L’ordinanza di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione, preclusa l’opposizione tardiva, acquista efficacia di cosa giudicata sostanziale non solo sull’esistenza della locazione, sulla qualità di locatore dell’intimante e di conduttore dell’intimato, sull’intervento di una causa di cessazione o risoluzione del rapporto, ma anche sulla sua qualificazione, se la scadenza del medesimo, richiesta e accordata dal giudice, è strettamente collegata alla tipologia del contratto.

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Tribunale Roma, Sezione 6 civile Sentenza 21 febbraio 2019, n. 4166

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

Sesta CIVILE

Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Daniele D’Angelo

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 11570/2018 promossa da:

(…) (C. F. (…)), con il patrocinio dell’Avv. Ca.Ma. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via (…), giusta delega in calce all’atto di citazione

ATTORE

Contro

(…), (C. F. (…)), con il patrocinio dell’Avv. Ma.Ze. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via (…), giusta delega in calce alla comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTO

OGGETTO: azione di risarcimento danni da inadempimento contrattuale in materia locatizia.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Conclusioni delle parti ed esposizione dei fatti di causa.

Con atto di citazione iscritto a ruolo il 21.02.2018 (…) ha vocato in giudizio (…) al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni:

“Piaccia al Tribunale adito: NEL MERITO condannare (…) al risarcimento dei danni da liquidare in favore di (…) nella misura di Euro 1.596.600,00, ovvero in quella misura maggiore o minore che risulterà in esito ad accertamenti istruttori, ove necessari, oltre interessi al tasso legale di cui al 1 comma dell’art. 1284 c.c. da ogni singola scadenza mensile sino alla notifica del presente atto e nella misura determinata dal 4 comma dell’art. 1284 c.c. per il periodo successivo alla notifica stessa e sino al soddisfo, sulla somma di Euro. 559,725,00, e gli interessi al tasso legale di cui al 1 comma dell’art. 1284 c.c. sino alla notifica del presente atto e nella misura determinata dal 4 comma dell’art. 1284 c.c. per il periodo successivo e sino al soddisfo, quanto alla somma di Euro. 1.036.875,00, oltre rivalutazione o risarcimento del maggior danno per la mancata disponibilità dei capitali sulle somme così maggiorate degli interessi; condannare (…) alla refusione delle spese di lite; condannare (…) al risarcimento dei danni ai sensi del 1 comma art. 96 c.p.c., ovvero alla liquidazione della indennità ai sensi del 3 comma della stessa norma, comunque con liquidazione equitativa di Euro. 10.000,00, ovvero in quella misura che risulterà di giustizia”.

Si è costituito (…) con comparsa di costituzione e risposta depositata il 17.05.2018 nella quale ha rassegnato le seguenti conclusioni:

“1. Preliminarmente disporre il mutamento del rito concedendo alle parti le facoltà di legge;

2. accertare e dichiarare inammissibile la domanda perché già proposta in sede giudiziale e decisa dalla Corte d’Appello di Roma adottando ogni consequenziale provvedimento, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza di II grado;

3. in ogni caso, rigettare la domanda perché infondata in fatto e diritto e perché prescritta. Con salvezza di ogni diritto e vittoria di spese competenze ed onorari, spese generali, rivalsa IVA e CAP”.

Rilevato che la presente controversia verte in materia locatizia è stato disposto il mutamento del rito.

Le parti hanno regolarmente depositato le memorie integrative ai sensi dell’art. 426 c.p.c. nonché prova dell’avvenuto espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione. Infine la causa è stata rinviata per la discussione stante la sua natura documentale.

Espone l’attore che la sentenza del Tribunale di Roma 778/1999 ha accertato che (…) era unico ed effettivo proprietario dell’azienda commerciale di ristorazione corrente in R., via (…), fino ad allora gestita dal padre (…).

Pertanto (…) deduce di essere subentrato al padre in tutti i rapporti, anche di locazione, inerenti la predetta azienda. Con atto del 16.10.2006 (…) espone di aver concesso in affitto la sua azienda alla (…) s.n.c. per un periodo minimo di dieci anni verso il canone mensile di Euro 8.000,00 al lordo del canone di locazione di Euro 1.550,00 (…), però, fa presente che (…) ha intimato lo sfratto per morosità a seguito del quale è stato disposto il rilascio dell’immobile eseguito il 30.07.2008.

