseguito in data 10.5.2013, presumibilmente per la I quota del 2013, e precisando, altresì, che anche i precedenti pagamenti avvenuti sin dal 2003 tanto in suo favore che in favore della madre erano stati parziali ossia inferiori all’importo previsto e che il vitalizio non risultava aggiornato agli indici ISTAT, nonostante la donazione contemplasse espressamente il relativo obbligo con decorrenza dall’1.1.2004.

Con riferimento alla tesi sostenuta dai convenuti della rinuncia all’adempimento da parte della madre l’attrice ha richiamato uno scritto di pugno di quest’ultima, affoliato come documento A.3, per dimostrare la sua volontà di ricevere il vitalizio sconfessando apertamente quanto argomentato da controparte. La parte ha esposto, inoltre, che la domanda di sequestro conservativo dei beni di C.A., richiesta sul presupposto indimostrato della maggiore consistenza del vitalizio rispetto al valore della Farmacia stessa, era stata rigettata dal Tribunale con ordinanza resa in data 9.3.2021 e che, invece, con ordinanza del 6.11.2018 il Tribunale di Avellino, in composizione collegiale, aveva autorizzato il sequestro giudiziario dell’azienda “F.A. snc” con obbligo di relazione e rendiconto. Con riferimento della risoluzione della donazione, la parte attrice ha precisato che in tema di contratto ad esecuzione periodica o continuata gli effetti della risoluzione non operano per le prestazione già eseguite in forza dell’art. 1458 c.c.

Con comparsa conclusionale del 17.02.2023 i convenuti hanno reiterato le conclusioni già formulate nei precedenti atti eccependo le eccezioni di improcedibilità della domanda di risoluzione della donazione per mancato esperimento del tentativo di mediazione ed insistendo sulla condanna dell’attrice alla restituzione delle somme incassate a titolo di vitalizio. In particolare i convenuti hanno dedotto che dalle risultanze numeriche emergerebbe l’insussistenza del requisito della gravità o importanza dell’inadempimento tenuto conto delle somme incassate dalla madre C. pari ad Euro 577.900,20 fino alla prima rata del 2013; delle somme non pagate fino al decesso di C. il 9/4/17 pari ad Euro 65.000,00 di cui Euro 52.000 per l’anno 2016 ed Euro 13.000,00 per la rata del 2017. Ai fini della quantificazione delle somme non corrisposte i convenuti, infatti, hanno precisato di essersi accollati le spese di paga e tredicesima per le badanti della madre, per la S. del domicilio materno, per l’acqua di Terracina, per l’abbonamento TV, per il condominio del palazzo e per quello generale di P.C., apprestando un costante sostentamento e una totale cura verso la madre, anche dopo che questa aveva imposto la sospensione del vitalizio versando 60.590,19 Euro dal 2002 al 2011 ed Euro 95.156,34 per il periodo 2013/2017. Infine, i convenuti hanno eccepito la carenza dell’interesse ad agire dell’attrice per aver la stessa fino al 31/12/2015, corrispondente alla data di scadenza del contratto di associazione in partecipazione, visto accresciuti i suoi utili in virtù della rinuncia operata da C.F. quantificati in complessivi Euro 47.666,00. Sugli effetti dell’invocata risoluzione le parti hanno qualificato la prestazione imposta in favore dell’attrice come donazione sostenendo la sussistenza, in caso di risoluzione della donazione, dell’obbligo a suo carico di restituire quanto ricevuto ossia l’importo di Euro 590.482,30 calcolato al 31/12/2022. Le parti hanno, ancora, soggiunto di aver stipulato, senza esserne tenuti, un contratto di associazione in partecipazione con l’attrice con apporto di lavoro fino al 30/12/2015 che le aveva fruttato utili pari a Euro 739.475,00 e un contratto di lavoro decorrente dal 31/12/2015 fino al licenziamento del novembre 2017. In conclusione, le parti hanno evidenziato il pregiudizio derivante alla parte attrice dall’azione di risoluzione considerando che la quota di sua spettanza sulla differenza tra il valore dei beni donati, determinato per convenzione in Euro 120.810, e il valore del vitalizio corrisposto pari ad Euro 1.168.382,5, non le consentirebbe di acquisire alcun credito quantificando in circa 1 milione di Euro l’incremento del valore della Farmacia dovuto solo ed esclusivamente al loro lavoro e alle loro capacità professionali.

