In ipotesi di azione ex art. 146 l.fall. nei confronti dell’amministratore, ed ai fini della liquidazione del danno cagionato da quest’ultimo per aver proseguito l’attività ricorrendo abusivamente al credito pur in presenza di una causa di scioglimento della società, così violando l’obbligo di cui all’art. 2486 c.c., il giudice può avvalersi in via equitativa, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all’incompletezza dei dati contabili ovvero alla notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento, del criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali, a condizione che tale utilizzo sia congruente con le circostanze del caso concreto e che, quindi, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato ed abbia specificato le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla sua condotta

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Corte d’Appello Catania, Sezione 1 civile Sentenza 19 aprile 2019, n. 914

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’appello di Catania, Prima Sezione Civile, composta dai sigg. magistrati:

dott.ssa Veronica MILONE – Presidente

dott.ssa Antonella ROMANO – Consigliere rel.

dott.ssa Maria Rosaria CARLA’ – Consigliere

ha emesso la seguente

SENTENZA

nelle cause riunite iscritte ai nn. 2120/2017 e 300/2018 R.G.

TRA

(…), nato ad (…) il (…), avente c.f. (…), rappresentato e difeso dagli Avvocati An.Sc., avente c.f. (…), e Ro.Ca., avente c.f. (…), elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo sito in Catania, via (…);

E

(…), nato a C. il (…), avente c.f. (…), rappresentato e difeso dall’Avv. Orazio Giovanni Vecchio, avente c.f. (…), presso il cui studio, sito in Santa Venerina, via (…), è elettivamente domiciliato;

E

(…) S.r.l. in liquidazione, avente p. iva (…), REA n. 205885, in persona del curatore p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Gi.Au., avente c.f. (…), presso il cui studio, sito in Piazza (…), è elettivamente domiciliato;

CAUSA POSTA IN DECISIONE ALL’UDIENZA DEL 26.10.2018

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza pubblicata in data 20.7.2017, il Tribunale di Catania, decidendo la controversia instaurata nell’aprile 2014 dalla Curatela del (…) s.r.l. in liquidazione, nei confronti dell’amministratore, (…), e del liquidatore (…), statuiva come appresso indicato.

Condannava il primo al pagamento, in favore della curatela attrice, della complessiva somma di Euro 1.499.554,65 oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

Condannava il secondo al pagamento, in favore della curatela attrice, della complessiva somma di Euro 55.756,98 oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

Condannava entrambi in solido al pagamento, in favore della curatela attrice, della complessiva somma di Euro 328.000 oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

Avverso tale sentenza interponevano appello entrambi i soccombenti convenuti, insistendo per il rigetto di ogni domanda.

Riuniti i due giudizi, all’udienza del 26.10.2018, le parti precisavano le rispettive conclusioni come in atti e la causa veniva posta in decisione, assegnando loro i termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Vanno, per esigenze di massima chiarezza, evidenziate preliminarmente le seguenti circostanze:

-(…) è stato legale rappresentante della (…) s.r.l. sino al 14.4.2009;

-a tale data la società è stata posta in liquidazione;

-è stato nominato liquidatore (…), già consulente fiscale della società;

-nel febbraio 2010 il (…) ha chiesto dichiararsi il fallimento della società;

-con sentenza del 12.2.2010, il Tribunale di Catania ne ha dichiarato il fallimento;

-con atto di citazione dell’aprile 2014 la curatela del fallimento chiedeva la condanna tanto del (…), quanto del (…), al risarcimento dei danni conseguenti alle contestazioni, specificatamente mosse agli stessi.

A fronte delle specifiche contestazioni della curatela attrice il primo giudice disponeva ctu con il mandato di accertare:

“a) se e quando si è verificata la integrale perdita del capitale sociale, previa rettifica dei bilanci ove riscontrate le irregolarità contabili lamentate dalla curatela;

b) se sia possibile sulla base della contabilità in atti individuare la protrazione dell’attività sociale da parte dell’organo amministrativo mediante atti non meramente conservativi del patrimonio sociale e, conseguentemente, l’aggravamento del deficit che ne è derivato al momento in cui è stato poi azzerato il capitale sociale, tenuto conto di tutte le eventuali voci attive eventualmente determinatesi medio tempore e detratti da questo tutti i costi fissi che la società avrebbe comunque affrontato nel corso di una gestione conservativa;

c) in caso di risposta negativa la differenza dei patrimoni netti alla data dell’azzeramento del capitale sociale e alla data del fallimento della società”.

