il c.d. patto di deduzione – per mezzo del quale deve essere riconosciuto al concedente l’importo complessivo dovuto dall’utilizzatore, a titolo di ratei scaduti e a scadere, nonche’ quale prezzo di riscatto del bene, maggiorato degli interessi moratori convenzionali, anche se decurtato del prezzo di riallocazione del bene oggetto del contratto – e’ nullo per contrarieta’ all’ordine pubblico economico e, in particolare, alla previsione di cui all’articolo 1526 cod. civ., applicabile in via analogia a tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto.

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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 31 ottobre 2018, n. 27935

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14048/2013 proposto da:

(OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore fallimentare dott.ssa (OMISSIS) pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROVIGO, depositato il 06/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/07/2018 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA.

FATTI DI CAUSA

1.- La s.p.a. (OMISSIS) ha presentato domanda di insinuazione in chirografo allo stato passivo fallimentare della s.r.l. (OMISSIS), affermando di essere creditore di una somma di denaro derivante da un’operazione di leasing immobiliare, gia’ in precedenza risolta, sulla base di un’apposita clausola risolutiva espressa, in ragione dell’inadempimento dell’utilizzatore. Nel formulare la domanda per “ottenere il pagamento dell’intero credito”, la societa’ si e’ richiamata alla norma dell’articolo 72 quater L.Fall., come pure alla clausola risolutiva dell’articolo 14 del contratto di leasing, e nel contempo ha dichiarato il proprio “obbligo di imputare la somma che dovesse ricavare dalla vendita o reimpiego in leasing del bene oggetto del contratto”.

La domanda e’ stata respinta dal giudice delegato, che ha motivato il provvedimento rilevando in particolare: “l’opzione per la risoluzione del contratto impedisce alla societa’ di leasing di agire per l’adempimento del contratto e di avvalersi dell’articolo 72 quater L.Fall., il quale risulta unicamente operativo nei casi di scioglimento del contratto intervenuto dopo la dichiarazione di fallimento. Si applica nel caso di specie il disposto dell’articolo 1526 cod. civ. avendo il contratto le caratteristiche del leasing traslativo. In caso di inadempimento dell’utilizzatore e conseguente risoluzione con restituzione del bene, l’utilizzatore ha diritto alla restituzione dei canoni pagati mentre il concedente ha diritto a un equo compenso per l’utilizzo del bene e al risarcimento del danno. Tali domande non sono state, tuttavia, proposte dall’istante. Si ritiene, in ogni caso, che i canoni percepiti dal concedente siano sufficienti a remunerarlo per l’uso del bene da parte dell’utilizzatore”.

2.- Nel prosieguo, il Tribunale di Rovigo ha rigettato l’opposizione presentata dalla societa’ e cosi’ confermato il provvedimento del giudice delegato.

In proposito il decreto ha, prima di ogni altra cosa, rilevato che il contratto concretamente posto in essere configura un “vero e proprio leasing traslativo”, si’ che “l’avvenuta risoluzione trova piu’ compiuta regolamentazione analogica nella norma di cui all’articolo 1526 cod. civ. e non puo’ piu’ originare il meccanismo richiamato dall’articolo 72 quater L.Fall.”.

Una volta che si sia gia’ verificata la risoluzione del contratto, al fallimento “restano da regolare solo le conseguenze tralatizie della risoluzione che sono sorte in capo alle parti quali posizioni giuridiche soggettive ormai statiche”; d’altro canto, la norma dell’articolo 72 quater L.Fall. “suppone non gia’ un’iniziativa del concedente, ma quella dell’utilizzatore (seppur soggettivamente identificato nel curatore) seppur condizionata all’autorizzazione del comitato dei creditori” e si sostanzia nel predisporre una regolamentazione propriamente orientata al fine della migliore tutela, a livello concreto, dell'”interesse concorsuale”.

Con riferimento poi alla disciplina pattizia di cui alla clausola dell’articolo 14, pure invocata dalla societa’, il decreto ha premesso – in modo esplicito richiamandosi all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte – che la disposizione dell’articolo 1526 cod. civ. esprime una regola disciplinare senz’altro inderogabile. Nel merito, ha escluso l’eventualita’ di applicazione della clausola dell’articolo 14, osservando che, se questa tende a “riproporre surrettiziamente proprio la disciplina di cui all’articolo 72 quater e, a bene vedere, anche altro”, la disciplina dettata dalla norma dell’articolo 1526 cod. civ. si preoccupa per contro di “evitare locupletazioni ingiustificate” in danno dell’utilizzatore.

3.- Avverso il decreto emesso dal Tribunale di Rovigo ha presentato ricorso la societa’ di leasing, formulando tre motivi per la sua cassazione.

Il Fallimento ha resistito, con controricorso.

Entrambe le parti hanno anche depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Il primo e il terzo motivo di ricorso vanno trattati in modo congiunto, in ragione della loro stretta contiguita’. Secondo quanto riscontra in via esplicita la stessa societa’ ricorrente il terzo motivo, che si dichiara venire svolto “in via subordinata prudenziale”, ripropone – “se pure visto da un differente angolo visuale” – quanto gia’ trattato nel primo motivo.