Con memorie di repliche le parti si sono rispettivamente riportate ai precedenti atti.

La domanda si presenta infondata e deve essere rigettata alla luce della seguente motivazione.

In via preliminare rileva il Tribunale che l’oggetto della presente sentenza parziale è rappresentato dalla domanda di risoluzione della donazione modale per inadempimento del modus promossa da A.C. nei confronti della società F.A. di G.M. e S.A. snc, dalla domanda di risarcimento del danno, dalla domanda di adempimento formulata in via subordinata nella memoria di cui al numero 1 dell’art. 183 c.p.c. e dalle connesse eccezioni sollevate dalla parte convenuta.

Ciò premesso, ritiene il collegio che non può essere accolta l’eccezione di improcedibilità della risoluzione della donazione per mancato esperimento del tentativo di mediazione. In proposito vale evidenziare che, con ordinanza del 14.3.2018, il giudice titolare del procedimento ha onerato entrambe le parti all’introduzione del procedimento di mediazione, incardinato successivamente dai convenuti con domanda di mediazione al competente organo per risolvere la controversia in esame avente ad oggetto “successione ereditaria genitori con domanda riconvenzionale di scioglimento comunione ereditaria e nullità testamento e/o azione di riduzione per legittima lesa e rendiconto in giudizio promosso da A.C. per ottenere risoluzione donazione e accertamento quote eredi” e conclusosi con esito negativo per mancato accordo (cfr. domanda di mediazione allegata in atti). Orbene, nel caso di specie, dal verbale di mediazione prodotto in atti risulta che la stessa è stata esperita con riferimento a tutte le domande oggetto del presente giudizio tra cui anche quella di risoluzione della donazione indicata nella stessa domanda e non risulta meritevole di accoglimento la tesi dei convenuti tesa all’esclusione della domanda in esame per non averla introdotta la parte attrice tenuto conto sia del principio della ragionevole durata del processo che, soprattutto, dell’insussistenza di un obbligo di procedere all’espletamento di due procedimenti, l’uno a vantaggio di una parte e l’altro a vantaggio di un’altra.

Passando, quindi, all’esame della domanda di risoluzione osserva il Collegio che, come noto alle parti, ai sensi dell’art. 793 c.c. la domanda di risoluzione per inadempimento dell’onere può essere domandata dal donante ovvero dai suoi eredi. In punto di diritto, poi, vale ricordare che la donazione è il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa, di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione. Tale contratto costa di elementi costitutivi, quali lo spirito di liberalità e l’incontro di volontà delle due parti, e di elementi accidentali. Con riferimento alla donazione modale la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che lo spirito di liberalità è perfettamente compatibile con l’imposizione di un peso al beneficiario purché tale peso, non assumendo il carattere di corrispettivo, costituisca una modalità del beneficio che non snatura l’essenza di atto di liberalità della donazione (cfr. Cass. 28 giugno 2005, n.13876). Infatti, la donazione modale (art. 793 cod. civ.) non introduce elementi di corrispettività nella causa liberale del contratto, costituendo il modus solo una modalità del beneficio attribuito e, in senso proprio, una sua limitazione. In termini più precisi, è stato osservato che, sotto il profilo strutturale, il modus integra un elemento accessorio della donazione volto al conseguimento di finalità diverse e ulteriori rispetto al fine liberale della donazione che non snatura la causa unitaria (liberale) della donazione e non dà vita ad un negozio autonomo con causa propria ovvero ad un negozio complesso nel quale coesistono rapporti a titolo gratuito e a titolo oneroso (cfr. Cass., 20 giugno 2014, n. 14120; Cass., 28 giugno 2005, n. 13876; Cass., 22 giugno 1994, n. 5983; Cass., 17 aprile 1993, n. 4560; Cass., 18 dicembre 1986, n. 7679; v., ancora di recente, Cass., 17 gennaio 2019, n. 1039 che, sia pur in tema di comodato gratuito, ribadisce l’inapplicabilità al modus dell’istituto della risoluzione contrattuale in forza di clausola risolutiva espressa, “istituto che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un “modus”). Peraltro, in mancanza di espliciti limiti codicistici, si deve ritenere che l’onere possa avere ad oggetto sia un dare, sia un fare, sia un non fare e che possa essere posto a vantaggio non solo del donante o di terzi, ma anche dell’onerato. Pertanto, l’onere dovrà presentare i requisiti che l’art. 1174 c.c. richiede per la configurabilità di un’obbligazione, ossia l’essere suscettibile di valutazione economica e corrispondere a un interesse non patrimoniale del donante. Deve, infatti, ritenersi che l’onere si concreta nella costituzione di un rapporto obbligatorio in senso tecnico e come tale giuridicamente coercibile con la conseguenza che il donatario è tenuto alla esecuzione della prestazione dedotta in contratto. Deve essere, inoltre, soggiunto che, nell’ambito della donazione modale, il donatario è tenuto all’adempimento dell’onere entro i limiti del valore della cosa donata perché il modus non può impoverire in modo completo il vantaggio attribuito dalla donazione.

