La facoltà del datore di sospendere per motivi di “inidoneità sanitaria” un lavoratore dal servizio e dallo stipendio, pur non essendo prevista da alcuna norma propria del “diritto del lavoro” e non essendo contemplata né disciplinata dalla contrattazione collettiva applicabile al caso è ritenuta sussistente dalla giurisprudenza.

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Tribunale|Cosenza|Sezione L|Civile|Sentenza|11 gennaio 2023| n. 14

Data udienza 11 gennaio 2023

TRIBUNALE DI COSENZA

SEZIONE CONTROVERSIE DI LAVORO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Cosenza, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona del dott. Vincenzo Lo Feudo, ha pronunciato la seguente sentenza nella causa iscritta al n. 3755/2020 RGAL

TRA

(…), rappresentato e difeso dall’avv. (…)

ricorrente

E

(…) S.R.L. ((…)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. (…)

resistente

oggetto: impugnativa licenziamento e spettanze di lavoro

FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso ritualmente notificato (…) ha convenuto in giudizio la (…) S.R.L. ((…)), in persona del legale rappresentante p.t., deducendo di aver lavorato a tempo pieno ed indeterminato alle dipendenze della convenuta dal 02.10.2000 al 28.02.2020, inquadrato nel parametro 175 (operatore di esercizio) CCNL Autoferrotranvieri. Esponeva che il datore di lavoro a decorrere dal mese di settembre 2018 aveva erogato la retribuzione in modo discontinuo, risultando non corrisposte le retribuzioni relative ai mesi di settembre 2018 e di gennaio 2019, oltre alla tredicesima e alla quattordicesima per l’anno 2019, per un totale euro 7.706,40. Deduceva, ancora, che a seguito di una visita medica periodica eseguita in data 11 settembre 2018 egli era stato riconosciuto inidoneo alle mansioni a causa di una patologia renale.

In data 04.03.2019, aggiungeva il lavoratore, la società aveva avviato le procedure propedeutiche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ai sensi dell’art. 7 L. 604/66) previa sospensione dal servizio con diritto alla retribuzione.

Chiusa la procedura (non prevista per i datori di lavoro che occupino, come nel caso di specie, meno di quindici dipendenti) in data 21.05.2019, la società si era riservata di decidere su una proposta alternativa al licenziamento (rinuncia al recesso con un’aspettativa di 12 mesi retribuita con la metà dello stipendio ai sensi dell’art. 4 dell’Accordo Nazionale del 15.11.2005); proposta in seguito non accolta (il 10.06.2019) sul presupposto della non operatività del citato Accordo nei confronti della società stessa, che nel contempo disponeva la sospensione dal servizio e dalla retribuzione; sospensione rinnovata con atto del 04.11.2019, con invito rivolto al lavoratore di provvedere al rinnovo della patente di guida, in vista del compimento del sessantesimo anno di età.

Era, quindi, seguito il rilascio da parte della Motorizzazione Civile di un permesso provvisorio di guida, in vista della visita medica fissata per il giorno 25.03.2020.

In data 24.1.2020 la (…) aveva contestato il mancato rinnovo della patente e in seguito (con lettera del 18.02.2020 pervenuta il 28.02.2020) aveva formalizzato il recesso per giustificato motivo oggettivo, sul presupposto di una sopravvenuta impossibilità oggettiva allo svolgimento delle mansioni (a causa del mancato rinnovo del titolo di guida) e di un’impossibilità di repechage. Rilevava di aver impugnato il recesso datoriale, contestandone la validità anche ai sensi dell’art. 35 del CCNL 28.11.2015, secondo cui la sopravvenuta carenza del permesso di guida comporta per il dipendente il diritto alla conservazione del posto per 12 mesi.

Conseguito il rinnovo della patente di guida “A-B-C-D”, in data 24.06.2020 aveva, quindi, inutilmente chiesto la revoca del licenziamento. Dedotta l’illegittimità della sospensione dal servizio e dalla retribuzione, per mancanza dei presupposti di fatto e per l’inesistenza di una previsione normativa che la giustifichi, e del licenziamento per insussistenza del giustificato motivo oggettivo su cui si fonda e per violazione dell’obbligo di repechage, il ricorrente concludeva con richiesta di condanna del datore di lavoro al pagamento della somma di euro 7.706,40 lordi oltre accessori, o in subordine, di euro 6.455,29 lordi, oltre accessori, a titolo di retribuzioni non pagate e di euro 31.871,84 oltre accessori a titolo di TFR non corrisposto. Chiedeva, altresì, una condanna alla corresponsione della somma di euro 16.890,03 lordi – oltre accessori, a titolo di ritenute operate da giugno 2019 per l’illegittima sospensione ed infine instava per una condanna della società alla riassunzione o al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a sei mensilità, previo annullamento del recesso.

