per i contratti di leasing traslativi conclusi in data anteriore all’entrata in vigore della L. n. 124 del 2017 trova applicazione, secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza in materia, la norma inderogabile di cui all’art. 1526 c.c., la quale prevede un rimedio risarcitorio volto a reintegrare il pregiudizio patrimoniale subìto dal concedente a fronte dell’inadempimento della controparte, e nello stesso tempo ad evitare che l’utilizzatore inadempiente possa subire un eccessivo nocumento economico per effetto della risoluzione, per cui si è stabilito il principio secondo cui la società di leasing non può, a fronte della mancata esecuzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, conseguire vantaggi maggiori di quelli che gli sarebbero derivati dalla regolare esecuzione del contratto. Di conseguenza, affinché non si verifichi un indebito vantaggio di una delle due parti, a seguito della ricollocazione del bene sul mercato o all’esito della vendita del bene, potrà essere eventualmente restituita all’utilizzatore la differenza tra il valore di quanto la società di leasing avrebbe dovuto conseguire al termine della regolare esecuzione del contratto e le somme versate dall’utilizzatore cumulate con il valore conseguito dalla vendita del bene restituito con eventuale riduzione della clausola penale contrattualizzata che risulti essere manifestamente eccessiva.

Corte d’Appello|Firenze|Sezione 2|Civile|Sentenza|22 agosto 2023| n. 1744

Data udienza 13 luglio 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La CORTE DI APPELLO DI FIRENZE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Così composta:

dott. Edoardo Monti – Presidente

dott.ssa Annamaria Loprete – Consigliere rel.

dott. Nicola Mario Condemi – Consigliere

Ha pronunciato la presente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta in grado di appello al n. 497 del ruolo generale della Corte dell’anno 2020 promossa

Da

(…) rappresentato e difeso dall’avv. Al.Va. del foro di Pesaro come da procura allegata all’atto di citazione in appello.

Appellante

Contro

(…) s.p.a. e per essa, in veste di mandataria, (…) s.p.a. rappresentata e difesa dall’avv. Gi.Ba. del foro di Milano come da procura allegata alla comparsa di costituzione in appello.

Convenuta in appello

(…)

Convenuto in appello contumace

Oggetto: fideiussione.

FATTO E DIRITTO

Il Tribunale di Siena, con sentenza n. 139 del 6.2.2020, ha disatteso l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da (…), decreto con cui (…) s.p.a., in qualità di mandataria di (…) – (…) s.p.a.- aveva intimato ai fideiussori della società “(…)” S.r.l., (…) e (…), il pagamento della somma complessiva di Euro 198.769,37 per i canoni scaduti relativi al contratto di leasing finanziario stipulato in data 7 Dicembre 2007 n. (…) con la predetta società, concernente l’immobile ad uso commerciale posto nel Comune di Mondavio (PS), somma composta in parte dal capitale finanziato non versato (rate scadute), in parte dagli interessi di mora e in parte dall’indennità di occupazione dell’immobile dopo l’intimata risoluzione, non essendo stato mai l’immobile riconsegnato.

Il Tribunale ha disatteso tutte le ragioni poste a sostegno dell’opposizione, in particolare: quanto all’eccezione di estinzione della fideiussione per avere la banca violato il disposto di cui all’articolo 1956 c.c. il rigetto è stato fondato principalmente sul fatto che la fideiussione prestata dal (…) in data 7 Dicembre 2007 non poteva considerarsi una garanzia per un’obbligazione futura, qual è il caso tipico della fideiussione omnibus su scoperto di conto corrente, in quanto si tratterebbe di una garanzia collegata al singolo, specifico contratto di leasing, in cui l’obbligazione garantita è contestuale e determinata nella sua portata finanziaria e conoscibile perciò al soggetto che l’ha prestata, che all’epoca rivestiva anche la qualità di socio; in ogni caso poi il fideiussore aveva assunto lo specifico obbligo di informazione circa la situazione della società garantita esonerando l’istituto bancario dall’osservanza dell’onere impostogli dall’articolo 1956 c.c. sicché non era neppure invocabile la violazione da parte della banca del principio di correttezza e buona fede.

Quanto alla eccezione fondata sulla nullità della clausola penale azionata con il decreto ingiuntivo per contrasto con la disciplina di cui all’articolo 1526 c.c. applicabile analogicamente al leasing traslativo, ha rilevato il tribunale che non è ravvisabile alcun contrasto concettuale tra la predeterminazione pattizia del danno e la norma richiamata che tende soltanto a rendere eque le conseguenze dell’altrui inadempimento, e che la mancata restituzione dei beni alla naturale scadenza del contratto ha impedito la quantificazione del danno oggettivo patito dalla società finanziatrice che magari, attraverso la vendita del bene, avrebbe potuto recuperare una parte della somma investita per l’acquisto dell’immobile. Da ciò discenderebbe l’infondatezza dell’eccezione riconvenzionale avanzata dal (…) di restituzione dei canoni versati.

