l’espressione “ferie annuali retribuite”, di cui all’art. 7, n. 1 della Direttiva n. 88 del 2003, intende significare che, per la durata delle ferie annuali, “deve essere mantenuta” la retribuzione; in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo. L’obbligo di monetizzare le ferie è volto a mettere il lavoratore, in occasione della fruizione delle stesse, in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro. La retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore e che una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione. Sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore… di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro. Pertanto “qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore, deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell’ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali. All’opposto, non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell’importo da versare durante le ferie annuali “gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell’espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro.

Corte d’Appello|Milano|Sezione L|Civile|Sentenza|18 luglio 2023| n. 522

Data udienza 9 maggio 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Milano, Sezione Lavoro composta da:

Dott. Monica VITALI Presidente

Dott. Roberto VIGNATI Consigliere

Dott. Andrea TRENTIN Giudice Ausiliario – Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile in grado di appello n. 203 del 2023 avverso la sentenza n. 1540 del 2022 emessa dal Tribunale di Milano, Sezione Lavoro (Florio), decisa il giorno 09 Maggio 2023 e promossa da:

(…) S.p.A. (c.f. e Partita IVA n. (…)) rappresentata e difesa dall’Avvocato prof. (…) (c.f. (…)) e dall’Avvocato (…) (c.f. (…)), elettivamente domiciliata in Milano, (…), presso lo Studio del primo – Appellante;

contro

(…) (c.f. (…)) rappresentato e difeso dall’Avvocato (…) elettivamente domiciliato in Milano, Via (…) presso lo studio del difensore – Appellato.

CONCLUSIONI

Per la parte appellante come da ricorso in appello datato 22 febbraio 2023: “Voglia questa ecc.ma Corte d’Appello, previa fissazione dell’udienza di discussione: nel merito, in riforma della sentenza n. 1540/2022 del 26.8.2022 del Tribunale di Milano, respingere tutte le domande avversarie perché infondate in fatto e in diritto, con conseguente condanna dell’appellato a restituire tutto quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado; in subordine limitare la condanna della Società agli importi effettivamente dovuti all’appellato nei limiti della prescrizione quinquennale, con esclusione delle differenze retributive in ipotesi maturate per il periodo anteriore al 22.2.2016 e, per l’effetto, condannare l’appellato alla restituzione di tutto quanto eventualmente percepito in eccesso per esecuzione della sentenza di primo grado”; Per la parte appellata come da memoria di costituzione datata 6 aprile 2023:” Piaccia all’Ill.ma Corte d’Appello adita, contraria rejectis, rigettare l’appello proposto dalla Società (…) S.p.a. avverso la sentenza n. 1540/2022 emessa dal Tribunale di Milano, Sez. Lavoro, Est. Dott.ssa Florio. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa da distrarsi in favore dell’Avvocato (…) che si dichiara antistatario”.

Fatto e svolgimento del Giudizio

Il Tribunale di Milano con la sentenza n. 1540 del 2022 ha accertato e dichiarato la nullità dell’articolo 34.8 Contratto Aziendale FS 2003 e dell’articolo 31.5 Contratto Aziendale FS 2012 e 2016, nella parte in cui limitano l’indennità di utilizzazione professionale giornaliera, da corrispondere nelle giornate di ferie, all’importo fisso rispettivamente di Euro 3,50 ed Euro 4,50, dichiarando, altresì, l’inapplicabilità dell’articolo 72.2.4 dei CCNL della Mobilità, Area Attività Ferroviarie 2003 e dell’articolo 77.2.4 CCNL della Mobilità, Area Attività Ferroviarie del 20.7.2012 e del 16.12.2016, nella parte in cui escludono l’indennità per assenza dalla residenza dal calcolo della retribuzione spettante per i periodi di ferie e dell’articolo 25.6 CCNL della Mobilità, Area Attività Ferroviarie 2003 e dell’art. 30.6 CCNL della Mobilità, Area Attività Ferroviarie 2012 e 2016 nella parte in cui limitano il computo della retribuzione dei giorni di ferie ai soli elementi ivi indicati.

Il Tribunale di Milano ha, inoltre, dichiarato il diritto del ricorrente (…) al pagamento di ciascuna giornata di ferie con una retribuzione comprensiva dell’indennità di assenza dalla residenza, dell’indennità di utilizzazione professionale, dell’indennità scorta vetture eccedenti e del premio scoperta irregolarità previsti dalle disposizioni collettive di cui al ricorso e ha condannato (…) S.p.a., per le differenze maturate dal gennaio 2008 al 31.12.2020, a corrispondere a (…) Euro 5.944,94, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo. Spese del grado secondo il principio di soccombenza liquidati in complessivi euro 2.500,00 oltre spese generali e accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario.

In motivazione il Tribunale di Milano – richiamate le norme della Contrattazione Collettiva e Aziendale e conformandosi all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità e di merito prevalente – ha ritenuto le indennità dedotte in giudizio come indennità intrinsecamente connesse alla natura delle mansioni svolte dal lavoratore e, come tali, da computarsi nel calcolo della retribuzione feriale.

