Il principio desumibile dall’art. 1590 c.c. che legittima il locatore a rifiutare la riconsegna dell’immobile ed a pretendere il pagamento del canone fino alla sua rimessione in pristino, va coordinato con il principio di cui all’art. 1227, comma 2, c.c. secondo il quale in base alle regole dell’ordinaria diligenza il creditore ha il dovere di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio subito, pur senza essere tenuto all’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa e, cioè, ad un “facere” non corrispondente all’id quod plerumque accidit. Ne deriva che il locatore non può rifiutare la riconsegna ma può soltanto pretendere il risarcimento del danno cagionato all’immobile, costituito dalle spese necessarie per la rimessione in pristino e dalla mancata percezione del reddito nel periodo di tempo occorrente, nel caso in cui il deterioramento dipenda da inadempimento dell’obbligo di provvedere alle riparazioni di piccola manutenzione ex art. 1576 c.c.; il locatore può invece rifiutare la riconsegna dell’immobile locato nel caso in cui il conduttore non abbia adempiuto all’obbligo, impostogli dal contratto, di provvedere alle riparazioni eccedenti l’ordinaria manutenzione o per avere egli di propria iniziativa apportato trasformazioni o innovazioni, poichè in tale caso la rimessione in pristino richiederebbe l’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa e, cioè, un “facere” al quale il locatore non è tenuto secondo l’id quod plerumque accidit.

Corte d’Appello|Napoli|Sezione 6|Civile|Sentenza|12 maggio 2022| n. 1971

Data udienza 6 maggio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI

SESTA SEZIONE CIVILE

riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati:

1) dott. Assunta D’AMORE – Presidente

2) dott. Antonio QUARANTA – Consigliere

3) dott. Ada METERANGELIS – Consigliere rel.

all’udienza del 6.5.2022 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado d’appello iscritta al N. 4328 R.G.A.C. per l’anno 2021, vertente

TRA

(…) ((…)) e (…) ((…)), rappresentati e difesi in giudizio, per mandato in atti, dall’avv. Ge.Mi., presso il cui studio in Napoli alla Via (…) sono elettivamente domiciliati;

Appellanti

CONTRO

COMUNE DI TORRE DEL GRECO ((…)), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso in giudizio, per mandato in atti, dagli avv.ti Al.Li. e Ad.Li., elettivamente domiciliati presso l’Avvocatura civica del Comune di Torre del Greco p/o Ex Complesso La Salle, via (…), Torre del Greco (NA);

Appellato

OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n. 1639/2021, pubblicata il 19.07.2021