Infine, quanto all’ulteriore questione della nullità della clausola con cui nel contratto è stata prevista una specifica deroga alla disciplina di cui all’articolo 1957 c.c. in quanto riproducente la clausola ABI dichiarata nulla per violazione della normativa sulla libera concorrenza e per avere le clausole uniformi introdotto un’ipotesi di abuso di posizione dominante, il tribunale ha rilevato come innanzitutto non solo la clausola non risulta inserita in un contratto di fideiussione omnibus, ma poi tale fideiussione in sé non costituirebbe il frutto di un’intesa limitatrice della concorrenza e di un abuso di posizione dominante in contrasto con gli articoli 85 86 del trattato (…) giacché non vi è prova che il contratto di specie ricalchi tali clausole; in ogni caso la nullità parziale della clausola non farebbe venir meno l’obbligazione principale del garante.

Il Tribunale pur avendo disatteso l’opposizione, ha accolto però la domanda di manleva svolta dal (…) nei confronti del socio (…), evocato in giudizio con chiamata in causa, posto che con scrittura privata autenticata di cessione delle quote societarie del 30/06/2008, il (…) si era impegnato a tenere indenne il (…) dalle garanzie personali prestate nella propria qualità di socio: ha condannato perciò il chiamato in causa a manlevare il (…) da tutto quanto questi avrebbe dovuto versare in favore di (…) in forza del decreto ingiuntivo. Le spese di lite sono state regolate secondo il criterio della soccombenza con condanna del (…) al pagamento delle spese processuali in favore dell’opposta (…) e con condanna del (…) chiamato in causa al rimborso delle spese processuali sostenute dal (…).

Avverso questa pronuncia (…) ha interposto appello facendo valere le seguenti censure:

1) Erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non applicabile al caso di specie l’articolo 1956 c.c. e quindi ha disatteso l’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria. L’appellante censura la sentenza nella parte in cui si afferma che “ogni eventuale mala gestio debba essere imputato non alla società finanziaria ma piuttosto alla debitrice principale” e il fideiussore non possa invocare, in suo favore, la violazione da parte della concedente dei principi di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto di leasing finanziario, di cui l’art.1956 c.c. costituisce estrinsecazione specifica, prevedendo la liberazione del fideiussore dalla garanzia prestata, in ipotesi di peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore garantito. La doglianza si appunta sul fatto che nel caso concreto, si è in presenza di una concessione di credito al terzo, mantenuta in presenza di condizioni patrimoniali della società finanziata drasticamente mutate (in pejus) e tali da rendere non già difficile, ma addirittura impossibile il soddisfacimento del credito da parte del debitore principale.

Ed infatti l’insolvenza della società “(…)” srl era iniziata appena qualche mese dopo la cessione delle quote da parte del (…) in favore dell’altro socio, (…) (30.6.2008) e di lì a poco, esattamente il 23.2.2009, la società finanziata veniva posta in liquidazione, cui seguiva, in data 15.7.2014, la cancellazione della stessa società dal registro delle imprese. La contrarietà a buona fede deriverebbe dal fatto che la concedente avrebbe portato avanti un contratto di leasing che si sarebbe già potuto risolvere a partire dal 2009, anno di messa in liquidazione della società debitrice: l’art. 16 delle condizioni generali di contratto allegate al contratto di leasing sancisce espressamente che “la concedente ha altresì il diritto di invocare la risoluzione anticipata della locazione finanziaria … anche nei seguenti casi: – l’utilizzatore sia messo in liquidazione per qualsiasi causa … ; – siano diminuite le garanzie e i requisiti economici e di affidamento dell’utilizzatore rispetto al momento di stipula del presente contratto”.

La più avveduta giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha avuto modo di affermare che “posta la nullità della clausola di preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione ai sensi del secondo comma dell’art. 1956 c.c., se nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, la banca creditrice, la quale disponga di strumenti di autotutela che le consentano di porre termine al rapporto impedendo ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l’esposizione debitoria, è tenuta ad avvalersi di quegli strumenti anche a tutela dell’interesse del fideiussore inconsapevole, alla stregua del principio cui si ispira l’art. 1956 c.c., se non vuol perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede e in attuazione del dovere di salvaguardia dell’altro contraente, a meno che il fideiussore manifesti la propria volontà di mantenere ugualmente ferma la propria obbligazione di garanzia” (cfr Cass. Civ. n. 21730/10).

Tale principio, benché espresso con riguardo a un rapporto di apertura di credito in conto corrente, ben può applicarsi al caso di specie, posto che anche il leasing finanziario, come le più consuete forme di finanziamento, realizza una anticipazione finanziaria corrispondente al versamento, da parte del concedente, del prezzo pattuito per l’acquisto del bene.