Orbene, prima di esaminare la motivazione dell’impugnata sentenza, è opportuno porre in evidenza come, nel bilancio del 2006 della (…) s.r.l., sono indicati crediti per Euro 328.000,00, con l’unica indicazione che si tratta di “effetti in portafoglio”, senza specificazione alcuna del nome dei creditori, della loro composizione e delle relative scadenze.

Il ctu ne deduce, in modo del tutto condivisibile, l’inesistenza di tali crediti e, conseguentemente, l’integrale erosione del capitale sociale già al 31.12.2007, che avrebbe imposto al (…) di procedere alla liquidazione della società, disposta piuttosto nell’aprile 2009.

Tale omissione del (…) è riconosciuta dal primo giudice, quale l’inadempimento più grave imputabile allo stesso, le cui conseguenze in termini di danno sono quantificate nella misura di Euro. 1.170.825,00.

Riconosce poi il primo giudice solo alcuni degli altri specifici atti di mala gestio contestati al (…) dalla curatela.

Riconosce, anzitutto, che il (…) ha eseguito pagamenti non giustificati in favore di (…) srl, società, peraltro, poi, dichiarata fallita e senza fondi per il pagamento dei creditori chirografari, per complessivi Euro 194.674,28, nonché in favore di altri per ulteriori Euro 90.957,69.

Riconosce, inoltre, prelevamenti eseguiti, in qualità di socio o amministratore per complessivi Euro.21.860,00 in palese violazione del disposto dell’art. 2467 c.c.

Riconosce, infine, l’ indebita percezione di compensi per l’anno 2006 per Euro.21.237,68 in assenza di apposta delibera assembleare.

Una volta richiamata sinteticamente la parte della motivazione che afferisce il solo (…), può ora procedersi all’esame dell’appello proposto dal medesimo, che si articola in due motivi, nei quali confluiscono diverse censure.

La prima censura da considerare, per esigenze di priorità logica, è la censura con la quale il (…) nega ogni inadempimento o responsabilità, formulando varie considerazioni e concludendo con la seguente affermazione: “Non v’è traccia, in sostanza, di una condotta colposamente o peggio dolosamente inadempiente dell’Amministratore (…) (contraria all’obbligo di diligenza ex art. 2392 c.c. o a specifici doveri imposti dalla legge), ben potendo le operazioni effettuate e le relative perdite, essere considerate normali ovvero tali da non discostarsi dagli standard razionali di condotta esigibili e, conseguentemente nessuna responsabilità nel fallimento poteva essergli addebitata”.

La censura in esame è inammissibile, in quanto non contesta specificatamente le precise considerazioni del primo giudice sopra sommariamente richiamate, invero non considerate in alcun modo.

In particolare, va evidenziato che il (…) non contesta, affatto, la motivata affermazione del ctu, fatta propria dal primo giudice, secondo cui gli “effetti in portafoglio”, risultanti nel bilancio del 2006 erano una posta fittizia.

Neppure contesta la motivata affermazione del primo giudice, secondo cui, già al 31.12.2007, il (…) avrebbe dovuto porre in liquidazione la società.

Nell’ambito dello stesso primo motivo, il (…) contesta come, erroneamente, il primo giudice abbia affermato la sussistenza del nesso di causalità fra la sua condotta inadempiente ed i riconosciuti danni, solo ricorrendo ad un ragionamento probabilistico.

La censura in esame è infondata, posto che “Nell’accertamento del nesso causale in materia di responsabilità civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non a differenza che nel processo penale, ove vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio (CFR. da ultimo Cass. n. 27720/2018).

Sempre nell’ambito dello stesso motivo, il (…) contesta come il primo giudice abbia adottato una decisione in contrasto con le conclusioni del ctu, di cui riporta la seguente affermazione:

” alla luce della documentazione disponibile non è in alcun modo possibile per lo scrivente espletare l’accertamento nei termini di cui al punto sub b) del quesito posto, in quanto dalla mera disamina delle sole registrazioni per come riportate sul libro giornale di contabilità posto in uso, non è possibile distinguere in modo analitico ed esaustivo le singole operazioni non produttive di danno, che devono connotare una gestione meramente conservativa, da quelle effettivamente dannose per la Società”.

Anche la censura in esame è inammissibile, non avendo il (…) censurato specificatamente l’ affermazione del primo giudice, secondo cui l’impossibilità ravvisata dal ctu imponesse di conteggiare il danno nella differenza tra i netti patrimoniali, pari ad Euro. 1.170.825,00.

