Corte Europea dei Diritti Umani, Sezione 1 Sentenza 16 gennaio 2018, n. 60633/16

Infine, in ordine alla ritenuta fiscale del 20% applicata all’indennità di esproprio liquidata in sede nazionale, la Grande Camera, così come la Camera, non ha ritenuto l’applicazione di tale ritenuta illegittima in quanto tale, ma ha tenuto conto di tale fattore nella valutazione dei fatti”. Pertanto, ad avviso della Corte, non si può ritenere che la giurisprudenza citata dai ricorrenti implichi che l’applicazione dell’imposta violasse per se l’articolo 1 del Protocollo n. 1.
Per quanto sopra esposto e tenendo conto dell’ampio margine di discrezionalità di cui godono gli Stati in materia fiscale, la Corte ritiene che il prelievo dell’imposta sull’indennità di esproprio liquidata ai ricorrenti non abbia sconvolto l’equilibrio che deve essere conseguito tra la tutela dei diritti dei ricorrenti e l’interesse pubblico di assicurare il pagamento delle imposte. Conseguentemente, questa parte della doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

 

Corte Europea dei Diritti Umani, Sezione 1 Sentenza 16 gennaio 2018, n. 60633/16

Integrale

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 60633/16

Co. Ca. e Mi. Ca.

contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in data 16 gennaio 2018 in una Camera composta da:

Linos-Alexandre Sicilianos, Presidente,

Kristina Pardalos,

Guido Raimondi,

Krzysztof Wojtyczek,

Armen Harutyunyan,

Pauliine Koskelo,

Jovan Ilievski, giudici,

e Abel Campos, cancelliere di sezione,

visto il ricorso sopra menzionato presentato in data 12 ottobre 2016,

dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

I ricorrenti, la Sig.ra Co. Ca. (“la prima ricorrente”) e il Sig. Mi. Ca. (“il secondo ricorrente”), sono cittadini italiani, nati rispettivamente nel (omissis) e nel (omissis), e vivono a (omissis). Sono stati rappresentati dinanzi alla Corte dagli avvocati G. Pa. e N. Pa., del foro di Roma.

Le circostanze del caso di specie

I fatti della causa, così come esposti dai ricorrenti, si possono riassumere come segue.

In data 30 novembre 1999 il Consiglio comunale di Canicattì emanò un decreto che autorizzava il Comune di Canicattì a occupare un appezzamento di terreno di superficie pari a 1.983 metri quadrati al fine di edificarvi un complesso di edilizia residenziale pubblica. L’appezzamento era distinto al catasto dei terreni al foglio n. 66, particelle nn. 759, 574, 402, 613, 799, 800, 607, 795, 612, 602 e 790. La prima ricorrente era proprietaria di 398 metri quadrati di terreno, corrispondenti alle particelle nn. 402, 613, 799 e 800. Il secondo ricorrente era proprietario del terreno corrispondente alle particelle nn. 607, 795 e 612. Entrambi i ricorrenti erano proprietari anche di quattro sedicesimi del terreno corrispondente alle particelle nn. 602 e 790.

In data 28 gennaio 2000 le autorità presero materialmente possesso del terreno.

In data 13 gennaio 2005 il Consiglio comunale di Canicattì emanò un decreto di espropriazione relativo al terreno in questione.

Poiché la determinazione dell’ammontare dell’indennità di esproprio dovuta ai ricorrenti non era imminente, il 23 aprile 2008 essi instaurarono un’azione dinanzi alla Corte di appello di Palermo. Oltre all’indennità di esproprio chiesero anche un’indennità per il periodo durante il quale il terreno era stato legittimamente occupato, ovvero dalla data della sua iniziale occupazione da parte delle autorità nell’anno 2000 alla data di emanazione del decreto di espropriazione nell’anno 2005.

Con sentenza pronunciata il 25 giugno 2014 e depositata in cancelleria il 12 novembre 2014, la Corte di appello di Palermo ritenne che i ricorrenti avessero diritto a un’indennità di esproprio, corrispondente al valore venale del terreno, determinato da un perito nominato da tale Corte, nonché agli interessi legali decorrenti dalla data dell’esproprio alla data corrente. La Corte di appello ritenne inoltre che i ricorrenti avessero diritto a un’indennità per il periodo durante il quale il terreno era stato legittimamente occupato. Alla prima ricorrente fu liquidata la somma complessiva di 111.464,25 euro (EUR) e al secondo ricorrente la somma complessiva di EUR 89.526,25.

Poiché nessuna delle parti propose impugnazione per motivi di diritto, la sentenza della Corte di appello di Palermo passò in giudicato.

