L’assicurazione contro i danni invece tutela il danno dell’assicurato subito da un suo determinato bene per un sinistro, indipendentemente dall’addebitabilità del sinistro, con la conseguenza che l’interesse all’assicurazione non può sussistere che in favore del proprietario o di altro titolare di diritto reale (Cass. 27.4.1990 n. 3544), o anche di titolare di rapporto obbligatorio, purché assistito da garanzia reale, come nel caso del creditore ipotecario (Cass. 13.10.1976, n. 3425), poiché solo questi hanno un interesse alla copertura assicurativa per danno alla cosa (art. 1904 c.c.).

 

La sentenza in oggetto tratta del contratto di assicurazione e del contratto di comodato quindi per ulteriri approfondimenti in merito si cosiglia la lettura dei seguenti articoli:

Il contratto di assicurazione principi generali

L’assicurazione contro i danni e l’assicurazione per la responsabilità civile.

L’assicurazione sulla vita

Il contratto di comodato

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 10 novembre 2003, n. 16826

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vittorio Duva – Presidente

Dott. Fabio Mazza – Consigliere

Dott. Mario Finocchiaro – Consigliere

Dott. Donato Calabrese – Consigliere

Dott. Antonio Segreto – Relatore Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

La Fondiaria Assic. S.p.A., con sede legale in Firenze, in persona del dr. Ivano Cantarale, elettivamente domiciliata in Roma Via Pasubio 4, presso lo studio dell’avvocato Simonetta De Sanctis Mangelli, difesa dagli avvocati Giulio Palmigiano, Maria Grazia Longoni Palmigiano, giusta delega in atti;

ricorrente

contro

Di Prampero Pietro Enrico, De Carvalho De Moraes Marisanta, Samaja Michele, Valmarana Alberto;

intimati

e sul 2° ricorso n. 13788/00 proposto da:

De Carvalho De Moraes Marisanta, Di Prampero Pietro Enrico, in proprio e quali rappresentanti della Associazione Villa Di Prampero, elettivamente domiciliati in Roma Via Parigi 11, presso lo studio dell’avvocato Felice Patrizi, che li difende anche disgiuntamente all’avvocato Giuseppe Campeis, giusta delega in atti;

controricorrenti e ricorrenti incidentali

contro

La Fondiaria Assic. S.p.A., con sede legale in Firenze, in persona del dr. Ivano Cantarale, elettivamente domiciliata in Roma Via Pasubio 4, presso lo studio dell’avvocato Simonetta De Sanctis Mangelli, difesa dagli avvocati Giulio Palmigiano, Maria Grazia Longoni Palmigiano, giusta delega in atti;

controricorrente al ricorso incidentale

contro

Samaja Michele quale erede di Samaja Ugo, elettivamente domiciliato in Roma Lungotevere Marzio 1, presso lo studio dell’avvocato Antonio Vianello, che lo difende anche disgiuntamente all’avvocato Francesco Macario, giusta delega in atti;

controricorrente al ricorso incidentale

nonché contro

Di Valmarana Alberto;

intimato

avverso la sentenza n. 654/99 della Corte d’Appello di Trieste, Sezione I Civile, emessa il 15.10.99 e depositata il 18.11.99 (R.G. 262/96);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18.06.03 dal Consigliere Dott. Antonio Segreto;

udito l’avvocato Giulio Palmigiano;

udito l’avvocato Giuseppe Campeis;

udito l’avvocato Antonio Vianello;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo Marinelli, che ha concluso per l’accoglimento del I motivo e l’assorbimento degli altri motivi del ricorso principale; l’assorbimento p.g.r. del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati atti di citazione, poi riuniti, Valmarana Alberto e Samaja Ugo convenivano davanti al Tribunale di Udine l’Associazione Villa di Di Prampero, Di Prampero Pietro Enrico e Di Prampero De Carvalho De Moraes Marisanta per sentirli condannare in solido a pagare al Valmarana £ 41 milioni ed al Samaja £ 536.500.000, oltre accessori, quali risarcimento del danno patito a causa della perdita di alcuni mobili antichi e modelli di essi sottratti da ignoti ladri, mentre erano in possesso dei convenuti, che li avevano ricevuti dagli attori proprietari, a scopo di esposizione temporanea, nella villa dei convenuti.

I Di Prampero chiamavano in garanzia la Compagnia Assicuratrice La Fondiaria S.p.A..

Il Tribunale di Udine, con sentenza del 7.12.1995, qualificato il rapporto tra le parti attrici e convenute come comodato gratuito, e fra queste ultime e l’assicuratrice come assicurazione della responsabilità civile, applicato l’ art. 1806 c.c. in ordine alla responsabilità da custodia, condannava i convenuti a pagare al Valmarana £ 48 milioni ed al Samaja £ 292.800.000, oltre interessi dal 15.12.1990; condannava altresì la La Fondiaria a tenere indenni i convenuti delle citate somme.

Proponeva appello la La Fondiaria, assumendo che il contratto di assicurazione fosse di assicurazione per conto altrui (dei proprietari delle cose) e non della responsabilità civile e che, in ogni caso, era stata violata la clausola n. 4 che prevedeva la guardia armata ininterrotta dei mobili. Si costituivano i Di Prampero, che proponevano appello incidentale relativamente all’affermata loro responsabilità nei confronti dei convenuti.

Si costituivano gli appellati (Samaja Michele, quale erede di Ugo Samaja).

La Corte di Appello di Trieste, con sentenza depositata il 19.11.1999, rigettava sostanzialmente gli appelli (salvo fissare per la La Fondiaria il limite del massimale nella misura di 500 milioni).