E’, invero, insegnamento della Corte di Cassazione quello per cui,

“In ipotesi di azione ex art. 146 l.fall. nei confronti dell’amministratore, ed ai fini della liquidazione del danno cagionato da quest’ultimo per aver proseguito l’attività ricorrendo abusivamente al credito pur in presenza di una causa di scioglimento della società, così violando l’obbligo di cui all’art. 2486 c.c., il giudice può avvalersi in via equitativa, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all’incompletezza dei dati contabili ovvero alla notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento, del criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali, a condizione che tale utilizzo sia congruente con le circostanze del caso concreto e che, quindi, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato ed abbia specificato le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla sua condotta” (Cfr: Cass. n. 9983/2017).

Con il secondo motivo, il (…) contesta anzitutto la mancata ammissione delle richieste prove testimoniali, tramite le quali avrebbe voluto dimostrare le ragioni dei pagamenti ritenuti indebiti dal primo giudice.

La censura in esame è inammissibile, posto che il (…), all’udienza di precisazione delle conclusioni innanzi il primo giudice, non ha insistito per l’ammissione delle richieste prove testimoniali, sicché esse devono considerarsi rinunciate.

Nell’ambito del secondo motivo, il (…) contesta la quantificazione del danno afferente la prosecuzione dell’attività. Osserva: “….in astratto, la prosecuzione dell’attività, per quanto non conservativa, può anche non aver cagionato alcun danno, in quanto ….. avrebbe fisiologicamente riportato tali valori”.

La censura in esame va rigettata, per la sua genericità, in quanto il (…) non ha indicato affatto quali perdite si sarebbe comunque verificate e per quali motivi.

Procedendo ora all’esame dell’appello proposto dal (…), va anzitutto richiamato il nucleo centrale della motivazione del primo giudice che ne ha riconosciuto la responsabilità.

Tale giudice, per quanto ancora rileva, afferma:

-che il (…), nominato liquidatore della società, avrebbe dovuto chiedere subito il suo fallimento e non attendere nove mesi prima di presentare la relativa richiesta;

-che il danno va riconosciuto nelle perdite di tale periodo, quantificate dal ctu in Euro 52.156,98;

-che il (…) doveva essere anche condannato, in solido con il (…), al pagamento di Euro 328.000 pari all’importo degli “effetti in portafoglio”, non rinvenuti;

-che questi, infatti, alla richiesta di consegna del curatore, rispondeva laconicamente di non averli mai ricevuti.

Con il primo motivo, (…) lamenta come erroneamente il primo giudice lo abbia condannato al pagamento di Euro 52.156,98 somma conteggiata sommando i costi del periodo di liquidazione, consistenti in:

– Euro 15.005,85 per consulenze professionali;

-Euro 10.970,55 per canoni di locazione;

-Euro 9.007,00 per canoni di leasing;

– Euro 8.585,33 per interessi passivi;

-Euro 6.917,20 per energia elettrica.

Osserva come il medesimo ctu abbia ritenuto:

-che tali costi erano coerenti e fisiologici alla gestione liquidatoria;

-che, infatti, il (…) aveva correttamente dato incarico a due legali “recuperare i crediti sociali e, quindi, le risorse finanziarie necessarie al pagamento dei creditori sociali e alla conduzione della liquidazione”;

-che, successivamente, “preso atto delle relazioni a firma dei legali incaricati (che evidenziavano le difficoltà di recuperare a breve i crediti sociali) ed accertate le difficoltà finanziarie per il proseguimento della liquidazione, il Dott. (…) doverosamente richiedeva alla compagine di approntare, secondo una precisa tempistica, i necessari capitali, in mancanza dei quali avrebbe richiesto al Tribunale il fallimento della Società”, come effettivamente poi avvenuto.

Il motivo in esame è infondato, non potendosi affatto condividere le conclusioni cui è giunto il consulente di ufficio, per come argomentato dal primo giudice, con motivazione che è tuttavia necessario integrare, per esigenze di massima chiarezza.

Va osservato, anzitutto, che è incontestato in atti che il (…), di professione commercialista, era stato incaricato della gestione fiscale della (…) s.r.l.

Ne consegue che doveva conoscere, già, al momento della sua nomina quale liquidatore, la disastrosa situazione economica della stessa, ad iniziare dell’entità, veramente notevole, dei debiti assunti dalla società, per il versante delle passività, e dell’inesistenza degli effetti in portafoglio per Euro 328.000 per il versante delle attività.

Anche a non voler presumere, per assurdo, che il (…), nella qualità di consulente fiscale della società abbia redatto i bilanci in questione, la cui non corrispondenza con la realtà è stata accertata dal ctu, giungendo, a mero titolo di esempio, riclassificando il conto economico dell’esercizio 2008, in cui era indicata una perdita di Euro 327.784, a determinare una perdita effettiva di Euro 1.029.223, proprio la sua qualifica professionale gli avrebbe dovuto consentire di cogliere, subito, la non corrispondenza dei bilanci alla realtà.