In particolare il primo giudice – richiamando e applicando la nozione di retribuzione durante le ferie derivata dalla normativa interna e dell’Unione Europea – ha ritenuto che l’indennità di utilizzazione professionale, l’indennità per assenza dalla residenza, l’indennità scorta vetture eccedenti ed il premio scoperta irregolarità siano emolumenti correlati allo svolgimento del mansione del ricorrente e finalizzate a compensare il disagio per l’espletamento dell’attività così come indicato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro, e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore, deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell’ammontare che spetta al lavoratore durante le ferie annuali.

In applicazione dei predetti insegnamenti il primo giudice ha, quindi, dichiarato sia la nullità dell’articolo 31 punto 5 dei contratti aziendali 2012 e 2016 del Gruppo Ferrovie dello Stato – nella parte in cui limitano l’indennità di utilizzazione professionale giornaliera, da corrispondere nelle giornate di ferie, all’importo fisso di Euro 12,80 – e sia l’inapplicabilità dell’articolo 77 punto 2.4 dei CCNL della Mobilità, Area Attività Ferroviarie del 20.7.2012 e del 16.12.2016 – nella parte in cui si esclude l’indennità per assenza dalla residenza dal calcolo della retribuzione spettante per i periodi di ferie -riconoscendo, pertanto, il diritto del ricorrente al pagamento di ciascuna giornata di ferie con una retribuzione comprensiva dell’indennità di assenza dalla residenza di cui all’articolo 77 punto 2.1 del CCNL della Mobilità, Area Attività Ferroviarie del 20.7.2012 e del CCNL della Mobilità, Area Attività Ferroviarie del 16.12.2016 e dell’indennità di utilizzazione/condotta e chilometrica di cui all’articolo 31 tabella B dei contratti aziendali 2012 e 2016, calcolate sulla media dei compensi percepiti a tali titoli in ciascun anno di fruizione delle ferie, detratto l’importo fisso giornaliero di Euro 12,80 già riconosciuto.

Da ultimo il Tribunale di Milano ha disatteso l’eccezione della Società resistente di prescrizione quinquennale delle pretese creditorie del ricorrente all’uopo richiamando la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 379 del 2019 che, richiamando la giurisprudenza di legittimità in materia, ha ritenuto che – ai fini della decorrenza della prescrizione in materia di crediti da lavoro subordinato –

“In un rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza invece il rapporto d’impiego pubblico, il timore del recesso, cioè del licenziamento, spinge o può spingere il lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei propri diritti; dimodoché la rinuncia, quando è fatta durante quel rapporto, non può essere considerata una libera espressione di volontà negoziale e la sua invalidità è sancita dall’art. 36 della Costituzione” ritenendo, pertanto, ravvisabile la sussistenza di quella condizione di metus che, in base ai consolidati principi dettati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, esclude il decorso del termine prescrizionale in costanza di rapporto di lavoro.

Avverso detta decisione ha interposto appello (…) S.p.a. articolando sette motivi.

Con il primo motivo – intestato” I limiti specifici della sentenza impugnata” -l’appellante ha censurato la sentenza per non avere colto le peculiarità irripetibili del caso in esame all’uopo censurando sia il richiamo alla normativa comunitaria e sia il richiamo all’articolo 36 della Costituzione atteso che, nel caso in esame, non sussiste alcun contrasto tra normativa contrattuale collettiva e norma primaria comunitaria. In particolare l’appellante ha dedotto che la sentenza impugnata ha omesso ogni confronto con le tesi difensive della società e non ha tenuto in alcuna considerazione la storia e la genesi della “indennità di utilizzazione professionale” (IUP) e del suo confluire nel salario di produttività, pacificamente erogato durante le ferie per importi di circa mille euro al mese non avendo, il primo giudice, riservato alcuna attenzione al ruolo della contrattazione collettiva.

Con il secondo motivo – intestato” La corretta nozione comunitaria di retribuzione durante le ferie” – l’appellante, richiamando giurisprudenza di merito a sé favorevole (Appello Torino n. 258 e seguenti del 2022) ha dedotto sia una errata applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e di legittimità in materia di ”ferie” (atteso che la giurisprudenza richiamata, esprimendosi con locuzioni quali “in linea di principio” e “retribuzione paragonabile”, non richiede che la retribuzione feriale debba essere esattamente uguale alla retribuzione per il periodo di lavoro) e sia una omessa valorizzazione della contrattazione collettiva che, in materia di retribuzione, svolge un ruolo preminente e insostituibile di adeguamento dei principi generali al caso concreto. In applicazione di una corretta interpretazione della nozione comunitaria di retribuzione durante le ferie il lavoratore avrebbe dovuto dimostrare non solo che le voci variabili richieste costituiscono elementi retributivi intrinsecamente connessi alla natura delle mansioni svolte o correlati al proprio status professionale ma anche che:

(a) tali voci non siano state già prese in considerazione dalle parti sociali, al fine di individuare una retribuzione per la giornata di ferie;

(b) il trattamento complessivo comunque reso durante le ferie non sia “paragonabile” a quello per la giornata ordinaria, secondo una valutazione da effettuare nello specifico settore e in relazione anche al valore degli importi, e quindi, di fatto, si realizzi in concreto un effetto dissuasivo.

