in materia di appalto, l’apertura del procedimento fallimentare nei confronti dell’appaltatore non comporta l’improcedibilità dell’azione precedentemente esperita dai dipendenti nei confronti del committente, ai sensi dell’art. 1676 c.c., per il recupero dei loro crediti verso l’appaltatore – datore di lavoro, atteso che – e tale motivazione si attaglia indubbiamente anche alle azioni esperite dopo l’apertura della procedura fallimentare – la previsione normativa di una tale azione risponde proprio all’esigenza di sottrarre il soddisfacimento dei crediti retributivi al rischio dell’insolvenza del debitore e che, d’altra parte, si tratta di un’azione “diretta”, incidente, in quanto tale, direttamente sul patrimonio di un terzo (il committente) e solo indirettamente su un credito del debitore fallito, sì da doversi escludere che il conseguimento di una somma, che non fa parte del patrimonio del fallito, possa comportare un nocumento delle ragioni degli altri dipendenti dell’appaltatore, che fanno affidamento sulle somme dovute (ma non ancora corrisposte) dal committente per l’esecuzione dell’opera appaltata; ne’ tale situazione suscita sospetti di incostituzionalità, con riferimento all’art. 3 Costituzione (letto in corrispondenza del principio della “par condicio creditorum”), non essendo irrazionale una norma che accorda uno specifico beneficio a determinati lavoratori, anche rispetto ad altri, in relazione all’attività lavorativa dai medesimi espletata e dalla quale un altro soggetto (il committente) ha ricavato un particolare vantaggio. D’altro canto (v. in motivazione Cass. n. 6333 del 2019 cit.), l’autonomia del giudizio in sede ordinaria del creditore nei confronti di uno dei condebitori in solido, rispetto all’improcedibilità del giudizio nei confronti del debitore principale per effetto del suo fallimento, non comporta l’attrazione nella competenza del tribunale fallimentare anche della causa promossa dal creditore nei confronti del primo, stante il carattere solidale della responsabilità dello stesso.

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Corte d’Appello|Bari|Sezione L|Civile|Sentenza|17 gennaio 2023| n. 27

Data udienza 10 gennaio 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI BARI

SEZIONE LAVORO

composta dai signori Magistrati:

Dott. Pietro Mastrorilli Presidente relatore

Dott. Ernesta Tarantino Consigliere

Dott. Maria Giovanna Deceglie Consigliere

alla pubblica udienza del 10/01/2023 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 1034/2020 R.G. promossa da:

COMUNE DI VALENZANO rappresentato e difeso dall’Avv. (…)

APPELLANTE

contro:

(…), contumace

APPELLATA

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza del 25.6.2020 il Tribunale del Lavoro di Bari rigettava l’opposizione proposta dal Comune di Valenzano avverso il decreto ingiuntivo n. 628/2019 con il quale (…) aveva ottenuto la liquidazione del trattamento di fine rapporto dovuto per il rapporto di lavoro svolto alle dipendenze dalla (…) SpA, in esecuzione di un contratto di appalto in favore del predetto Comune.

Con ricorso depositato il 7.8.2020 il Comune di Valenzano proponeva appello. Restava contumace la (…).

All’udienza odierna parte appellante confermava che il pagamento del TFR (nei limiti di cui infra) era intervenuto nelle more del giudizio di primo grado e precisamente in data 30.5.2020.

Quindi, la discussione precedeva la decisione della causa come da separato dispositivo.

Va premesso che è passato in giudicato il capo della sentenza del Tribunale di Bari che ha ritenuto l’inapplicabilità al Comune di Valenzano della disciplina di cui all’art. 29 comma 2 D.Lgs. n. 276/2003, nel testo modificato dall’art. 6 D.Lgs. n. 251 del 2004 e dall’art. 1 comma 911 L. 296/2011 (finanziaria 2007) e, al contempo, l’applicabilità al caso di specie della disciplina generale di cui all’art. 1676 c.c.. Tanto premesso, con il primo motivo di gravame il Comune si duole del fatto che il tfr – unico emolumento concesso in sede monitoria dal primo giudice – era stato pagato, nelle more del giudizio, “dal Fondo di Tesoreria dell’INPS” e ben “prima che il Giudice trattenesse la causa per la decisione”, il che aveva “decisamente inficiato l’esito della decisione sia sulla sorte del decreto ingiuntivo sia sulle spese legali statuite in sentenza” liquidate dal Tribunale in ragione di Euro 1.800,00. Il motivo risulta solo in parte fondato.

