Corte di Cassazione, Sezione L civile Sentenza 27 marzo 2017, n. 7795

A tal uopo va ricordato che la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione e’ deducibile in sede di legittimita’ come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici.

 

Corte di Cassazione, Sezione L civile Sentenza 27 marzo 2017, n. 7795

Integrale
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. MANNA Antonio – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso 5441/2015 proposto da:

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 950/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 19/08/2014 r.g.n. 631/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2017 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza n. 950/2014 la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia emessa il 26.4.2012 dal Tribunale di Reggio Emilia con cui era stata respinta la domanda proposta da (OMISSIS), nei confronti della (OMISSIS) srl, rivolta ad ottenere l’annullamento del recesso per giusta causa comminato nel marzo del 2010, con le conseguenze di cui all’articolo 18 St. Lav. ratione temporis vigente.

A fondamento della decisione la Corte territoriale ha specificato che: 1) non era stato violato il principio di immediatezza della contestazione atteso che, da un lato, dalle condotte del 23/24 dicembre 2009 al recesso del 6 marzo 2010 erano intercorsi meno di tre mesi, dall’altro, che non era dato capire quale pregiudizio alle esigenze defensionali fosse scaturito; 2) la contestazione era specifica e non era necessaria l’affissione del codice disciplinare perche’ la condotta contestata, integrante una insubordinazione, si poneva come violazione di un dovere fondamentale quale quello di diligenza; 3) era stato rispettato il termine complessivo di 45 giorni essendo stato il recesso intimato in data 6.3.2010 e non dovendosi computare il primo giorno ex articolo 155 c.p.c., comma 1; 4) in caso di pluralita’ di contestazione, era sufficiente che la giusta causa fosse ravvisabile in alcuni inadempimenti o in uno di essi, senza che fosse necessario scrutinare l’intera condotta sub judicio: nel caso in esame, dalle deposizioni raccolte in prime cure, erano risultate comprovate le condotte di ingerenza espressive di uno specifico animus nocendi; 5) tenuto conto delle condotte contestate, dei precedenti, della previsione sanzionatoria prevista dal CCNL, dalla appartenenza alla categoria dei “quadri”, la comminazione del licenziamento doveva ritenersi giustificato.

Per la cassazione propone ricorso (OMISSIS) affidato a due motivi ulteriormente illustrati con memoria ex articolo 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la (OMISSIS) srl.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli articoli 2104, 2105, 1175, 1375, 2119 c.c., per avere la Corte di appello fatto una erronea applicazione dei precetti normativi che concorrono a definire la fattispecie della insubordinazione e della giusta causa di licenziamento nel valutare e valorizzare i fatti del (OMISSIS). In particolare, sostiene che la grave insubordinazione presuppone la violazione da parte del subordinato degli obblighi primari e costitutivi il suo rapporto di lavoro in relazione all’articolo 2104 c.c. (che impone al lavoratore un obbligo di diligenza secondo la particolare qualita’ dell’attivita’ dovuta e di osservare, altresi’, tutti i comportamenti accessori e quelle cautele necessarie ad assicurare una gestione professionalmente corretta anche in difetto di direttive) e articolo 2105 c.c. (che impone al lavoratore il dovere di fare tutto il possibile nell’interesse dell’impresa obiettivamente considerato). Deduce, inoltre, quanto all’elemento soggettivo, che la giurisprudenza di legittimita’ aveva escluso la giusta causa di licenziamento per insubordinazione in contesti di spiccata conflittualita’ ambientale e/o relazionale. Conclude, pertanto, ritenendo che il giudizio della Corte territoriale non era stato coerente rispetto agli standards conformi all’ordinamento esistenti nella realta’ sociale per definire la fattispecie di licenziamento per giusta causa, dovuto a grave insubordinazione, anche in considerazione della non congruita’ della sanzione espulsiva rispetto al fatto addebitato con riguardo alla durata del rapporto e all’assenza di precedenti sanzioni.

Con il secondo motivo (OMISSIS) si duole, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omesso esame circa due fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti e, cioe’, della circostanza che la mattina del 24.12.2009, dopo le contestazioni circa la sua presenza in ufficio da parte di (OMISSIS), ella aveva provveduto ad interrompere l’attivita’ di inserimento degli ordini al computer, che le era stata contestata, timbrando, a dimostrazione dell’interruzione dell’attivita’ lavorativa, il cartellino segna ore e presenze in uscita (entrata 8:55 – uscita 9:06). Inoltre lamenta, con riferimento alla giornata del (OMISSIS), che non era stato preso in considerazione, dai giudici di merito, che le disposizioni date da essa ricorrente non erano state modificate successivamente da (OMISSIS) ed anzi erano state confermate dall’azienda.

Il primo motivo non e’ fondato.

La doglianza riguarda la sussunzione del fatto contestato ed accertato nella fattispecie del licenziamento per giusta causa dovuto a grave insubordinazione.

Cio’ premesso il Collegio, in primo luogo, ritiene che la nozione di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non puo’ essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale (cfr. Cass. 2.7.1987 n. 3251).

