la sentenza del giudice penale che, accertando l’esistenza del reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine alla declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ferma restando la necessità dell’accertamento, in sede civile, della esistenza e della entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come potenzialmente dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati. Perfino nell’ipotesi dei reati di danno, sulla base delle regole di diritto civile, quel che rimane definitivamente accertato dal giudizio penale è il danno evento, avvinto al fatto da un nesso di causalità materiale, ma non il danno conseguenza, per il quale l’indagine da compiere è quella del nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (art. 1223 c.c.). Pertanto, in relazione all’accertamento del danno conseguenza, sotto il profilo dell’esistenza del nesso di causalità (oltre che il profilo dell’esistenza e quantificazione del danno), resta quindi ferma, all’esito del giudizio penale, la competenza del giudice civile e il giudicato penale non implica alcun accertamento in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile ma postula soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso, restando salva nel giudizio civile di liquidazione del “quantum” la possibilità di escludere l’esistenza di un danno eziologicamente conseguente al fatto illecito.

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Corte d’Appello|Palermo|Sezione 1|Civile|Sentenza|13 luglio 2022| n. 1221

Data udienza 12 luglio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Palermo – Sezione Prima Civile – riunita in Camera di Consiglio e composta dai sig. magistrati:

1) Dott. Daniela Pellingra Presidente

2) Dott. Maria Letizia Barone Consigliere

3) Dott. Cintia Emanuela Nicoletti Consigliere

dei quali il terzo relatore ed estensore, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento iscritto al n. 445/2017 R.G. di questa Corte di Appello, promosso in questo grado di giudizio

da

PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIANA e ASSESSORATO REGIONALE DELLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA, in persona dei rispettivi L. R. pro tempore, assistiti ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato;

APPELLANTI

contro

(…), rappresentato e difeso dall’Avv. Gu.Co., giusta procura in atti;

APPELLATO

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con atto di citazione notificato il 14 luglio 2011, la Presidenza della Regione Siciliana e l’Assessorato Regionale della Salute convennero (…) innanzi al Tribunale di Palermo, chiedendone la condanna al pagamento dell’importo di Euro 1.000.000,00, a titolo di liquidazione del danno all’immagine sofferto a seguito dei plurimi reati di falso ideologico per induzione commessi in loro danno, come già riconosciuto con sentenza penale di questa Corte di Appello, Sez. III Pen. n. 1919/2009 dei giorni 19 giugno -17 settembre 2009, confermata sul punto dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 35076/2010 dei giorni 21 aprile 2010 – 29 settembre 2010.

A sostegno della domanda rilevarono che:

– dopo che l'(…) era stato già nominato direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera (…) di Palermo, successivamente confermato nella carica e, poi, inserito nel nuovo elenco degli idonei ad assumere la carica dirigenziale, era stato accertato che aveva ripetutamente dichiarato falsamente, ai fini dell’inserimento nell’elenco degli aspiranti all’incarico di direttore generale di Unità Sanitarie Locali, di essere stato dirigente presso il (…), sebbene avesse invece ricoperto la qualifica di funzionario;

– con sentenza del 6 marzo 2008, il Tribunale di Palermo, pur riconoscendo l'(…) colpevole dei reati di falso ascrittigli, aveva respinto la domanda risarcitoria proposta da esse amministrazioni quali parti civili, ritenendole corresponsabili di quanto avvenuto, per aver omesso i dovuti controlli sulle dichiarazioni rese dall’imputato, in occasione della richiesta di iscrizione nell’elenco suddetto;

– con la già menzionata decisione questa Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva, invece, ritenuto fondata la loro domanda risarcitoria e condannato l'(…) a risarcire loro il danno all’immagine cagionato, da liquidarsi in sede civile;

– con sentenza n. 995/2010, la Corte di Cassazione aveva confermato la sentenza di appello anche sulle statuizioni civili, limitandosi a dichiarare prescritto uno dei reati di falso ideologico ascritti all’imputato.

Allegarono, pertanto, di aver subito un gravoso danno all’immagine in ragione dell’eco mediatica che aveva assunto la vicenda.

2. Con sentenza dei giorni 25 maggio – 25 agosto 2016, il Tribunale di Palermo, affermata la propria giurisdizione, ritenne inapplicabile la disciplina di cui all’art. 17, comma 30 ter, del D.L. n. 78/2009 richiamata dall'(…), in quanto norma posteriore ai fatti di causa, e rigettò nel merito la domanda, compensando tra le parti le spese di lite.

