le Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura” emanate dalla (…), oltre a rispondere alla elementare esigenza logica e metodologica di avere a disposizione dati omogenei al fine di poterli raffrontare, hanno anche natura di norme tecniche autorizzate, posto che, da un lato, l’attribuzione della rilevazione dei tassi effettivi globali alla (…) è stata via via disposta dai vari decreti ministeriali annuali che si sono succeduti a partire dal D.M. 23 settembre 1996 per la classificazione in categorie omogenee delle operazioni finanziarie, e dall’altro lato i decreti ministeriali trimestrali con i quali sono resi pubblici i dati rilevati, all’art. 3 hanno sempre disposto che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del tasso soglia, si attengono ai criteri di calcolo indicati nelle “Istruzioni” emanate dalla (…). Le “Istruzioni” in parola sono pertanto autorizzate dalla normativa regolamentare e sono necessarie per dare uniforme attuazione al disposto della norma primaria di cui all’art. 644, quarto comma, c.p.

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Tribunale Roma, Sezione 17 civile Sentenza 26 febbraio 2019, n. 4347

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

XVII Sezione civile

in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Fausto Basile, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 18953 del R.G.A.C.C. dell’anno 2017 e vertente

tra

(…) E (…), rappresentati e difesi dall’Avv. La.Ca., giusta procura in calce all’atto di citazione, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via (…);

ATTORI

e

(…) S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Cl.Sc. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Corso (…), giusta procura speciale alle liti con elezione di domicilio in calce all’atto di comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTA

OGGETTO: altri istituti e leggi speciali

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, (…) e (…) hanno convenuto in giudizio, dinanzi all’intestato Tribunale, la (…) S.p.A. (di seguito anche solo la Banca) per sentir dichiarare illecito il mutuo ipotecario stipulato con la Banca convenuta in data 24.11.2004 (cfr.doc. n. 1, atto citazione) ed ottenere la restituzione della somma indebitamente versata a titolo di interessi non dovuti pari ad Euro. 32.672,28, nonché, in subordine, per sentir ordinare alla convenuta la rimodulazione del mutuo con ricalcolo del giusto e lecito tasso di interesse, al tasso minimo dei BOT dall’epoca del dovuto a quella del soddisfo, con conseguente restituzione della somma pari ad Euro. 14.905,07 incassata a titolo di interessi non dovuti.

In particolare, gli attori hanno dedotto che la perizia di parte versata in atti, effettuata dall’Ing. (…) (doc. n. 4 fascicolo parte attrice) avrebbe evidenziato una serie di anomalie e difformità del contratto di mutuo stipulato tra le parti rispetto al principio di legalità e, in particolare, l’usurarietà del tasso di mora contrattuale, del tasso effettivo di estinzione anticipata, del tasso complessivo, del tasso effettivo e di quello nominale di mora, difformità tra l’ISC dichiarato nel contratto rispetto al Taeg verificato.

In via istruttoria, a conferma di quanto dedotto, parte attrice ha richiesto disporsi apposita CTU contabile.

Si è costituita in giudizio la (…) S.p.A. chiedendo, in via preliminare, di dichiarare la domanda inammissibile per intervenuta prescrizione estintiva, nonché, nel merito, di rigettare tutte le avverse domande, in quanto infondate in fatto ed in diritto.

All’udienza di prima comparizione del 13.7.2017, il Giudice ha concesso i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., rinviando per l’eventuale ammissione dei mezzi di prova.

All’udienza del 7.12.2017, ritenute inammissibili e/o irrilevanti le richieste istruttorie di parte attrice, ha rinviato per la precisazione delle conclusioni.

All’udienza del 5.12.2018, sulle conclusioni rassegnate in epigrafe, la causa è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione alle parti dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Le domande attoree sono infondate e, pertanto, vanno rigettate per i motivi appresso indicati.

Innanzitutto, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”- desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al Giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale (cfr., Cass., sez. V, 11.05.2018, n. 11458 conforme a Cass., S.U., 08.05.2014, n. 9936).

Nella specie, dunque, dapprima saranno esaminate le doglianze relative alla sussistenza dei diritti azionati da parte attrice relativi al contratto di mutuo e, soltanto in eventuale subordine, l’intervenuta prescrizione dell’azione di ripetizione eccepita dalla Banca convenuta.

Con riferimento alla dedotta usurarietà dei tassi di interesse del contratto di mutuo de quo, non è innanzitutto condivisibile la tesi della sommatoria dei tassi di interesse corrispettivi e moratori, sulla quale pure si fonda la domanda di accertamento della pattuizione di interessi usurari, con conseguente gratuità del mutuo azionato e ripetizione dell’indebito.

Tuttavia, è noto il contrario orientamento di legittimità, secondo il quale “si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori” (Cass., 9 gennaio 2013, n. 350).