Tale controversia si è conclusa con la sentenza 22039/2017 della Corte di Cassazione che ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma contenente il rigetto della domanda di risoluzione del locatore.

Nelle more di detto giudizio l’attore evidenzia di essere rientrato in possesso dei locali oggetto di locazione in data 15.10.2014 e di aver sublocato i locali alla I. s.r.l. ad un canone mensile di Euro 4.700,00. Da qui l’odierna azione volta ad ottenere il risarcimento di due danni.

Il primo relativo al lucro cessante discendente dall’interruzione del contratto di affitto di azienda alla G. che l’attore quantifica in Euro 559.725,00.

Il secondo, stavolta afferente al danno emergente, costituito dal dissolvimento dell’azienda di (…) che, a seguito dell’esecuzione dell’ordine di rilascio, ha subito una chiusura superiore ai 12 mesi con revoca di tutte le autorizzazioni amministrative. Pertanto (…) chiede il risarcimento del valore dell’azienda pari ad Euro 1.036.875,00.

Si è costituito (…) eccependo in via preliminare l’erroneità del rito adottato vertendosi in materia locatizia. Sempre in via preliminare (…) eccepisce l’esistenza della cosa giudicata tra le parti.

Infatti il convenuto sostiene che (…) avrebbe presentato ricorso ai sensi dell’art. 447 bis c.p.c. nel quale avrebbe richiesto la restituzione dell’immobile al locatore e avrebbe formulato richiesta di risarcimento del danno per i mancati guadagni poi rigettata dalla sentenza della Corte d’Appello di Roma.

In ordine alla domanda di risarcimento del danno da perdita dell’azienda, invece, (…) contesta il merito della pretesa sostenendo il difetto di prova sul punto. Infine viene eccepita la prescrizione della pretesa risarcitoria.

All’udienza del 18.05.2018, ritenuta la causa rientrante tra quelle di cui all’art. 447 bis c.p.c., è stato disposto il mutamento del rito con concessione dei termini di cui all’art. 426 c.p.c. ed è stato ordinato l’espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione. Tale tentativo si è regolarmente svolto, anche se con esito negativo, come documentato dalla parte attrice (cfr. allegato 25 alle memorie integrative).

Nelle memorie integrative (…) evidenzia che l’eccezione di giudicato appare inconferente perché la domanda di risarcimento cui si riferisce il convenuto avrebbe ad oggetto una diversa richiesta risarcitoria.

Infatti l’azione esercitata dall’odierno attore con il ricorso del 2012 aveva ad oggetto il risarcimento di un diverso danno relativo all’esecuzione di altra e distinta sentenza n. 3632/2010 della Corte d’Appello di Roma.

Inoltre il convenuto evidenzia che il periodo temporale delle due richieste è diverso: dal 2008 quella oggetto del presente giudizio; dal 2010 al 2012 quella oggetto del giudizio instaurato nel 2012.

2. Nel merito della controversia.

Come noto l’organo giudicante, nella fase decisionale, è tenuto a rispettare l’ordine previsto dal codice di rito nelle diverse questioni da affrontare.

Tale ordine prevede l’esame dapprima delle questioni pregiudiziali, poi del merito della causa (art. 276, secondo comma c.p.c.); fra le prime la precedenza è accordata alle questioni relative alla giurisdizione e alla competenza, poi alle pregiudiziali di rito, indi alle preliminari di merito, infine al merito in senso stretto (art. 179, primo comma, nn. 1, 2 e 3 c.p.c.) (Corte di Cassazione, SS. UU., sen. n. 26242 e 26243 del 12 dicembre 2014).

D’altra parte è d’uopo rilevare che la più recente ed innovativa giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato, nel processo civile, il principio della ragione più liquida.