IN FATTO E IN DIRITTO

Con ricorso depositato in data 15.05.2018, (…) e (…) evocavano in giudizio, innanzi al tribunale di Torre Annunziata, il Comune di Torre del Greco, premettendo in fatto di essere proprietari di un complesso immobiliare sito in (…) alla Via C. n. 29; che con contratto stipulato in data 1.10.1994, il suddetto complesso veniva locato all’ente convenuto per uso di destinazione scolastica e/o uffici comunali, e destinato dal Comune a sede della scuola media “Mazza-Colamarino”; che su richiesta dello stesso Comune, in data 27.04.1999, il classamento dell’immobile locato veniva variato da (…) a (…); che rendendosi necessari lavori di adeguamento dell’immobile locato alla normativa prevenzione incendi, il Comune di Torre del Greco, nel febbraio 2013, chiedeva ai proprietari la disponibilità ad eseguire i suddetti lavori con onere a loro esclusivo carico, obbligandosi, alla naturale scadenza contrattuale (1.10.2018), a prorogare il contratto di ulteriori cinque anni, quindi sino all’1.10.2023; che gli attori aderivano a tale invito, eseguendo a proprie spese detti lavori; che nondimeno, in data 1.02.2016, il Comune di Torre del Greco comunicava il recesso anticipato dal contratto di locazione, sia in virtù della facoltà di recesso prevista all’art. 1 della scrittura, sia ai sensi dell’art. 27 della L. n. 392 del 1978, per gravi motivi identificati nell’inidoneità dei locali fittati all’uso scolastico e nell’impossibilità di un loro adeguamento alla normativa vigente in materia; che la comunicazione di recesso veniva prontamente contestata dagli istanti; che con nota dell’1.08.2016, l’Amministrazione comunale invitava i proprietari a prendere in riconsegna i locali in data 10.8.2016; che anche detta nota veniva tempestivamente contestata dagli istanti, evidenziandosi che, in ogni caso, prima di procedere al rilascio, occorreva verificare che ai sensi dell’art. 1590 c.c. gli immobili consegnati fossero conformi allo stato di fatto descritto nel contratto di locazione; che in seguito a tale contestazione, il Comune di Torre del Greco rinviava la consegna al 30.8.2016 e successivamente al 19.9.2016, rappresentando che da tale data non avrebbe più pagato l’indennità; che l’ente comunale, dal mese di agosto 2016, si rendeva dunque moroso nel pagamento degli oneri condominiali e del canone trimestrale, sottraendosi illegittimamente alle obbligazioni su di esso incombenti; che era stato instaurato procedimento di ATP (N. 6942/20916 RG) onde ottenere l’analitica descrizione dello stato dei luoghi con riferimento allo stato di fatto esistente al tempo della stipula del contratto ed all’attualità, conclusosi con il deposito, in data 21.9.2017, dell’elaborato peritale a firma del CTU, ing. (…); che il perito d’ufficio, tuttavia, nell’espletamento dell’incarico, aveva acquisito documenti non depositati in giudizio dalle parti, esorbitando dal mandato ricevuto; che il complesso locato veniva riconsegnato ai ricorrenti il 15.11.2017; che, infine, in data 15.5.2018, si era svolto con esito negativo il procedimento di mediazione introdotto dagli istanti.

Concludevano, pertanto, chiedendo di: “1)Accertare e dichiarare che spettano ai ricorrenti le seguenti somme per le seguenti causali: a) Euro 687.605,45 per ripristinare lo stato dei luoghi conformemente alla descrizione contenuta nel contratto di locazione, ovvero in subordine, Euro 490.955,80 per ripristinare un buono stato manutentivo dell’immobile; b) Euro 69.016,34 quale rimborso delle spese sostenute per i lavori eseguiti dai ricorrenti nel 2013 su richiesta del Comune per l’adeguamento dell’impianto elettrico ed antincendio; c) Euro 112.812,17 per canoni di locazione e/o indennità di occupazione dovuti per il periodo 1/09/2016-15/11/2017 pari a 14,5 mensilità; d) Euro 1.527,00 per oneri condominiali dovuti per il periodo 1/09/2016-15/11/2017. 2) Conseguentemente condannare il Comune di Torre del Greco a pagare ai ricorrenti l’importo complessivo di Euro 870.960,96 ovvero in subordine l’importo di Euro 674.311,31 per le causali descritte in premessa, ovvero il diverso importo che risulterà dovuto all’esito del giudizio e che sarà ritenuto più giusto ed equo, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla scadenza al soddisfo. 3) Condannare il Comune di Torre del Greco al pagamento delle spese, comprensive di quelle di CTU pari ad Euro 4.155,20, e dei compensi del presente giudizio e dell’A.T.P., con attribuzione al sottoscritto procuratore antistatario”.

Radicato il contraddittorio, si costituiva in giudizio il Comune di Torre del Greco, concludendo per l’integrale rigetto delle pretese attoree, infondate in fatto ed in diritto.

