l’intollerabilità delle immissioni non costituisce, propriamente, un fatto da provarsi, ma un giudizio che il giudice del merito è tenuto ad esprimere con riferimento alle accertate propagazioni: sicché non ha senso logico riferire l’onere probatorio al dato della intollerabilità; compete, invece, a detto giudice appurare se, sulla scorta degli elementi di prova forniti, ed eventualmente con l’ausilio di un consulente tecnico, quelle immissioni eccedano il limite della comune sostenibilità, avuto anche riguardo ai criteri posti dall’articolo 844 c.c.

Tribunale Siracusa, Sezione 2 civile Sentenza 27 marzo 2019, n. 569

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI SIRACUSA

Sezione 2° Civile

Il Giudice istruttore, in funzione di Giudice unico, dott. Vincenzo Cefalo, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 2588 /2014 R.G.

promossa da:

(…), nato/a a A. il (…) elettivamente domiciliato/a in viale (…) c/o avv. G.Mi.SI., rappresentata e difesa dall’avv. SI.PA.;

contro

(…) nato/a a A. il (…) elettivamente domiciliato/a VIA (…) 96012 AVOLA rappresentato difeso dall’avv. TR.GI.

MOTIVAZIONE IN FATTO E IN DIRITTO

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato in data 9/5/2014, (…) conveniva in giudizio la ditta individuale (…) di (…), per ottenere la cessazione delle immissioni moleste di rumori superiori alla normale tollerabilità cagionati dall’impianto, in base all’art. 844 c.c., e per il risarcimento del danno valutato in Euro 10.000,00, riferendo in proposito di abitare, sin dal 27/9/1973, in un appartamento sito in A. piazza (…), ove, nel locale attiguo, aveva aperto un impianto di autolavaggio nel mese di maggio 2011.

Aggiungeva che sin da subito era costretta a sopportare i forti rumori provenienti dai macchinari destinati al lavaggio di autovetture, che aveva presentato numerose denunce all’AG, che i tecnici dell’ARPA avevano eseguito rilievi fonometrici in esito ai quali si era verificato il livello di superamento dei limiti di tollerabilità, che era stato emesso decreto penale di condanna per il reato di cui all’art. 659 c.p., che nonostante ciò gli inconvenienti non erano cessati e l’impianto di autolavaggio aveva cambiato gestione con l’attuale convenuto.

Si costituiva parte resistente chiedendo il rigetto del ricorso.

Dopo il mutamento di rito in cognizione ordinaria, la causa è stata istruita con esame di testi e CTU e trattenuta in decisione all’udienza del 4/10/2018.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

In proposito risulta pienamente utilizzabile la relazione eseguita dal CTU, che questo giudice valuta positivamente per la completezza e la precisione, nonché per l’adeguata motivazione sotto il profilo tecnico.

In base all’art. 844 c.c. “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.”

Pertanto, secondo il codice civile, è necessario tener conto del concetto di “normale tollerabilità”, della condizione dei luoghi, di eventuali esigenze di produzione e della priorità d’uso.

Il concetto di “normale tollerabilità”, secondo giurisprudenza di legittimità, non va considerato come un fatto da provare in sé, ma è il risultato di un conclusivo apprezzamento di più circostanze di fatto Cass. Civ. sez. 2 sent. n. 9640 dell’11/5/16:

“l’intollerabilità delle immissioni non costituisce, propriamente, un fatto da provarsi, ma un giudizio che il giudice del merito è tenuto ad esprimere con riferimento alle accertate propagazioni: sicché non ha senso logico riferire l’onere probatorio al dato della intollerabilità; compete, invece, a detto giudice appurare se, sulla scorta degli elementi di prova forniti, ed eventualmente con l’ausilio di un consulente tecnico, quelle immissioni eccedano il limite della comune sostenibilità, avuto anche riguardo ai criteri posti dall’articolo 844 c.c.”.

Incide comunque sul dato normativo la presenza di norme speciali che stabiliscono delle soglie di tollerabilità specificamente calcolate, alle quali occorre fare riferimento come requisiti per l’adempimento dell’onere probatorio relativo all’apprezzamento complessivo della soglia di normale tollerabilità.

Secondo Cass. Civ. sez. 2 sent. n. 1025 del 17/1/18 rileva l’applicazione dei D.P.C.M. 14 novembre 1997 e D.P.C.M. 1 marzo 1991 che stabiliscono la soglia massima a 5 db durante il periodo diurno e a 3 db durante quello notturno, da calcolare tenendo contro della differenza tra il rumore che costituirebbe l’immissione e il rumore di fondo.

Ulteriori elementi per la valutazione della tollerabilità delle immissioni secondo l’art. 844 C.C. sono il preuso e le esigenze di produzione.

