L’infondatezza della domanda nel giudizio presupposto non e’, di per se’, causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, all’uopo occorrendo che di tale infondatezza la parte abbia consapevolezza, originaria – allorche’ proponga una lite temeraria – o sopravvenuta, – ma prima che il processo superi il termine di durata ragionevole, condizione quest’ultima che andava verificata con riferimento al processo presupposto e non a quello amministrativo, e ciò in quanto la valutazione della sussistenza del patema d’animo per la durata del processo deve essere rapportata, separatamente, ad ogni singolo procedimento.

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Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|20 ottobre 2022| n. 31059

Data udienza 20 settembre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14710/2021 R.G. proposto da:

(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente – ricorrente in via incidentale –

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 123/2021, pubblicato il 16.3.2021.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 20.9.2022 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. (OMISSIS) e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe hanno ottenuto ingiunzione ex L. n. 89 del 2001, ex articolo 5 ter, per il pagamento dell’indennizzo per l’irragionevole durata di un giudizio di equa riparazione protrattosi per circa nove anni.

Avverso il decreto ha proposto opposizione il Ministero e, all’esito, la Corte territoriale ha respinto la domanda e ha revocato l’ingiunzione, ritenendo che i ricorrenti non avessero subito alcun pregiudizio, non potendo confidare nel riconoscimento dell’indennizzo, essendo consapevoli della totale insussistenza delle pretese azionate dinanzi al giudice amministrativo.

La cassazione del decreto e’ chiesta dai ricorrenti di cui in epigrafe con ricorso in due motivi, illustrati con memoria.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso e con ricorso incidentale in tre motivi.

2. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, articolo 2, sostenendo che la Corte di merito abbia respinto la richiesta di equa riparazione in base all’esito sfavorevole del giudizio amministrativo e non, come avrebbe dovuto, tenendo esclusivamente conto della durata irragionevole del processo presupposto, e per aver negato – nonostante la durata ultra-novennale della causa – la sussistenza di un pregiudizio non patrimoniale sulla scorta dell’asserita prevedibilita’ del rigetto della domanda, senza peraltro considerare che nel primo processo era stata disposta la compensazione delle spese, con statuizione che escludeva il carattere temerario della lite.

Il motivo e’ fondato.

Nel respingere la domanda di equo indennizzo, la Corte di merito ha escluso la sussistenza di un pregiudizio indennizzabile, attesa “la totale assenza di incertezza sull’esito della lite, che rendeva evidente la strumentalita’ della coltivazione di un’azione giudiziale quando l’esito negativo era ampiamente prevedibile”.

Ha evidenziato che – poiche’ nel giudizio amministrativo in cui i ricorrenti, dipendenti pubblici, avevano rivendicato talune maggiorazioni retributive, era intervenuta, a distanza di qualche mese, una disposizione interpretativa che escludeva la spettanza del piu’ favorevole trattamento economico – le parti avevano acquisito in corso di causa la piena consapevolezza del proprio torto, per cui, pur non configurandosi un’ipotesi di lite temeraria, data la loro iniziale buona fede, era pero’ da escludersi la reazione ansiogena determinata dalla pendenza del processo a partire dal momento in cui era divenuto ormai prevedibile l’esito sfavorevole della causa.

Risulta – in definitiva – evidente che il giudice distrettuale abbia dato rilievo non alla condizione delle parti nel giudizio presupposto (ossia al giudizio di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo incardinato dinanzi al Tar), ma a quella creatasi nel giudizio amministrativo esitato nel rigetto della domanda di maggiorazioni retributive, ed abbia ritenuto decisivo l’esito del primo giudizio di equa riparazione, che, sebbene definito con pronuncia di rigetto, non poteva automaticamente giustificare anche il rigetto della successiva richiesta ex L. n. 89 del 2001.

A tale ultimo riguardo va ricordato che l’infondatezza della domanda nel giudizio presupposto non e’, di per se’, causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, all’uopo occorrendo che di tale infondatezza la parte abbia consapevolezza, originaria – allorche’ proponga una lite temeraria – o sopravvenuta, – ma prima che il processo superi il termine di durata ragionevole (Cass. 665/2017; Cass. 3584/2018), condizione quest’ultima che andava verificata con riferimento al processo presupposto e non a quello amministrativo, avendo questa Corte gia’ affermato che la valutazione della sussistenza del patema d’animo per la durata del processo deve essere rapportata, separatamente, ad ogni singolo procedimento (Cass. 10506/2018).