Infatti, in ordine al rapporto tra il valore della donazione e il valore del modus, la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell’affermare che se il valore della donazione è inferiore a quello del modus, come si desume dall’art. 793, comma 2, c.c., rimane comunque un atto liberale, avendo l’ordinamento solo stabilito i limiti dell’obbligo cui è tenuto il donatario affinché non venga snaturata la causa donativa e tramutata in causa di impoverimento. Se, invece, i due valori coincidano, si tratterà di un contratto a prestazioni corrispettive se non vi è un lasso apprezzabile di tempo tra le prestazioni e l’equivalenza è conosciuta dalle parti e di una donazione se l’adempimento dell’onere deve essere effettuato dopo qualche tempo, di modo che il donatario tragga vantaggio dal godimento della cosa donata in base al risultato finale ottenibile con lo sfruttamento del bene donato e il suo incremento patrimoniale una volta adempiuto l’onere. La donazione modale, inoltre, si distingue per diversità della causa, della natura giuridica e degli effetti dal vitalizio oneroso che è un contratto dal quale derivano obbligazioni reciproche contrapposte tra i contraenti e legate da un nesso di interdipendenza. La donazione, infatti, a cui acceda un onere comporta l’obbligo, giuridicamente coercibile, del donatario di effettuare prestazioni periodiche in favore del donante o di un terzo per tutta la vita contemplata. In tal caso la disposizione modale costituisce un elemento accessorio dell’atto di liberalità in quanto con esso il disponente mira ad attuare un fine che si aggiunge a quello principale del negozio a titolo gratuito, operando come ulteriore movente di questo, senza, peraltro, condizionarne l’attuazione e senza che, anche quando la disposizione modale preveda a carico del donatario la prestazione di una rendita vitalizia a favore del disponente, resti modificata la natura e la causa della donazione. Il modo od onere, quindi, non rende incerta la liberalità, che viene fatta puramente e semplicemente, ma accede alla medesima, senza influire sul suo contenuto giuridico, sebbene l’adempimento del modo incida sugli effetti economici dell’attribuzione patrimoniale fatta a titolo gratuito nel senso che il valore dell’onere grava su quanto ricevuto dal donatario riducendone l’entità (cfr. Cass. 18 febbraio 1977 n. 739).

Quanto all’onere della prova, deve essere ricordato che la parte che agisce per la risoluzione è tenuta a dimostrare l’esistenza di un titolo e la scadenza delle obbligazioni che assume inadempiute, nonchè il fatto d’inadempimento e la sua gravità ai sensi dell’art. 1455 c.c. incombendo, invece, sul donatario la dimostrazione che lo stesso è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile.