Con il terzo motivo – intestato:” Limiti della sentenza impugnata: l’indennità per scorta vetture eccedenti e il premio per la scoperta di irregolarità o abusi ” – l’appellante ha dedotto l’ erroneità della decisione assunta dal primo giudice rilevando che – per quanto concerne l’indennità per scorta vetture eccedenti – si tratta di un emolumento non solo eventuale, perché legato alla composizione del convoglio scortato, ma anche residuale, perché l’adozione della c.d. “composizione bloccata” ha consentito alla Società di programmare i turni in modo da evitare “eccedenze”, e – per il premio per la scoperta di irregolarità o abusi – che non compensa alcun disagio legato alla mansione, ma costituisce un incentivo di tipo eventuale e variabile, legato alla repressione dell’evasione tariffaria. Anche in questo caso, si tratta di un emolumento del tutto “aleatorio”, perché la sua corresponsione dipende dalla circostanza, estranea alla volontà sia del capotreno sia dell’azienda, che un utente salga a bordo sprovvisto di titolo di viaggio.

Con il quarto e quinto motivo – intestati rispettivamente: ” Limiti della sentenza impugnata: l’indennità di utilizzazione professionale (IUP) è già adeguatamente compresa nella retribuzione per Ferie” e “(segue) Limiti della sentenza impugnata: il compenso per assenza dalla residenza” – l’ appellante, dopo avere ricostruito la storia dell’Indennità di Utilizzazione Professionale, ha dedotto l’erroneità della decisione nella parte in cui muove “dall’erronea percezione che la IUP variabile di cui al comma 4 dell’art. 31 CA 2012 e 2016 (la cui incidenza viene rivendicata in causa) sia l’intero, il tutto, il compenso che percepisce il personale di bordo quando fa il suo lavoro, mentre la IUP giornaliera in misura fissa di cui al punto 5 sia solo una parte, un minus per quando il personale di bordo non lavora ” all’uopo deducendo che la interpretazione dell’articolo 31 del Contratto Aziendale:” conferma che la IUP ex art. 31, punto 4 e la IUP giornaliera di euro 4,50 sono due forme di erogazione del medesimo compenso, sono entrambe correlate alle mansioni tipiche del personale di bordo e al suo status professionale e sono una alternativa all’altra semplicemente in ragione della modalità di esecuzione della prestazione (in viaggio o nell’impianto di appartenenza o in sua prossimità)” e che: “Come si evince dagli artt. 31, CA 2012 e 31 CA 2016, punto 69 la IUP giornaliera di euro 4,50 è corrisposta dall’8° giorno di malattia, con ciò confermando che tale importo è considerato adeguato a mantenere al lavoratore una retribuzione paragonabile a quella ordinaria, esigenza che sussiste non solo per le ferie, ma con pari dignità e forza anche per il lavoratore in malattia”.

Sul punto l’appellante ha rilevato che la IUP variabile è alternativa alla IUP giornaliera e viene corrisposta solo quando il personale svolge prestazioni in viaggio, mentre la IUP giornaliera è corrisposta quando il personale di bordo svolge mansioni sue tipiche, ma in impianto, concludendo affermando che: ” La sentenza e i precedenti invocati hanno quindi creato di fatto una nozione europea armonizzata di retribuzione che non esiste, ma soprattutto hanno trascurato la natura “teleologica” della nozione comunitaria di retribuzione da riconoscere nei giorni di ferie e hanno omesso di compiere la valutazione empirica del caso concreto, si noti bene, da effettuarsi “… avendo riguardo alla specificità dei singoli ordinamenti nazionali …” (Cass. 20216/2022), specificità che implica, per il nostro ordinamento, una considerazione della contrattazione collettiva come elemento di inveramento concreto in ogni settore di quanto prevede non solo l’art. 36, comma 1 Costituzione, ma anche l’art. 36, comma 3 della stessa, relativo alle ferie”

Per quanto concerne lo specifico profilo del “Compenso per assenza dalla residenza” l’appellante ha censurato la decisione del primo giudice nella parte in cui ha incluso il detto compenso nelle giornate di ferie atteso che detta voce ha “pacifica e reale natura indennitaria …che lo esclude dalla nozione “giuridica” e tecnica di retribuzione, secondo il regime fiscale e contributivo stabilito per legge e di fatto applicato”. Con il sesto motivo – intestato: “L’incidenza delle somme richieste (e della IUP in particolare) non può comportare alcun effetto dissuasivo” – l’appellante ha dedotto, in primo luogo, che la valutazione dell’effetto dissuasivo deve essere fatta su base annua sul punto evidenziando che, a tutto concedere, le differenze retributive eventualmente spettanti all’appellato ammonterebbero – al lordo della prescrizione quinquennale – ad euro 4.917,50 pari a una variazione del 2,80% e, in secondo luogo, che dovrebbe considerarsi separatamente l’effetto dissuasivo legato agli importi richiesti per la sola IUP variabile poiché” su tale voce abbiamo un parziale computo (pacifico) ed una precisa valutazione della contrattazione collettiva che impone quindi a controparte l’onere di dimostrare tale effetto dissuasivo”.