Ed anzi si tratta di una forma di finanziamento che può portare ad una situazione manifestamente patologica in cui, a seconda dell’ammontare dei canoni pagati e del valore residuo del bene, il concedente può trarre dalla risoluzione del contratto, specie se richiesta così tardivamente, come nel caso di specie, addirittura di più di quanto avrebbe diritto di ottenere per il caso del suo regolare adempimento. (…) aveva atteso ben sette anni prima di agire nei confronti della società, a fronte del sistematico inadempimento determinatosi già dal 2009, con l’evidente sicurezza di poter aggredire il patrimonio dell’inconsapevole garante, quando invece essa concedente avrebbe ben potuto risolvere il contratto già nel 2009 e procedere con la vendita dell’immobile locato e con il recupero degli eventuali ratei insoluti, mentre l’ingiunzione, è stata calcolata su ben 8 anni di ratei insoluti, ed ha raggiunto l’importo richiesto per il lievitare degli interessi moratori.

Chiede pertanto che l’adita Corte di Appello di Firenze, in riforma della sentenza impugnata, lo dichiari liberato dalla fideiussione prestata in data 7.12.2007 ovvero dichiari l’estinzione e/o la nullità della garanzia fideiussoria prestata per violazione, da parte della società (…), del disposto di cui all’art. 1956 e/o per violazione dell’obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede ex art. 1375 c.c. e degli obblighi informativi gravanti sull’istituto di credito.

2) Erroneità della sentenza quanto al rigetto dell’eccezione di nullità della prestata fideiussione per avere recepito le clausole bancarie uniformi tacciate di nullità dalla Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, ed in particolare per aver ignorato che la clausola n.1 della lettera di fideiussione riproduce esattamente la clausola n.6 ABI, contemplante l’esonero della finanziatrice dall’obbligo di preventiva richiesta di pagamento verso il debitore principale ex articolo 1957 c.c. e di agire nel rispetto del termine ivi previsto.

Esattamente la clausola che viene in rilievo è quella che prevede che il fideiussore rinuncia ai termini previsti dall’art. 1957 c.c. affinché la banca possa far valere l’obbligazione di garanzia dopo la scadenza di quella principale, stabilendo che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa

sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’articolo 1957 c.c. che si intende derogato” (art. 6). La sentenza impugnata è erronea innanzitutto per aver ritenuto che la clausola suddetta non fosse riproposta nel testo della fideiussione quando invece il dato era esattamente testuale, dal momento che all’articolo 1 della fideiussione oggetto di giudizio era previsto che: “M. leasing and factoring è dispensata dall’onere di agire entro i termini previsti dall’articolo 1957 c.c. intendendo il fideiussore rimane obbligato in deroga a tale disposizione anche se (…) leasing factoring non abbia proposto le sue istanze contro il debitore e gli eventuali coobbligati o non le abbia continuate”.

La presenza di tale clausola inficia l’intera validità del contratto, in quanto qualsiasi forma di distorsione della competizione del mercato, in qualunque modo posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’articolo 2 della normativa antitrust ed è inevitabile che l’intero portato a valle di quella distorsione debba essere assoggettato alla sanzione della nullità. La clausola derogatoria alla disciplina dell’art. 1957 c.c. è da considerarsi estremamente penalizzante per il fideiussore in quanto lo espone al rischio di essere soggetto alle azioni della banca per un tempo indefinito, ragion per cui l’accordo tra le banche con cui la clausola era stata applicata in maniera uniforme era da considerarsi invalido a monte e con ripercussioni dirette a valle, ovvero nei singoli contratti stipulati con la clientela (così Cass. ord. n.28910/17 e n.21878/19)

Ma anche a voler ritenere poi che quella clausola nulla non incida sull’intera validità del contratto, come di recente la giurisprudenza ha sostenuto, nel caso di specie la fideiussione doveva considerarsi estinta, perché una volta ritenuta anche la sola nullità parziale della clausola, costituisce circostanza accertata che la finanziatrice non avesse previamente fatto valere le proprie istanze e le sue richieste giudiziali tempestivamente nei confronti della debitrice principale.

Quindi, diretta conseguenza della nullità delle singole clausole riproposte nella fideiussione firmata dal (…), è che allo stesso non può ritenersi applicabile la dispensa dal termine di cui all’articolo 1957 c.c. contenuta all’articolo 1 dell’atto di fideiussione e poiché tale termine è stato abbondantemente superato senza che la banca abbia proposto le sue istanze in tempo utile verso il debitore e le abbia con diligenza coltivate (considerato che sono trascorsi ben 8 anni dopo l’inizio della morosità e l’ingiunzione è intervenuta, nei confronti della debitrice e contemporaneamente del (…) nel 2017, solo dopo due anni dalla risoluzione) l’obbligo fideiussorio del (…) deve considerarsi estinto poiché il creditore non ha esattamente rispettato il disposto di cui all’articolo 1957 c.c. che sopravvive nella regolamentazione pattizia per la esclusione della clausola nulla.

3) Erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ritiene priva di fondamento l’eccezione riconvenzionale restitutoria formulata dall’opponente ed omessa valutazione dell’entità degli importi già versati alla concedente con obbligo di riduzione secondo equità ex articolo 1384 e 1526 c. 2 c.c. dell’importo eventualmente dovuto alla società (…) leasing and factoring.

In subordine al primo e al secondo motivo, l’appellante contesta la sentenza gravata perché, pur avendo riconosciuto la natura traslativa del leasing oggetto di giudizio, ha ritenuto infondata l’eccezione riconvenzionale restitutoria con cui si chiedeva in primis che fosse accertato l’esatto importo del credito dovuto alla società finanziatrice previo accertamento delle somme già percepite, e previo calcolo dell’equo compenso per l’utilizzo del bene.

Tale richiesta trovava giusto fondamento nel fatto che comunque la società finanziata aveva versato canoni per oltre 150.000 euro, costituenti quasi il 50% del valore di mercato dell’immobile, sicché una volta restituito il bene, (…) verrebbe ad incamerare più di quanto era il valore finale del finanziamento se il contratto avesse avuto buon fine, considerato il valore del bene residuo oggetto del leasing traslativo. Il tribunale anziché considerare l’ipotesi di esperire una CTU per accertare il valore di mercato del bene, si era invece limitato a sostenere che la penale pattuita per l’ipotesi di risoluzione non fosse violativa della norma di cui all’articolo 1526 c.c. applicabile analogicamente al leasing traslativo, ma non ha verificato quanto effettivamente la società possa incamerare dopo la restituzione del bene e la sua eventuale ricollocazione sul mercato unitamente a quanto già pagato a titolo di ratei di locazione da parte della utilizzatrice.

Rileva inoltre l’appellante che poiché la società è stata cancellata dal registro delle imprese già dal luglio del 2014 non è dato sapere fino a quando l’immobile è stato occupato né se sia stato esso restituito alla concedente, circostanze tutte di cui era onerata la banca per il principio di vicinanza della prova.

Quindi la richiesta di pagamento della penale ai sensi dell’articolo 17 del contratto tramite la ingiunzione non tiene conto del fatto che in caso di risoluzione il locatore deve però restituire le rate riscosse salvo il diritto ad un equo compenso ai sensi dell’articolo 1526 c.c. per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno, a meno che le parti non abbiano concordato che le rate pagate restino acquisite al locatore a titolo di indennità. Tale indennità, tuttavia, può essere ridotta dal giudice che deve tenere conto, comunque, dell’ammontare complessivo delle rate riscosse, del valore residuo del compendio, della durata e dell’uso del bene e del suo stato al momento della restituzione, al fine di stabilire l’equilibrio economico tra i contraenti a seguito della risoluzione stessa. La ratio sottesa alla restituzione è quella appunto tesa ad evitare l’ingiustificato arricchimento della parte forte del contratto specie laddove a subire gli effetti di tale arricchimento sia un soggetto estraneo al rapporto di leasing quale appunto il fideiussore, al quale è stato taciuto il reiterato inadempimento del soggetto garantito.

A tale scopo l’appellante ha chiesto che fosse ordinato all’opposta di produrre la analitica distinta delle rate insolute con le relative scadenze e gli importi pretesi per sorte ed interessi, inoltre ha chiesto ammettersi una CTU per la determinazione e la quantificazione del giusto importo da corrispondere da parte della conduttrice alla società di leasing al fine di risarcirla dei danni e per l’equo compenso dovuto.

4) Erroneità della sentenza con riguardo al capo relativo alla liquidazione delle spese di lite.

Il giudice avrebbe dovuto correttamente disporre la integrale compensazione delle spese in ragione proprio del comportamento tenuto dalla (…) leasing and factoring.

Mentre (…) è rimasto contumace, si è costituita in giudizio (…) s.p.a. e per essa, in veste di mandataria, (…) s.p.a. che ha resistito al gravame chiedendone il totale rigetto deducendo quanto segue:

-a) quanto alla certezza e determinatezza del credito ingiunto, il contratto di leasing statuiva, all’art. 17 delle condizioni generali, che era obbligo dell’Utilizzatore “in caso di mancata restituzione dei beni e sino alla data dell’effettiva riconsegna, versare, a titolo di indennità, un importo pari al corrispettivo periodico convenuto oltre agli interessi di mora come sopra indicati” (cfr. doc. 4 fascicolo monitorio). Stante l’omessa consegna del bene oggetto del summenzionato contratto, pertanto, (…) S.p.A. aveva diritto a vedersi riconoscere, come contrattualmente previsto, un’indennità mensile pari a Euro 1.779,62 oltre IVA, dalla data di risoluzione del contratto e, quindi, la somma di Euro 16.016,58 oltre IVA (Euro 1.713,72 per 9 mesi dal 01.08.2016 al mese di Aprile 2017) e della stessa somma risultavano debitori i Sig.ri (…) e (…);