Tale decisione richiama espressamente quanto affermato da Corte Cost., 25 febbraio 2002, n. 29, per la quale “il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del D.L. n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile … l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”, e si pone sulla scia di quanto affermato, tra le altre, da Cass.. 4 aprile 2003, n. 5324, Cass. 17 novembre 2000, n. 14899, e Cass. 22 aprile 2000, n. 5286.

Tale orientamento, peraltro, è stato recentemente ribadito da Cass., 5598/17 e da Cass. 23192/2017.

Quest’ultima pronuncia, in particolare, non ha avallato né la tesi della sommatoria dei tassi di interesse, né quella del raffronto dei tassi di interessi moratori con TSU basato sulle rilevazioni trimestrali dei decreti ministeriali emanati in esecuzione della L. n. 108 del 1996 con riferimento ai soli interessi corrispettivi.

La S.C. ha invece riconosciuto l’erroneità della decisione che basa l’accertamento del mancato superamento del tasso soglia antiusura sulla sola base dell’assunto che non sarebbe consentito cumulare il tasso degli interessi corrispettivi con il tasso degli interessi moratori. Cosicché si imporrebbe una separata verifica in ordine al superamento del tasso soglia usurario da parte dei soli interessi moratori, senza alcuna sommatoria con quelli corrispettivi.

Da ultimo, con l’ordinanza n. 27442/18 la III Sez. della Corte di Cassazione ha ribadito tale orientamento proprio in considerazione della identità di funzione tra interessi corrispettivi e interessi moratori.

Ciononostante, il riferito orientamento giurisprudenziale, benché autorevole, non appare condivisibile, in quanto sembra trascurare la diversa funzione assolta dagli interessi corrispettivi e dagli interessi moratori, i primi, costituenti il corrispettivo previsto per il godimento diretto di una somma di denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta (cfr. Cass. 22 dicembre 2011, n. 28204), i secondi, rappresentanti una liquidazione anticipata, presuntiva e forfetaria del danno causato dall’inadempimento o dal ritardato adempimento di un’obbligazione pecuniaria.

Difatti, il tasso di mora ha un’autonoma funzione risarcitoria per il fatto, solo eventuale e imputabile al mutuatario, del mancato o del ritardato pagamento e la sua incidenza va rapportata al protrarsi ed alla gravità della inadempienza, del tutto diversa dalla funzione di remunerazione propria degli interessi corrispettivi (cfr. Trib. Milano, 22 maggio 2014; Trib. Verona, 9 aprile 2014; Trib. Brescia, 16 gennaio 2014).

Sebbene la distinzione tra le due figure risultasse meno sfumata sotto il vigore dell’art. 41 cod. comm., il quale ammetteva l’automaticità della produzione di interessi non moratori limitatamente ai soli rapporti oggettivamente commerciali, non può per ciò solo ritenersi che l’art. 1282 c.c. sia sovrapponibile all’art. 1224 c.c. e che, dunque, gli interessi corrispettivi e quelli moratori possano porsi sullo stesso piano, in quanto, come evidenziato anche da autorevole dottrina, sono identificabili diverse situazioni in cui si verifica un’esigibilità o un ritardo nel pagamento senza una corrispondente situazione di mora (quale, ad esempio, il caso del corrispettivo pecuniario divenuto esigibile per l’appaltatore dopo la consegna e l’accettazione dell’opera da parte dell’appaltante, esigibile anche qualora non sia decorso il termine per l’ adempimento), situazioni riconducibili nell’alveo della prima disposizione, ma non in quello della seconda, il cui ambito di applicazione è circoscritto in quello della prima.

Le due tipologie di interessi si distinguono anche sul piano della disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori sono dovuti, a differenza di quelli corrispettivi, dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, ai sensi dell’art. 1224, primo comma, c.c., e vengono introdotti coattivamente ex lege, per il caso dell’inadempimento, anche in un rapporto contrattuale che non li abbia originariamente previsti, attesa la loro natura latamente punitiva (cfr. Trib. Roma, 16 settembre 2014).

Inoltre, le due figure di interessi si pongono in rapporto di alternatività, in quanto la lettura congiunta degli artt. 1182, terzo comma, e 1219, secondo comma, punto terzo, c.c., porta ad affermare che, qualora si tratti di obbligazioni pecuniarie portables e sia scaduto il termine per l’adempimento, l’ambito di applicazione dell’art. 1282 c.c., riconducibile agli interessi corrispettivi, risulti completamente affievolito.

Infatti, non appena il credito diventa liquido ed esigibile si costituiscono le condizioni ed i presupposti per l’applicazione dell’art. 1224 c.c., norma questa prevalente in base al principio di specialità ex art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale; sicché in tal caso interessi corrispettivi ed interessi moratori, in via di principio, non si cumulano, ma sono dovuti solo i secondi (cfr. ABF – Collegio di Milano, 3 giugno 2014, n. 3577; ABF – Collegio di Napoli, 20 novembre 2013, n. 5877).