I ricorrenti percepirono dal Comune di Canicattì il pagamento di una prima parte delle somme loro dovute in tre rate, corrisposte in data 15 aprile, 26 aprile e 1° luglio 2016. Fu operata alla fonte una ritenuta d’imposta del 20%.

Il diritto e la prassi interni pertinenti

La legge 30 dicembre 1991, n. 413 (in prosieguo “legge 413/1991”) fu elaborata, inter alia, per ampliare le basi imponibili e razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento.

Le parti pertinenti dell’articolo 11 comma 5 prevedono che le plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, di indennità di esproprio sono tassabili ai sensi del Testo unico delle imposte sui redditi.

12. Quanto alla modalità pratica di applicazione dell’imposta, l’articolo 11 comma 7 prevede che, all’atto della corresponsione delle somme di cui all’articolo 11 comma 5, gli enti eroganti devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20 per cento. È facoltà del contribuente optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si considera effettuata a titolo di acconto.

DOGLIANZE

I ricorrenti hanno lamentato l’inadeguatezza dell’indennizzo percepito per l’esproprio del loro terreno, in quanto la Corte di appello di Palermo aveva liquidato loro una somma corrispondente al valore venale del terreno al momento dell’esproprio, senza prevedere l’indicizzazione all’inflazione, e aveva liquidato una somma comprensiva degli interessi legali senza tuttavia computare tali interessi sulla base del capitale progressivamente indicizzato. Secondo i ricorrenti ciò contrastava con la giurisprudenza della Corte e, in particolare, con la sentenza Preite c. Italia (n. 28976/05, 17 novembre 2015).

I ricorrenti hanno inoltre lamentato che l’indennità di esproprio loro liquidata era stata decurtata del 20% a causa della somma che avevano dovuto versare a titolo di imposta. Questo significava che essi, in definitiva, avevano percepito una somma considerevolmente inferiore al valore venale del terreno e ciò equivaleva, a sua volta, a un’ingerenza sproporzionata nei loro diritti di proprietà.

In ordine alle disposizioni fiscali in questione, i ricorrenti hanno sostenuto che esse costituivano un espediente legislativo per ridurre del 20% le spese di acquisizione di terreni per fini di pubblica utilità. Invocando le sentenze Scordino c. Italia (n. 1) [GC] (n. 36813/97, CEDU 2006-V) e Gigli Costruzioni S.r.l. c. Italia(n. 10557/03, 1° aprile 2008), hanno sostenuto che la Corte aveva già ritenuto, esaminando la questione unitamente ad altre decurtazioni applicate al valore venale del bene, che il prelievo dell’imposta costituisse violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

A sostegno delle loro pretese, i ricorrenti hanno inoltre sottolineato, senza citare casi specifici, che la Corte, quando accordava un’equa soddisfazione in cause relative a espropri legittimi e illegittimi, aveva sempre inserito l’espressione “oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta”.

IN DIRITTO

In relazione alle doglianze di cui sopra, i ricorrenti hanno invocato l’articolo 1 del Protocollo n. 1, che recita:

“Ogni persona fisica e giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”

In ordine all’asserita inadeguatezza dell’indennità

Una parte della doglianza dei ricorrenti riguarda l’asserita inadeguatezza della somma determinata dalla Corte di appello di Palermo a titolo di indennità di esproprio, a causa della mancata previsione, da parte di tale Corte, di un’indicizzazione all’inflazione dell’indennizzo liquidato e per le modalità con cui essa aveva determinato gli interessi dovuti. La Corte osserva che i ricorrenti non hanno impugnato la sentenza della Corte di appello dinanzi alla Corte di Cassazione. La Corte ritiene conseguentemente che tale parte della doglianza debba essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.

In ordine alla tassazione dell’indennità

La Corte passerà adesso a esaminare la parte della doglianza basata sull’imposta applicata all’indennità di esproprio. A tale riguardo la Corte osserva che il fascicolo non contiene prove che dimostrino che i ricorrenti abbiano sollevato la loro doglianza dinanzi ai tribunali interni. La Corte non ritiene tuttavia necessario pronunciarsi in via definitiva su tale questione in quanto tale parte della doglianza è in ogni caso irricevibile per le ragioni esposte in prosieguo.

La Corte osserva innanzitutto che la somma liquidata dal tribunale interno a titolo di indennità di esproprio costituiva un “bene”, tutelato dalle garanzie di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1.