– b) quanto alla violazione del dovere di correttezza e buona fede, ha dedotto che costituiva onere dei fideiussori tenersi aggiornati sulle condizioni patrimoniali del debitore e dell’adempimento del contratto (art. 7); – c) che nessun rimprovero può muoversi a (…) S.p.A., la quale, al protrarsi dell’inadempimento dell’utilizzatrice, aveva provveduto a risolvere il contratto e richiesto il versamento dei canoni scaduti e non versati nonché l’immediata restituzione dell’immobile, senza, però, ottenere alcun positivo riscontro;

– c) che non era invocabile l’applicazione dell’art. 1956 c.c. non vertendosi in un’ipotesi di obbligazione futura;

– d) che il contratto doveva ritenersi un contratto autonomo di garanzia, aspetto su cui il giudice aveva omesso di pronunciarsi;

– e) che quanto alla nullità della clausola riproduttiva della clausola n.6 ABI ha eccepito la tardività dell’eccezione e comunque dell’allegazione del fatto su cui si fonda la eccezione di estinzione, proposta sola con la prima memoria 183 c.p.c. e non nell’atto di opposizione;

– f) che quanto infine al rigetto dell’istanza di restituzione dei canoni versati per sproporzione delle somme complessivamente ottenute da (…) in forza dell’ingiunzione, ha dedotto che la creditrice aveva correttamente attivato la penale contrattualmente prevista, nell’impossibilità di recuperare alcuna somma dal bene concesso in locazione non essendo stato questo mai restituito.

Precisati così i termini del contraddittorio la causa è stata assunta in decisione all’esito di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. in data 17.3.2023 con concessione dei termini del 190 c.p.c.

La lunga esposizione dei motivi di gravame è fallace sotto tutti i punti di vista, con conseguente infondatezza dell’appello, benché si richiedano in questa sede correttivi ed integrazioni argomentative alle motivazioni esposte dal primo giudice.

Per quanto riguarda il primo motivo di impugnazione, con cui si contesta la decisione del Tribunale di rigettare l’eccezione, tempestivamente proposta dall’appellante con l’atto di opposizione, di estinzione della garanzia ex art. 1956 c.c. è infondato, non potendosi ravvisare alcuna possibilità di applicazione del disposto invocato, essendo palese che l’importo del debito contratto dalla obbligata principale è preciso e contestualizzato nel relativo contratto e riguarda appunto solo ed esclusivamente l’esatto ammontare del finanziamento assunto con il contratto di leasing del 7 Dicembre 2007 n. (…), e non già potenziali debiti futuri della utilizzatrice, con la conseguenza allora che, pur essendosi verificato l’inadempimento del contratto a decorrere dal momento in cui il (…) aveva ceduto la propria quota di partecipazione nella società finanziata al socio (…), nessun obbligo aveva la banca di informare il fideiussore dell’asserito inadempimento e della situazione di peggioramento delle condizioni economiche della debitrice, appunto perché nessun nuovo credito veniva concesso alla (…) s.r.l. che richiedesse la preventiva autorizzazione del fideiussore, il cui debito rimaneva delimitato e circoscritto esattamente a quello assunto nel relativo contratto e quindi alle rate di leasing non versate e alle indennità per l’utilizzo del bene nella eventualità che, una volta risolto il contratto per inadempimento, l’utilizzatrice, in violazione dei dovei restitutori conseguenti alla risoluzione, avesse continuato a mantenere la disponibilità dell’immobile, anche al fine di consentirne la vendita e limitare i danni a carico della concedente.

Nessuna violazione degli obblighi di correttezza e buona fede è perciò ravvisabile a carico della banca appellata non solo in considerazione del fatto che nessuna nuova concessione di credito era stata effettuata in favore della società garantita, ma nel caso specifico lo stesso fideiussore nel contratto di assunzione della garanzia si era impegnato all’articolo 7 ad informarsi circa l’andamento del rapporto obbligatorio tra la concedente e la debitrice principale, non residuando perciò alcun dovere di informazione a carico della banca integrante violazione dell’articolo 1375 c.c. Si legge esattamente nel contratto che il fideiussore “avrà cura di tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore principale ed in particolare di informarsi presso lo stesso dello svolgimento dei suoi rapporti con (…), che sarà tenuta comunque, a richiesta del medesimo, a comunicare entro i limiti dell’importo garantito, l’entità dell’esposizione complessiva del debitore quale risultante al momento della richiesta nonché, previo ottenimento da parte del fideiussore del consenso scritto del debitore principale, ulteriori informazioni concernenti l’esposizione stessa”.