In particolare, considerò che la pronuncia del giudice penale di condanna generica dell'(…) al risarcimento del danno all’immagine nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni lasciasse impregiudicato, in sede civile, l’accertamento dell’effettiva sussistenza del danno ed eventualmente della sua entità, poiché non fondata su uno specifico accertamento di fatto, ma esclusivamente su una “potenzialità dannosa delle condotte dell'(…)”.

Considerò, quindi, che le condotte imputate all'(…) non fossero causa del danno lamentato dalle Amministrazioni attrici, sostanzialmente connesso, secondo le allegazioni di queste ultime, alla pubblicazione di due trafiletti de “La Gazzetta del Mezzogiorno” e de “Il Corriere della Sera” del 4 ottobre 2005, e di un articolo del “(…)” del 7 marzo 2008.

I primi due pezzi giornalistici, infatti, si limitavano a riportare l’avvenuta sottoposizione dell'(…) agli arresti domiciliari per i falsi commessi al fine di ottenere la nomina dirigenziale, così ledendo esclusivamente l’onore del predetto; l’altro articolo, invece, riportava le considerazioni espresse dal Tribunale in sede penale nel rigettare la domanda proposta dalle Amministrazioni regionali costituitesi parte civile, e, in particolare, che le medesime dovevano ritenersi corresponsabili per non aver espletato i dovuti accertamenti e controlli, ma tali valutazioni e, in generale il contenuto del pezzo, non erano imputabili all'(…).

Osservò, ancora, che il convenuto, nel commettere il reato, aveva agito quale privato cittadino, in proprio, e senza spendere la qualità di funzionario o dipendente della Pubblica Amministrazione, ragione per cui era da escludere che la detta condotta fosse imputabile a quest’ultima con conseguente lesione del suo decoro.

3. Con citazione notificata il 22 febbraio 2017, la Presidenza della Regione Siciliana e l’Assessorato Regionale della Salute hanno impugnato la decisione per due motivi.

Con il primo, si sono doluti che il Tribunale avesse escluso la vincolatività della pronuncia del giudice di appello, confermata dalla Cassazione, circa la sussistenza, l’an, del danno all’immagine patito. Hanno evidenziato che, diversamente da come ritenuto dal Tribunale, la Corte di Appello nella già citata sentenza aveva in punto di fatto accertato il pregiudizio da loro subito a causa della condotta dell'(…), escludendo un concorso di colpa delle medesime nel verificarsi del danno. L’accertamento del fatto, ovvero il danno all’immagine, doveva, perciò, considerarsi coperto dal giudicato così da non potere essere smentito in sede civile, nel procedimento volto alla sua liquidazione.

Con il secondo, hanno dedotto l’erroneità della pronuncia, nella parte in cui aveva escluso la sussistenza del danno, evincibile, invero, dalla documentazione depositata che dava prova della risonanza mediatica della vicenda in cui l’Amministrazione regionale era descritta come un apparato superficiale e manchevole di controlli.

Quindi, nel reiterare la domanda risarcitoria disattesa dal primo giudice, hanno sottolineato che, malgrado la posizione di parte offesa dal reato, l’amministrazione regionale e nella specie l’Azienda Ospedaliera – Ospedali Riuniti Villa Sofia, nelle more, aveva dovuto versare all'(…) l’importo di Euro 357.128,19, a seguito della sentenza con cui il CGA aveva accolto l’impugnativa dal medesimo rivolta avverso il provvedimento di cancellazione dagli elenchi degli aspiranti all’incarico di Direttore e conseguente annullamento dell’incarico conferitogli nel 2005 adottato dall’amministrazione in ragione del falso da lui commesso, e condannato la medesima amministrazione a versare all'(…) gli emolumenti che avrebbe avuto diritto a percepire qualora non gli fosse stato revocato l’incarico.

4. Costituito il contraddittorio, (…) ha rilevato l’inammissibilità e infondatezza dell’appello ed ha reiterato l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore della Corte dei conti, in ragione del disposto dell’art. 17, co. 30 ter d.l. n. 78/2009, convertito con modificazioni nella L. n. 102/2009.

5. All’udienza del 2 marzo 2022, tenuta con le forme previste dall’art. 221 co. 4 D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni nella L. n. 77/2020, e successive integrazioni, la causa è stata posta in decisione, assegnando alle parti il termine di 30 giorni più 20 giorni per il deposito delle comparse conclusionali e delle eventuali memorie di replica

6. In primo luogo, va dichiarata inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario reiterata in questa sede dall'(…).

Come esposto, il Tribunale ha espressamente respinto la detta eccezione sicché sul punto la sentenza avrebbe dovuto essere oggetto di apposito appello incidentale, precluso all'(…) in ragione della sua tardiva costituzione in giudizio (costituito il 12 giugno 2017, data dell’udienza indicata nella citazione, rinviata al 21 giugno 2017, primo giorno utile).