La Corte ribadisce che, secondo la sua consolidata giurisprudenza, l’articolo 1 del Protocollo n. 1 comprende tre distinte norme: la prima, che è espressa nella prima frase del primo paragrafo ed è di natura generale, stabilisce il principio del pacifico godimento dei beni. La seconda, nella seconda frase del medesimo paragrafo, disciplina la privazione dei beni e la sottopone a determinate condizioni. La terza, contenuta nel secondo paragrafo, riconosce che gli Stati contraenti hanno diritto, inter alia, a disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale. La seconda e la terza norma, che riguardano casi particolari di ingerenza nel diritto al pacifico godimento dei beni, debbono essere interpretate alla luce del principio generale stabilito dalla prima norma (si vedano, tra numerosi altri precedenti, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, Serie A n. 52; James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, Serie A n. 98; e Beyeler c. Italia [GC], n. 33202/96, § 98, CEDU 2000-I).

La Corte osserva innanzitutto che la ritenuta fiscale contestata era stata imposta ai ricorrenti dal Comune di Canicattì ai sensi della legge 413/1991, che disciplina, inter alia, il prelievo fiscale sulle indennità di esproprio. La Corte ritiene pertanto che esaminare la doglianza dei ricorrenti dal punto di vista della disciplina dell’uso dei beni “per assicurare il pagamento delle imposte” – che rientra nella norma di cui al secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 – costituisca l’approccio più naturale (si veda National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito , 23 ottobre 1997, § 79, Reports of Judgments and Decisions 1997-VII).

Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (si vedano, tra numerosi altri precedenti, Gasus Dosier- und Fördertechnik GmbH c. Paesi Bassi, 23 febbraio 1995, § 62, Serie A n. 306-B, e N.K.M. c. Ungheria, n. 66529/11, § 42, 14 maggio 2013), un’ingerenza, anche derivante da una misura finalizzata ad assicurare il pagamento delle imposte, deve pervenire a un “giusto equilibrio” tra le esigenze degli interessi generali della collettività e le esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona. La preoccupazione di conseguire tale equilibrio è rispecchiata dalla struttura complessiva dell’articolo 1, compreso il secondo paragrafo: deve pertanto esservi un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e i fini perseguiti. Il ricorrente non deve infine sopportare un onere individuale eccessivo (si veda Sporrong e Lönnroth, sopra citata, § 73).

Inoltre, nel determinare se tale condizione sia stata soddisfatta, si riconosce che uno Stato contraente, non da ultimo quando formula e attua politiche in materia fiscale, gode di un ampio margine di discrezionalità, e la Corte ha coerentemente dichiarato l’intenzione di rispettare la valutazione del legislatore in tali materie, a meno che essa non sia priva di ragionevole fondamento (si vedanoGasus Dosier- und Fördertechnik GmbH, sopra citata, § 60; Imbert de Trémiolles c. Francia (dec.), nn. 25834/05 e 27815/05 (riunite), 4 gennaio 2008; e Arnaud e altri c. Francia, nn. 36918/11 e altri 5, § 25, 15 gennaio 2015). In realtà spetta principalmente alle autorità nazionali decidere il tipo di imposte o di contributi che desiderano imporre, in quanto le decisioni in tale materia comportano usualmente la valutazione di questioni politiche, economiche e sociali che la Convenzione lascia alla competenza degli Stati parti, poiché le autorità interne sono più idonee della Corte sotto tale profilo (si veda N.K.M. c. Ungheria, sopra citata, § 57).

Passando alla questione di sapere se nella causa in esame sia stato conseguito un giusto equilibrio, la Corte osserva innanzitutto che l’elaborazione di norme fiscali sostanziali che prescrivevano di tassare le indennità di esproprio rientrava ampiamente nell’ambito del giudizio discrezionale del legislatore italiano. Conseguentemente la normativa in quanto tale non può essere considerata arbitraria (si vedanoDi Belmonte c. Italia, n. 72638/01, § 42, 16 marzo 2010, e mutatis mutandis, Arnaud e altri, sopra citata, § 27). Inoltre, le scelte in ordine alla tipologia e all’ammontare della tassazione da imporre, ma anche la connessa questione della determinazione del reddito imponibile, rientrano nelle questioni che il legislatore interno può certamente valutare e decidere meglio della Corte (si vedano mutatis mutandis, Gáll c. Ungheria, n. 49570/11, § 56, 25 giugno 2013; Baláž c. Slovacchia (dec.), n. 60243/00, 16 settembre 2003; e Spampinato c. Italia (dec.), n. 69872/01, 29 marzo 2007). Lo stesso vale per quanto riguarda la scelta dello strumento concreto di attuazione, ovvero la detrazione alla fonte, con facoltà per il contribuente di optare per la tassazione ordinaria (si veda il paragrafo 12 supra). In considerazione di quanto sopra, la Corte ritiene che, nel caso di specie, allo Stato convenuto debba essere accordato un margine di discrezionalità particolarmente ampio.

Rimane da accertare se si possa ritenere che la misura fiscale contestata abbia imposto ai ricorrenti un onere irragionevole o sproporzionato.