In considerazione della evidenziata funzione di liquidazione forfettaria e anticipata del danno da inadempimento assolta dagli interessi moratori, a questi va applicata la disciplina prevista per la clausola penale, con la conseguenza che, qualora la loro misura sia eccessiva, troverà applicazione lo strumento della riduzione giudiziale ex art. 1384 c.c., ma non potrà farsi ricorso alla loro completa eliminazione (cfr. Trib. Napoli, 12 febbraio 2014; ABF – Collegio di coordinamento, 28 marzo 2014, n. 1875; ABF – Collegio di Napoli, 13 gennaio 2014, n. 125).

Il superiore orientamento della citata giurisprudenza di legittimità sembra porsi in contrasto anche con la ratio sottesa alla fattispecie delittuosa del reato di usura – che sanziona, all’art. 644 c.p., la condotta di chi si fa dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari quale corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità – da individuarsi, come desumibile anche dal disposto del comma terzo del medesimo articolo, nel divieto di convenire un corrispettivo sproporzionato per la concessione in godimento del denaro di altra utilità.

Per le suesposte ragioni, dovrebbero assumere rilevanza, ai fini dell’integrazione degli estremi dell’usura, solo quelle prestazioni di natura corrispettiva (siano esse interessi convenzionali, remunerazioni, commissioni o spese diverse da quelle legate ad imposte e tasse) legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale, non essendo possibile estendere l’ambito di applicazione della fattispecie in esame anche alle prestazioni riconducibili alla mora debendi (cfr. Tribunale Verona 9 aprile 2014; in materia penale, vedi Trib. Torino, GUP, 10 giugno 2014).

Tale interpretazione appare suffragata dalla stessa giurisprudenza di legittimità, laddove ha affermato che “la “clausola penale” per la sua funzione (desumibile dal dettato degli artt. 1382 – 1386 c.c.) ex se, non può essere considerata come parte di quel “corrispettivo” che previsto dall’art. 644 c.p. può assumere carattere di illiceità, poiché sul piano giuridico l’obbligazione nascente dalla clausola penale non si pone come corrispettivo dell’obbligazione principale, ma come effetto derivante da una diversa causa che è un inadempimento”, a meno che le parti non abbiano dissimulato il pagamento di un corrispettivo, attraverso un simulato e preordinato inadempimento (cfr. Cass.,Sez. II, n. 5683 del 25/10/2012 – dep. 05/02/2013 – D.N.S.).

Non appare calzante, in senso opposto, il riferimento al dettato dell’art. 1 comma 1, D.L. n. 394 del 2000, convertito, con modificazioni, nella L. n. 24 del 2001, secondo cui “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”, legge emanata al dichiarato fine di evitare effetti pregiudizievoli in ordine alla stabilità del sistema creditizio nazionale che sarebbero potuti derivare dall’orientamento giurisprudenziale (v. Cass. n. 14899/00, cit.) propenso a riconoscere la sopravvenuta usurarietà dei tassi di interesse, benché legittimi al momento della conclusione del contratto di mutuo, per effetto della variazione medio tempore del c.d. tasso-soglia.

Non può, infatti, riconoscersi a tale norma, in considerazione della sua natura di interpretazione autentica, carattere innovativo rispetto alla disciplina dettata dall’art. 644 c.p. e, come tale, idonea ad ampliare la fattispecie delittuosa del reato di usura, includendo anche oneri non ricollegabili alla erogazione del credito.

Sotto altro profilo, occorre rilevare che i decreti del Ministero dell’economia e delle finanze con cui, in attuazione della L. n. 108 del 1996, sono periodicamente individuati i tassi effettivi globali medi rilevanti ai fini dell’usura tengono in considerazione soltanto gli interessi corrispettivi e non anche gli interessi moratori.

A partire dal D.M. del 25 marzo 2003, è stato precisato espressamente che i tassi effettivi globali medi non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento e che l’indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla (…) e dall’Ufficio Italiano dei Cambi già all’epoca aveva rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali.

In data 3 luglio 2013, successivamente all’emanazione della richiamata pronuncia della Cassazione, la (…) ha diffuso un Comunicato secondo il quale gli interessi di mora, pur essendo soggetti alla normativa anti-usura, sono esclusi dal calcolo del TEGM, in ragione del fatto che trattasi di oneri eventuali la cui debenza ed applicazione cadono solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente e ha conseguentemente chiarito che, in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, adotterà, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEGM pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.

Pertanto, laddove si sostenga che la verifica del superamento del tasso soglia antiusura riguardi anche gli interessi moratori, appare incoerente e del tutto illogico utilizzare, ai fini dell’accertamento dell’usurarietà dei tassi di interesse di mora soglie determinate con riferimento ai soli interessi corrispettivi e agli oneri connessi all’erogazione del credito.

Anche l’interpretazione del dato normativo condotta sotto il profilo più strettamente economico conduce alla conclusione della impossibilità di attribuire rilevanza, ai fini del superamento del tasso soglia usurario, agli interessi moratori.