Riteneva la Corte di merito che il contratto assicurativo in questione non costituiva un’assicurazione della r.c., bensì un’assicurazione per conto altrui e cioè per i proprietari delle cose da assicurare, mentre i Di Prampero erano solo i contraenti; che, tuttavia questi ultimi erano legittimati a far valere i diritti degli assicurati, in quanto Samaja e Valmarana avevano loro concesso il consenso implicito a richiedere in nome proprio e per conto loro l’indennizzo dei danni, essendo presenti in giudizio, per cui non sussisteva il difetto di legittimazione ad agire dei chiamanti, nonostante che essi avessero impropriamente formulato una domanda di manleva; che non sussisteva la violazione della clausola n. 4, relativa alla guardia armata ininterrotta, in quanto la La Fondiaria prese atto della sorveglianza disposta e della situazione esistente e non sollevò alcuna obiezione.

Quanto ai rapporti tra i Di Prampero e gli attori, riteneva la Corte di merito che doveva essere condivisa la qualificazione del rapporto come comodato, in quanto gli appellanti incidentali si astenevano dal qualificare tale rapporto dal loro punto di vista; che nella fattispecie non era applicabile l’ art. 1806 c.c., ma che sussisteva la responsabilità dei convenuti, non avendo loro fornito la prova di una particolare ed imprevedibile attività posta in essere dai ladri e che il furto fosse stato accompagnato da violenza o da minacce.

Quanto alla liquidazione del danno, il giudice di appello si riportava alle conclusioni del C.T.U..

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la S.p.A. La Fondiaria, articolato in tre motivi.

Resistono con controricorso il Di Prampero e Marisanta De Carvalho De Moraes, che hanno anche proposto ricorso incidentale, articolato in sei motivi, nonché ricorso incidentale subordinato.

Resiste con controricorso Samaja Michele.

Resiste con controricorso al ricorso incidentale la La Fondiaria, che ha anche presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi a norma dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente La Fondiaria lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1891, 1362 e segg.; 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..

Assume la ricorrente che la Corte di merito, dopo aver correttamente ritenuto che nella fattispecie si trattasse di assicurazione stipulata per conto dei due proprietari dei mobili (Samaja e Valmarana), ha tuttavia ritenuto che questi due assicurati avessero dato il consenso implicito ai contraenti ricorrenti di agire nei confronti dell’assicuratore, mentre, a norma dell’art. 1891, c. 2, c.c., il consenso non può che essere espresso.

Assume inoltre la ricorrente che manca la motivazione in merito agli elementi da cui poteva ritenersi dato questo consenso implicito; che di tale consenso non vi è traccia nella chiamata in garanzia, con la quale i chiamati esercitavano un diritto proprio, quale emergente da assicurazione della responsabilità civile; che questo consenso espresso degli assicurati doveva essere concesso prima dell’1.3.1989, data di prescrizione del loro diritto.

2.1. Ritiene questa Corte che il motivo è fondato e che vada accolto.

La sentenza impugnata ha ritenuto che nella fattispecie il contratto di assicurazione in questione è un contratto assicurativo non della responsabilità civile dei contraenti, ma dei danni ai mobili, e quindi stipulato nell’interesse altrui, cioè dei proprietari di detti mobili. Tuttavia la Corte territoriale ritiene sussistente la legittimazione attiva dei ricorrenti ad agire nei confronti dell’assicuratore sulla base di un implicito consenso degli assicurati, dedotto dal fatto che anche essi fossero presenti nel giudizio.

Osserva questa Corte che l’ art. 1891 c.c. detta una disciplina autonoma rispetto al disposto dell’art. 1705 c.c., distinguendo nettamente la posizione giuridica del contraente da quella dell’assicurato e, attraverso una parziale deviazione anche dalla normativa dei contratti in favore di terzi, sancisce che i diritti derivanti dal rapporto assicurativo vengono acquisiti direttamente dall’assicurato, senza che sia necessaria la preventiva dichiarazione di costui di voler utilizzare il rapporto. Il contraente, al contrario, anche se sia rimasto in possesso della polizza di assicurazione, non può esercitare i diritti che ne derivano, salvo che non ottenga il consenso espresso dell’assicurato.

2.2. Si ritiene in dottrina, e questa Corte concorda, che il consenso dell’assicurato a far valere i propri diritti configura un’ipotesi di sostituzione, che può trovare titolo o in un mandato, ed in questo caso il contraente si presenta come mandatario speciale dell’assicurato per lo specifico esercizio dei diritti emergenti dal contratto, o in una cessione di credito, nel caso in cui il proprietario della cosa sia stato già soddisfatto dal contraente dell’assicurazione.

Da ciò, deriva il corollario che l’assicurazione per conto altrui, pur definendosi un contratto a favore di terzi, da questo si discosta per effetto di quanto dispone l’ art. 1891 c.c., in quanto i diritti derivanti dal rapporto assicurativo vengono acquistati direttamente dall’assicurato senza che sia necessaria alcuna dichiarazione preventiva di volere utilizzare il rapporto, quale invece richiesta dall’art. 1411 c.c. ed, altresì, per la circostanza che la prestazione dell’assicuratore con può mai andare a beneficio dello stesso contraente per effetto di una sua eventuale revoca del contratto, come, invece, avviene ex art. 1411 c.c., a meno che questi non venga ad essere titolare dell’interesse assicurato al momento del sinistro il che, però, accade per lo più nella sola assicurazione per conto di chi spetta.