Si costituiva la (…) S.R.L., deducendo la piena legittimità della sospensione (disposta a seguito del giudizio di inidoneità espresso dal Medico Competente, confermato dal Collegio Medico costituto presso l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza) e del licenziamento, sorretto da un reale giustificato motivo oggettivo (in ragione della patologia da cui il ricorrente è affetto e che comporta la necessità di tre trattamenti dialitici settimanali).

Dedotta altresì l’oggettiva impossibilità di una diversa collocazione del lavoratore e contestata, “nell’an” e “nel quantum” la domanda volta alla corresponsione delle differenze retributive e del TFR, concludeva chiedendo il rigetto del ricorso.

In corso di causa si procedeva ad una CTU contabile, poi rinnovata. La causa veniva rinviata per la discussione all’udienza del 11.01.2023, sostituita dal deposito di note scritte con decreto comunicato alle parti in data 16.12.2022. Le parti depositavano le note di trattazione scritta rispettivamente nelle date 02.01.2023 e del 05.01.2023.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento per quanto di ragione.

Ritiene il Tribunale infondata la deduzione di illegittimità dei provvedimenti di sospensione dal servizio e della retribuzione disposti nei confronti del ricorrente.

Secondo la giurisprudenza di legittimità “Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, a seguito di un periodo di malattia del dipendente, disponga – in relazione ad un evento morboso con possibili riflessi non limitati ad una temporanea incapacità lavorativa – l’accertamento della idoneità fisica del dipendente ai sensi dell’art. 5 legge n. 300 del 1970 e la sospensione dell’attuazione del rapporto per un periodo in cui da tale controllo risultava un quadro patologico incompatibile con l’espletamento dell’attività dedotta in contratto, il rifiuto delle prestazioni lavorative offerte può configurare, con riguardo al successivo accertamento in sede giudiziale dell’inesistenza di tale inidoneità al lavoro, una responsabilità per inadempimento contrattuale ex art. 1218 cod. civ.; tale responsabilità può essere tuttavia esclusa quando sia dimostrato che l’adempimento è mancato a causa di un errore che non derivi da fattori puramente soggettivi ed appaia scusabile alla stregua del criterio della ordinaria diligenza di cui all’art. 1176 cod. civ.” (cfr. Sez. L. n. 7619/1995).

Dalla citata pronuncia è dato ricavare il principio per cui la sospensione è legittima laddove dall’accertamento della idoneità fisica del dipendente risulti, appunto, un quadro patologico incompatibile con l’espletamento dell’attività dedotta in contratto.

Sulla scia di tale orientamento, anche la giurisprudenza di merito ha affermato il che “…secondo i principi generali in materia di obbligazioni contrattuali si può configurare la mora del creditore soltanto qualora quest’ultimo rifiuti la prestazione offerta senza un legittimo motivo (art. 1206 c.c.)” (Tribunale di Verona Ordinanza n. 650 del 02.11.2015).

Ancora “….La facoltà del datore di sospendere per motivi di “inidoneità sanitaria” un lavoratore dal servizio e dallo stipendio, pur non essendo prevista da alcuna norma propria del “diritto del lavoro” e non essendo contemplata né disciplinata dalla contrattazione collettiva applicabile al caso è ritenuta sussistente dalla giurisprudenza. Il precedente di riferimento è costituito da (Cass. Sez. lav. 12.7.95 n. 7619), mentre un interessante sviluppo maggiormente attinente al caso è dato da (Corte App. Torino 28/6/2001) … La ricostruzione del fondamento della “facoltà di sospensione sanitaria” rinvenibile nelle massime e nelle motivazioni giurisprudenziali non è nel complesso molto esplicitata ed approfondita ma, nondimeno, risulta intuitiva, ed è condivisa dal giudicane nella misura e nei limiti sotto detti. Fondamentale risulta in proposito l’incondizionato obbligo del datore di assicurare la sicurezza sul luogo di lavoro art. 2087 del cc. Poiché si tratta di norma che renderebbe automaticamente responsabile il datore di un’eventuale aggravamento o compromissione della salute del lavoratore addetto a mansioni a lui non confacenti sotto il profilo fisico, risulta giustificato, anche solo dal sospetto di poter cooperare nella lesione dell’integrità fisica del lavoratore la sospensione immediata dello stesso dal lavoro. Non varrebbe una manleva del medesimo per l’inequivocabile disposto dell’art. 5 del cc.. Quanto all’omessa corresponsione della retribuzione la stessa pare giustificata fino a che il rifiuto di ricevere la prestazione da parte del datore, che astrattamente costituisce mora del ceditore ai sensi degli articoli 1206 e 1207 del c.c., sia sorretta da “giustificato motivo” ai sensi delle norme generali medesime. Per pacifica giurisprudenza la mora del creditore (istituto certamente applicabile al rapporto di lavoro – da ultimo Cass. civ., sez. lavoro, 07/08/2004, n. 15331), si verifica unicamente del carattere obiettivamente ingiustificato del rifiuto di ricevere la prestazione (significativamente Cass. civ., sez. lavoro, 20/01/2001, n. 831). Una volta verificata tale imputabilità consegue la mancata liberazione dell’obbligo del datore di erogare la controprestazione retributiva nonostante l’impossibilità della prestazione del datore verificatasi giorno per giorno, ovvero, se si preferisce tale inquadramento, la responsabilità da atto lecito del datore in relazione al danno prodotto” (Tribunale di Asti, ordinanza del 10 novembre 2006).