Tale previsione contrattuale non viola assolutamente il disposto dell’articolo 1956 c.c. dal momento che esso colpisce esclusivamente con la nullità la sola ipotesi di rinuncia preventiva del fideiussore a prestare la propria autorizzazione in favore della banca per la concessione di ulteriore credito al debitore principale, ma non contempla anche l’ipotesi pattizia con cui la banca viene esonerata dall’obbligo di informare periodicamente il cliente delle mutate condizioni patrimoniali del debitore per contestuale assunzione dell’obbligo di informarsi da parte del fideiussore, quando il credito rimane immutato, e quindi cristallizzato a quello originario per cui è stata rilasciata la fideiussione.

Dal tutto improprio e inadeguato è allora il richiamo alla sentenza della Suprema Corte n. 21730/10 che si riferisce specificamente ad un rapporto dinamico, quale è l’anticipazione bancaria in conto corrente, dove l’esposizione debitoria del soggetto finanziato può lievitare per concessione della banca, ed allora è evidente in questo caso che la banca in forza del principio di correttezza e buona fede ha l’onere di informare il fideiussore, prevedendo l’art. 1956 c.c. la liberazione del garante quando l’ampliamento della somma finanziata sia avvenuta senza autorizzazione in una situazione di peggioramento delle condizioni economico-patrimoniali del debitore. L’applicazione della norma postula cioè una dilatazione del debito garantito non assentita dal fideiussore e non è possibile nel caso di specie applicare il disposto invocato all’ipotesi in cui la banca abbia ritardato a intimare la risoluzione del contratto, facendo lievitare il debito attraverso la implementazione degli interessi di mora perché rientrava pienamente nello spettro previsionale della fideiussione prestata tale eventualità, e la garanzia è da considerarsi pienamente valida ai sensi dell’art. 1938 c.c., contenendo una precisa previsione del tetto massimo garantito.

Non è dunque invocabile la conseguenza giuridica addotta dall’appellante, ovvero l’estinzione della garanzia per il fatto che la banca non abbia tempestivamente richiesto la risoluzione del contratto per inadempimento, per contenere così gli importi degli interessi moratori dovuti, tanto più che in questo caso il fideiussore aveva assunto l’obbligo di tenersi informato sulla situazione debitoria della garantita con riguardo al leasing, mentre invece sembra di capire che il (…), una volta ceduta la propria quota al socio (…), si sia completamente disinteressato delle sorti della (…) s.r.l., trascurando la cogenza dell’obbligazione di garanzia prestata.

Infondato è anche il secondo motivo di appello, sia pur per ragioni diverse da quelle addotte dal primo giudice.

Se è vero, come sostiene l’appellante, che la clausola n.1 della lettera di fideiussione riproduce esattamente la clausola n.6 ABI tacciata di nullità dall’autorità antitrust (e ciò contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, essendo palese l’identità della previsione di deroga all’articolo 1957 c.c.) e se è vero che la nullità della clausola, pur non determinando la nullità radicale dell’intero contratto di fideiussione in conformità a quando stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n.41994/21, determina la sola nullità parziale ai sensi dell’articolo 1419 c.c. della specifica clausola, tuttavia il (…) con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo non ha sollevato alcuna eccezione in questo senso, e pur considerando che la nullità sia rilevabile d’ufficio, l’allegazione in fatto, ovvero che la domanda giudiziale avanzata nei confronti del fideiussore non è stata preceduta da alcuna richiesta o domanda giudiziale nei confronti della debitrice principale, è stata per la prima volta avanzata solo con la prima memoria 183 c.p.c., con la conseguenza allora che tale eccezione è preclusa in quanto proposta a contraddittorio già instaurato, considerando che la sede per l’attore in opposizione – convenuto in senso sostanziale per la dinamica invertita del procedimento per ingiunzione – per svolgere tutte le proprie eccezioni e le proprie domande è l’atto di opposizione e non la prima memoria 183 c.p.c. destinata solo alla precisazione delle domande e delle eccezioni svolte.

Sul punto specifico la Suprema Corte con la sent. n.36353 del 23.11.21 ha sancito il principio di diritto secondo cui “il rilievo di ufficio di una nullità sostanziale è ammissibile esclusivamente se basato su fatti ritualmente introdotti o comunque acquisiti in causa secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo non potendosi fondare su fatti di cui il giudice (o la parte tardivamente rispetto ai propri oneri) possa ipotizzare solo in astratto la verificazione, e la cui introduzione presupponga l’esercizio di un potere di allegazione ormai precluso in rito”.