La Corte ritiene innanzitutto che l’aliquota fiscale applicata nel caso di specie, pari al 20% del totale dell’indennità di esproprio accordata, non possa essere considerata, dal punto di vista quantitativo, proibitiva. Inoltre non si può affermare che la detrazione di tale somma abbia avuto l’effetto di annullare o vanificare sostanzialmente l’indennità di esproprio liquidata dalla Corte di appello, al punto di conferire all’onere fiscale un carattere “confiscatorio”, e neanche che abbia condotto a una situazione paradossale mediante la quale lo Stato ha tolto con una mano, ovvero con il prelievo fiscale, più di quanto abbia concesso con l’altra, ovvero con l’indennità di esproprio (si veda mutatis mutandis, nel contesto dell’applicazione delle spese processuali, Perdigão c. Portogallo [GC], n. 24768/06, § 72, 16 novembre 2010). In altre parole, la Corte è convinta del fatto che le misure fiscali applicate nel caso di specie non siano giunte al punto di compromettere la sostanza stessa dei diritti di proprietà dei ricorrenti.

La Corte rileva inoltre che il fascicolo non contiene prove – e in ogni caso non è sostenuto dai ricorrenti – che dimostrino che il prelievo di tale somma abbia compromesso in maniera determinante la situazione finanziaria dei ricorrenti. Questo è uno dei fattori cui la Corte attribuisce importanza quando valuta se in un determinato caso sia stato conseguito un giusto equilibrio (si veda N.K.M. c. Ungheria, sopra citata, § 42 e gli ulteriori riferimenti ivi citati).

La Corte ritiene inoltre pertinente sottolineare che i ricorrenti, ai sensi della normativa in esame, avevano facoltà, se lo desideravano, di optare per la tassazione in regime ordinario di imposizione sul reddito, in quanto i contribuenti possono scegliere di accettare la detrazione del 20% applicata alla somma ottenuta, oppure optare per la tassazione ordinaria, che determina l’importo dovuto come imposta tenendo conto delle plusvalenze unitamente alle altre componenti del loro reddito (si veda il paragrafo 12 supra).

Quanto alle sentenze Scordino (n. 1) e Gigli Costruzioni invocate dai ricorrenti a sostegno delle loro tesi, la Corte osserva innanzitutto che tali cause riguardavano la concessione di indennità di esproprio che erano state drasticamente ridotte a causa dell’applicazione retroattiva di disposizioni di legge che prevedevano tali riduzioni, e risultavano pertanto molto inferiori al valore venale dei beni (si veda Scordino (n. 1), sopra citata, §§ 47-61 per una sintesi delle disposizioni pertinenti). Alla luce di tale specifico contesto fattuale la Corte ha concluso che era stato violato l’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si vedano Scordino (n. 1), sopra citata, §§ 99-104, e Gigli Costruzioni, sopra citata, §§ 38-50). Nel 2007 le disposizioni applicate nelle cause Scordino (n. 1) e Gigli Costruzioni sono state dichiarate incostituzionali e, conseguentemente, non sono state più applicate nei procedimenti relativi alla determinazione delle indennità di esproprio, che dovevano corrispondere al pieno valore venale del bene espropriato (si veda Messana c. Italia, n. 26128/04, § 18, 9 febbraio 2017). Nel caso di specie l’ammontare dell’indennità è stato determinato molto dopo la pronuncia delle sentenze della Corte Costituzionale e non ha pertanto subito alcuna riduzione rispetto al valore venale.

In ogni caso, nella causa Scordino (n. 1) (sopra citata, § 258) la Grande Camera è pervenuta alla seguente determinazione: “Infine, in ordine alla ritenuta fiscale del 20% applicata all’indennità di esproprio liquidata in sede nazionale, la Grande Camera, così come la Camera, non ha ritenuto l’applicazione di tale ritenuta illegittima in quanto tale, ma ha tenuto conto di tale fattore nella valutazione dei fatti”. Pertanto, ad avviso della Corte, non si può ritenere che la giurisprudenza citata dai ricorrenti implichi che l’applicazione dell’imposta violasse per se l’articolo 1 del Protocollo n. 1.

Per quanto sopra esposto e tenendo conto dell’ampio margine di discrezionalità di cui godono gli Stati in materia fiscale, la Corte ritiene che il prelievo dell’imposta sull’indennità di esproprio liquidata ai ricorrenti non abbia sconvolto l’equilibrio che deve essere conseguito tra la tutela dei diritti dei ricorrenti e l’interesse pubblico di assicurare il pagamento delle imposte. Conseguentemente, questa parte della doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in inglese, poi notificata per iscritto in data 8 febbraio 2018.

Linos-Alexandre Sicilianos

Presidente

Abel Campos

Cancelliere

 

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Avv. Umberto Davide

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