Difatti, come evidenziato nella richiamata Comunicazione della (…), l’esclusione degli interessi moratori dal calcolo dell’usura evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo, per cui se si prendessero in considerazione anche tali interessi, potrebbe determinarsi un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela, così frustrando le stesse finalità della normativa.

Sarebbe d’altro canto incongruo ritenere che l’usurarietà degli interessi moratori possa essere accertata sulla base di un tasso soglia stabilito senza tener conto dei maggiori costi indotti, per il creditore, dall’inadempimento del debitore (ABF, Collegio di Roma, decisione n. 260 del 17 gennaio 2014, (…)).

Da ultimo, va evidenziato che, portando alle estreme conseguenze logiche il citato orientamento della giurisprudenza di legittimità, si dovrebbe concludere nel senso della non coerenza dei decreti ministeriali emanati in attuazione della L. n. 108 del 1996 con le norme di rango primario della stessa Legge, in quanto adottati sull’erroneo presupposto della non rilevanza degli interessi moratori, con conseguente disapplicazione di tali decreti e non applicabilità ai predetti interessi moratori delle soglie antiusura fissate per i soli interessi corrispettivi.

Tuttavia, nonostante le argomentazioni svolte, il Tribunale, preso atto del superiore orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di interessi usurari, non si limita ad affermare l’illegittimità della tesi della sommatoria delle diverse tipologie di tassi di interesse ai fini del superamento della soglia antiusura, ma procederà ad un’autonoma verifica in ordine all’eventuale superamento del TSU da parte degli interessi corrispettivi e degli interessi di mora, separatamente considerati.

Con riferimento a questi ultimi, va in ogni caso richiamata l’anzidetta impossibilità di comparare elementi tra di loro disomogenei: da una parte, gli interessi di mora convenzionalmente pattuiti, dall’altra, con il TEGM rilevato sulla media degli interessi corrispettivi praticati dagli intermediari finanziari abilitati.

Per cui, la verifica dell’eventuale usurarietà del tasso di mora va effettuata raffrontandolo con un TSU determinato previa maggiorazione del TEGM dei 2,1 punti percentuali rilevati dalla (…) nell’ambito dei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, e poi aumentato della metà.

Su tale questione è recentemente intervenuta la Terza Sezione della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27442/18, (già citata) che, dopo aver confermato la tesi dell’applicabilità anche agli interessi moratori della disciplina inerente gli interessi usurari, ha ritenuto, incidentalmente, non applicabile l’aumento del TEGM della suddetta percentuale del 2,1. al fine di determinare il tasso soglia comprensivo della valutazione dei tassi moratori (definendola un’operazione “fantomatica”).

Il Tribunale non condivide tale affermazione, peraltro espressa solo nelle notazioni finali del lungo percorso motivazionale della predetta ordinanza.

A tale riguardo, infatti, oltre alle argomentazioni innanzi esposte in argomento, va tenuto conto del principio della necessità di comparare dati tra di loro omogenei, affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite n.16303 del 2018 intervenuta in materia del calcolo di interessi usurari in presenza della pattuizione di commissioni di massimo scoperto.

In realtà, la necessità di utilizzare e confrontare dati tra di loro omogenei appare evidente anche nel caso degli interessi moratori e legittima l’utilizzo, ai fini della verifica del superamento del TSU, della maggiorazione media del 2,1% indicata nei D.M. di rilevazione dei TEGM con riferimento agli interessi stabiliti contrattualmente in caso di ritardato pagamento rispetto a quelli corrispettivi.

Alla stregua delle considerazioni fin qui esposte, nel caso di specie, valutati i dati oggettivi che emergono dal contratto di mutuo in contestazione (doc. n. 1, fasc. parte attrice) si rileva innanzitutto che il tasso degli interessi corrispettivi è stato pattuito nella misura variabile del 4,200%, quindi al di sotto della soglia antiusura del 5,760%, secondo il parametro all’epoca vigente: TEGM del 3,84% dei mutui a tasso variabile per il periodo ottobre – dicembre 2004.

Quanto alla dedotta usurarietà del tasso degli interessi di mora, esso è stato pattuito aumentando di 3 punti nominali annui il tasso vigente ratione temporis per il mutuo. Dunque, al momento della conclusione del contratto era pari 7,200%; percentuale inferiore a quella del tasso soglia usurario dell’8,91%, ottenuto previa maggiorazione del TEGM del 2,1% di cui si è innanzi detto.

Va inoltre osservato che, ai fini del superamento del TSU da parte degli interessi di mora, non può essere preso in considerazione il parametro costituito dal tasso di mora effettivo (cd. TEMO) elaborato dalla perizia di parte allegata all’atto di citazione e il successivo confronto, in termini percentuali, dell’importo degli interessi di mora così ottenuto con la quota capitale della rata ipoteticamente scaduta e non pagata.