La sentenza di primo grado nella parte in cui ha pronunciato la competenza del giudice ordinario ed escluso l’applicabilità nella specie dell’art. 17, comma 30 ter del D.L. .l. n. 78/2009, convertito con modificazioni nella L. n. 102/2009, è, pertanto, passata in giudicato.

7. L’appello promosso dalle Amministrazioni regionali, i cui due motivi di censura perché tra loro strettamente connessi possono essere trattati congiuntamente, non è fondato per le ragion di seguito esposte.

Va premesso che, secondo l’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione (in ultimo, Cass. n. 8477/2020; 25348/2021, e precedente conforme n. 4318/2019) cui il Collegio intende aderire, “la sentenza del giudice penale che, accertando l’esistenza del reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine alla declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ferma restando la necessità dell’accertamento, in sede civile, della esistenza e della entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come potenzialmente dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati”.

In particolare, secondo i giudici della legittimità, perfino nell’ipotesi dei reati di danno, sulla base delle regole di diritto civile, quel che rimane definitivamente accertato dal giudizio penale è il danno evento, avvinto al fatto da un nesso di causalità materiale, ma non il danno conseguenza, per il quale l’indagine da compiere è quella del nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (art. 1223 c.c.).

Pertanto, in relazione all’accertamento del danno conseguenza, sotto il profilo dell’esistenza del nesso di causalità (oltre che il profilo dell’esistenza e quantificazione del danno), resta quindi ferma, all’esito del giudizio penale, la competenza del giudice civile e il giudicato penale non implica alcun accertamento in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile ma postula soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso, restando salva nel giudizio civile di liquidazione del “quantum” la possibilità di escludere l’esistenza di un danno eziologicamente conseguente al fatto illecito.

Ora, nel caso di specie, nel giudizio penale questa Corte ha ritenuto che la condotta posta in essere da (…) avesse cagionato “danni di vario tipo” agli enti costituitisi in giudizio come parti civili.

In particolare, nell’indicare i danni potenziali, ha specificato “si fa riferimento non solo alle spese di procedura amministrativa volte a riparare l’errore indotto, ma anche al prestigio ed all’immagine delle amministrazioni che hanno avuto un ruolo nella presente vicenda. Infatti sia a livello più generale (la presente vicenda ha avuto risvolti mediatici) che comunque nel cosmo delle aziende sanitarie palermitane e siciliane, dei fruitori dei correlati servizi e dei soggetti potenzialmente aspiranti ad incarichi similari si è senz’altro avvalorata l’immagine di una pubblica amministrazione incapace di garantire una corretta ed imparziale selezione delle persone in possesso dei requisiti di legge per accedere ad incarichi delicati”.

Poi, ha rilevato che le presunte manchevolezze imputabili alla P.A., a differenza di quanto ritenuto dal tribunale, potessero semmai incidere sulla quantificazione del danno ex artt. 2056 e 1227 c,c.; quindi, ha condannato l’imputato “al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Presidenza della Regione Siciliana e Assessorato alla Sanità della Regione Siciliana, essendo emersa la prova della ricorrenza di tale danno” ed ha statuito che “i danni peraltro, necessitando di una specifica istruttoria in merito al quantum, vanno liquidati in separato giudizio civile”.

Le Amministrazioni regionali, però in questo giudizio civile di liquidazione del danno, malgrado le diverse ipotesi di astratto pregiudizio rilevate in sede penale, hanno fatto valere esclusivamente il danno all’immagine.

Ora, il danno all’immagine ovvero il pregiudizio all’onore ed alla reputazione, inteso come “danno conseguenza”, non sussiste “in re ipsa”, e va individuato, non nella lesione del diritto inviolabile, ma nelle conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di tale danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice sulla base non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato (Cass. n. 31537/2018; n. 7594/2018).

Nella specie, le appellanti allegano che la condotta illecita dell'(…) aveva vulnerato la credibilità e affidabilità dell’Amministrazione Regionale in ragione delle notizie diffuse sul punto dalla stampa e, in ordine alla prova del danno subito, hanno, quindi, richiamato la documentazione

acclusa e, in particolare, la copia degli articoli di giornale da cui poteva evincersi la risonanza mediatica del fatto.

Come sopra detto, hanno ricondotto, in particolare, il pregiudizio subito all’articolo apparso sul (…) del 7 marzo 2008, che dava ampio spazio alle argomentazioni rese dal Tribunale in sede penale a sostegno del rigetto della domanda risarcitoria proposta dalle parti civili.