Con il settimo motivo – intestato: “In subordine: eccezione di prescrizione” -l’appellante ha censurato il richiamo all’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nella fattispecie in esame, opererebbe la sospensione della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro, chiedendo, quindi – nella denegata ipotesi in cui la sentenza impugnata dovesse trovare conferma – di detrarre dagli importi riconosciuti a titolo di differenze retributive le differenze retributive maturate per il periodo anteriore al febbraio 2016″ perché l’appellato ha rivendicato il pagamento delle invocate indennità anche nella giornata di ferie solo con pec del 22.2.2021 ” (doc. avv. 9, I grado) “. All’interposto appello ha resistito (…) chiedendo il rigetto dell’interposto appello sulla base dei plurimi precedenti, di legittimità e di merito. Il giorno 09 maggio 2023 la causa è stata decisa come da dispositivo steso in calce.

MOTIVAZIONE

L’appello va respinto condividendo, questo Collegio, le motivazioni assunte da plurimi precedenti di questa Corte territoriale (cfr. Corte d’Appello di Milano, sentenze nn. 32/2020, 36/2020, 596/21, 892/2021, 1470/2021; 397/2022) conformi agli insegnamenti della giurisprudenza della Corte di Cassazione, pronunciate in controversie del tutto sovrapponibili alla presente, per l’esatta coincidenza delle voci retributive esaminate e dei motivi di gravame proposti.

In particolare, questa stessa Corte d’Appello, con la sentenza n. 1470/2021 (presidente Vitali, estensore Pattumelli) ha evidenziato che il diritto del lavoratore a ferie retribuite trova una disciplina sia nel diritto interno (art. 36 Cost., comma 3: “Il lavoratore ha diritto… a ferie annuali retribuite”; art. 2109 c.c., comma 2: il prestatore di lavoro ha diritto “ad un periodo annuale di ferie retribuite”; D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10, ratione temporis applicabile: “… il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo… di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane”), sia in quello dell’Unione (art. 7 Direttiva n. 2003/88/CE: “1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefìci di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali…”; articolo 31 n. 2 intitolato “Condizioni di lavoro giuste ed eque” della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – a cui l’articolo 6 n. 1 TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei trattati – secondo cui:”… Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e ferie annuali retribuite”).

Nella sentenza in esame, dando continuità ai principi già espressi dalla Corte di Cassazione con la pronuncia n. 13425 del 17.5.2019 seguita dalla sentenza n. 22401/2020, la Corte di Appello di Milano ha precisato che:

“Il diritto alle ferie retribuite di almeno quattro settimane, secondo giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione (sentenza del 20 luglio 2016, Maschek, C-341/15, punto 25 e giurisprudenza ivi citata); ad esso non si può derogare e la sua attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla Direttiva 2003/88 (v. sentenza del 12 giugno 2014, Bollacke, C-118/13, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).Più specificamente, secondo la Direttiva n. 88 del 2003, il beneficio (id est: il diritto) alle ferie annuali e quello all’ottenimento di un pagamento a tale titolo rappresentano due aspetti (id est: le due componenti) dell’unico diritto “a ferie annuali retribuite” (sentenze del 20 gennaio 2009, Schultz-Hoff e altri, C-350/06 e C-520/06, punto 60; del 15 settembre 2011, Williams e altri, C-155/10, punto 26; del 13 dicembre 2018, causa To.He, C-385/17, punto 24). Peraltro, dalla formulazione dell’art. 1, paragrafo 1 (“La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime…”) e paragrafo 2, lettera a) (“ai periodi minimi di… ferie annuali”), dell’art. 7, paragrafo 1, nonché dell’art. 15 della Direttiva n. 88 del 2003, si ricava, anche, come quest’ultima si limiti a fissare prescrizioni minime di sicurezza e salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, facendo salva la facoltà degli Stati membri di applicare disposizioni nazionali più favorevoli alla tutela dei lavoratori (sentenza cit. 13 dicembre 2018, causa To.He, C-385/17, punto 30 e punto 31)”.