Sia pure per i principi che governano il contratto di assicurazione, l’ art. 1411 c.c. viene in parte derogato, pur non snaturandosi la stipulazione a favore del terzo contenuta nell’assicurazione per conto.

2.3. Ciò premesso, va evidenziato che ex art. 1891 c.c., secondo comma, il contraente che agisce nei confronti dell’assicuratore non potrà mai invocare quale titolo per la legittimazione l’esistenza di un mandato tacito ricevuto all’assicurato o la ratifica tacita da parte di quest’ultimo del proprio operato processuale, occorrendo l’espresso consenso dell’assicurato (sul punto, Cass. 12680/91).

Per specifica scelta del legislatore detto consenso deve essere “espresso”.

E’ quindi escluso che detto consenso possa essere tacito o desumibile, in via presuntiva, ovvero dalla circostanza che il contraente abbia risarcito il danneggiato (Cass. 14 marzo 1996, n. 2120; Cass. 7 ottobre 1997, n. 9746; 25 febbraio 1995, n. 2140; Cass. n. 10718/1994; Cass. 15 novembre 1994, n. 9584; 27 novembre 1991, n. 12680).

2.4. Non può, pertanto, condividersi il precedente di questa Corte (Cass. n. 6086/1996), richiamato dai resistenti Di Prampero, secondo cui i diritti derivanti dal contratto di assicurazione per conto di chi spetta possono essere fatti valere dallo stipulante anche in presenza del solo consenso tacito dell’assicurato. Non può infatti ritenersi che il requisito del consenso espresso sia equivalente a consenso univocamente manifestato, con esclusione del consenso soltanto supposto, come ritenuto in detto arresto giurisprudenziale.

Così impostata la questione, la locuzione finisce per avere una valenza riduttiva e solo probatoria, nel senso ovvio che se il consenso è solo supposto, ma inesistente, esso non produce alcun effetto.

Peraltro, ove il legislatore avesse voluto richiedere la sola “non equivocità” del consenso, avrebbe espressamente detto ciò, come ad esempio nell’ipotesi di cui all’art. 1230, c. 2, c.c., in cui richiede che la volontà novativa deve “risultare in modo non equivoco”.

Prevedendo, invece, la norma che il consenso sia espresso, esclude la possibilità che esso possa essere manifestato in altro modo. Ovviamente ciò non si traduce nella necessità di formule sacramentali, ma è necessario pur sempre che esso abbia una forma espressa.

Ne consegue che il contraente, in mancanza di detto consenso espresso, non è legittimato ad agire nei confronti dell’assicuratore ai sensi dell’art. 1891 c.c..

2.5. La sentenza impugnata, invece, ha ritenuto che nella specie il consenso degli assicurati nei confronti dei contraenti ad esercitare i diritti emergenti dal contratto, a norma dell’art. 1891 c.c., si dovesse desumere dalla presenza in giudizio degli assicurati stessi.

Così operando la sentenza impugnata ha violato l’ art. 1891 c.c..

E’ infondata l’eccezione dei Di Prampero, secondo cui la ricorrente non avrebbe interesse al ricorso, essendo tutte le parti in causa, ed essendo escluso il rischio di un doppio pagamento.

Infatti, poiché la mancanza del consenso espresso da parte dell’assicurato comporta che il contraente che agisce, sia privo della Iegittimatio ad causam (cfr. Cass. 7 ottobre 1997, n. 9746), l’assicuratore, convenuto per il pagamento, ha interesse a far valere detto difetto (peraltro rilevabile d’ufficio).

Ciò tanto più se, come nella fattispecie, l’assicuratore eccepisce anche la prescrizione del diritto all’indennizzo da parte dell’assicurato, in quanto il giudizio instaurato dal contraente privo della “Iegittimatio ad causam” non è idoneo ad impedire la prescrizione ai sensi dell’art. 2952 c.c., né a tal fine può valere la ratifica del suo operato processuale da parte dell’assicurato, (Cass. 7 ottobre 1997, n. 9746; Cass. 2140 del 1995; Cass. 27 novembre 1991, n. 12680), a parte l’ulteriore considerazione che detta ratifica dovrebbe avere in ogni caso la stessa forma del mandato, e quindi, anche essa dovrebbe essere espressa.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso principale, comporta il rigetto delle eccezioni avverso il ricorso principale contenute nel sesto motivo del ricorso incidentale, con cui i ricorrenti incidentali lamentano l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso di La Fondiaria.

Va, anzitutto, rilevato che il detto motivo di ricorso incidentale è inammissibile come tale, in quanto il motivo di ricorso può solo contenere censure avverso la decisione impugnata e non avverso il ricorso principale, poiché le contestazioni avverso quanto richiesto con il ricorso principale, possono solo costituire oggetto del controricorso e non motivi del ricorso incidentale.

In ogni caso, anche a voler esaminare, sotto il profilo di eccezioni difensive al ricorso, quanto sostenuto nel sesto motivo del ricorso incidentale, esso è infondato in relazione al primo motivo del ricorso principale, sopra esaminato. Infatti il ricorrente sostiene che il consenso da parte dell’assicurato al contraente per l’esercizio dei diritti derivanti dal contratto, a norma dell’art. 1891 c.c., può essere anche tacito e ciò è errato in diritto, come sopra rilevato.

L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, comporta che vada esaminato immediatamente, il ricorso incidentale subordinato, con cui i ricorrenti De Moraes e Di Prampero, in proprio e nella qualità, lamentano l’erroneità della statuizione della Corte di Appello nella parte in cui ha ritenuto che nella fattispecie ricorresse un’ipotesi di assicurazione per conto altrui e non un’assicurazione della responsabilità civile degli stessi contraenti.