3. Il secondo motivo denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, articoli 3, 5 ter e dei Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 e Decreto Ministeriale n. 327 del 2018, per aver la Corte di appello liquidato le spese in favore del Ministero anche per la fase monitoria cui l’amministrazione non aveva partecipato, riconoscendo – per giunta – importi diversi da quelli previsti dalla tabella n. 8 allegata al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014.

Il motivo e’ assorbito, dovendo il giudice del rinvio procedere ad una nuova liquidazione delle spese processuali in base all’esito finale della lite.

4. Il primo motivo del ricorso incidentale deduce la violazione della L. n. 89 del 2001, articolo 4, sostenendo che erroneamente sarebbe stata reputata applicabile la sospensione feriale dei termini di cui alla L. n. 742 del 1969, senza tener conto degli effetti della novella del 2012 la quale ha previsto che la domanda di equo indennizzo, se respinta, non e’ piu’ proponibile anche ove non sia ancora maturato il termine semestrale di decadenza, il che dovrebbe portare ad assimilare tale termine a quelli di carattere sostanziale.

Il secondo motivo denuncia – sotto altro profilo della L. n. 89 del 2001, articolo 4, assumendo che sarebbe venuto meno il carattere necessitato del procedimento di cui alla L. n. 89 del 2001, posto che il diritto all’indennizzo puo’ essere riconosciuto anche mediante il ricorso al procedimento di mediazione di cui al Decreto Legislativo n. 28 del 2010, restando esclusa la sospensione feriale del termine di proponibilita’ della domanda.

Il terzo motivo denuncia nuovamente la violazione della L. n. 89 del 2001, articolo 4, nella parte in cui si ritiene applicabile la sospensione feriale dei termini, occorrendo tenere conto della modifica di cui all’articolo 327 c.p.c., con la conseguente riduzione a sei mesi del termine per impugnare. Si deduce che, data la disposta riduzione per legge del termine per impugnare, a quest’ultimo potrebbe non risultare applicabile la sospensione feriale dei termini, invece invocabile per il termine decadenziale per la proposizione della domanda di equo indennizzo.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

E’ insegnamento costante di questa Corte che, “poiche’ fra i termini per i quali la L. n. 742 del 1969, articolo 1, prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorche’ l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso. Tale sospensione si applica – in particolare al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, articolo 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (Cass. n. 5423/2016; Cass. n. 10595/2016; Cass. n. 26423/2016).

Le contrarie argomentazioni sviluppate in ricorso non possono essere in alcun modo condivise.

La semplificazione del procedimento non osta all’operativita’ della L. n. 742 del 1969, che trova pacifica applicazione anche ai procedimenti monitori e alla successiva fase di opposizione, oltre che ai giudizi nei quali appaiono particolarmente accentuate le esigenze di celerita’ e snellezza delle regole processuali, quale ad es. il procedimento sommario di cognizione.

Nessun rilievo ha poi la possibilita’ di ottenere l’indennizzo in sede di mediazione, essendo tale opzione alternativa al giudizio, nell’ottica di una attenuazione del carico degli uffici giudiziari, in cui l’attribuzione dell’indennizzo costituisce esito non obbligato pur in presenza dei relativi presupposti, essendo rimesso all’incontro delle volonta’ delle parti secondo valutazioni di convenienza.

La circostanza, poi, che l’esercizio dell’azione indennitaria nel termine di legge abbia assunto ancor di piu’ carattere decadenziale, avendo il legislatore previsto che anche il rigetto per motivi di rito ne precluda la riproposizione, non costituisce argomento che depone a favore della natura sostanziale del termine, trattandosi di scelte discrezionali del legislatore, che non hanno alcuna attinenza con il profilo in discussione.

Neppure la riduzione del termine lungo di impugnazione ex articolo 327 c.p.c. o l’impossibilita’ di riproporre la domanda, se respinta anche per ragioni di rito, adducono argomenti in favore della tesi del Ministero: detta sospensione opera anche per i termini delle impugnazioni ordinarie, che sono ugualmente improponibili se gia’ dichiarate improcedibili o inammissibili (articoli 358 e 387 c.p.c.).

In conclusione, e’ accolto il primo motivo del ricorso principale, con assorbimento del secondo, ed e’ integralmente respinto il ricorso incidentale.

La pronuncia e’ cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimita’.

Essendo il procedimento esente dal pagamento del contributo unificato ed essendo comunque soccombente un’amministrazione dello Stato, dato il rigetto del ricorso incidentale, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il secondo e respinge il ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.