Secondo giurisprudenza di legittimità il primo è inteso come “sussidiario e facoltativo” (Cass. sent. n. 9865/06).

Le ragioni della produzione (tenendo anche conto eventualmente del preuso) risultano in ogni caso “recessive” rispetto ai valori della salute e della qualità di vita, i quali sono da considerarsi limiti intrinseci alla produzione stessa e ai rapporti di vicinato, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 844 C.C. (Cass. Civ. sez 2 sent. 8420 dell’11/4/2006).

Venendo al caso specifico il CTU ha accertato che i locali appartenenti alle due parti in causa sono contigui, che l’immobile utilizzato da parte ricorrente costituisce a tutti gli effetti un’abitazione sia per le caratteristiche intrinseche dei locali che per destinazione catastale, il basso livello del rumore di fondo, connaturato ad un quartiere tranquillo nonostante la presenza della ferrovia, rilevando il ridotto passaggio di treni costituiti da un solo vagone.

Date queste condizioni le misurazioni effettuate dal CTU hanno rilevato il superamento di oltre 5 db del rumore immesso nell’abitazione dall’impianto di autolavaggio, rispetto al rumore di fondo.

Tale limite è superiore a quello previsto dal D.P.C.M. 14 novembre 1997.

La conferma dei rilievi eseguiti dall’ARPA nel 2012 riscontra dunque la fondatezza delle ragioni di parte ricorrente.

Date queste premesse vanno valutate con sfavore le testimonianze e non possono essere condivise le obiezioni di parte resistente centrate sulla asserita natura commerciale e sulla mancanza di abitabilità dei locali utilizzati da parte ricorrente, nonché sulla asserita ipersensibilità ai rumori derivante dall’età avanzata della stessa.

In realtà, secondo giurisprudenza di legittimità, il superamento dei limiti regolamentari costituisce ipso facto un illecito civile.

Nel caso specifico depongono a sfavore di parte resistente anche l’anteriorità dell’abitazione rispetto all’impresa commerciale (cd. preuso) e il passaggio in secondo piano delle esigenze aziendali rispetto al diritto alla salute, con la conseguenza che al resistente dovrà essere inibita la prosecuzione dell’attività di autolavaggio nel locale contiguo a quello di parte ricorrente, attesa l’impossibilità di attenuare la fonte dei rumori, come motivatamente spiegato dal CTU.

Secondo Cass. Civ. sez. 2 sent. 5564 dell’8/3/2010, deve considerarsi “(…) prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento del diritto ad una normale qualità della vita.”

Cass. 30/8/2017 n. 20553 ha stabilito che la domanda di cessazione delle immissioni che superino la normale tollerabilità non vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata, ben potendo egli ordinare l’attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei ad eliminare la situazione pregiudizievole.

Venendo alla questione danno, la giurisprudenza ritiene pienamente riconoscibile il cd. danno esistenziale di natura non patrimoniale in casi analoghi, richiedendosi invece la rigorosa prova del nesso causale per l’eventuale ammissione del danno biologico.

Secondo Cass. Civ. sez. 2 ord. n. 21554 del 3/9/2018 qualora sia stata valutata e accertata la effettiva intollerabilità delle immissioni, “l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’articolo 844 cod. civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’articolo 2043 del codice civile e, specificamente, per quanto concerne il danno non patrimoniale risarcibile, dell’articolo 2059 cod. civ.”

Invece il danno biologico non sarebbe sussistente in re ipsa nella violazione della normale tollerabilità ma richiederebbe la prova di un nesso tra le immissioni e una specifica lesione del diritto alla salute.

Ciò però non osterebbe al riconoscimento del danno non patrimoniale da lesione del ” normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo” (Cfr., sul punto. Cass. SS. UU. 2611/2007).

Nel caso di specie, tenuto conto del periodo di durata delle immissioni nocive calcolato senza soluzione di continuità dalla data di inizio dell’attività sino a quella della perizia (anni 6), va riconosciuto un ristoro in via equitativa di Euro 500,00 per anno a compensare il deterioramento della qualità della vita.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Visto l’art. 844 c.c.

Proibisce a (…) la prosecuzione dell’attività commerciale di autolavaggio nel locale per cui è causa sito in A. piazza (…), in quanto immette rumori superiori alla normale tollerabilità nell’abitazione contigua di (…).

Condanna (…) a pagare a (…) la somma di Euro 3.000,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo per risarcimento del danno esistenziale.

Condanna (…) a pagare a (…) ( o, nello misura di metà allo Stato, in caso di liquidazione in suo favore del PSS)le spese di giudizio che liquida in Euro 4.000,00, oltre spese generali 15%, IVA e CPA.

Spese di CTU definitivamente a carico di parte resistente.

Così deciso in Siracusa il 23 marzo 2019.

Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.