Con riferimento al requisito della gravità dell’inadempimento, infatti, secondo la giurisprudenza “In tema di donazione modale, la risoluzione per inadempimento dell’onere non può avvenire “ipso iure”, senza valutazione di gravità dell’inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, istituto che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un “modus” (cfr. Cassazione Civile, sez. II, 20 giugno 2014 n.14120). Con la sentenza in esame la Cassazione ha precisato che le norme in esame delineano “… l’istituto della clausola risolutiva espressa come proprio dei contratti sinallagmatici, per i quali soltanto la risoluzione è configurata come effetto automatico dell’inadempimento, quale che ne sia la gravità, mentre per il modus, che accede invece a un negozio a titolo gratuito, non è stabilita una analoga disciplina, sicché resta ferma la necessità che il suo inadempimento, per poter comportare la risoluzione, non abbia scarsa importanza: è significativo che l’art. 793 c.c. consente al donante o ai suoi eredi di “domandare” la risoluzione per inadempimento dell’onere, se preveduta nell’atto di liberalità, con terminologia analoga a quella utilizzata per l’azione costitutiva nell’art. 1453 c.c., senza disporre in ordine alla risoluzione stabilita dall’art. 1456 c.c. come effetto “di diritto”, oggetto quindi di sentenza di accoglimento di domanda di semplice accertamento…” con la conseguenza che l’indagine sull’importanza dell’inadempimento del modus non può essere omessa dal giudicante in base all’erroneo presupposto dell’applicabilità nella specie dell’art. 1456 c.c. le cui disposizioni non si estendono all’ipotesi prevista dall’art. 793 c.c.

Sempre in ordine al requisito dell’importanza dell’inadempimento devono essere richiamati i principi generali che impongono al giudice di tener conto di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, dalle quali sia possibile desumere l’alterazione dell’equilibrio contrattuale avuto riguardo all’operazione complessiva sulla base di un duplice criterio: quello oggettivo, volto alla verifica sul se l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto, in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente, sì da creare uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale e quello soggettivo, complementare al primo, considerando il comportamento di entrambe le parti, quali un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra, che può, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata. La gravità, infatti, deve essere commisurata all’interesse che la parte adempiente aveva alla regolare esecuzione e non alla convenienza della domanda di risoluzione rispetto a quella di adempimento (cfr. Cass. n. 8212/2020; Cass. n. 4022/2018). Infine, anche nel caso di inadempimento parziale, qual è quello dedotto nella fattispecie in esame, il giudizio sulla non scarsa importanza dell’inadempimento non può essere affidato solo alla rilevata entità della prestazione inadempiuta rispetto al valore complessivo della prestazione, costituendo questa soltanto uno degli elementi di valutazione (cfr. Cass. n. 3742/2006).

Deve essere, poi, precisato, con riferimento all’elemento di carattere oggettivo appena delineato, ossia all’accertamento della entità dell’inadempimento in relazione all’economia complessiva del rapporto, che la valutazione del Tribunale deve essere effettuata rispetto alla intera prestazione promessa, quand’anche le parti ne abbiano pattuito il frazionamento in più tranches (cfr. Cass. n. 24003/2004).

A titolo di completezza vale richiamare anche la pronuncia della Suprema Corte del 2022 n. 4476 nella parte in cui si afferma che “… A norma dell’art. 1455 c.c., il giudice chiamato a provvedere sulla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento deve porsi, anche di ufficio, il problema della gravità o meno dell’inadempimento ed è tenuto ad indicare, in ipotesi di accoglimento della domanda, il motivo per cui, nel caso concreto, ritiene l’inadempimento di non scarsa importanza, a meno che non si tratti di inadempimento definitivo delle obbligazioni primarie o essenziali di una delle parti (cfr. Cass. 20.7.2007, n. 16084)…”.

Infine, con riferimento alle conseguenze della risoluzione deve essere rilevato, come peraltro entrambe le parti evidenziano, che l’aggiunta del modus al contratto di donazione comporta che la liberalità, che resta sempre la causa del negozio, viene limitata determinando, in concreto, una diminuzione di valore della cosa donata.

Ciò premesso rileva il collegio che, nel caso di specie, non sussiste alcun dubbio, ed è anche pacifico tra le parti, che il contratto di donazione del 25.7.2002 integra un atto di donazione modale in cui è espressamente prevista la possibilità di risoluzione in caso di inadempimento, anche parziale (cfr. pagina 7 della donazione) e che per il periodo dal mese di maggio del 2013 fino al decesso della madre la società convenuta non ha adempiuto al pagamento della rendita disposta in suo favore nelle modalità stabilite nel contratto di donazione. Nel caso di specie, quindi, l’inadempimento è di tipo parziale ed è limitato ad una sola delle obbligazioni previste in quanto dall’esame degli atti risulta pacifico e non contestato che la donataria Farmacia ha provveduto a pagare il vitalizio di C.F. fino al mese di maggio del 2013 nonché alla parte attrice anche nel corso del giudizio.