Entrambi i motivi lamentano violazione di legge articolo 360 cod. proc. civ., ex n. 3: il primo la assume “dell’articolo 1372 c.c., comma 1 e articolo 1322 c.c., comma 2; inoltre dell’articolo 1526 inapplicabile alla fattispecie”; il terzo, “degli articoli 72 e 72 quater L.Fall., dell’articolo 1526 e dell’articolo 1384 cod. civ.”.

Il primo motivo denunzia, altresi’, vizio di omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 cod. proc. civ., n. 5.

5.- Nel merito, i due motivi – che, per la verita’, non seguono un percorso argomentativo propriamente lineare – rilevano che il Tribunale ha omesso di prendere in considerazione l’obbligo della concedente di riconoscere all’utilizzatore quanto eventualmente percepito dalla vendita o reimpiego del bene, pur invece sussistente e esplicitato dalla richiamata clausola dell’articolo 14.

Solo una simile “trascuratezza” – argomenta la societa’ ricorrente puo’ stare alla base della rilevazione del decreto, per cui la disciplina dettata dalla ridetta clausola viene a comportare delle ingiustificate locupletazioni a favore della societa’ concedente.

In realta’, la disciplina dettata nell’articolo 14 – cosi’ si prosegue – risulta non diversa, ma in buona sostanza coincidente con quella dettata nell’articolo 72 quater L.Fall.: posto appunto che entrambe si focalizzano nell’obbligo del concedente di imputare a deconto del debito quanto eventualmente realizzato dal bene di cui al leasing. Nella clausola, “come del resto nella disciplina dell’articolo 72 quater L.Fall.”, il bene dato in leasing “funge solo da garanzia impropria per l’adempimento delle obbligazioni dell’utilizzatrice: anche in base alla clausola risolutiva espressa l’esponente e’ tenuta a riallocare il bene e a quanto ricavato dalla sua vendita o reimpiego a decurtazione del proprio credito e di restituire l’eventuale eccedenza”.

“In presenza di una clausola risolutiva espressa quale quella contenuta nell’articolo 14 delle condizioni generali del contratto di leasing, giammai e’ applicabile l’articolo 1526 cod. civ., comma 1 ma semmai il secondo”; “ma e’ proprio il congegno della clausola risolutiva espressa” conformata dalla clausola dell’articolo 14 si conclude – “a far si’ che la societa’ di leasing non possa ottenere alcuna ingiusta locupletazione dall’applicazione della stessa”.

6.- Incrociando le norme di legge indicate nelle intestazioni dei motivi (sopra, n. 4) con il sintetizzato contenuto degli stessi (sopra, n. 5), ne esce che, pur nella tortuosita’ delle sue enunciazioni, la societa’ ricorrente viene in definitiva a sostenere che la clausola dell’articolo 14 contiene una disciplina, equivalente a quella dettata dall’articolo 72 quater L.Fall., che percio’ la stessa non determina locupletazioni ingiustificate ed e’ meritevole di tutela ex articolo 1322 c.c., comma 2, in via correlata comportando l’estraneita’ della norma dell’articolo 1526 c.c., comma 1, dal plesso normativo deputato a regolamentare la fattispecie concretamente in esame.

Quanto poi al fatto per cui si lamenta omesso esame ai sensi dell’articolo 360, n. 5 un’attenta disamina del ricorso mostra che la censura risulta riferita alla prescrizione della clausola dell’articolo 14, secondo cui “l’utilizzatore avra’ pero’ diritto di ricevere dal concedente l’eventuale ricavo dalla vendita o da reimpiego in locazione finanziaria” dell’immobile di cui al leasing.

7.- La ricostruzione operata dalla societa’ ricorrente poggia per intero sulla asserita equivalenza sostanziale della disciplina dettata dalla clausola dell’articolo 14 con quella accolta nella norma dell’articolo 72 quater L.Fall..

Quest’assunto, tuttavia, non risulta in alcun modo condivisibile. Tra le due discipline corrono, in effetti, differenze di estremo rilievo.

Anche al di la’ dell’evidente diversita’ di presupposti (il mero fatto del sopravvenire del fallimento dell’utilizzatore su un contratto di leasing in corso di esecuzione, da un lato; dall’altro, il riscontro di un inadempimento dell’utilizzatore a fronte del quale la societa’ concedente decide di risolvere il contratto), di contesti e di prospettiva (che, nel caso dell’articolo 72 quater L.Fall., si fissa propriamente sulla maggiore convenienza concreta per il fallimento della scelta tra prosecuzione del contratto e suo scioglimento, con opzione che non puo’ non tenere conto anche dell’eventuale esercizio provvisorio dell’impresa fallita), che sono state messe puntualmente in luce dal decreto del Tribunale rodigino (cfr. in particolare, il terzo capoverso del precedente n. 2).