Aderendo a tale orientamento, nel caso di specie la sospensione dal servizio e poi anche dalla retribuzione ha trovato giustificazione negli accertamenti sanitari, al cui esito il ricorrente è stato dichiarato inidoneo alle mansioni. Il lavoratore è stato dichiarato inidoneo dal Medico Competente che, pronunciatosi in data 11.09.2018, ha accertato l’inidoneità per la durata di un anno.

Come correttamente dedotto dalla società convenuta tale giudizio è stato confermato in data 31.01.2019, a seguito del ricorso proposto dal lavoratore, dal Collegio Medico istituito presso l’Azienda Sanitaria di Cosenza (“inidoneo temporaneamente fino a settembre 2019. Da rivedere a cura del M.C. alla scadenza”).

In data 12.09.2019 il Medico Competente ha, ancora una volta, giudicato il ricorrente “temporaneamente non inidoneo” e da “sottoporre a nuova visita medica previa esecuzione dei seguenti accertamenti settembre 2020”. Risulta, allora, evidente che la sospensione del lavoratore è avvenuta in presenza di giudizi espressi dagli organi competenti ai sensi del D.Lgs. n. 81/2008, giudizi in alcun modo revocabili in dubbio, attesa, appunto, la fonte da cui promanano.

La sospensione, deve, pertanto, ritenersi legittima, perché disposta in presenza di un “giustificato motivo” (mai venuto meno per tutta la durata dei provvedimenti datoriali) ed adottata allo scopo di evitare di incorrere in responsabilità ex art. 2087 c.p.c. e a tutela dell’utenza.

Non vi era, inoltre, la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, atteso che la società occupava essenzialmente lavoratori con mansioni di autista e che le altre posizioni lavorative (1 bigliettaio) erano già coperte. Ritiene, per contro, il Tribunale che sia fondata la domanda volta ad una declaratoria di illegittimità del licenziamento.

Premesso che il provvedimento espulsivo è stato disposto (con lettera del 18.02.2020 e con effetto immediato) non in ragione della (temporanea) inidoneità del ricorrente allo svolgimento delle mansioni (per come indicato nelle comunicazione ex art. 7 della legge 604/1966, che ha dato luogo alla relativa procedura, tutto sommato inutile perché non richiesta in ragione del numero dei dipendenti occupati) ma per il mancato rinnovo della patente di guida in ragione del raggiungimento del sessantesimo anno di età, osserva il Giudice che la decisione di recedere sia stata assunta con eccessiva tempestività ed in un periodo, coincidente con la sospensione, in cui non vi era alcuna ragione di urgenza, né poteva esservi, evidentemente, alcun rischio per la società. Il ricorrente ha prodotto documentazione da cui risulta che lo stesso si è attivato il 14 novembre 2019 ai fini del rinnovo della patente, chiedendo di essere sottoposto a visita da parte della Commissione Medica Locale istituita presso l’Azienda Sanitaria, visita poi fissata per il giorno 24 marzo 2020 e rinviata per l’emergenza covid al 09.06.2020, con il preventivo rilascio di un permesso di guida provvisorio in data 20.01.2020.

La patente di guida è stata poi definitivamente rinnovata con decorrenza dal 09.06.2020.