Prima di passare ad indagare sulla sussistenza nel caso di specie della non scarsa importanza dell’inadempimento deve essere ricordato che la domanda di risoluzione per inadempimento dell’onere può essere esclusivamente proposta dal donante, che nel caso di specie è deceduto in un momento in cui l’adempimento era in corso, o dai suoi eredi perché considerati i continuatori della personalità del donante. Infatti, “Mentre l’azione di adempimento dell’onere imposto dalla donazione può essere proposta da chiunque vi abbia interesse (in quanto è la volontà del donante che viene protetta e si chiede che venga realizzata), la domanda di risoluzione per inadempimento dell’onere anzidetto può essere esclusivamente proposta dal donante o dai suoi eredi e soltanto nel caso che essa sia stata espressamente prevista dall’atto di donazione, rimanendo esclusa la legittimazione di qualsiasi altro titolare del diritto… in quanto si è inteso attribuire la valutazione dell’opportunità di richiedere la risoluzione per l’inadempimento soltanto al donante e, dopo la sua morte, ai suoi eredi, considerati come continuatori della personalità del donante e, quindi, gli unici in grado di apprezzare le ragioni dell’inadempimento con riguardo allo spirito di liberalità da cui era animato il loro dante causa”(cfr. Cass. 1036/2000).

Orbene, ritiene il collegio che l’inadempimento parziale, previsto espressamente nell’atto di donazione quale possibile (cfr. pagina 7 della donazione) causa di risoluzione, da parte della donataria società per il periodo dal 2013 al 2017 solo con riferimento alla beneficiaria C. e non anche con riferimento all’attrice non possa configurarsi grave tenuto conto della corresponsione per intero della prestazione dovuta alla parte attrice, del pagamento per dieci anni della rendita in favore della beneficiaria madre dalla data prevista nella donazione del 2002 fino al mese di maggio del 2013, dell’ammontare delle rendite corrisposte pari ad una somma superiore ad Euro 1.000.000,00, nonché di una serie di altre circostanze, desumibili dall’esame degli atti di causa, quali il valore negativo della cosa donata (cfr. pagina 11 della donazione) che, al tempo della donazione, presentava a fronte di un credito di circa Euro 467.800,04 verso la competente A. un’esposizione debitoria di circa Euro 635.510,60 verso fornitori; di circa Euro 507.811,41, oltre ad Euro 123.949,66 verso associato; di Euro 54.520,82 per fondo quiescenza del personale dipendente; di Euro 29.560,72 per debito di conto corrente bancario; di Euro 45.567,05 per I.VA. conto erario, l’intento del donante di fruire unitamente alla moglie della rendita vitalizia desumibile dalla previsione solo in favore di quest’ultima della rendita stessa, e considerando, infine, che l’inadempimento deve essere importante ai sensi dell’art. 1455 c.c. in relazione alla finalità per la quale l’onere è stato disposto, che deve ritenersi imputabile quantomeno a dolo o colpa grave del donatario e che il modus costituisce, per i principi sopra esposti, solo un fine ulteriore rispetto a quello tipico dell’atto di liberalità non configurando né una forma di corrispettivo né la causa dell’attribuzione medesima.

Dal punto di vista soggettivo, poi, non può esimersi dall’osservare che la mancata richiesta di adempimento della rendita nel periodo in esame da parte della beneficiaria madre è certamente un indice da considerare al fine di escludere la gravità dell’inadempimento e per presumere, viceversa, che la volontà del donante di garantire un’assistenza materiale alla coniuge non sia stata tradita. Infatti, l’allegazione della parte attrice delle sollecitazioni da parte della madre alla convenuta in ordine al pagamento della rendita non risultano documentate in atti avendo la parte solo prodotto un documento in cui si evince l’annotazione del mancato versamento di una rata. Sul punto, vale solo precisare che gli elementi che possono essere considerati al fine accertare la gravità dell’inadempimento sono unicamente quelli relativi alla beneficiaria C.F. nei confronti della quale si è realizzato l’inadempimento dei convenuti e non anche quelli relativi ai rapporti tra la parte attrice beneficiaria dell’onere e la convenuta Farmacia donataria.