8.- Secondo il disposto dell’articolo 72 quater, comma 2, L.Fall., “in caso di scioglimento del contratto, il concedente… e’ tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggior somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene… rispetto al credito residuo in linea capitale”.

Per contro, secondo i termini predisposti nell’articolo 14 (nel testo riportato dalla societa’ ricorrente a p. 24), il diritto dell’utilizzatore a percepire il ricavato della vendita o del reimpiego e’ destinato ad avvenire “al netto”, altresi’, di “tutte le spese e oneri, anche se giudiziali e non ripetibili, e comunque a qualsiasi titolo sostenuti dal concedente, anche se connessi al recupero e alla vendita o reimpiego in locazione finanziaria dell’immobile o nello svolgimento delle pratiche anche legali dirette a conseguire indennizzi assicurativi o risarcimenti da parte di terzi”. Tutto questo senza che sia neppure previsto, nel corpo della clausola, il dovere di dare documentazione e conto delle dette sottrazioni.

Per altro verso, la clausola in discorso, se prevede una “restituzione immediata” del bene dato in leasing, come pure stabilisce la norma della legge fallimentare, a differenza di quest’ultima, peraltro, stabilisce nel contempo che nel montante del credito “coperto” dalla vendita o riallocazione del bene rientrano pure “tutti gli importi contrattualmente previsti” a carico dell’utilizzatore “fino alla data di scadenza originaria del contratto di locazione finanziaria” (con addizione di interessi moratori convenzionali).

9.- Secondo quanto prescrive sempre l’articolo 72 quater L.Fall., comma 2 la vendita o rimpiego del bene posta in essere dalla societa’ concedente deve di necessita’ avvenire “a valori di mercato”, pena altrimenti la responsabilita’ della societa’ stessa (se non altro).

Diversamente, il tenore della clausola dell’articolo 14 lascia del tutto

libera la societa’ concedente di procedere o meno all’operazione di riallocazione, secondo le proprie insindacabili determinazioni: la clausola neppure ipotizza, per la verita’, che l’azione liquidatoria della concedente vada a tenere conto, a curarsi della presenza di interessi altrui (che siano quelli dell’utilizzatore o degli altri suoi creditori).

10.- Posta di fronte a una clausola di tenore assai prossimo a quello dell’articolo 14 – che, del resto, riprende un modello particolarmente valorizzato dalla pratica attuale delle societa’ di leasing – la decisione di Cass., 19 settembre 2017, n. 21476 ha ritenuto trattarsi di una “previsione contrattuale tendente a eludere la disciplina legislativa (contenuta nell’articolo 1526 cod. civ.), la quale – secondo la giurisprudenza di questa Corte – ha stabilito l’applicabilita’ di quel dispositivo di legge nell’ipotesi di risoluzione del contratto di leasing traslativo anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore” (anche in quella specie, informa la citata decisione, la clausola si pone come “patto di addebito”, con “previsione di addebito di tutte le somme pretese: quelle gia’ scadute e non pagate e quelle non ancora scadute”).

Piu’ in particolare, la detta pronuncia ha ritenuto che “il c.d. detto patto di deduzione – per mezzo del quale deve essere riconosciuto al concedente l’importo complessivo dovuto dall’utilizzatore, a titolo di ratei scaduti e a scadere, nonche’ quale prezzo di riscatto del bene, maggiorato degli interessi moratori convenzionali, anche se decurtato del prezzo di riallocazione del bene oggetto del contratto – e’ nullo per contrarieta’ all’ordine pubblico economico e, in particolare, alla previsione di cui all’articolo 1526 cod. civ., applicabile in via analogia a tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto”.

Con riferimento alla clausola dell’articolo 14, qui fatta oggetto di esame, il Collegio ritiene di condividere, per le ragioni specificamene illustrate nei precedenti nn. 7, 8 e 9, l’impostazione e la soluzione adottata dalla citata pronuncia di Cass., n. 21476/2017.

11.- In definitiva, il primo e il terzo motivi di ricorso risultano infondati e quindi non meritevoli di accoglimenti.

Nessuna violazione di legge puo’ essere imputata al decreto del Tribunale di Rovigo. Ne’ questo puo’ ritenersi incorso nel vizio di cui al n. 5 dell’articolo 360: le considerazioni svolte mostrano ampiamente, infatti, che la presenza di un mero dovere della societa’ concedente di trasferire all’utilizzatore l’eventuale “residuo” del ricavato della riallocazione del bene dato in leasing non e’ – in se’ – punto decisivo per il giudizio.

12.- Il secondo motivo di ricorso – inteso a predicare l’applicazione per analogia della norma dell’articolo 72 quater L.Fall. al caso della risoluzione anteriore all’eventuale fallimento dell’utilizzatore (e dunque a prescindere dal fallimento dell’utilizzatore) – e’ stato fatto oggetto di espressa rinuncia da parte della societa’ ricorrente in sede di memoria ex articolo 380 bis cod. proc. civ..

13.- Le spese seguono il criterio della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida nella misura di Euro 15.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi).

Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 bis della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, secondo quanto previsto dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.