A tal fine neppure può essere presa in considerazione, come invece ha fatto la perizia di parte prodotta in atti, l’incidenza di oneri e commissioni e spese, ivi inclusa la commissione di estinzione anticipata.

Difatti, la funzione della commissione di estinzione anticipata non è quella di remunerare l’erogazione del credito, come richiesto dalla L. n. 108 del 1996 ai fini della valutazione della usurarietà dei tassi pattuiti, bensì quella di compensare la Banca mutuante delle conseguenze economiche per sé negative derivanti dall’estinzione anticipata del debito da restituzione, nell’ipotesi in cui il mutuatario intenda esercitare la facoltà di recesso prima della scadenza naturale del contratto.

Si tratta, dunque, del costo connesso alla facoltà attribuita al mutuatario di rimborsare anticipatamente il debito evitando, così, il pagamento degli interessi futuri e non è dunque collegata alla erogazione del credito.

Trattandosi, poi, di una facoltà, il mutuatario sopporta tale costo solo se decide – cosa peraltro neppure avvenuta nel caso di specie – di avvalersene nel suo interesse per estinguere anticipatamente il mutuo.

Ne consegue che, i risultati esposti e le conclusioni raggiunte dalla perizia di parte rappresentano il risultato di un calcolo arbitrario che non tiene in alcun conto la metodologia e le formule indicate nelle Istruzioni della (…) per la determinazione del TEGM relativo agli interessi corrispettivi.

In effetti, la questione del computo nel TEG delle commissioni, remunerazioni e spese collegate all’erogazione del credito richiede necessariamente l’esercizio di discrezionalità tecnica per la definizione della relativa formula matematica e, a tal fine, la scelta operata dalla (…) appare del tutto congrua e ragionevole, nell’ambito della ricordata discrezionalità.

Secondo la giurisprudenza, infatti, “le Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura” emanate dalla (…), oltre a rispondere alla elementare esigenza logica e metodologica di avere a disposizione dati omogenei al fine di poterli raffrontare, hanno anche natura di norme tecniche autorizzate, posto che, da un lato, l’attribuzione della rilevazione dei tassi effettivi globali alla (…) è stata via via disposta dai vari decreti ministeriali annuali che si sono succeduti a partire dal D.M. 23 settembre 1996 per la classificazione in categorie omogenee delle operazioni finanziarie, e dall’altro lato i decreti ministeriali trimestrali con i quali sono resi pubblici i dati rilevati, all’art. 3 hanno sempre disposto che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del tasso soglia, si attengono ai criteri di calcolo indicati nelle “Istruzioni” emanate dalla (…). Le “Istruzioni” in parola sono pertanto autorizzate dalla normativa regolamentare e sono necessarie per dare uniforme attuazione al disposto della norma primaria di cui all’art. 644, quarto comma, c.p.” (Trib. Milano, 21-10-2014).

La necessità per il giudice di attenersi, ai fini dell’accertamento dell’usura oggettiva, alle metodologie e alle formule previste dalle Istruzioni della (…) per la determinazione dei TEGM ed utilizzate nei suddetti decreti ministeriali di rilevazione, è stata recentemente ribadita dalla S.C. nelle pronunce n. 12965/15 e 22270/16.

Trova allora applicazione il principio secondo il quale la perizia di parte prodotta in giudizio dall’attrice costituisce una mera allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, posto che il contenuto tecnico del documento non vale ad alterarne la natura, che resta quella di atto difensivo, e non può, quindi, essere oggetto di consulenza tecnica d’ufficio (così Cass. 6 agosto 2015 n. 16552; conf. Cass. S.U. 3 giugno 2013 n. 13902), la quale avrebbe natura meramente esplorativa, né può essere posta a base della presente decisione, fondandosi – come innanzi detto – su criteri non condivisibili, in quanto non conformi a quelli indicati nelle Istruzioni della (…).

Pertanto, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, la domanda di parte attrice relativa all’asserita usurarietà dei tassi di interesse pattuiti con il contatto di mutuo per cui è causa deve essere rigettata.

Parimenti infondata è infondata la doglianza fondata sul presunto scostamento dell’ISC/TAEG dichiarato nel contratto con quello effettivo calcolato nella perizia di parte e la conseguente richiesta di applicazione del tasso di interesse sostitutivo ex art. 117 TUB.

In ordine a tale questione, va innanzitutto precisato che il contratto di mutuo ipotecario azionato non rientra tra le operazioni di credito al consumo per le quali vigeva, e vige, una distinta disciplina.

Va poi tenuto conto del fatto che la disciplina dell’ISC/TAEG è contenuta nelle norme primarie e secondarie relative alla trasparenza nei contratti e nei servizi bancari e non in quella, distinta, in materia di rilevazione e determinazione del tasso soglia usurario.