Ora, dovendosi per tanto procedere in questo giudizio all’accertamento del predetto danno conseguenza allegato dalle Amministrazioni, rileva la Corte che dalla documentazione versata in atti, come ritenuto dal primo giudice, non può ritenersi dimostrato che la condotta illecita dell'(…) abbia provocato siffatta lesione.

Ribadito che l’unica allegazione del danno subito riguarda l’asserita diffusione mediatica dell’immagine di un’Amministrazione incapace di garantire una corretta selezione del personale e inidonea a svolgere i dovuti controlli, va rimarcato che tale “conseguenza” ove sussistente non è imputabile alla condotta delittuosa tenuta dall'(…).

Esaminando la documentazione depositata dalle parti appellanti infatti emerge che:

– nel trafiletto, di poche righe, pubblicato sul sito online de “La gazzetta del (…)” del 4 ottobre 2005, si dava esclusivamente atto dell’avvenuto arresto dell'(…) come “direttore generale di azienda ospedaliera” quale “manager del “Vincenzo (…)” per essere accusato di truffa aggravata e di falso e che lo steso “avrebbe presentato falsi documenti di autocertificazione necessari per la nomina a manager” dell’azienda ospedaliera, e che il medesimo era stato già in precedenza indagato per il reato di concussione;

– nel trafiletto, oltremodo breve, pubblicato nel sito online de “Il Corriere della Sera” del 4 ottobre 2005, si dava analoga notizia con riferimento all'(…) che quale dirigente del “(…)” avrebbe prodotto per la sua nomina autocertificazioni false:

– nell’articolo invece a più colonne pubblicato nel “(…)” del 7 marzo 2008, si dava ampio spazio alla pronuncia del giudice di primo grado nella parte in cui aveva rilevato deficienze e omissioni imputabili alla pubblica amministrazione in ordine ai controlli da seguire sulle dichiarazioni rese dall'(…) e perciò escluso la risarcibilità del danno paventato.

Tanto premesso, dovendosi escludere che l'(…) possa essere ritenuto responsabile delle opinioni espresse dal Tribunale riportate nell’articolo di stampa, deve ritenersi che dalla documentazione depositata dalle appellanti emerge esclusivamente la prova che il fato illecito commesso a loro danno sia stata portato alla conoscenza pubblica. Tale evenienza, però, secondo la Corte non può ex se determinare una lesione del prestigio dell’Amministrazione, viepiù che la stessa viene semmai indicata quale parte lesa.

Invero, ribadito che nei primi due articoli si fa, per altro, esclusivo riferimento all’azienda ospedaliera e nemmeno viene citata l’Amministrazione Regionale, non può sottacersi che, prescindendo dal contenuto dell’articolo del (…) nella parte in cui riprende la motivazione del Tribunale non imputabile all’appellato, dalla lettura dei predetti pezzi di cronaca è evidente che l’attenzione si concentri sulle malefatte dall'(…) rispetto alle quali l’Amministrazione rimane la parte lesa.

Del resto, come sottolineato dalla Corte di Cassazione nel confermare la statuizione civile di condanna, “la condotta tenuta dall'(…) è stata idonea a trarre in inganno la pubblica amministrazione, dando luogo alla falsità per induzione in errore degli atti emessi dagli organi regionali che confidavano nella veridicità di quanto ivi attestato” ma tale pregiudizio non coincide con quello vantato in questa sede dalle appellanti, che riguarda esclusivamente l’asserito danno all’immagine susseguente all’eco mediatica del fatto.

In altri termini, in ordine al pregiudizio subito dalla diffusione delle motivazioni della sentenza del Tribunale Penale, l’Amministrazione è stata risarcita, quanto meno moralmente, dalla diversa convinzione espressa dalla Corte di Appello confermata dalla Cassazione, che avrebbe dovuto essere egualmente portata alla conoscenza pubblica.

Deve dunque ribadirsi, che le Amministrazioni appellate non hanno dato prova del danno conseguenza allegato, sicché la sentenza di primo grado, seppur con parziale diversa motivazione deve essere confermata.

L’evidente difficoltà di prova del pregiudizio in concreto subito a fronte di una pronuncia di condanna e ad un illecito la cui effettività è indubitabile determina a confermare anche per questo grado del giudizio la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Palermo, Prima Sezione Civile, lette le conclusioni delle parti, rigetta l’appello proposto dalla Presidenza della Regione Siciliana e dall’Assessorato Regionale della Salute con citazione notificata il 29 novembre 2017 nei confronti di (…) avverso la sentenza dei giorni 25 maggio – 25 agosto 2016 del Tribunale di Palermo;

compensa tra parti le spese di lite di questo grado del giudizio.

Così deciso in Palermo il 12 luglio 2022.

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2022.

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Avv. Umberto Davide

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