Esaurita l’attività istruttoria (con l’espletamento di CTU tecnica), la lite veniva definita con sentenza n. 1639/2021, pubblicata il 19.07.2021 con cui il Tribunale di Torre Annunziata così statuiva: “in parziale accoglimento della domanda, 1) dichiara che il Comune di Torre del Greco, in persona del l.r.p.t., è tenuto al pagamento nei confronti dei ricorrenti dell’importo di euro 69.016,34 oltre interessi legali dalla data della domanda all’effettivo soddisfo; 2) condanna il convenuto al pagamento in favore dei ricorrenti dell’importo di euro 69.016,34 oltre interessi legali dalla data della domanda all’effettivo soddisfo; 3) condanna il convenuto al pagamento della metà delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro 4.000,00 di cui euro 1.000,00 per spese ed euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge, con attribuzione all’avv. (…), dichiaratosi anticipatario, oltre alle intere spese di A.T.P. che si quantificano nella misura di euro 4.155,20 oltre iva e cnp e di C.T.U. che si quantificano in euro 3.616,53 oltre i.v.a. e cnp su euro 2.451,53; 4) dichiara interamente compensate, fra le parti, le residue spese di giudizio”.

Avverso tale sentenza, non notificata, con ricorso depositato in data 22.10.2021, proponevano appello (…) e (…), lamentando: 1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 D.Lgs. n. 28 del 2010 e art. 116, comma 2, c.p.c. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – Omessa pronuncia; 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 112 c.p.c. – decadenza ed omessa pronuncia; 3) Violazione e falsa applicazione delle norme sulla interpretazione dei contratti – omessa valutazione delle prove; 4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del contratto di locazione – delle norme sull’interpretazione dei contratti e dell’art. 1590 c.c.; 5) Violazione e falsa applicazione degli art. 1587 e 1591 c.c. e degli artt. 1209 e 1216 c.c.; 6) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 – 11del D.M. n. 55 del 2014 – degli artt. 91 e ss. c.p.c. e 112 c.p.c. – omessa pronuncia.

Concludevano, pertanto, chiedendo alla Corte adita, in parziale riforma della pronuncia gravata, di: “- Accertare e dichiarare che spettano ai ricorrenti le seguenti somme per le seguenti causali, così come quantificate nell’ATP e nella CTU espletata nel giudizio di primo grado ..; – Conseguentemente condannare il Comune di Torre del Greco a pagare ai ricorrenti l’importo complessivo liquidato nell’A.T.P. di Euro 801.944,62, ovvero in subordine l’importo di Euro 605.294,97 per le causali descritte in premessa, in via gradata, tenuto conto degli importi liquidati nella C.T.U., condannare il Comune di Torre del Greco a pagare ai ricorrenti l’importo complessivo di Euro 753.447,19, ovvero in subordine di Euro 583.701,81 per le causali descritte in premessa, ovvero il diverso importo che sarà ritenuto più giusto ed equo, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla scadenza al soddisfo; – Rilevata la mancata partecipazione senza giustificato motivo del Comune di Torre del Greco alla mediazione obbligatoria introdotta dai ricorrenti, conclusasi con verbale negativo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 8 del D.Lgs. n. 28 del 2010, condannare il Comune di Torre del Greco al pagamento nei confronti dell’Erario di una somma pari al valore del contributo unificato dovuto per il giudizio e a favore degli appellanti di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.; – Condannare il Comune di Torre del Greco al pagamento delle spese e dei compensi del doppio grado di giudizio e dell’A.T.P., oltre rimborso spese generali, con attribuzione al sottoscritto procuratore antistatario e confermare per il resto l’impugnata sentenza.”.

Si costituiva in giudizio il Comune di Torre del Greco, insistendo per l’integrale rigetto dell’avverso gravame, inammissibile ed infondato, con vittoria delle spese del grado.

Acquisito il fascicolo d’ufficio di primo grado, all’udienza del 6.5.2022, la Corte, all’esito della discussione, decideva la causa con lettura del dispositivo.

1. Con il primo motivo di gravame, parte appellante lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 8 D.Lgs. n. 28 del 2010 e art. 116, comma 2, c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – omessa pronuncia.