Ciò posto, in materia di mutui ipotecari, la disciplina dell’ISC trae origine dalla Del.CICR n. 10688 del 4 marzo 2003, nel cui Allegato è inserito, tra i contratti cui essa trova applicazione, anche quello di mutuo. L’art. 9 co. 2, della citata Delibera, rubricato “informazione contrattuale” stabilisce che “La (…) individua le operazioni e i servizi per i quali, in ragione delle caratteristiche tecniche, gli intermediari sono obbligati a rendere noto un “Indicatore Sintetico di Costo” (ISC) comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, secondo la formula stabilita dalla Banca d’ltalia medesima”.

La circolare della (…) n. 229 del 21.4.1999, modificata in conseguenza alla predetta delibera CICR, ha stabilito che “il contratto e il documento di sintesi di cui al par. 8 della presente sezione riportano un “indicatore sintetico di costo” (ISC), calcolato conformemente alla disciplina sul tasso annuo effettivo globale (TAEG) ai sensi dell’art. 122 del TU e delle relative disposizioni di attuazione, quando hanno ad oggetto le seguenti categorie di operazioni indicate nell’allegato alla Del.CICR del 4 marzo 2003: – mutui; – anticipazioni bancarie; altri finanziamenti”.

L’art. 122 del TUB, nella versione vigente all’epoca della sottoscrizione del contratto di mutuo per cui è causa, rimandava al CICR la responsabilità di stabilire le modalità di calcolo del TAEG. In assenza della Delibera del CICR, a cui al previgente art. 122 del TUB, continuavano a trovare applicazione (ai sensi dell’art. 161, commi 2 e 5, del TUB), l’art. 19, comma 2, L. n. 142 del 1992 e il Decreto del Ministro del Tesoro 8 luglio ’92, successivamente integrato – a seguito del D.Lgs. n. 63 del 2000 di recepimento della nuova Direttiva del credito al consumo 98/7/CE – dal Decreto del Ministro dell’Economia 6 maggio 2000.

L’art. 2 comma 2, del citato Decreto ministeriale così recita: “1. Il tasso annuo effettivo globale (TAEG) è il tasso che rende uguale, su base annua, la somma del valore attuale di tutti gli importi che compongono il finanziamento erogato dal creditore alla somma del valore attuale di tutte le rate di rimborso.

Il TAEG è calcolato mediante la formula riportata in allegato 1 al presente decreto e va indicato con due cifre decimali.

2. Il TAEG è un indicatore sintetico e convenzionale del costo totale del credito, da determinare mediante la formula prescritta qualunque sia la metodologia impiegata per il calcolo degli interessi a carico del consumatore.

3. Nel calcolo del TAEG sono inclusi:

a) il rimborso del capitale e il pagamento degli interessi;

b) le spese di istruttoria e apertura della pratica di credito;

c) le spese di riscossione dei rimborsi e di incasso delle rate, se stabilite dal creditore;

d) le spese per le assicurazioni o garanzie, imposte dal creditore, intese ad assicurargli il rimborso totale o parziale del credito in caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del consumatore;

e) il costo dell’attività di mediazione svolta da un terzo, se necessaria per l’ottenimento del credito;

f) le altre spese contemplate dal contratto, fatto salvo quanto previsto dal comma seguente.

4. Sono escluse dal calcolo del TAEG:

a) le somme che il consumatore deve pagare per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora;

b) le spese, diverse dal prezzo di acquisto, a carico del consumatore indipendentemente dal fatto che si tratti di un acquisto in contanti o a credito;

c) le spese di trasferimento fondi e di tenuta di un conto destinato a ricevere gli importi dovuti dal consumatore, purché questi disponga di una ragionevole libertà di scelta e le spese non siano anormalmente elevate;

d) le quote di iscrizione ad enti collettivi, derivanti da accordi distinti dal contratto di credito, anche se incidenti sulle condizioni di esso;

e) le spese per le assicurazioni o garanzie diverse da quelle di cui alla lettera d) del comma precedente”.

Successivamente, la (…) (con Provv. del 29 luglio 2009 integrato dal Provv. del 9 febbraio 2011 e successivi) ha emanato nuove disposizioni su “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” anche con il contributo delle segnalazioni ricevute dall’utenza bancaria e finanziaria”, con cui ha abrogato il Titolo X, della Circolare n. 229 del 1999, definendo il “tasso annuo effettivo globale” o “TAEG” come l’indicatore del “costo totale del credito espresso in percentuale, calcolata su base annua, dell’importo totale del credito, secondo quanto previsto” nello specifico paragrafo delle medesime disposizioni.

Per quanto riguarda gli indicatori sintetici di costo in materia di contratti di finanziamento, le nuove disposizioni sulla trasparenza stabiliscono che “Il foglio informativo e il documento di sintesi riportano un indicatore sintetico di costo denominato “Tasso Annuo Effettivo Globale” (TAEG) quando riguardano le seguenti categorie di operazioni indicate nell’Allegato alla Del.CICR del 4 marzo 2003 (1): – mutui; – anticipazioni bancarie; – altri finanziamenti; – aperture di credito in conto corrente offerte a clienti al dettaglio.