Si ricordi, a questo riguardo, che fra le attività erano indicate Euro 328.000 per effetti in portafoglio, che lo stesso (…) ha dichiarato di non aver rinvenuto, sicché deve presumersi, in mancanza di sue doverose iniziative per il loro recupero, che lo stesso (…) abbia dedotto la loro inesistenza.

Del resto è significativo che ha incaricato due legali di verificare la riscuotibilità di crediti, per lo più di modesta rilevanza, fatta eccezione per il un credito di 46.000, almeno stando agli importi indicati dai due legali nelle scarne relazioni, ma non si è attivato per rinvenire e dunque riscuotere i noti effetti in portafogli del notevole importo di 328.000, che ben sapeva, all’evidenza, essere una posta fittizia.

A fronte della complessiva situazione della (…) s.r.l., in conclusione, il (…) era ben consapevole dell’insolvenza della stessa, intesa come insufficienza degli elementi attivi del patrimonio sociale ad assicurare l’eguale e integrale soddisfacimento dei creditori sociali, stante il suo stato di liquidazione.

E’ principio pacifico in giurisprudenza, invero, quello per cui

“Quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’articolo 5 della legge fallimentare, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale e integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi la impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, e alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte” (CFR: Cass. n. 19414/2017).

Doveva, pertanto, chiedere subito il suo fallimento, in quanto il divario fra le effettive attività e le effettive passività, non consentiva di prevedere, affatto, un esito positivo della liquidazione.

Del tutto inutili, in tale contesto, erano dunque, gli accertamenti demandati ai due legali, tanto più che un’eventuale attività di recupero avrebbe imposto delle spese, in alcun modo sostenibili dalla società.

Significativa, peraltro, dell’assoluta consapevolezza del (…) dell’impossibilità di procedere nella liquidazione, a fronte della consolidata insolvenza della società, è la stessa affermazione resa dal (…) in seno alla relazione ai soci del 30 novembre 2009 del seguente, inequivoco, tenore:

“Stante la sopra esposta situazione finanziaria per il proseguimento dell’attività di liquidazione è necessario ed indifferibile che i soci apportino capitali freschi secondo il seguente prospetto:

Euro 100.000,00 entro 30 giorni

Euro 200.000,00 entro 60 giorni

Euro200.000,00 entro sei mesi

Euro200.000,00 entro 12 mesi.

In difetto di tali versamenti, il sottoscritto trascorsi trenta giorni dal mancato versamento della prima quota, si vedrà costretto al deposito dei libri contabili presso la competente sezione fallimentare del Tribunale di Catania”.

Con il secondo motivo, (…) si duole, con ampie e specifiche considerazioni, della condanna al pagamento di Euro 328.000.

Il motivo è fondato e va accolto, posto che lo stesso primo giudice ha riconosciuto la fittizietà dell’appostazione in bilancio degli “effetti in portafoglio”.

Ne consegue che è caduto in contraddizione, quando non ha creduto alla giustificazione del (…) di non averli rinvenuti.

L’esito complessivo del giudizio nei confronti del (…), rimasto soccombente, ma con una rilevante riduzione dell’originaria condanna, impone di compensare nella misura di due terzi le spese di entrambi i gradi, ponendo a carico del (…) la restante parte, liquidata come in dispositivo, in applicazione dell’art. 91 c.p.c.

P.Q.M.

La Corte d’appello, definitivamente pronunziando nei procedimenti riuniti nn. 2120/2017 e 300/2018 R.G., così statuisce:

-rigetta l’appello proposto da (…) e lo condanna alla refusione delle spese giudiziali del secondo grado, liquidate in Euro 19.000, oltre rimborso spese generali, iva e cpa, dando atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo del comma 1 quater dell’art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002;

-in parziale accoglimento dell’appello proposto da (…) ed in parziale riforma dell’impugnata sentenza:

-rigetta la domanda di condanna del (…) al pagamento di Euro 328.000;

-compensa per due terzi le spese di entrambi i gradi nel rapporto fra la curatela appellata ed il (…);

-condanna (…) alla refusione, in favore della curatela appellata, della restante parte delle spese giudiziali liquidate nell’intero in Euro 12.000 per il primo grado ed in Euro 9.000 per il secondo grado, oltre rimborso spese generali, iva e cpa.

Così deciso in Catania il 15 marzo 2019.

Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.