Ebbene, se da un lato è vero che il permesso provvisorio di guida non risulta essere stato inviato alla società, è pur vero, tuttavia che, in risposta ad una contestazione formalizzata il giorno 24.01.2020, relativa proprio al mancato rinnovo della patente, il difensore del ricorrente, con mail pervenuta il 27.02.2020 (quindi prima che la lettera di licenziamento pervenisse al lavoratore) ha comunicato alla società che la visita da parte della Commissione Medica Locale sarebbe stata eseguita il 24.03.2020, secondo una determinazione assunta da un organo terzo rispetto alla quale il ricorrente non aveva alcuna possibilità di intervenire.

Si osserva, inoltre, che la suddetta documentazione è stata contestata dalla parte convenuta, ma non formalmente disconosciuta.

Ed anche a voler ritenere che la contestazione sia da interpretare come disconoscimento, quest’ultimo non varrebbe a rendere inutilizzabili i documenti provenienti dalla Motorizzazione Civile, dall’ASP di Cosenza e dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (allegati 18, 19 e 20 al fascicolo di parte attrice) in ragione la loro natura di enti pubblici e della conseguente efficacia probatoria piena dei rispettivi provvedimenti.

Attesa la causale sottesa al licenziamento (mancato rinnovo della patente, quale giustificato motivo oggettivo, che pure aveva dato luogo ad una contestazione disciplinare in data 24.01.2020) del tutto irrilevante si palesano le deduzioni relative agli asseriti errori di giudizio (medico) che avrebbero influenzato il rilascio della patente rinnovata.

Considerato, infatti, che il recesso è stato intimato essendo divenuta “tecnicamente impossibile” la prestazione lavorativa, la questione controversa attiene esclusivamente a tale aspetto (mancato rinnovo della patente). Non può che ribadirsi, pertanto, che la decisione di recedere è stata assunta nei confronti di un lavoratore sospeso dal servizio (quindi impossibilitato ad eseguire la prestazione lavorativa) ed in modo del tutto ingiustificato senza attendere gli esiti della visita da parte della Commissione Medica Locale. Il licenziamento, pertanto, deve essere dichiarato illegittimo, con applicazione della richiesta tutela obbligatoria e con conseguente condanna della società alla riassunzione del ricorrente nel termine di giorni tre o, in mancanza, alla corresponsione, a titolo di risarcimento del danno, di un’indennità che si ritiene equo determinare (in ragione della durata del rapporto di lavoro, circa venti anni) nella misura di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, maggiorata dagli interessi legale e dalla rivalutazione monetaria come per legge.

Con riferimento, infine, alle voci retributive azionate, tenuto conto che nulla compete per il periodo successivo alla sospensione, al ricorrente deve essere corrisposta la retribuzione relativa al mese di settembre 2018 come calcolata dalla società nella relativa busta paga (euro 1.991,74).

La retribuzione per il mese di gennaio 2019 è stata corrisposta dal datore di lavoro (documento allegato n. 15 al fascicolo di parte resistente). Ritiene il Tribunale che non competano, per contro, le mensilità aggiuntive per l’anno 2019, tenuto conto della ritenuta legittimità della sospensione. Compete evidentemente il trattamento di fine rapporto nella misura risultante dalla busta paga del mese di febbraio 2020 acquisita dal CTU (euro 31.871,84), sostanzialmente coincidente con i calcoli dallo stesso effettuati nelle diverse ipotesi considerate.

Le spese di lite, compensate al 30% atteso l’esito del giudizio, seguono la soccombenza come di norma e si liquidano nella misura indicata in dispositivo. Parimenti le spese di CTU, liquidate come da separato decreto devono porsi a carico della società convenuta.

P.Q.M.

Dichiara illegittimo il licenziamento intimato a (…) con lettera del 18.02.2020 pervenuta il 28.02.2020 e condanna la società resistente alla riassunzione del ricorrente nel termine di giorni tre o, in mancanza, a corrispondergli, a titolo di risarcimento del danno, un’indennità pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge.

Condanna la società resistente a corrispondere al ricorrente a titolo di trattamento di fine rapporto e di retribuzione relativa al mese settembre 2018, la somma di euro 33.863,58, oltre interessi legale e rivalutazione monetaria dalla maturazione dei crediti e fino al soddisfo. Rigetta nel resto il ricorso.

Condanna la società resistente alla rifusione delle spese di lite che, già compensate al 30%, liquida in euro 3.240,30, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario, con distrazione.

Pone a carico della società convenuta le spese di CTU liquidate come da separato decreto.

Cosenza, 11 gennaio 2023.

Depositata in Cancelleria il 11 gennaio 2023.

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Avv. Umberto Davide

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