L’eccezione processuale svolta dalla appellata a fronte della tardività dell’allegazione non è stata contrastata in alcun modo e con alcun argomento difensivo da parte dell’appellante. La preclusione è peraltro rilevabile d’ufficio essendo rimessa al giudice la valutazione della scansione temporale e della tempestività dell’esercizio del potere assertivo delle parti coinvolte nel processo su cui le stesse fondano le rispettive eccezioni.

Scandagliando l’atto di opposizione si evince chiaramente che il (…) aveva fatto valere altre causae excipiendi ma non certo quella relativa alla mancata e tempestiva azione giudiziale nei confronti del debitore principale con priorità rispetto a quella avanzata nei confronti del fideiussore.

Così stando le cose, benché la Corte possa rilevare e dichiarare la nullità parziale della clausola derogatoria all’art. 1957 c.c., la pronuncia non può andare oltre, dal momento che non è possibile prendere in considerazione l’eccezione di decadenza del creditore dalla garanzia per paralizzare la pretesa monitoria: una pronuncia in tal senso avrebbe presupposto innanzitutto una tempestiva allegazione da parte dell’opponente circa il mancato rispetto da parte del creditore del termine semestrale per agire giudizialmente contro l’obbligato principale, e poi soprattutto avrebbe richiesto un’espressa eccezione di merito o in senso stretto, rimessa esclusivamente al potere di rilevazione della parte e non d’ufficio, da proporsi inderogabilmente con l’opposizione a decreto ingiuntivo che rappresenta appunto la sede per l’opponente per proporre tutte le eccezioni di stretto merito non rilevabili d’ufficio.

In conclusione, la eccezione di decadenza della garanzia per mancata osservanza del termine di cui all’art. 1957 c.c. per l’inoltro delle richieste nei confronti del debitore principale da parte della creditrice è processualmente preclusa perché non sollevata tempestivamente con l’atto di citazione in opposizione a D.I..

Anche a voler ritenere validamente proposta l’eccezione, peraltro, si osserva nel merito che non potrebbe trarsi la conseguenza invocata da parte appellante di estinzione della garanzia ex art. 1957 c.c. perché la risoluzione del contratto e quindi l’immediata esigibilità, senza dilazione alcuna, di tutti i canoni scaduti è stata intimata dalla concedente quando la società era già stata cancellata nel Registro delle Imprese, dunque, necessariamente la banca creditrice non avrebbe potuto che azionare la propria pretesa se non nei confronti dei fideiussori, e né è stato dimostrato da parte dell’appellante che agendo nei confronti dei soci della disciolta (…) s.r.l., nei limiti della quota di partecipazione, la banca avrebbe recuperato interamente il proprio credito: dunque anche sotto il profilo strettamente di merito l’eccezione ove ritualmente proposta sarebbe stata infondata.

Infondato è altresì il terzo motivo di appello con cui il (…) si duole del rigetto della eccezione riconvenzionale di restituzione dei canoni versati, una volta verificatasi la risoluzione del contratto, al fine di evitare, attraverso la richiesta ingiunzione, che la concedente realizzi un valore eccedente quello del finanziamento, dovendo di converso il giudice verificare se quanto già percepito, sommato al valore di ricollocazione del bene sul mercato ecceda l’importo complessivo del finanziamento, tale da dover escludere in questo caso la penale convenzionalmente pattuita o limitarne il suo valore.

Si osserva innanzitutto che, per i contratti di leasing traslativi conclusi in data anteriore all’entrata in vigore della L. n. 124 del 2017 trova applicazione, secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza in materia, la norma inderogabile di cui all’art. 1526 c.c. (si veda Cass. 19732/2011, Cass. 2909/1996), la quale prevede un rimedio risarcitorio volto a reintegrare il pregiudizio patrimoniale subìto dal concedente a fronte dell’inadempimento della controparte, e nello stesso tempo ad evitare che l’utilizzatore inadempiente possa subire un eccessivo nocumento economico per effetto della risoluzione, per cui si è stabilito il principio secondo cui la società di leasing non può, a fronte della mancata esecuzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, conseguire vantaggi maggiori di quelli che gli sarebbero derivati dalla regolare esecuzione del contratto.

Di conseguenza, affinché non si verifichi un indebito vantaggio di una delle due parti, a seguito della ricollocazione del bene sul mercato o all’esito della vendita del bene, potrà essere eventualmente restituita all’utilizzatore la differenza tra il valore di quanto la società di leasing avrebbe dovuto conseguire al termine della regolare esecuzione del contratto e le somme versate dall’utilizzatore cumulate con il valore conseguito dalla vendita del bene restituito (così Cass. ord. n. 20840 del 21.8.2018. sent. n. 888 del 17.1.2014, sent. n. 754 del 13.1.2005) con eventuale riduzione della clausola penale contrattualizzata che risulti essere manifestamente eccessiva.