Il TAEG è calcolato secondo quanto previsto dalla disciplina in materia di credito per i consumatori (sezione VII, paragrafo 4.2.4 e Allegato 5B) o, in presenza di ipoteca su un bene immobile, secondo quanto previsto dalla disciplina in materia di credito immobiliare ai consumatori (sezione VI-bis, paragrafo 5.2.4, e Allegato 5C).

Nel caso di mutuo con garanzia ipotecaria trova applicazione il metodo di calcolo del TAEG previsto in materia di credito immobiliare, la cui disciplina è la seguente:

“Il TAEG è il tasso che rende uguale, su base annua, i valori attualizzati di tutti gli impegni (prelievi, rimborsi e spese), esistenti o futuri, oggetto di accordo tra il finanziatore e il consumatore; il TAEG è calcolato secondo la formula matematica riportata nell’Allegato 5C.

Il TAEG è comprensivo degli interessi e di tutti i costi, inclusi gli eventuali compensi di intermediari del credito, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza, escluse le spese notarili.

Nel TAEG sono inclusi i costi, di cui il finanziatore è a conoscenza, relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito e obbligatori per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte.

Nel caso in cui utilizzi informazioni ricavate per stima, il finanziatore tiene informato il consumatore di tale circostanza e del fatto che le stime si considerano rappresentative del tipo di contratto concretamente concluso.

Nella fase precontrattuale il finanziatore fornisce al consumatore anche le informazioni relative alle ipotesi utilizzate per il calcolo delle stime.

I costi relativi a servizi accessori possono essere esclusi dal TAEG, purché la loro esistenza sia indicata con evidenza separata, nel solo caso in cui non sia in alcun modo possibile quantificarli.

Nel TAEG sono altresì inclusi i costi di valutazione del bene immobile costituito in garanzia, se la valutazione è necessaria per ottenere il credito.

Il calcolo del TAEG è fondato sull’ipotesi che il contratto di credito rimarrà valido per il periodo di tempo convenuto e che il finanziatore e il consumatore adempiranno ai loro obblighi nei termini ed entro le date convenuti nel contratto di credito.

Se un contratto di credito contiene clausole che permettono di modificare il tasso di interesse o le altre spese computate nel TAEG, ma in modo non quantificabile al momento del calcolo del TAEG stesso, si ipotizza che il tasso debitore e le altre spese rimarranno invariati rispetto al livello iniziale e si applicheranno fino alla scadenza del contratto di credito.

Per i contratti di credito in cui è concordato un tasso di interesse fisso per un periodo iniziale di almeno cinque anni, al termine del quale è negoziato un nuovo tasso fisso per un ulteriore periodo di riferimento, il TAEG riportato nel foglio contenente le informazioni generali e nel “Prospetto informativo europeo standardizzato” copre soltanto il periodo iniziale a tasso fisso ed è fondato sull’ipotesi che, al termine di tale periodo, il capitale residuo sia rimborsato.

Dal calcolo del TAEG sono comunque escluse le eventuali penali che il consumatore è tenuto a pagare per la mancata esecuzione degli obblighi stabiliti nel contratto di credito, ivi compresi gli interessi di mora.

Nel costo totale del credito sono inclusi anche i costi di apertura e tenuta di un conto, i costi relativi all’utilizzazione di mezzi di pagamento che permettano di effettuare pagamenti e prelievi e tutti gli altri costi relativi alle operazioni di pagamento, qualora sia obbligatorio aprire un conto o – se il consumatore ne ha già uno in essere – mantenerlo per ottenere il credito alle condizioni contrattuali offerte”.

Alla stregua del quadro normativo innanzi delineato, e tenuto conto della disciplina vigente ratione temporis, va affermato che la mancata o errata indicazione del TAEG/ISC comporta la violazione delle norme sulla trasparenza, con conseguente responsabilità precontrattuale della banca, ma non integra anche l’ipotesi di nullità prevista dall’art. 117, co. 6, TUB, secondo il quale “Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”.

A tal fine, il Giudicante rileva che il TAEG/ISC (quale indicatore sintetico di costo) non costituisce un vero e proprio tasso di interesse o una condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, bensì un indicatore del costo complessivo dell’operazione, comprensivo degli interessi, degli oneri e delle spese che concorrono a determinare il costo effettivo per il cliente, secondo la formula stabilita dalla (…).

Neppure può ritenersi che l’ISC rientri nella nozione di “prezzo” che, ai sensi dell’art. 117, co. 6, TUB, deve essere correttamente indicato nel contratto o nel separato documento di sintesi.

Difatti, secondo la prevalente opinione della giurisprudenza di merito, l’ISC non determina alcuna condizione economica direttamente applicabile al contratto, ma assolve unicamente una funzione informativa di trasparenza, consentendo al cliente di conoscere preventivamente il costo complessivo del finanziamento.