Per ciò che riguarda, in particolare, “l’ottenimento di un pagamento” a titolo di ferie annuali, la richiamata sentenza n. 1470/2021 della Corte di Appello di Milano ha evidenziato che:” la Corte di Giustizia, sin dalla sentenza 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C-257/04, Robinson-Steele e altri (punto 50), ha avuto occasione di precisare che l’espressione “ferie annuali retribuite”, di cui all’art. 7, n. 1 della Direttiva n. 88 del 2003, intende significare che, per la durata delle ferie annuali, “deve essere mantenuta” la retribuzione; in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo (negli stessi sensi, anche sentenza CGUE 20 gennaio 2009 in C-350/06 e C- 520/06, Schultz-Hoff e altri, punto 58). L’obbligo di monetizzare le ferie è volto a mettere il lavoratore, in occasione della fruizione delle stesse, in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro (v. sentenze citate Robinson-Steele e altri, punto 58, nonché Schultz-Hoff e altri, punto 60). Maggiori e più incisive precisazioni si rinvengono nella pronuncia della Corte di Giustizia 15 settembre 2011, causa C-155/10, Williams e altri (punto 21), dove si afferma che la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore e che una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione. In tale pronuncia, la Corte di Giustizia ha avuto modo di osservare come “sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore… di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro” (v. sentenza Williams e altri cit., punto 23); pertanto “qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore… deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell’ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali” (v. sentenza Williams e altri cit., punto 24); all’opposto, non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell’importo da versare durante le ferie annuali “gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell’espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro” (v. ancora sentenza Williams e altri cit., punto 25). Del pari, vanno mantenuti, durante le ferie annuali retribuite, gli elementi della retribuzione “correlati allo status personale e professionale” del lavoratore (v. sentenza Williams e altri cit., punto 28)”.

Nella medesima sentenza si afferma, inoltre, che: “Il delineato concetto di retribuzione, dovuta durante le ferie annuali, è confermato dalla successiva giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 22 maggio 2014, causa C539/12, Z.J.R. Lock, punti 29, 30, 31); in tale pronuncia, quanto agli elementi correlati allo status personale e professionale, si precisa che tali possono essere quelli che si ricollegano alla qualità di superiore gerarchico, all’anzianità, alle qualifiche professionali (sentenza Z.J.R. Lock cit., punto 30). Alla stregua di tale nozione, è stata, per esempio, ritenuta contraria al diritto dell’Unione la non inclusione, nella retribuzione versata (recte nel pagamento da versare) ai lavoratori a titolo di ferie annuali, degli importi supplementari corrisposti ai piloti Airways in ragione delle ore di volo e/o del tempo trascorso fuori della Base (sentenza Williams e altri cit.) ovvero del compenso variabile rappresentato da provvigioni sul fatturato realizzato (sentenza Z.J.R. Lock cit.), così come la previsione, per contratto collettivo, di una riduzione della “indennità per ferie retribuite” derivante da una situazione di disoccupazione parziale, nel periodo temporale di riferimento (sentenza To.He cit.). (…) A tale riguardo, deve allora osservarsi come sia compito del giudice di merito valutare, in primo luogo, il rapporto di funzionalità (id est: il nesso intrinseco, v. sentenza CGUE 15 settembre 2011, Williams e a., C-155/10, cit., punto 26) che intercorre tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del lavoratore e le mansioni ad esso affidate in ossequio al suo contratto di lavoro e, dall’altro, interpretate ed applicate le norme pertinenti del diritto interno conformemente al diritto dell’Unione, verificare se la retribuzione corrisposta al lavoratore, durante il periodo minimo di ferie annuali, sia corrispondente a quella fissata, con carattere imperativo ed incondizionato, dall’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE”.

In linea con i principi sopra esposti è, peraltro, anche la recente pronuncia della Corte Cassazione n.20216/2022 del 23.06.2022, intervenuta su tematica assimilabile quanto ai principi a quella oggetto di causa in cui viene sancito che: “A fini del calcolo della retribuzione dovuta al lavoratore navigante nel periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane, deve tenersi conto degli importi erogati a titolo di indennità di volo integrativa, stante la nullità dell’art. 10 del CCNL Trasporto Aereo – Sezione per il Personale Navigante Tecnico, limitatamente alla parte in cui, esclude per il predette periodo minimo l’indennità in questione dalla base del computo della retribuzione da corrispondere nel periodo feriale, per contrasto con l’art.4 del D.Lgs.n.185 del 2005, norma imperativa che, interpretata alla luce del diritto europeo, impone di riconoscere al lavoratore navigante in ferie una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa”.

Alla luce del panorama normativo, nazionale e dell’Unione Europea, come sopra ricostruito, e della giurisprudenza richiamata devono essere respinti il primo e il secondo motivo di appello.