Nel caso di specie, anche volendo qualificare il contratto oggetto di causa come leasing traslativo, tuttavia si rileva come non sussistano i presupposti sopra menzionati né ai fini della riduzione della clausola penale né per la ripetizione dei canoni già versati dall’utilizzatore, e ciò per la sostanziale ragione che l’immobile oggetto di contratto non è mai stato restituito alla concedente, così impedendo alla banca di quantificare esattamente l’importo ad essa spettante ed esigibile dal debitore inadempiente, previa detrazione del valore del bene ottenuto per effetto della sua ricollocazione sul mercato.

L’ingiunzione è stata pertanto correttamente avanzata richiedendo la banca tutti i ratei scaduti, essendo peraltro il bene immobile rimasto, fino alla ottenuta ingiunzione del 3.10.2017, nella disponibilità della debitrice e poi del socio (…) a seguito della cancellazione ed estinzione della società dal Registro delle Imprese.

Nessuna locupletazione poi può ravvisarsi a carico dell’ente creditizio per aver intimato il pagamento dei canoni residui ad entrambi i fideiussori.

Andando infatti ad esaminare il testo dell’accordo contrattuale del leasing si evince che (…) aveva sostenuto un esborso per l’acquisto del bene immobile pari a Euro 301.068,00 oltre Iva, con previsione di un corrispettivo per la locazione pari a Euro 371.551,98 oltre Iva da pagarsi in 180 canoni, di cui il primo di Euro 53.000 oltre Iva da pagarsi contestualmente al perfezionamento del contratto e i successivi 179 canoni, ciascuno di Euro 1779,62 oltre Iva, da pagarsi 30 giorni dopo la consegna del bene, con cadenza mensile, con opzione di riscatto per l’utilizzatore nella misura di Euro 90.320,00. Ora è accaduto che la banca ha intimato attraverso l’ingiunzione il pagamento della somma equivalente all’importo di Euro 182.752,79, oltre gli interessi per i soli ratei scaduti e non versati, oltre ad un’indennità di occupazione del bene protrattasi oltre la durata contrattuale per la omessa restituzione nella limitata somma di Euro 16.016,58. Cumulando tali importi alle somme versate dall’utilizzatrice, come si evince dall’estratto conto ex art. 50 TUB, e calcolata l’incidenza della mora per il ritardo nei pagamenti per l’importo di Euro 52.626,41, si desume che la banca non verrebbe a percepire affatto al momento dell’ingiunzione un importo eccedente il valore del finanziamento accordato pari a Euro 371.551,98 oltre Iva.

Eventualmente ogni spettanza che la banca potrebbe ottenere dalla ricollocazione del bene sul mercato potrà costituire oggetto di una successiva domanda restitutoria così come stabilito dalla Cassazione con la ordinanza sopra evocata, ma l’ingiunzione per le somme quantificate è stata correttamente avanzata.

In conclusione pertanto la doglianza del (…) secondo cui la banca avrebbe arbitrariamente invocato la risoluzione quando ormai la società era stata posta in liquidazione da più di due anni, abusando della garanzia personale di cui disponeva perché poteva appunto contare sul pagamento dei fideiussori, rappresenta un argomento che non vale ad escludere la validità della prestata fideiussione sotto tutti i profili di censura, senza considerare che la lievitazione degli interessi e della debenza anche per le indennità di occupazione dell’immobile rientravano tutte nell’obbligo assunto, in quanto strettamente correlate al debito principale e nei limiti dell’importo garantito, e soprattutto, per effetto della clausola apposta nel contratto, il controllo della situazione patrimoniale del debitore rientrava nell’alveo dei doveri assunti dal fideiussore, che attraverso la cessione delle quote non si era liberato dalla propria obbligazione verso la concedente e su cui gravava l’onere appunto di tenersi informato in merito alle sorti dell’obbligazione principale.

Va infine disatteso anche il quarto motivo di censura con cui l’appellante contesta la regolamentazione delle spese: le argomentazioni svolte con riguardo a tutti i motivi di gravame rendono evidente che la contestazione dell’obbligo di garanzia assunto era del tutto fallace, che la debenza del fideiussore (…) verso la banca non era esclusa, salvo il suo diritto di essere manlevato dal (…), statuizione da quest’ultimo non contestata.

Le spese del presente grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, sull’appello proposto da (…) avverso la sentenza del Tribunale di Siena n. 139 del 6.2.2020 nei confronti di (…) s.p.a. e per essa, in veste di mandataria, (…) s.p.a. e (…), ogni avversa domanda ed eccezione disattesa:

– Rigetta l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata.

– Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di (…) s.p.a., spese che liquida in Euro 9.991,00 per compensi oltre rimborso forfettario e accessori di legge.

– Si dà altresì atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, per il raddoppio del contributo unificato a carico dell’appellante.

Così deciso in Firenze il 13 luglio 2023.

Depositata in Cancelleria il 22 agosto 2023.

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Avv. Umberto Davide

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