La Corte territoriale ha accertato, nel caso in esame, conformemente al giudice di primo grado, che erano risultate comprovate le condotte di ingerenza indebita in attivita’ esecutive del tutto avulse da quelle di competenza della lavoratrice: ingerenza che, in difetto di una credibile ed imperiosa esigenza aziendale, rivestiva natura emulativa ed espressiva di uno specifico animus nocendi, nel quadro di contrasti familiari ed economici pacificamente esistenti.

E’ opportuno sottolineare che, sia il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (che addirittura richiede fatti incontroversi) sia quello di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ancor di piu’ nella nuova versione ratione temporis applicabile), non conferiscono alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa per cui la valutazione delle prove, la loro attendibilita’ e concludenza nonche’ la scelta di dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, spetta esclusivamente al giudice di merito.

Orbene, l’imporre di forza ai dipendenti nuove direttive impartite in merito alle modalita’ di gestione degli ordini dei clienti – senza che fossero discusse ne’ concordate con la Direzione aziendale, configura di certo una condotta idonea a realizzare una violazione del disposto dell’articolo 2104 c.c., comma 2, perche’ concretizza, specialmente se accompagnata da modalita’ comportamentali dirette a contestare pubblicamente il potere direttivo del datore di lavoro, un atto di insubordinazione suscettibile di legittimare il licenziamento del lavoratore.

Inoltre, i giudici di seconde cure hanno, in sostanza, correttamente escluso che la pregressa esistenza di contrasti familiari potesse costituire una forma di clausola di esclusione dell’antigiuridicita’ tale da legittimare condotte di palese insubordinazione costituenti, invece, per tutti gli altri lavoratori una giusta causa di licenziamento.

Analogamente la Corte territoriale ha giustamente operato per essersi attenuta ad un principio ripetutamente ribadito da questa Corte, secondo cui nell’indagine sulla legittimita’ del recesso ben possono essere prese in considerazione le precedenti mancanze del dipendente, quali circostanze confermative, sotto il profilo psicologico e con riguardo alla personalita’ del lavoratore, della gravita’ dell’inadempimento e della adeguatezza del provvedimento sanzionatorio (cfr. Cass. 27.11.1997 n. 11998; Cass. 25.10.1990 n. 10344).

I giudici del merito, oltre a valutare la gravita’ del fatto in relazione a tutti gli elementi del caso concreto (portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, circostanze nelle quali sono state commesse e intensita’ dell’elemento intenzionale, conformemente a quanto affermato da questa Corte Cass. 5.7.2016 n. 13676), hanno, altresi’, accertato la proporzionalita’ tra tali fatti e la massima sanzione inflitta, sottolineando che la grave insubordinazione era sanzionata dal CCNL inter partes con la massima sanzione espulsiva, l’appartenenza della lavoratrice alla categoria dei quadri (ove in sostanza e’ piu’ forte il vincolo fiduciario che si chiede con la parte datoriale) e appunto i pregressi precedenti: tutte circostanze di scuotere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro e di giustificare la massima sanzione disciplinare.

Tale accertamento, condotto in concreto e sorretto da motivazione adeguata e logica, e’ riservate al giudice di merito e non puo’ essere censurato in sede di legittimita’ (tra le altre Cass. 21.5.2002 n. 7462; Cass. 26.5.2001 n. 7193).

A tal uopo va ricordato che la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione e’ deducibile in sede di legittimita’ come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici (Cass. 26.4.2012 n. 6498; Cass 2.3.2011 n. 5095).

Nel caso in esame, la combinazione ed il peso dei dati fattuali, che hanno portato i giudici di merito a qualificarli condivisibilmente come grave insubordinazione (come sopra specificato), effettivamente consentono la riconduzione della fattispecie alla nozione legale della giusta causa e tutti i parametri indicati dalla ricorrente e, cioe’, la qualificazione dell’episodio come lieve insubordinazione, la non ravvisabilita’ delle violazioni dell’obbligo di diligenza e di fedelta’ nonche’ l’assenza dell’elemento soggettivo, finiscono per essere una prospettazione di una rivisitazione del giudizio di merito non consentita in questa sede a seguito della modifica dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza gravata.

Il secondo motivo e’ parimente infondato.

Invero, oltre ad essere state le due circostanze oggetto di causa contestate dalla controricorrente che ha obiettato, riportando allegazioni prospettate dalla stessa (OMISSIS) nel ricorso nonche’ passi delle deposizioni dei testi escussi, la non veridicita’ delle stesse, in relazione ad esse non e’ ravvisabile l’elemento della decisivita’ perche’ tali fatti, se esaminati, non avrebbero determinato un esito diverso della controversia (cfr. Cass. Sez. Un. 2014 n. 8053; Cass. 18.4.2007 n. 9245; Cass. 29.9.2006 n. 21249) essendo la sentenza impugnata fondata su argomentazioni diverse da quelle riguardanti il diverbio svoltosi fuori dell’orario di lavoro ovvero la asserita mancata modifica delle diverse direttive impartite dalla ricorrente.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’ che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13 , comma 1 bis.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.