Assume, al riguardo, che la decisione impugnata sarebbe ingiusta laddove il tribunale, pur accogliendo parzialmente la domanda dei locatori, nella parte iniziale della motivazione “… rileva l’avvenuto esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28 del 2010 convertito in L. n. 69 del 2013, per iniziativa di parte attrice, con esito negativo per assenza del convenuto”, senza trarre, tuttavia, da tale rilievo, le conseguenze previste dall’art. 8, comma 4 bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010.

Deduce, in particolare, che il primo giudice, dall’ingiustificata assenza dell’ente convenuto al procedimento di mediazione obbligatoria, avrebbe dovuto trarre argomenti di prova nel successivo giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, desumendone la fondatezza delle domande proposte dagli odierni appellanti e condannando l’Ente al pagamento nei confronti dell’Erario di una somma pari al valore del contributo unificato dovuto per il giudizio e a favore degli appellanti di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. (cfr. pag. 17 dell’atto di appello).

La censura è in parte infondata, in parte inammissibile.

L’art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010, prevede che: “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.

E’ evidente, dunque, come l’indicata disposizione normativa, nella parte in cui prevede che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio”, introduca un potere discrezionale del giudice, non certo un obbligo (Cass. 2022/n. 6730), di tal ché, sotto tale profilo, alcuna censura merita la decisione impugnata, avendo il tribunale, in considerazione del complessivo quadro probatorio, legittimamente ritenuto ininfluente ai fini decisori l’ingiustificata assenza dell’ente in sede di mediazione, restando in ogni caso escluso che tale comportamento possa di per sé giustificare la chiesta condanna per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., che oltre ad essere rimessa alla discrezionalità del giudicante, presuppone, com’è noto, l’integrale soccombenza della parte.

Quanto, invece, all’omessa condanna del comune di Torre del Greco al versamento all’Erario di una somma di denaro pari al contributo unificato dovuto per il giudizio di merito, si osserva come la doglianza sia in parte qua inammissibile, per l’evidente carenza di interesse degli appellanti a proporla.

2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 112 c.p.c. – decadenza ed omessa pronuncia.

Assume parte appellante che il giudice di prime cure non si sarebbe pronunciato sull’eccezione di tardività della costituzione del Comune, avvenuta il 5.09.2018, a fronte dell’udienza fissata per il giorno 10.09.2018 e, dunque, senza il rispetto del termine di 10 giorni prima dell’udienza sancito dall’art. 416 c.p.c., con conseguente declaratoria di decadenza dell’Ente dalla formulazione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili di ufficio e dalle istanze istruttorie e produzioni documentali, deducendo dunque che la controversia andava decisa sulla scorta della sola documentazione prodotta dai ricorrenti che avrebbe dovuto comportare l’integrale accoglimento della domanda.

La censura è inammissibile per la sua evidente genericità, non risultando minimamente specificate le eccezioni (non rilevabili d’ufficio) tardivamente proposte dall’ente comunale, né tanto meno indicata la produzione documentale tardivamente allegata dal comune di Torre del Greco e che sarebbe stata illegittimamente utilizzata dal tribunale ai fini decisori.

3. Con il terzo ed il quarto motivo di gravame, da trattare congiuntamente perché strettamente connessi, parte appellante lamenta violazione e falsa applicazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, dell’art. 9 del contratto di locazione e dell’art. 1590 c.c., nonché omessa valutazione delle prove.

Assume, al riguardo, che il tribunale, sulla base di un’errata ed abnorme interpretazione del contratto di locazione e senza considerare la copiosa documentazione probatoria prodotta dai ricorrenti e le due perizie d’ufficio (espletate in sede di ATP e nel successivo giudizio di merito), avrebbe ingiustamente rigettato sia la domanda principale attorea tesa ad ottenere la condanna dell’ente conduttore al pagamento degli importi necessari per il ripristino dello stato dei luoghi conformemente alla descrizione contenuta nel contratto di locazione, sia quella subordinata di ripristino dei locali in buono stato manutentivo, benché dalle perizie espletate fosse emerso l’avanzato stato di degrado del complesso immobiliare, quantificandosi i costi per il relativo ripristino in Euro 490.955,80 in sede di ATP, ovvero in Euro 469.362,64 nella CTU espletata in sede di merito, che così quantificava i costi delle opere di manutenzione per far fronte al deterioramento del complesso eccedente il normale uso dei locali.