Assumono i ricorrenti che nella fattispecie si tratta di un’assicurazione della loro responsabilità civile non di un’assicurazione contro i terzi, in quanto nelle clausole si parla indifferentemente di contraente e di assicurato e solo la clausola 18 impone cautele nel pagamento nei confronti dei proprietari.

In ogni caso, secondo i ricorrenti incidentali, si verserebbe nell’ipotesi di assicurazione contro i danni a favore del terzo.

6.1. Ritiene questa Corte che il ricorso incidentale è infondato.

Va, anzitutto, osservato che per quanto l’assicurazione della responsabilità civile sia sussunta, secondo la sistematica del codice (art. 1917) nella sezione dedicata all’assicurazione contro i danni, di cui costituisce una species, in quanto finalizzata a prevenire rischi che possano diminuire il patrimonio, tra le due sussiste una rilevante differenza.

Infatti nel contratto di assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore si obbliga a tener indenne l’assicurato di quanto quest’ultimo sia costretto a pagare a terzi a seguito di fatto colposo a lui addebitabile a titolo di inadempimento o di illecito aquiliano, e dunque questa assicurazione presuppone l’addebitabilità del fatto dannoso.

L’assicurazione contro i danni invece tutela il danno dell’assicurato subito da un suo determinato bene per un sinistro, indipendentemente dall’addebitabilità del sinistro, con la conseguenza che l’interesse all’assicurazione non può sussistere che in favore del proprietario o di altro titolare di diritto reale (Cass. 27.4.1990 n. 3544), o anche di titolare di rapporto obbligatorio, purché assistito da garanzia reale, come nel caso del creditore ipotecario (Cass. 13.10.1976, n. 3425), poiché solo questi hanno un interesse alla copertura assicurativa per danno alla cosa (art. 1904 c.c.).

6.2. Accertare se con un determinato contratto le parti vollero un’assicurazione per conto altrui, e quindi vollero assicurare il proprietario del bene, soggetto differente rispetto al contraente, ovvero vollero assicurare la responsabilità civile del contraente, e quindi, in buona sostanza, accertare quale fosse l’interesse assicurato e quindi il soggetto assicurato, rientra nei poteri del giudice di merito relativi all’interpretazione della volontà contrattuale.

Nella fattispecie il giudice di appello ha ritenuto che le parti avessero concluso un contratto di assicurazione contro i danni ai beni di Valmarana e Samaja e che quindi gli assicurati fossero questi ultimi.

Sennonché la parte che denunzi in cassazione l’erronea determinazione della volontà negoziale è tenuta ad indicare quali canoni o criteri interpretativi siano stati violati dal giudice di merito in relazione artt. 1362 e segg. c.c., tenendo presente che nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento dell’operazione interpretativa è costituito dalle parole ed espressioni del contratto e, qualora queste siano chiare e dimostrino un’intima ratio, il giudice non può ricercarne una diversa, venendo così a sovrapporre la propria soggettiva opinione all’effettiva volontà dei contraenti (Cass. 29.4.1994, n. 4121; Cass. 22.4.1995, n. 4563).

In mancanza l’individuazione della volontà negoziale – che avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed oggettiva, si risolve in un accertamento di fatto, istituzionalmente riservato al giudice di merito – è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno sono diverse da quelle della parte, bensì allorché esse sono insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica (Cass. 12.3.1994, n. 2415; Cass. 2.2.1996, n. 914; Cass. 25.2.1998, n. 3142).

Nella fattispecie i ricorrenti incidentali non indicano quali criteri ermeneutici il giudice di appello avrebbe violato nel ritenere che il contratto in questione costituisse un’assicurazione contro i danni.

6.3. Quanto al vizio motivazionale, va osservato che, per il rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, che costituisce un particolare atteggiarsi del principio di specificità del ricorso con riflessi sulla sua ammissibilità, i ricorrenti incidentali avrebbero dovuto riportare nel ricorso quelle parti del contratto assicurativo, in merito alle quali ritengono che si sarebbe verificato il difetto motivazionale.

Sennonché essi ricorrenti incidentali si riportano esclusivamente alla clausola 18 della polizza, dalla quale emerge proprio che, allorché l’assicurazione non viene stipulata dal proprietario delle opere, la medesima si intende stipulata dal contraente in nome proprio e per conto altrui o di chi spetta, e cioè in buona sostanza per conto del proprietario.

6.4. Dalla polizza di assicurazione per conto altrui o di chi spetta, diretta a garantire unicamente la persona che al momento dell’evento dannoso risulta essere proprietaria della merce, non può conseguire, in mancanza di apposita pattuizione, anche la copertura assicurativa della responsabilità civile del contraente, proprio per la diversità delle stesse (cfr. Cass. 25 febbraio 1995, n. 2140).

L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale condizionato comportano l’assorbimento del secondo motivo del ricorso principale (in merito all’assunta errata interpretazione della clausola n. 4 attinente alla sorveglianza armata ininterrotta) e del terzo motivo (attinente alla prescrizione).

Occorre ora esaminare i motivi del ricorso incidentale attinenti alle statuizioni della sentenza impugnata nei rapporti tra i ricorrenti incidentali Di Prampero e gli attori Samaja e Valmarana.