Da ultimo non priva di rilevanza è la circostanza che la domanda di risoluzione per inadempimento dell’onere, riservata, come sopra anticipato, anche agli eredi perché considerati i continuatori della personalità del donante e ritenuti in grado di apprezzare le ragioni dell’inadempimento con riguardo allo spirito di liberalità da cui era animato il loro dante causa, nella peculiare fattispecie in esame risulta azionata nei confronti della Farmacia donataria dalla sola parte attrice, anche beneficiaria dell’onere rimasto totalmente adempiuto, che, pur apprezzando le ragioni dell’inadempimento in modo differente dagli altri eredi, non ha tuttavia dimostrato, in concreto, la sua gravità sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.

Le circostanze appena indicate, allora, secondo il convincimento del Tribunale, costituiscono, secondo un criterio di normalità e secondo le regole di esperienza, elementi idonei a ritenere l’inadempimento della donataria Farmacia di scarsa importanza e tale da non ledere lo spirito di liberalità da cui era animato il dante causa e legittimare la risoluzione della donazione.

Sulle suesposte ragioni la domanda di risoluzione per inadempimento deve essere rigettata.

La domanda di condanna della convenuta Farmacia al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dalla parte attrice in proprio e/o nella qualità di erede di F.C. (cfr. punto due delle conclusioni dell’atto di citazione) a causa dell’inadempimento deve essere dichiarata inammissibile per le seguenti motivazioni.

Vale, infatti, osservare che, pur non risultando precluso l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno nelle ipotesi di rigetto della domanda di risoluzione determinato dalla scarsa importanza dell’inadempimento, nel caso di specie l’inadempimento dell’onerato obbligherebbe quest’ultimo a risarcire il danno patrimoniale subito dal donante e, ai sensi dell’art. 793 comma 4 c.p.c., dai suoi eredi con la conseguenza che legittimato a chiederne il risarcimento è il donante, ovvero colui che, in quanto contraente, è legittimato a domandare la risoluzione del contratto e gli eredi del donante. Orbene, nel caso di specie, la parte attrice, mentre ha agito per la risoluzione del contratto nella qualità di erede del padre, per il risarcimento del danno ha agito nella diversa qualità di erede della madre e in proprio non risultando legittimata.

Quanto alla domanda di adempimento formulata, in via subordinata, nella prima memoria dall’attrice in proprio e/o nella qualità di erede della signora F.C., delle somme non erogate rispetto alla quale i convenuti hanno eccepito l’inammissibilità ai sensi dell’art. 1453 c.c. deve essere, invece, osservato che sebbene, in astratto, la domanda risulti ammissibile in base ai principi giurisprudenziali (cfr. Cassazione del 2005/1077 nella parte in cui è chiarito che “… il divieto posto dal secondo comma dell’art. 1453 c.c. di chiedere l’adempimento, una volta domandata la risoluzione del contratto, non può essere inteso in senso assoluto, ma è operante soltanto nei limiti in cui esiste l’interesse attuale del contraente, che ha chiesto la risoluzione, alla cessazione del rapporto, per modo che, quando tale interesse viene meno, per essere stata rigettata o dichiarata inammissibile la domanda di risoluzione, la preclusione non opera, essendo cessata la ragione del divieto”; e che “…il principio dell’inammissibilità della domanda di adempimento proposta successivamente a quella di risoluzione (art.1453 cod. civ.) deve ritenersi applicabile alla duplice condizione: 1) che la domanda di risoluzione sia stata proposta senza riserve, in quanto, alla luce del principio di buona fede oggettiva, il comportamento del contraente che chieda incondizionatamente la risoluzione è valutato dalla legge come manifestazione di carenza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva – sicché l’esercizio dello “ius variandi” deve, per converso, ritenersi consentito quando la domanda di risoluzione e quella di adempimento siano proposte nello stesso giudizio in via subordinata; 2) che esista un interesse attuale dell’istante alla declaratoria di risoluzione del rapporto negoziale – di talché, quando tale interesse venga meno per essere stata la domanda di risoluzione rigettata o dichiarata inammissibile, la preclusione “de qua” non opera, essendo venuta meno la ragione del divieto di cui al ricordato art.1453 cod. civ.-.) e ai dubbi in generale sollevati circa l’applicazione della predetta norma in materia di modus, nel caso di specie risulta carente la legittimazione della parte attrice all’adempimento sia in proprio sia quale erede di F.C..