Con specifico riguardo ai profili di doglianza dedotti con i motivi di appello da terzo a sesto – aventi ad oggetto rispettivamente il riconoscimento delle indennità “per scorta vetture eccedenti e il premio per la scoperta di irregolarità o abusi”, di “Utilizzazione Professionale” e di “assenza dalla residenza” nonché: “L’incidenza delle somme richieste (e della IUP in particolare) non può comportare alcun effetto dissuasivo” – da trattarsi congiuntamente attesa la loro reciproca interferenza preliminarmente deve rilevarsi che: “Il fondamentale criterio di giudizio desumibile dall’assetto normativo e giurisprudenziale così tracciato, appare quello di una omogeneità tendenziale fra la retribuzione delle ferie annuali e quella ordinaria del lavoratore. Tale requisito va valutato, con riferimento al paventato effetto dissuasivo dell’eventuale scostamento, prendendo in considerazione i compensi erogati per “qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni” e “correlati allo status personale e professionale” del lavoratore, con esclusione dei soli elementi “diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie” sostenute in occasione dell’espletamento delle stesse”.

In particolare, in relazione ai motivi di appello qui in esame, la Corte di Appello di Milano con la citata sentenza n. 1470/2021 – qui richiamata ex art. 118 disp.att.c.p.c. – non ha ritenuto condivisibili le doglianze dell’appellante così motivando:” La quantificazione della quota di indennità riconosciuta durante le ferie ad opera della contrattazione collettiva non può, infatti, in alcun modo escludere la valutazione, in sede giurisdizionale, della sua rispondenza alla sovraordinata normativa interna e sovranazionale. Tale vaglio, da compiersi secondo i criteri sopra illustrati, prevale certamente sulla determinazione operata dalle parti sociali, il cui effetto dissuasivo rispetto alla fruizione delle ferie – se accertato nel caso concreto – ne determina l’illegittimità per contrasto con fonti di rango prevalente. In tale ottica risulta infatti decisiva – non già la misura solo parziale della decurtazione – bensì la sua incidenza sulla retribuzione feriale e, di conseguenza, sulla piena libertà di fruizione del periodo di riposo costituzionalmente garantito. Il rapporto rilevante non è, quindi, quello fra la quota di indennità conservata e la quota perduta, bensì quello fra la retribuzione ordinaria e la retribuzione in concreto erogata durante le ferie, il cui ammontare deve essere tale da non disincentivarne l’effettivo godimento. Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, tale raffronto non può limitarsi alla sola prospettiva annuale, ma va calato nel breve periodo, ben potendo valutazioni di carattere immediato rivestire in concreto portata dissuasiva… “.

La Sentenza in esame – richiamando l’incidenza annuale delle differenze retributive oggetto di causa indicate dall’appellante “pari al 2,86% per il primo ed all’1,38% per il secondo” quindi esattamente sovrapponibili alla fattispecie in esame in cui l’appellante ha indicato una incidenza pari al 2,80% (cfr. pag. 31 atto di appello) – ha, da un lato, ritenuto che: “Si tratta di quote la cui entità è solo apparentemente contenuta e può apprezzarsi, nella sua effettiva portata, proprio alla luce di una comparazione su base mensile ” precisando, dall’altro lato, che: “Si tratta di dati tali da evidenziare, ad avviso della Corte, una indubbia potenzialità dissuasiva della riduzione di stipendio cagionata dal godimento delle ferie, sia nella sua portata complessiva che in quella specificamente riferibile alla IUP variabile, secondo la corretta valutazione operata dal primo Giudice.

Questa appare, del resto, del tutto omogenea rispetto a quella compiuta nel precedente di questa Corte n. 32/2020, citato dall’appellante, nel quale analoga potenzialità è stata riconosciuta a riduzioni retributive pari al 13,50% ed al 19%, sempre su base mensile…”.

Con particolare riferimento alle doglianze aventi ad oggetto l’indennità di assenza dalla residenza questa Corte territoriale, con il precedente in esame, ha evidenziato che si tratta “di componente retributiva certamente rientrante nel concetto di retribuzione, delineato dalla giurisprudenza sopra riportata. Essa appare, infatti, volta a compensare – non già una modalità temporanea o un esborso occasionale – bensì un disagio intrinsecamente connesso alla prestazione lavorativa tipica del personale mobile, determinato dalla mancanza di un luogo fisso di lavoro e dalla costante lontananza dalla propria sede. Giova, infatti, rammentare come l’art. 77 c. 2 CCNL riconosca detta voce al “personale mobile”, in ragione dell'”assenza dalla residenza di lavoro”, in proporzione alla relativa durata, determinandola secondo “misure orarie” specificamente indicate. Né rilevano, in senso contrario, l’omologazione del relativo regime fiscale a quello del trattamento di trasferta e l’esclusione dell’elemento in esame dal calcolo della retribuzione spettante per tutti gli istituti di legge e/o di contratto, stabilite dai punti nn. 3 e 4 del citato art. 77 co. 2, in quanto inidonee ad incidere sulla funzione sostanziale dell’emolumento e, in particolare, sulla sua diretta correlazione ad un disagio intrinseco alla mansione. Tale è, del resto, il criterio da utilizzare, secondo la giurisprudenza sopra richiamata, nell’individuazione della retribuzione rilevante ai fini per cui è causa”.