Con il primo motivo i ricorrenti incidentali lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1766 e ss. e 1803 e ss. c.c., per errata sussunzione della fattispecie nello schema del comodato, anziché in quello del deposito, (art. 360 n. 3 c.p.c.) o, più correttamente, in quello di locazione o comodato dei locali, e difetto di motivazione sul punto (art. 360 n. 5 c.p.c.) dell’instaurazione di un rapporto contrattuale fra i Di Prampero e Samaja-Valmarana.

Assumono i ricorrenti incidentali che non vi è stato né un comodato dei mobili da parte dei proprietari in loro favore né un deposito degli stessi; che organizzatore della mostra era stato il Samaja, a cui i Di Prampero avevano dato in comodato la loro villa; che essi, proprio perché non erano organizzatori espositori della mostra, non dovevano servirsi dei mobiletti; che il Samaja stesso ha ammesso in giudizio che non vi era stata la consegna dei beni a norma dell’art. 1766 c.c..

9.1. Ritiene questa Corte che il motivo è solo in parte fondato e che lo stesso vada accolto per quanto di ragione.

Osserva preliminarmente questa Corte che il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quale motivo di ricorso per cassazione (n. 3 dell’art. 360 c.p.c.) ricorre quando si prospetta l’errata applicazione di una norma ad un fatto sulla cui fissazione non c’è discussione, mentre quello di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) si risolve in una doglianza che investe la ricostruzione della fattispecie concreta, addebitando a questa ricostruzione di essere stata effettuata in una massima la cui incongruità emerge dall’insufficiente, contraddittoria o omessa motivazione della sentenza.

Pertanto, il vizio dell’incongruità della motivazione comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto, mentre quello sulla falsa applicazione della legge si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalla norma di diritto applicabile al caso concreto, in maniera tale che tra i due momenti non vi siano giustapposizioni (Cass. 18 marzo 1995, n. 3205).

Conseguentemente nella fattispecie non può ricondursi nell’ambito del vizio di violazione di legge la censura con cui si contesta al giudice del merito di aver erroneamente ravvisato la ricorrenza degli elementi costitutivi del contratto di comodato o di deposito di mobili, in luogo del comodato o della locazione della villa, giacché siffatta valutazione comporta non un giudizio di diritto, ma di fatto, da impugnarsi, se del caso sotto il profilo del vizio di motivazione.

Ne consegue che sono infondate le assunte violazioni o errate applicazioni di norme di diritto.

9.2. Sussiste invece il lamentato vizio motivazionale della sentenza.

Infatti la stessa sentenza impugnata osserva che i Di Prampero avevano contestato che fosse sussistito un contratto di comodato dei mobili o che detti mobili fossero loro stati affidati.

A fronte di detto motivo di appello, la sentenza impugnata si limita dire di concordare con la sentenza di primo grado secondo cui nella fattispecie si verteva in ipotesi di comodato gratuito dei mobili effettuando, quindi esclusivamente una motivazione per relationem.

9.3. A tal fine va osservato che è legittima la motivazione della sentenza di secondo grado “per relationem” a quella di primo grado, a condizione che fornisca comunque, sia pure sinteticamente, una risposta alle censure formulate nell’atto di appello, attraverso un “iter” argomentativo desumibile dall’integrazione della parte motiva delle due sentenze di merito, in altri termini a condizione che il giudice d’appello dimostri in modo adeguato d’avere valutato criticamente sia la pronunzia censurata sia le censure proposte (Cass. 28 gennaio 2000, n. 985; 19 luglio 2000, n. 9497; Cass. 23 aprile 1998, n. 4185). Né un generico richiamo alle risultanze istruttorie è idonea ad escludere la carenza di motivazione (Cass. 22 maggio 1996, n. 4725), poiché in tal modo il giudice di appello non adempie al suo obbligo istituzionale di revisione e non consente il controllo logico e giuridico della decisione adottata (cfr. Cass. 26 gennaio 1996, n. 584).

9.4. Ne consegue che nella fattispecie la sentenza impugnata, che si riporta acriticamente ed apoditticamente alle conclusioni cui era giunto il primo giudice, in merito alla sussistenza di un comodato gratuito dei mobili, senza motivare in merito alle diverse argomentazioni degli appellanti e senza indicare su quali elementi probatori fondava detta sua ricostruzione fattuale, presenta il vizio di omessa motivazione, atteso che la prova dell’esistenza di un contratto di comodato (o di qualunque altro titolo, da cui discendesse l’obbligo di custodia e di restituzione dei mobiletti a carico dei Di Prampero) doveva essere fornita dagli attori.

Infatti il creditore, sia che agisca per l’adempimento che per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l’inadempimento del debitore convenuto (Cass. S.U. n. 13533 del 2001).

10.1. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti incidentali lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 1805 c.c., l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto essenziale (art. 360 n. 3 e 4 e 5 c.p.c.), la violazione del principio della domanda e del contraddittorio, nonché del giudicato interno (art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché l’omessa valutazione delle doglianze dei Di Prampero avverso le statuizioni di primo grado.

Assumono i ricorrenti che, ove anche si ritenesse che nella fattispecie vi era stato un comodato dei mobili, si era formato il giudicato, con la sentenza di primo grado, in quanto era stata dichiarata la loro responsabilità a norma dell’art. 1806 c.c.; che il giudice di appello aveva invece ritenuto sussistente la colpa dei convenuti sulla base del consumato furto, mentre il fatto del terzo, rimaneva a carico del comodante, essendosi comportati con diligenza essi ricorrenti. Nella fattispecie, secondo i ricorrenti, non era stata fornita la prova della loro mancanza di diligenza e detta prova doveva essere fornita dal Samaja.