Le censure sono infondate.

Giova innanzitutto riportare i passi contestati della pronuncia gravata, ove si legge: “La domanda è solo in parte fondata e, come tale, merita parziale accoglimento.

Parte attrice, previo espletamento di A.T.P., da intendersi parte integrante del presente giudizio, ha formulato nei confronti del convenuto una serie di richieste economiche, che devono essere analiticamente esaminate:

1. Richiesta di pagamento relativa al costo del ripristino dello stato dei luoghi.

Parte attrice sul presupposto di aver locato al Comune di Torre del Greco un edificio su tre livelli composto da n. 8 unità abitative, poi destinato alla scuola media “Diego Colamarino”, ha richiesto il pagamento dell’importo di euro 687.605,45 per il ripristino da scuola a civili abitazioni o, in subordine l’importo di euro 490.955,80 per il solo ripristino del buono stato manutentivo dell’immobile.

Entrambe le dette richieste sono da rigettare per i seguenti motivi.

Nel contratto di locazione, inter partes, con decorrenza 01.10.94, successivamente prorogatosi di sei anni in sei anni per assenza di disdetta, nonostante le unità immobiliari locate siano descritte quali appartamenti, l’oggetto della locazione, per volontà concorde delle parti, fu quella di destinarli ad uso scolastico o ufficio, quindi non compatibile con la categoria catastale delle unità.

Inoltre agli artt. 9 e 20 del detto contratto di locazione si precisa che l’immobile non era adibito precedentemente ad abitazioni e che vi fu espressa autorizzazione dei locatori al conduttore di eseguire tutte le opere necessarie in particolare per l’uso scolastico.

Consegue che parte locatrice riconosceva espressamente che l’immobile non era adibito ad uso abitativo e che ben conosceva che i locali concessi in locazione avrebbero avuto la destinazione di uso scolastico. Tanto è che espressamente autorizzava il conduttore ad effettuare tutte quelle opere che si sarebbero rese necessarie per adeguare i locali all’uso scolastico, senza prevedere un’espressa rimessione in pristino, all’atto del rilascio, dello stato in cui vennero consegnati, né ad uno stato di singole unità abitative così come emergenti dalla situazione catastale originaria, non più corrispondente alla realtà di fatto. Semplicemente si stabilì una riconsegna nello stesso stato di consegna, che abitativo non era.

Inoltre, nonostante l’attuale rinuncia al condono edilizio, da parte istante, detti immobili erano stati variati dall’originaria categoria catastale in B/5 cioè quella relativa ad uso scolastico. Ciò sempre con il consenso di parte locatrice. Si ritiene pertanto non dovuto alcun corrispettivo nè per la messa in pristino dei luoghi come da descrizione contrattuale dell’immobile, né per il ripristino di un miglior stato manutentivo in quanto il conduttore era obbligato a rilasciare i locali così come li aveva ricevuti, per uso scuola, fatto salvo il normale deperimento d’uso e non vi è sufficiente prova in atti di alcuna dannosità all’immobile tale da comportare il richiesto ripristino. Pertanto, tale domanda deve essere rigettata”.

Motivazione fondata sulla corretta e condivisa interpretazione del contratto di locazione commerciale dell’1.10.1994, intercorso tra l’ing. (…) e (…) (quale parte locatrice) ed il Comune di Torre del Greco (quale conduttore), con un canone annuo concordato in vecchie Lire 154.560.000 (da pagarsi in rate trimestrali posticipate di Lire 38.640.000 ciascuna), risultando evidente dall’integrale lettura della scrittura in discorso come la reale volontà delle parti contraenti fosse quella di locare il complesso immobiliare sito in T. del G. alla via C. n. 113 (“composto da: piazzale di mq. 200 antistante il fabbricato; piano seminterrato di mq 460; un primo piano di mq. 430 costituito da n. 4 appartamenti interni nn. 1-2-3-4 ed un secondo piano di mq. 460 interni nn. 5-6-7-8”), per il solo uso di destinazione scolastica e/o uffici comunali, con espresso divieto di mutamento di destinazione, dichiarando altresì il conduttore che l’immobile verrà utilizzato per attività che comporta contatti diretti con il pubblico (art. 5) e di essere edotto che l’immobile nel periodo precedente alla locazione in corso non era adibito ad uso abitativo (art. 8).