Detto principio, coniugando il diritto ad un processo giusto con quello ad un processo celere, consente all’organo giudicante di risolvere la controversia sulla base della ragione più liquida, cioè di immediata percezione e sicura prova, anche senza rispettare l’ordine logico delle questioni da affrontare in sede di decisione.

Il principio della “ragione più liquida”, imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 cod. proc. civ., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Corte di Cassazione, Sez. VI, sen. n. 12002 del 28.05.2014).

Nel caso di specie entrambe le domande avanzate da (…) possono essere risolte applicando il prefato principio.

2.1 Sulla domanda di risarcimento del danno da perdita di azienda

(…) avanza domanda di risarcimento del danno emergente costituito dal dissolvimento dell’azienda locato nell’immobile di via delle Coppelle.

Tale dissolvimento sarebbe occorso a seguito dell’esecuzione dell’ordinanza di rilascio emessa nel giudizio avente R.G. 15108/2007 pendente innanzi al Tribunale di Roma.

L’attore lamenta di essere stato costretto al rilascio forzoso dei locali il 30.07.2008 (cfr. verbale allegato 9 all’atto di citazione) e, quindi, di aver subito la revoca di tutte le autorizzazioni amministrative già ottenute nonché di aver subito la perdita della rendita derivante dall’affitto di azienda operato con contratto del 16.10.2006 (cfr. allegato 6 all’atto di citazione).

Con riguardo a detta fattispecie la ragione più liquida è costituita dalla mancata prova del danno subito.

In particolare la Suprema Corte, anche in materia di responsabilità contrattuale, chiarisce che “In tema di responsabilità contrattuale spetta al danneggiato fornire la prova dell’esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore; l’art. 1218 cod. civ., che pone una presunzione di colpevolezza dell’inadempimento, infatti, non modifica l’onere della prova che incombe sulla parte che abbia agito per l’accertamento di tale inadempimento, allorché si tratti di accertare l’esistenza del danno” (Corte di Cassazione, sen. n. 21140/2007).

Nel caso di specie, dunque, (…) avrebbe dovuto dimostrare, esattamente quantificandolo, il valore dell’azienda di cui assume la dissoluzione. L’attore avrebbe, allora, dovuto produrre tutta la documentazione contabile e amministrativa afferente la predetta azienda. Nel caso di specie, invece, (…) si è limitato ad allegare la C.T.P. del Dott. (…) del 02.02.2018 (cfr. allegato 14 all’atto di citazione).

Come noto, per unanime giurisprudenza della Suprema Corte, “La consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, la cui produzione, regolata dalle norme che disciplinano tali atti e perciò sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., deve ritenersi consentita anche in appello” (Corte di Cassazione, Sez. II, ord. n. 20347/2017).

Dunque la documentazione allegata da (…) appare priva di valore probatorio così che non può dirsi assolto l’onere sullo stesso incombente di dimostrare esattamente l’esistenza del danno e la sua quantificazione.

In conclusione la domanda di risarcimento del danno di Euro 1.036.875,00 relativa alla perdita dell’azienda di (…) deve essere rigettata nonostante la pregevolissima opera del difensore.

2.2 Sulla richiesta di risarcimento da lucro cessante

Come visto (…) avanza un’ulteriore domanda di risarcimento da lucro cessante consistente nel venir meno del rapporto contrattuale di affitto di azienda con la società G..

Occorre analizzare punto per punto la domanda giudiziale per identificare la ragione più liquida di decisione.

Come noto, in materia di responsabilità contrattuale, il paciscente che agisce per il risarcimento del danno ha solo l’onere di provare il fondamento del suo diritto mentre può semplicemente allegare l’altrui condotta inadempitiva.

In questo caso sarà onere della controparte dimostrare in giudizio l’esattezza e completezza dell’adempimento posto in essere.

A tal riguardo la giurisprudenza della Suprema Corte è unanime nell’affermare che

“In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche quando sia dedotto l’inesatto adempimento dell’obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell’esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n.826 del 20.01.2015).

Nel caso di specie (…) non identifica esattamente il titolo sulla base del quale agisce limitandosi a dedurre, nelle sole memorie integrative peraltro, che l’odierna richiesta di risarcimento del danno troverebbe il suo fondamento nel procedimento giudiziario proposto da (…) per pretesa morosità davanti al Tribunale di Roma con iscrizione nel 1997.