10.2. Per ragioni di connessione logica va esaminato, congiuntamente al precedente, il quarto motivo di ricorso, con cui i ricorrenti incidentali lamentano la violazione del diritto alla prova, costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.) ed omessa motivazione sul punto (art. 360 n. 4 e 5 c.p.c.).

Assumono i ricorrenti che essi avevano richiesto già in primo grado all’udienza del 14.3.1994 (ed avevano ribadito in appello la richiesta) l’ammissione sia della prova per interpello che testimoniale attinente ai fatti che il luogo della mostra era protetto da un sistema di allarme; che vi era un servizio di vigilanza della villa effettuato da pattuglie, anche di notte; che i segnali di allarme erano trasmessi 24 ore su 24 alla centrale di vigilanza; che il Samaja aveva preso visione di detti sistemi protettivi; che durante le ore di apertura al pubblico vi erano presenti 4 vigilantes; che i Di Prampero avevano incaricato due società della manutenzione del servizio di sorveglianza; che i ladri si erano introdotti nella villa forzando una finestra e disattivando il sistema di allarme; che il Samaja prima di dare il suo assenso aveva visitato di persona i locali della Villa dei Di Prampero e preso visione della polizza.

Lamentano i ricorrenti incidentali che la sentenza impugnata, che non si è pronunciata su questa richiesta di prova, pur ritenendo che essi non avevano fornito la prova della non imputabilità del danno subito dagli attori, ha violato il loro diritto di provare i fatti ed è incorsa in vizio di motivazione.

Lamentano poi i ricorrenti che la sentenza impugnata abbia condiviso, quanto al valore dei mobili le conclusioni cui è giunto il C.T.U., mentre mobili analoghi erano stati messi all’asta dalla casa d’asta Sotheby’s di Milano per valore molto inferiore.

11.1. Ritiene questa Corte che i due motivi siano solo parzialmente fondati e che gli stessi vadano accolti per quanto di ragione.

Va, anzitutto, osservato che tra le obbligazioni principali del comodatario vi è quella di custodire e conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1804 c.c.). Ciò comporta che l’obbligo di custodia non costituisce una prestazione accessoria, ma una delle prestazioni qualificanti il contratto di comodato, posta a carico del comodante.

In ogni caso risulta superata la distinzione che la più risalente giurisprudenza effettuava sulla diligenza nella custodia nell’ipotesi in cui la custodia costituiva prestazione principale o prestazione accessoria (Cass. 23 gennaio 1986, n. 430; Cass. 27.10.1981, n. 5618).

Infatti sia nel caso in cui l’obbligo di custodia è prestazione accessoria e funzionalmente voluta dalla legge per l’esecuzione della prestazione principale – art. 1177 c.c., – sia quando esso è l’effetto tipico del relativo contratto – art. 1766 c.c. – la diligenza richiesta all’affidatario è comunque quella del buon padre di famiglia (Cass. 10 dicembre 1996, n. 10986).

12.1. Sennonché detta diligenza del buon padre di famiglia da parte del comodatario comporta non solo che egli eviti azioni od omissioni personali che possano disperdere o deteriorare la cosa, ma anche, in esplicazione del c. d. dovere di protezione, che egli predisponga quanto necessario per prevenire gli accadimenti esterni (tra cui anche il furto), che possano determinarne la perdita, il perimento, o il deterioramento (cfr. Cass. 17.5.1969, n. 1702).

Poiché detta prestazione grava sul comodatario, in caso di perdita della cosa per furto, grava sullo stesso comodatario, secondo i principi che regolano la ripartizione dell’onere della prova in tema di inadempimento contrattuale (Cass. S.U. n. 13533/01 cit.), fornire la prova della non imputabilità della perdita, per essere stato il furto, con le modalità con cui è stato commesso, imprevedibile. E’ vero che correntemente si sostiene che, in caso di avaria, deterioramento o distruzione della cosa depositata, il depositario non si libera della responsabilità ex recepto provando di avere usato nella custodia della res la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall’art. 1768 c.c., ma deve provare a mente dell’art. 1218 c.c. che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile (Cass. 8 agosto 1997, n. 7363; Cass. n. 6592/95).

Il principio, indubbiamente esatto, va condiviso per ogni obbligazione di custodire (e quindi anche per l’obbligo di custodia che grava sul comodatario), per quanto il combinato disposto degli artt. 1176 e 1177 c.c. faccia riferimento solo all’uso della diligenza del buon padre di famiglia.

12.2. Ciò non comporta, però, che il fatto esterno, costituito dal furto, debba avere necessariamente i requisiti del caso fortuito o della forza maggiore, o a maggior ragione che sia consumato con violenza o minaccia alle persone, come sostenuto dalla sentenza impugnata, poiché in questo caso (a parte il rilievo che non più di furto si tratterebbe, ma di rapina) si finirebbe in un’ipotesi di presunzione di responsabilità, mentre nella fattispecie si versa solo in ipotesi di presunzione di colpa, ponendo l’ art. 1218 c.c. a carico del debitore la prova che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità a lui non imputabile e cioè, come sostiene correntemente la dottrina, che egli non sia colpevole dell’inadempimento. Nello stesso contratto di deposito la responsabilità per inadempimento dell’obbligo di custodia è sempre fondata sulla colpa (art. 1768, c. 2, c.c.).