Conseguentemente, l’erronea indicazione dell’ISC/TAEG non determina una maggiore onerosità del finanziamento, ma solo un’erronea interpretazione del suo costo complessivo.

Ne discende allora che, l’errata previsione, nel contratto o nel documento di sintesi, di un TAEG /ISC inferiore a quello effettivo, in quanto non calcolato secondo le Istruzioni e le Direttive della (…), non comporta la sanzione della nullità di cui al citato art. 117, comma 6, TUB, né risulta applicabile il successivo comma 7, che individua un tasso sostitutivo o l’applicazione del minor prezzo pubblicizzato per l’ipotesi, diversa da quella in esame, in cui difetti o siano nulle le clausole relative ad interessi, prezzi o condizioni.

Per la stessa ragione non può trovare applicazione l’art. 1284 c.c., atteso che gli interessi ultralegali dovuti sono tutti indicati per iscritto nel contratto e nel documento di sintesi, né l’art. 1346 c.c., essendo l’oggetto del contratto determinato nel capitale prestato, negli interessi dovuti e nel meccanismo di indicizzazione.

Sotto altro profilo, pur trattandosi di contratto stipulato con dei consumatori, nemmeno può trovare astratta applicazione al caso in esame la nullità della clausola prevista dall’art. 125 – bis TUB. Difatti, l’art. 122 T.U.B., lett. a) e f) espressamente esclude dal suo ambito di applicazione i casi in cui, pur essendo il contraente un consumatore, il contratto abbia ad oggetto “finanziamenti di importo superiore a 75.000 euro”, nonché i “finanziamenti garantiti da ipoteca su beni immobili aventi una durata superiore a 5 anni”.

Nel caso di specie, il contratto di mutuo prevede il prestito di Euro 224.000,00 da restituire in 30 anni e una garanzia ipotecaria valida per l’intera durata del mutuo.

E’ pertanto evidente che il legislatore ha ritenuto di sanzionare espressamente con la nullità del contratto o delle singole clausole i soli casi in cui, nel credito al consumo, vi sia stata un’indicazione non corretta del TAEG (indice di costo nel finanziamento al consumo), ma non anche le ipotesi di non corretta indicazione dell’ISC nei contratti di mutuo, di anticipazione bancaria e di altri finanziamenti, le quali possono semmai integrare una violazione della normativa in tema di trasparenza e, quindi, dare luogo ad una violazione del criterio di buona fede nella predisposizione e nell’esecuzione del contratto (Trib. Bologna, sez. IV, 28.06.2016 n. 1722).

Al riguardo, è noto che le SS.UU., tenuto conto della differenza tra regole di validità e regole di comportamento, hanno affermato che la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative postula necessariamente che siffatta violazione incida su elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contratto, come del resto si desume dal dato testuale dell’art. 1418, 1 comma, c.c. che si riferisce al contratto e non a comportamenti antecedenti o successivi delle parti (“Il contratto è nullo quando è contrario a norma imperativa”), con la conseguenza che le violazioni che concernono la condotta tenuta sia nel corso delle trattative per la formazione del contratto sia nella sua esecuzione non determina la nullità del contratto medesimo, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista dalla legge, così come prescritto dall’art. 1418, 3 comma, c.c. (cfr. Cass. SS.UU. n. 26724/07).

Ne consegue che, esclusa la nullità lamentata, diventa del tutto irrilevante l’accertamento in fatto circa l’esatta determinazione dell’ISC/TAEG, la cui violazione in termini rilevanti potrebbe comportare soltanto un’eventuale responsabilità della banca in termini precontrattuali, sempre che l’attore sia stato in grado di dimostrare sia di aver vagliato finanziamenti alternativi con TAEG più vantaggioso, rifiutati in ragione delle scorrette informazioni rese dall’Istituto di credito mutuante, che il danno patito in conseguenza della scelta meno favorevole.

Nel caso di specie, invece, dall’esame della consulenza prodotta da parte attrice, contestata da parte convenuta, emerge una discrepanza tra il TAEG/ISC contrattuale (4,150 %) e il TAEG effettivo (3,84%) di pochi centesimi di punto.

Conseguentemente, appare evidente come neppure tale censura possa essere accolta.

In conclusione, per le ragioni esposte, le domande attoree sono infondate e vanno respinte.

Alla luce delle predette considerazioni, posta l’infondatezza delle doglianze di parte attrice, rimane assorbita l’eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta.

Le spese di lite vanno regolate secondo il criterio della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo, tenuto conto del valore della causa e dei parametri indicati dal D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:

1) rigetta le domande proposte da (…) e (…) nei confronti di (…) S.p.A., in relazione al contratto di mutuo del 24.11.2004;

2) condanna parte attrice alla rifusione delle spese processuali in favore di parte convenuta, che liquida in Euro 2.700,00 per compenso professionale, oltre al rimborso forfetario delle spese generali, IVA e CPA.

Così deciso in Roma il 25 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.