Ovviamente il titolo giuridico sulla base del quale si agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno da responsabilità contrattuale non può essere una pronuncia giurisdizionale ma unicamente il contratto di cui, per l’appunto, si lamenta l’inadempimento.

Nel caso di specie (…) lamenta l’inadempimento di (…) che non gli avrebbe consentito il pacifico godimento dell’immobile oggetto di un precedente contratto di locazione.

L’esistenza di detto ultimo titolo non è dimostrata dall’attore ma deve ritenersi provata in virtù del giudicato costituito dalla sentenza 3404/2014 della Corte d’Appello di Roma (cfr. allegato 11 all’atto di citazione) e confermata dall’ordinanza 22039/2017 della Corte di Cassazione (cfr. allegato 12 all’atto di citazione).

Invero la pronuncia sulla domanda di risoluzione di un contratto determina il giudicato sulla validità ed esistenza del contratto stesso come chiarito dalla stessa Suprema Corte, ad esempio, in tema di ordinanza di convalida.

Si legge, infatti, che “L’ordinanza di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione, preclusa l’opposizione tardiva, acquista efficacia di cosa giudicata sostanziale non solo sull’esistenza della locazione, sulla qualità di locatore dell’intimante e di conduttore dell’intimato, sull’intervento di una causa di cessazione o risoluzione del rapporto, ma anche sulla sua qualificazione, se la scadenza del medesimo, richiesta e accordata dal giudice, è strettamente collegata alla tipologia del contratto” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n. 411/2017)

e anche che

“Sebbene sia consentito al giudice rilevare d’ufficio la nullità del contratto anche quando ne sia stata domandata la risoluzione per inadempimento, tale rilievo resta precluso quando sulla questione della validità del contratto si sia formato il giudicato, anche implicito.

Quest’ultimo, a sua volta, si forma in tutti i casi in cui il giudice di primo grado, accogliendo la domanda di risoluzione, abbia per ciò solo dimostrato di ritenere valido il contratto, e le parti in sede di appello non abbiano mosso alcuna censura inerente la validità del contratto” (Corte di Cassazione, sen. n. 18540/2009).

Ciò è destinato a valere – a fortiori – nel caso di specie dove la sentenza 3404/2014 della Corte d’Appello di Roma ha accertato l’esistenza di un contratto di locazione sottoscritto il 04.05.1994 e oggetto di successiva integrazione con scrittura privata del 30.05.1994 (cfr. prima pagina della sentenza) e ha concluso rigettando la domanda di risoluzione avanzata da (…) e revocando l’ordinanza di rilascio emessa in primo grado (cfr. ultima pagina della sentenza).

Con la revoca dell’ordinanza di rilascio viene meno una qualsiasi ragione giuridica che giustifichi l’impedimento al godimento dell’immobile da parte di (…).

Dunque deve ritenersi passata in cosa giudicata la questione inerente l’esistenza e validità del contratto di locazione di cui (…) lamenta, oggi, l’inadempimento. D’altra parte detta esistenza non viene neanche contestata da (…) con conseguente esclusione dal thema probandi in applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c.

Deve, allora, rilevarsi come (…) lamenti l’inadempimento del contratto di locazione sottoscritto il 04.05.1994 e oggetto di successiva integrazione con scrittura privata del 30.05.1994 perché il locatore, in attuazione di un’ordinanza di rilascio poi revocata dalla Corte d’Appello, gli ha impedito il godimento dell’immobile dalla data del 30.07.2008 (cfr. verbale allegato 9 all’atto di citazione).

Tale inadempimento, trattandosi di contratto di durata, può dirsi configurabile fino al venir meno dell’efficacia del contratto di locazione.

Ciò è certamente avvenuto, nel caso di specie, alla data del 12.10.2010 data di deposito della sentenza 3632/2010 della Corte d’Appello la quale ha dichiarato “costituito e formalizzato tra le parti il contratto di locazione commerciale relativamente all’immobile di via delle C. n. 41 in R., secondo il testo contrattuale di cui all’allegato A della transazione in data 1 ottobre 1999” (cfr. sentenza allegato 20 alla memoria integrativa dello stesso attore).