Dalla corrispondenza intercorsa tra le parti – successivamente alla sentenza resa il 25.6.2020 – emerge che il procuratore dell’odierna appellata con mail del 31.7.2020 ha dato atto che la (…), “prima” della decisione (non è specificata la data che, a questo punto, diviene irrilevante, per quanto si dirà anche in seguito) ha ottenuto dal Fondo di Garanzia presso l’INPS, a titolo di tfr, la somma di Euro 7.097,67, rimanendo così creditrice per residui Euro 2.422,36, oltre accessori.

Tale ultimo importo residuo non è stato infatti specificamente contestato dal Comune opponente neppure all’esito dell’ordinanza resa da questa Corte il 4.4.2022 con la quale le parti venivano invitate a meglio precisare quale fosse la residua materia del contendere.

Il decreto ingiuntivo andava, dunque, revocato nei limiti di tale minor somma il che, tuttavia, non si presta ad incidere sul carico delle spese processuali liquidate quanto al primo grado, atteso che la domanda monitoria risulta notificata il 20.3.2018 ed il pagamento risulta pacificamente avvenuto solo nel corso del giudizio di opposizione (come ammesso sia nella missiva dell’Avv. (…) del Comune del 30.7.2020 sia all’udienza odierna) e, tra l’altro, per effetto del pagamento di un “terzo” (INPS). Con il secondo motivo si lamenta “la mancanza di idonea prova della situazione di debenza del Comune nei confronti della società datrice” – appaltatrice ((…)), osservando che, a tal fine, doveva ritenersi “irrilevante la missiva a firma del Coordinamento sindacale temporaneo” la quale conteneva “una mera cronistoria degli eventi accaduti” e dalla quale “non potevano trarsi elementi per configurare una responsabilità della stazione appaltante….” Il motivo è infondato.

La Corte non ignora che, ai sensi dell’art. 1676 c.c. gli ausiliari dell’appaltatore possono proporre azione diretta contro il committente (qui il Comune) “fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda” (l’odierna domanda è stata proposta in via monitoria nel marzo 2018).

Per l’art. 1676 c.c., dunque, il committente rimane obbligato solo se c’è un debito e non ha ancora pagato l’appaltatore; talché, di fatto, non va incontro ad alcuna effettiva responsabilità, in quanto l’eventuale pagamento in favore del lavoratore comporterebbe l’estinzione del corrispondente debito verso l’appaltatore. Orbene, nel caso in esame l’odierna appellata, sin dalla domanda monitoria, ha espressamente (v. punto 9 della stessa) allegato la sussistenza “di una capienza da parte del Comune, sufficiente alle istanze di pagamento dei lavoratori licenziati” richiamando, all’uopo, una missiva del 27.4.2017 delle OO.SS. “presenti nel cantiere” (prodotta in atti dallo stesso Comune e valorizzata dal primo giudice) nella quale si dà atto che il R.U.P. (ovvero il Responsabile del Servizio Ambiente) aveva analiticamente evidenziato l’entità (ed i titoli) della debitoria all’epoca gravante sul Comune nei confronti della società appaltatrice (nella quale trovavano ampia capienza i crediti rivendicati dai lavoratori interessati).

A fronte di tali specifiche allegazioni contabili, il Comune in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, nulla obiettava o contestava, essendosi in tale atto limitato ad eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva a cagione dell’inapplicabilità dell’art. 29 del D.Lgs. 276/1993, nonché la “gravità del contegno di controparte” rea di aver intrapreso la presente azione monitoria dopo aver appreso, all’esito della notifica di altro decreto ingiuntivo (per il medesimo titolo) nei confronti di (…), dell’ammissione della società datrice di lavoro alla procedura di concordato preventivo per cessione dei beni, giusta decreto n. 1 del 23.1.2018 del Tribunale di Bari.