Con la sentenza n. 966 del 21 novembre 2022 questa Corte d’Appello – con motivazione condivisa e qui richiamata ex art. 118 disp. att. c.p.c. – ha, inoltre, ritenuto che anche per le indennità per scorta vetture eccedenti e il premio per la scoperta di irregolarità o abusi valgono gli stessi principi sopra richiamati per le altre indennità esaminate atteso che, pur essendo effettivamente condizionate, nel primo caso, dal numero di vetture componenti il convoglio e, nel secondo caso, dal fatto che eventualmente venga trovato un passeggero senza biglietto, nondimeno trattasi di indennità strettamente correlate con la mansione svolta dal personale di bordo e finalizzate a compensare il maggior disagio ad esse connesso.

Per questi motivi anche il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di appello devono essere disattesi, come pure deve essere disatteso il settimo motivo di appello. Con motivazione qui condivisa questa Corte, con la sentenza n. 1470 del 2021 ha affermato che:

“Sul punto questa Corte si è costantemente pronunciata in senso contrario rispetto alla tesi, sostenuta dalla società, secondo cui il termine estintivo decorrerebbe in costanza di rapporto anche successivamente all’entrata in vigore della l. n. 92/2012. In particolare, con sentenza n. 2070/2019 (Pres. Est. VITALI), condivisa dal Collegio e qui richiamata ai sensi dell’art. 118 bis, disp. att., c.p.c., è stato affermato quanto segue:

“Parimenti infondata è la contestazione della società alla tesi secondo cui, con l’entrata in vigore della legge Fornero, la prescrizione non decorra in costanza di rapporto, sul presupposto che la tutela “forte” sussista anche nel nuovo regime sanzionatorio del licenziamento, laddove, come nel caso di specie, il datore di lavoro abbia più di quindici dipendenti: aderendo alle precedenti decisioni di questa corte richiamate anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art.118 disp. att. c.p.c. (cfr.: Corte Appello Milano 25 novembre 2019 n.2048/19) osserva il collegio “che, ai fini della decorrenza della prescrizione in materia di crediti da lavoro subordinato, la distinzione tra rapporti soggetti a tutela reale e rapporti non soggetti a tutela reale, riveste, anche nelle più recenti pronunce della Cassazione (cfr. Sez. L – Ordinanza n. 22172 del 22/09/2017; Sez. L, Sentenza n. 4351 del 22/02/2018; Sez. L Sentenza n. 19729 del 25/07/2018) un’importanza centrale.

Infatti la decorrenza della prescrizione dal momento dell’insorgenza del diritto del lavoratore viene affermata dal Supremo Collegio con esclusivo riferimento ai rapporti assistiti dal diritto alla reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo. La ragione è nota. Si ritiene che in tali rapporti non vi sia una condizione c.d. di metus del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che lo induca, per timore di essere licenziato (senza possibilità di recuperare il posto di lavoro perduto), a non esercitare il proprio diritto.

Non appare superfluo, sul punto, ricordare l’assetto normativo, determinato dalle pronunce della Corte Costituzionale n. 63/1966 e n. 174/1972, in forza del quale la prescrizione dei crediti retributivi non decorre durante il rapporto di lavoro, salvo che per i rapporti caratterizzati da c.d. “stabilità reale”, ossia ai quali, in considerazione del requisito dimensionale, è applicabile l’art. 18 legge 300/1970.Con la prima delle citate pronunce, la Corte ha ritenuto che, in un rapporto non dotato della resistenza che caratterizzava invece il rapporto di pubblico impiego, il timore del recesso (cioè del licenziamento), spinge o può spingere il lavoratore a rinunciare ad una parte dei diritti. Secondo la Corte “In un rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza invece il rapporto d’impiego pubblico, il timore del recesso, cioè del licenziamento, spinge o può spingere il lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei propri diritti; dimodoché la rinuncia, quando è fatta durante quel rapporto, non può essere considerata una libera espressione di volontà negoziale e la sua invalidità è sancita dall’art. 36 della Costituzione”.

E’ stata quindi considerata determinante la situazione psicologica del lavoratore, che può esser indotto a non esercitare il proprio diritto per lo stesso motivo per cui molte volte è portato a rinunciarvi, cioè per timore del licenziamento; cosicché la prescrizione, decorrendo durante il rapporto di lavoro, produce proprio quell’effetto che l’art. 36 ha inteso precludere vietando qualunque tipo di rinuncia: quella che, in particolari situazioni, può essere implicita nel mancato esercizio del proprio diritto e pertanto nel fatto che si lasci decorrere la prescrizione. Con la sentenza n. 174/1972 la Corte Cost. ha poi ritenuto che, in caso di applicabilità dell’art. 18 St. Lav. si ha, come nel pubblico impiego, una vera stabilità; ha infatti al riguardo precisato che “una vera stabilità non si assicura se all’annullamento dell’avvenuto licenziamento non si faccia seguire la completa reintegrazione nella posizione giuridica preesistente fatta illegittimamente cessare”, situazione di completa reintegrazione che non può essere ravvisata in tutti i casi (come quelli di applicazione della legge 604/1966) “per i quali le disposizioni sulla giusta causa non trovano applicazione; sicché per essi deve rimanere fermo il principio che vieta di far decorrere il termine di decadenza per le impugnative in materia di crediti da lavoro dipendente nel periodo di durata del rapporto, dovendosi il medesimo spostare alla fine di questo”. La successiva giurisprudenza di legittimità si è adeguata, riscontrando il requisito della stabilità del posto di lavoro tutte le volte in cui, sul piano sostanziale, la disciplina del rapporto subordini il licenziamento a circostanze obiettive e predeterminate e, sul piano della tutela dei diritti, affidi al giudice il sindacato su tali circostante con la facoltà di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo (Cass., S.U., 12.4.1976, n. 1268; Cass., 19.8,2011, n. 17399).