Pur ritenendo che le obbligazioni principali che gravano sul comodatario siano quelle della custodia, conservazione e restituzione delle cose ricevute in comodato (tipiche anche del contratto di deposito), cosicché il rapporto fra i contraenti, in materia di responsabilità per inadempimento e di colpa presunta “ex recepto”, è disciplinato essenzialmente dalle norme codicistiche del deposito, questo comporta in relazione alla responsabilità per furti e rapine che la prova liberatoria a carico del comodatario è raggiunta, se egli dimostra di avere adottato tutte le precauzioni che le circostanze suggerivano (predisposizione di un adeguato servizio di vigilanza, installazione di sistemi di allarme ecc.) secondo un criterio di ordinaria diligenza, per evitare la sottrazione delle cose depositate (cfr. Cass. 20 gennaio 1997, n. 534).

In altri termini non è sufficiente il solo fatto che il furto sia un evento sempre astrattamente prevedibile ed evitabile, per far versare in colpa il comodatario che detto furto abbia subito, rendendo impossibile la restituzione, ma occorre che, avuto riguardo alle circostanze concrete, il comodatario non abbia posto in essere tutte le attività protettive che l’ordinaria diligenza richiede. Trattasi, quindi, di un accertamento da effettuare in concreto, con valutazione ex ante da parte del giudice di merito, e non sulla base di una previsione in astratto.

12.3. Solo se il comodatario (come qualunque altro obbligato ex recepto) si rende conto (o avrebbe dovuto rendersi conto) al momento dell’adempimento della prestazione di custodia, che il soddisfacimento dell’interesse creditorio non è configurabile senza la produzione di uno sforzo maggiore rispetto a quello che ordinariamente comporterebbe la diligenza del buon padre di famiglia, è tenuto comunque a produrre tale sforzo particolare, versando altrimenti in colpa cosciente, se non proprio in dolo eventuale, nonostante che egli abbia custodito con la diligenza del buon padre di famiglia. Ed è solo in questi termini che ha un senso ritenere che la sola prova della diligenza del buon padre di famiglia nell’espletamento dell’attività di custodia, di cui al combinato disposto degli artt. 1176 – 1177 ed art. 1768 c.c., non è idonea ad escludere la responsabilità per inadempimento del custode ex art. 1218 c.c., in caso di furto, che rimane pur sempre una responsabilità per colpa.

Pertanto l’evento dannoso costituito dal fatto del terzo (nella specie furto) resta a carico del comodante se il comportamento del comodatario è esente da colpa.

12.4. Nel caso che la cosa concessa in comodato sia stata stimata al tempo del contratto, il suo perimento è a carico del comodatario, anche se avvenuto per causa non imputabile (art. 1806 c.c.).

In questo solo caso quindi si versa in ipotesi di responsabilità oggettiva.

13.1. Nella fattispecie il giudice di merito ha ritenuto che gli attuali ricorrenti incidentali non hanno provato che l’evento di furto fosse stato inevitabile, per aver posto in essere i ladri una particolare ed imprevedibile attività per consumare il furto ed inoltre non essendo stato detto furto accompagnato da minacce o violenza.

Anzitutto non sussiste la violazione di alcun giudicato interno in merito all’esclusione di un comportamento colpevole da parte dei Di Prampero, come sostenuto dai ricorrenti.

Infatti il tribunale si era limitato a ritenere la responsabilità dei Di Prampero a norma dell’art. 1806 c.c., ma l’aver ritenuto che nella fattispecie sussistesse un’ipotesi di responsabilità oggettiva da parte del comodatario, non comportava necessariamente una statuizione, per quanto implicita, di esclusione di responsabilità soggettiva dei Di Prampero.

Inoltre, ed in ogni caso, essendo gli attori parte vittoriosa, non avevano la necessità, per evitare il giudicato sul punto, di proporre appello incidentale, essendo sufficiente che essi riproponessero la questione al giudice di appello, a norma dell’art. 346 c.p.c., del comportamento colpevole dei convenuti, come è avvenuto.

13.2. Invece è fondata la censura di vizio di motivazione dell’impugnata sentenza, per aver da una parte ritenuto che i ricorrenti incidentali non avessero fornito la prova che il fattore esterno che impediva la restituzione dei mobili, costituito dal furto, non fosse a loro imputabile e dall’altra per non aver ammesso la prova orale richiesta dai Di Prampero avente ad oggetto le modalità di protezione adottate nel caso concreto per contrastare eventuali furti.

Tenuto conto di quanto sopra detto, la prova testimoniale e per interpello dedotta era rilevante in relazione al punto decisivo dell’accertamento dell’esistenza o meno della colpa dei debitori convenuti, in merito all’adeguatezza delle misure predisposte contro eventuali furti, tenuto conto delle circostanze concrete, tra cui le stesse esigenze di protezione manifestate dal creditore comodante.

La mancata ammissione dei detti mezzi di prova dà quindi luogo ad un difetto di motivazione, poiché le circostanze in ordine alle quali la prova era richiesta avrebbero potuto determinare una diversa decisione, mentre la sentenza impugnata da una parte ritiene che gli appellanti non avrebbero fornito la prova della mancanza di una loro colpa e dall’altra non si è pronunziata sulla prova testimoniale già richiesta in primo grado e richiamata anche nelle conclusioni di appello, avente ad oggetto le modalità protettive poste in essere dai Di Prampero contro i furti.

13.3. Infondata è invece la censura relativa all’adesione prestata dai giudici di merito alle conclusioni cui è pervenuto il C.T.U., in merito al valore dei mobili, ed alla mancata ammissione della prova testimoniale, relativa ai prezzi praticati per mobili analoghi da una casa d’asta.