Per cui, la circostanza della “capienza” del debito del Comune risulta contestata (peraltro genericamente, senza cioè apportare alcun dato contabile specifico a confutazione di quelli riportati nella missiva sindacale suddetta) tardivamente e per la prima volta, solo in questa sede di appello.

Con il terzo ed ultimo motivo di gravame il Comune lamenta che l’apertura della suddetta procedura fallimentare renderebbe improcedibile l’odierna domanda monitoria (avviata quando la procedura concordataria suddetta era già aperta), in quanto lesiva di “fondamentali principi in materia di procedure concorsuali e par condicio creditorum”.

Anche tale motivo è destituito di fondamento.

A prescindere, infatti, dall’inammissibile novità anche di tale questione, vi è che, come affermato a più riprese dalla S.C. (v. sentenze n. 6333/2019 e n. 515/2016 nonché la pronuncia 3559/2001 e in senso conforme, le successive 16577/2004, 10626/2006 e 22304/2007), in materia di appalto, l’apertura del procedimento fallimentare nei confronti dell’appaltatore non comporta l’improcedibilità dell’azione precedentemente esperita dai dipendenti nei confronti del committente, ai sensi dell’art. 1676 c.c., per il recupero dei loro crediti verso l’appaltatore – datore di lavoro, atteso che – e tale motivazione si attaglia indubbiamente anche alle azioni esperite dopo l’apertura della procedura fallimentare – la previsione normativa di una tale azione risponde proprio all’esigenza di sottrarre il soddisfacimento dei crediti retributivi al rischio dell’insolvenza del debitore e che, d’altra parte, si tratta di un’azione “diretta”, incidente, in quanto tale, direttamente sul patrimonio di un terzo (il committente) e solo indirettamente su un credito del debitore fallito, sì da doversi escludere che il conseguimento di una somma, che non fa parte del patrimonio del fallito, possa comportare un nocumento delle ragioni degli altri dipendenti dell’appaltatore, che fanno affidamento sulle somme dovute (ma non ancora corrisposte) dal committente per l’esecuzione dell’opera appaltata; ne’ tale situazione suscita sospetti di incostituzionalità, con riferimento all’art. 3 Costituzione (letto in corrispondenza del principio della “par condicio creditorum”), non essendo irrazionale una norma che accorda uno specifico beneficio a determinati lavoratori, anche rispetto ad altri, in relazione all’attività lavorativa dai medesimi espletata e dalla quale un altro soggetto (il committente) ha ricavato un particolare vantaggio. D’altro canto (v. in motivazione Cass. n. 6333 del 2019 cit.), l’autonomia del giudizio in sede ordinaria del creditore nei confronti di uno dei condebitori in solido, rispetto all’improcedibilità del giudizio nei confronti del debitore principale per effetto del suo fallimento, non comporta l’attrazione nella competenza del tribunale fallimentare anche della causa promossa dal creditore nei confronti del primo, stante il carattere solidale della responsabilità dello stesso (in termini v. anche Cass. 9 luglio 2005, n. 14468).

L’appello va quindi accolto solo per quanto di ragione, come da dispositivo. Le spese del grado possono essere compensate atteso l’evidenziato accoglimento solo parziale dell’appello.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sull’ appello proposto dal Comune di Valenzano con ricorso depositato in data 7.8.2020 avverso la sentenza del Tribunale del lavoro di Bari del 25.6.2020 resa nei confronti di (…), così provvede: accoglie l’appello per quanto di ragione e per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, accoglie in parte l’opposizione del Comune di Valenzano, revoca il decreto ingiuntivo opposto e condanna il Comune appellante al pagamento in favore della (…), della minor somma di Euro 2.422,36 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione del credito al soddisfo; conferma nel resto l’impugnata sentenza; compensa le spese processuali di appello.

Così deciso in Bari il 10 gennaio 2023.

Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2023.

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: aspetti generali del contratto di appalto

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.