Infatti, con riferimento alla qualità di erede della madre, osserva il Tribunale, da un lato, che la norma di cui all’art. 793 c.c. secondo cui per l’adempimento dell’onere può agire oltre al donante qualsiasi interessato anche durante la vita dello stesso non risulta estensibile agli eredi del beneficiario e dall’altro che in ogni caso la parte attrice non può ritenersi interessata risultando lo scopo della rendita vitalizia quello di garantire una fonte di reddito alla madre per vivere.

Con riferimento, invece, alla legittimazione in proprio dell’attrice deve distinguersi a seconda che l’attrice abbia inteso agire nella qualità di interessata ovvero quale beneficiaria dell’onere.

Con riferimento alla prima ipotesi osserva il Collegio che l’estensione della legittimazione ad agire previsto dalla norma a “qualsiasi interessato” deve intendersi necessariamente riferita al soggetto che risulti portatore dell’interesse, anche non patrimoniale, che il donante ha avuto di mira nel disporre l’onere e, in caso di onere disposto a vantaggio di un beneficiario, al beneficiario stesso. Infatti, la Cassazione con la sentenza del 1999 n. 14029, pronunciandosi in materia di adempimento dell’onere, ha affermato che “Legittimato a proporre domanda di adempimento del modo è il soggetto portatore dell’interesse, anche non patrimoniale, che il testatore ha avuto di mira nel disporre l’onere; nei casi in cui esso sia stato disposto a vantaggio di una categoria generica di persone, pertanto, legittimati devono ritenersi tutti gli appartenenti a tale categoria, salvo che non sussista un ente istituzionalmente preposto a curare in modo esclusivo gli interessi della categoria medesima, mentre, nell’ipotesi di modo diretto a soddisfare un interesse morale dello stesso testatore, legittimati devono ritenersi non gli eredi, bensì i prossimi congiunti del “de cuius”, ai quali si trasferisce la tutela degli interessi più intimamente connessi alla persona del defunto. Spetta al giudice di merito accertare il collegamento tra l’interesse che il testatore ha inteso soddisfare e un soggetto o una categoria più o meno definita di soggetti e tale accertamento è censurabile in sede di legittimità se non sorretto da idonea motivazione.”

Orbene, nel caso di specie la parte non risulta in alcun modo portatrice dell’interesse del donante che intendeva garantire alla di lui coniuge un’assistenza materiale durante la sua vita. In altri termini, nel caso di specie, l’attrice non può agire per l’adempimento dell’onere nella qualità di persona interessata, ma può agire per l’adempimento dell’onere soltanto perché beneficiaria dello stesso. Vale precisare in merito, tuttavia, che la prestazione dovuta nei suoi confronti è stata adempiuta per cui la richiesta di adempimento, anche nella qualità di beneficiaria, deve essere rigettata non sussistendo il fatto costitutivo dell’inadempimento nei suoi confronti. In altri termini, è il creditore della prestazione dovuta dall’onerato che può chiedere la condanna all’adempimento e non anche la parte attrice che non riveste, in tale fattispecie, la posizione di creditrice perché la sua prestazione è stata regolarmente adempiuta.

A titolo di mera completezza vale osservare, altresì, che non risulta priva di pregio l’orientamento secondo cui quando il beneficiario del modus non è il donante, ma un terzo la fattispecie risulta sussumibile nell’ambito della figura del contratto a favore di terzi con l’applicazione della relativa disciplina e con la conseguenza che la legittimazione ad agire spetti solo a quest’ultimo e che, viceversa, l’estensione della legittimazione ad agire a qualsiasi interessato prevista dalla norma opera, per contro, solo quando il beneficiario dell’onere sia una categoria indeterminata di persone e non anche quando la persona beneficiaria sia determinata come nella fattispecie.

Il rigetto della domanda comporta l’assorbimento di ogni altra doglianza sollevata dalle parti convenute.

Le spese di lite sono rimesse alla sentenza definitiva.

P.Q.M.

Il Tribunale di Avellino, in composizione collegiale, non definitivamente pronunciando e disponendo la prosecuzione del giudizio come da separata ordinanza, così provvede:

– rigetta le domande azionate dalla parte attrice;

– rinvia ogni statuizione sulle spese alla sentenza definitiva;

– dispone con separata ordinanza il prosieguo del giudizio.

Così deciso in Avellino nella camera di consiglio del 13 luglio 2023.

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2023.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.