Infatti il giudice di appello ha motivato la sua adesione alle conclusioni del consulente tecnico, rilevando che esse tenevano conto della stima effettuata dalle parti, per quanto ad altri fini, e che le considerazioni mosse dal C.T.P. facevano riferimento a mobili solo in ipotesi simili a quelli di cui si tratta.

Ne consegue, sulla base di tale ultima considerazione del giudice del merito, che la stessa prova testimoniale richiesta dagli appellanti sul prezzo praticato da altra casa d’asta per mobili simili, non attiene ad un punto decisivo della controversia.

Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti incidentali lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) e l’omesso esame di un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Lamentano i ricorrenti incidentali che il giudice di appello erratamente non abbia tenuto conto del comportamento colposo degli attori, che avrebbero potuto ridurre il danno, agendo nei confronti dell’assicuratore per la copertura del danno da furto.

15.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia inammissibile perché introduce una questione nuova, non prospettata nelle sedi di merito.

Infatti il primo comma dell’art. 1227 c.c. concerne il concorso colposo del danneggiato nella produzione dell’evento che configura l’inadempimento, quindi la sua cooperazione attiva, mentre nel secondo comma il danno è eziologicamente imputabile al danneggiante, ma le conseguenze dannose dello stesso avrebbero potuto essere impedite o attenuate da un comportamento diligente del danneggiato.

Consegue che in tema di risarcimento del danno mentre il concorso di colpa del creditore, previsto al 1° comma dell’art. 1227 c.c. può essere rilevato anche d’ufficio, nella diversa ipotesi dell’esimente contemplata dal 2° comma della stessa norma, il giudice è tenuto a svolgere l’indagine in ordine all’omesso uso dell’ordinaria diligenza da parte del creditore, soltanto se vi sia stata un’espressa istanza del debitore, in quanto in questo secondo caso la dedotta colpa del creditore costituisce inosservanza di un autonomo dovere giuridico posto dalla legge a suo carico e la richiesta del debitore integra gli estremi di una eccezione in senso sostanziale con cui viene fatto valere un controdiritto per paralizzare l’azione del creditore (Cass. 22 maggio 1986, n. 3408).

Non essendo stata prospettata detta questione al giudice di appello, ed attenendo la stessa non all’eziologia del danno, ma alla riduzione dei danni ormai già prodotti dal furto (e quindi ad ipotesi di cui all’art. 1227, c. 2, c.c.), questi non poteva rilevarla d’ufficio, ma doveva essere sollevata dalla parte convenuta con apposita eccezione, prospettabile anche in sede di appello, tenuto conto che nella fattispecie era applicabile l’ art. 345 c.p.c. nella formulazione antecedente alla novella n. 353/1990.

Non essendo stata, quindi, prospettata detta eccezione in sede di merito, la questione non può essere proposta per la prima volta in questa sede.

15.2. Ove invece l’eccezione di cui al comma secondo dell’art. 1227 c.c. fosse stata effettivamente prospettata al giudice di appello, non essendosi lo stesso pronunciato in merito, l’unica censura che poteva avanzarsi era quella di violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, a norma dell’art. 112 c.p.c. ed ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. e non di violazione di norme sostanziali, come, invece è avvenuto nella fattispecie (cfr. Cass. S.U. 14.1.1992, n. 369).

Con il quinto motivo di ricorso i ricorrenti incidentali lamentano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto per omesso esame di motivo di appello, violazione di norma codicistica, contraddittorietà ed illogicità della motivazione (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).

Lamentano i ricorrenti incidentali che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di appello avverso specifico motivo di impugnazione, il tribunale aveva riconosciuto una rivalutazione monetaria dal fatto al 15.12.1990, per cui la Corte territoriale dimostrava di non aver letto la sentenza di primo grado.

Inoltre lamentano i ricorrenti che la sentenza impugnata si è limitata a prestare fede alle conclusioni del C.T.U. e non ha tenuto conto che i Di Prampero avevano dedotto che la casa d’asta Sotheby’s nel 1992 aveva venduto mobili identici per un quarto del valore di stima, richiedendo sul punto prova testimoniale.

17.1. Ritiene questa Corte che il motivo è infondato e che lo stesso vada rigettato.

Quanto alla prima censura la stessa si risolve in un travisamento del fatto processuale da parte del giudice di appello, per cui l’unico rimedio esperibile era quello revocatorio.

Invero va rilevato che il travisamento del fatto non può costituire motivo di ricorso per cassazione, poiché, risolvendosi in un’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c. (Cass. 15.5.1997, n. 4310; Cass. 2.5.1996, n. 4018).

17.2. Quanto alla seconda censura, attinente all’adesione prestata dal giudice di appello alle conclusioni del C.T.U., vale quanto già detto in merito sopra (al punto 13.3.).

In definitiva va accolto il primo motivo del ricorso principale della S.p.A. La Fondiaria e vanno dichiarati assorbiti, i due restanti motivi del suddetto ricorso; vanno accolti per quanto di ragione, il primo, secondo e quarto motivo del ricorso incidentale di Di Prampero e De Moraes, in proprio e nella qualità e vanno rigettati i restanti, nonché il ricorso incidentale condizionato.

Va cassata l’impugnata sentenza, in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste, che si uniformerà ai principi di diritto sopra esposti e provvederà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri motivi del ricorso medesimo. Accoglie, per quanto di ragione, il primo, secondo e quarto motivo del ricorso incidentale, rigetta i restanti motivi, nonché il ricorso incidentale condizionato.

Cassa l’impugnata sentenza, in relazione, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.