Rimozione che, secondo la Cassazione, non può esaurirsi nella previsione di un risarcimento del danno ma deve concretizzarsi nell’ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (Cass., 23.6.2003, n. 9968; Cass, 20.6.1997, n. 5494; Cass., 13.9.1997, n. 9137). Il quadro normativo, rispetto alle citate pronunce della Consulta, è radicalmente mutato a seguito dell’entrata in vigore della legge 92/2012, che ha riformato l’art. 18 L. 300/70, approntando un articolato sistema sanzionatorio nel quale la reintegrazione è stata fortemente ridimensionata, riservata ad ipotesi residuali, che fungono da eccezione rispetto alla tutela indennitaria. Il testo attualmente vigente dell’art. 18 L. n. 300 del 1970, a differenza di quello originario, prevede infatti la tutela reintegratoria solo per talune ipotesi di illegittimità del licenziamento (commi 1, 4, 7), mentre per altre fattispecie prevede unicamente una tutela indennitaria (commi 5 e 6); ne consegue che, nel corso del rapporto, il prestatore di lavoro si trova in una condizione soggettiva di incertezza circa la tutela (reintegratoria o indennitaria) applicabile nell’ipotesi di licenziamento illegittimo, accertabile solo ex post nell’ipotesi di contestazione giudiziale del recesso datoriale. E pertanto ravvisabile la sussistenza di quella condizione di metus che, in base ai consolidati principi dettati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, esclude il decorso del termine prescrizionale in costanza di rapporto di lavoro. A supporto di questa soluzione va richiamato, altresì, l’orientamento giurisprudenziale che valorizza l’effettiva condizione del prestatore di lavoro subordinato, precisando che la decorrenza o meno della prescrizione nel corso del rapporto di lavoro va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo in relazione all’effettiva esistenza di una situazione psicologica di metus del lavoratore, e non già alla stregua della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto, ove questo fosse sorto fin dall’inizio con le modalità e la disciplina che il giudice, con un giudizio necessariamente ex post, riconosce applicabili (Cass. S.U. 4942/12; Cass. 10 aprile 2000 n. 4520; nello stesso senso, ex plurimis, Cass. 23 gennaio 2009 n. 1717; Cass. 4 giugno 2014 n. 12553).

Il Collegio, alla stregua di tali consolidati e condivisibili principi, ritiene che, a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012 all’art. 18 L. n. 300 del 1970, la prescrizione dei crediti retributivi non decorra in costanza di rapporto di lavoro, anche ove a questo sia applicabile l’art. 18 novellato, come nella presente fattispecie”. A tale orientamento questo Collegio intende dare continuità, in quanto rispondente ad una corretta valutazione dell’innovato quadro normativo dovendosi, pertanto, respingere anche la doglianza avente ad oggetto l’eccezione di prescrizione. Alla luce delle considerazioni esposte – dirimenti ed assorbenti di ogni altra questione -l’appello proposto da (…) S.p.a. deve essere respinto.

Le spese di lite del grado di appello seguono la soccombenza e – in applicazione del D.M. n. 55/2014, come novellato, tenendo conto del valore e della serialità della controversia nonché dell’attività processuale effettivamente svolta – sono liquidate in favore dell’appellato in Euro 1.500,00 oltre spese generali e oneri accessori. Con distrazione in favore dell’Avvocato (…)dichiaratosi antistatario.

Non sussistendo alcuna discrezionalità si dà atto che ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater d.P.R. 30 maggio 2012 n. 115, introdotto dall’articolo 1 comma 17 della legge 24 dicembre 2012 n. 228, sussistono i presupposti per il versamento, a carico dell’appellante principale (…) S.p.a., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta l’appello proposto da (…) s.p.a. avverso la sentenza n. 1540 del 2022 emessa dal Tribunale di Milano.

Condanna parte appellante (…) S.p.a. a rifondere a parte appellata le spese del grado liquidate in Euro 1.500,00 oltre spese generali e oneri accessori. Con distrazione in favore dell’Avvocato (…). Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater d.P.R. 30 maggio 2012 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello.

Milano, 9 Maggio 2023.

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2023.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.