Come noto l’effetto costitutivo della sentenza ha efficacia ex nunc (cfr. Corte di Cassazione, sen. n. 71/2011).

Da questo momento, quindi, è venuto meno il precedente contratto di locazione su cui si fonda l’odierno giudizio.

D’altra parte è lo stesso attore ad escludere che la causa petendi sia costituita dalla sentenza 3632/2010 (cfr. pagina 2 memorie integrative dell’attore).

Per questo deve essere rigettata l’eccezione di giudicato sollevata dal convenuto.

Infatti il ricorso del 2012 (cfr. allegato 2 alla comparsa di costituzione) è fondato sul nuovo contratto di cui alla sentenza 3632/2010 che costituisce causa petendi diversa da quella del presente giudizio.

Dunque (…) può legittimamente dolersi unicamente dell’inadempimento di (…) a garantire il pacifico godimento dell’immobile solo per il periodo dal 01.08.2008 al 11.10.2010.

In tal senso deve essere rigettata l’eccezione di prescrizione considerando che il termine, trattandosi di materia contrattuale, è quello decennale di cui all’art. 2946 c.c.

Sul punto deve concludersi nel senso che (…) ha assolto il proprio onere probatorio riguardo alla quantificazione del danno subito. Infatti l’attore ha allegato (cfr. allegato 6 all’atto di citazione) il contratto di affitto di azienda concluso con la società (…) a mezzo scrittura privata autenticata dal Notaio (…) al repertorio (…) e raccolta (…) del (…) con durata fino al 14.10.2016.

Tale contratto prevede un canone mensile di Euro 8.000,00 (cfr. articolo 4) comprensivo anche del canone di locazione che (…) avrebbe dovuto versare a (…) per Euro 1.550,00 a titolo di canone di locazione. Anche tale importo non è stato contestato da (…) con conseguente applicazione del principio di non contestazione.

Dunque l’effettivo mancato guadagno subito da (…) è pari ad Euro 6.450,00 mensili per il periodo dal 01.08.2008 al 11.10.2010. Pertanto (…) deve essere condannato al risarcimento del danno in favore di (…) per la somma complessiva di Euro 170.065,00.

Tale somma è così determinata: Euro 6.450,00 X 26 = 167.700,00 cui aggiungere gli undici giorni dell’ottobre 2010 (6.450,00 : 30) X 11 = 2.365,00.

Trattandosi di somma già liquida saranno dovuti i soli interessi legali dalla data di consumazione finale dell’illecito del 11.10.2010 fino a quella di effettivo pagamento.

Non può trovare accoglimento la domanda di decorrenza degli interessi dalle singole scadenze trattandosi di risarcimento del danno e non di azione di esatto adempimento per il mancato pagamento dei canoni.

Inoltre deve evidenziarsi come il presunto maggior danno per la mancata disponibilità delle somme viene solo profilato da (…), peraltro tardivamente nelle memorie integrative e non viene in alcun modo dimostrato.

3. Sulle spese.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite. Infatti (…) è risultato soccombente sulla quasi totalità della domanda risarcitoria avanzata per Euro 1.596.600,00 mentre ha visto riconosciuta la sola somma di Euro 170.065,00 pari a poco più di un decimo del petitum. In tema di soccombenza la Suprema Corte ha chiarito che

“La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo” (Corte di Cassazione, Sez. VI, Ord. n. 21684/2013).

P.Q.M.

Il Giudice definitivamente pronunciando sulla causa specificata in epigrafe, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

rigetta la domanda di risarcimento relativa alla perdita di azienda;

accoglie solo parzialmente la domanda di risarcimento per lucro cessante e, per l’effetto, condanna (…) al pagamento, in favore di (…), della somma di Euro 170.065,00 oltre interessi nella misura legale dalla data del 11.10.2010 fino a quella di effettivo pagamento;

compensa le spese di lite.

Così deciso in Roma il 21 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.