Risulta altresì evidente, tenuto anche conto del tenore della clausola sub 9 (“Il conduttore dichiara di aver esaminato i locali affittati e di averli trovati adatti al proprio uso, in buono stato di manutenzione ed esenti da difetti che possano influire sulla salute di chi vi svolge attività e si obbliga a riconsegnarli alla scadenza del contratto nello stesso stato. …”), che le parti intesero stabilire, in conformità con la regola generale di cui all’art. 1590 c.c., che il conduttore avrebbe dovuto restituire al locatore il complesso locato nel medesimo stato di fatto in cui l’aveva ricevuto, ossia nello stato esistente al tempo della consegna, che, come già correttamente rilevato dal primo giudice, abitativo non era (come risulta dal richiamato art. 8).

Erra, pertanto, parte appellante allorché assume che il Comune avrebbe dovuto restituire (e dunque ripristinare) il complesso locato conformemente alla descrizione, e dunque nella medesima composizione indicata nel contratto di locazione (piazzale di mq. 200 antistante il fabbricato; piano seminterrato di mq 460; un primo piano di mq. 430 costituito da n. 4 appartamenti interni nn. 1-2-3-4 ed un secondo piano di mq. 460 interni nn. 5-6-7-8), emergendo univocamente dall’esame congiunto del contratto, della documentazione allegata in atti e delle espletate CTU che l’indicata descrizione non era corrispondente (né poteva esserlo, data l’esclusiva destinazione ad uso scolastico e/o di uffici comunali, con espresso divieto di mutare la destinazione d’uso) alla composizione e, dunque, allo stato di fatto dell’immobile locato all’atto della consegna al conduttore.

Sul punto, il CTU nominato in sede di ATP, ing. (…), nel rispondere al primo quesito (“Descrivere lo stato dei luoghi e la conformità del complesso immobiliare alla situazione catastale e allo stato di fatto descritto nel contratto di locazione al momento della consegna con lo stato attuale”), previa acquisizione della documentazione al fine necessaria (liberamente apprezzabile dal giudice, ove ritenuta utile ai fini decisori, una volta che la relazione di ATP sia stata ritualmente acquisita agli atti; cfr. Cass. 2010/n. 5658 e Cass. 2004/n. 14402), rilevava quanto segue: “Gli immobili di cui alla presente relazione sono ubicati in T. del G. ( N.) alla via C. n.79 (ex 113).

Con il decesso dell’ing. (…) avvenuto il 30.06.2014 i sigg. (…) (M.) nata a N. il (…) ed ivi residente alla via P. n.67 e C. M. (N.) nato a N. il (…) ed ivi residente alla via M. di D. n.66, divengono proprietari tra l’altro del complesso immobiliare siti in T. del G. (N.) alla via C. n.79 (ex 113).

L’edificio in cui è ubicato il predetto complesso immobiliare fu costruito in seguito al “Nulla Osta per Esecuzione Lavori Edili” rilasciato alla sig.ra (…), pratica n.235 del 28.08.1968; esso prevedeva la costruzione di un edificio adibito a civili abitazioni con quattro appartamenti per piano, come graficamente riportato sul progetto di variante “nota n.22412 del 05 marzo 1970”, ? Ma sin dal 1970 il predetto complesso immobiliare costituito dal piano seminterrato, dal piano terra e dal primo piano fu dato in fitto al Comune di Torre del Greco che lo ha utilizzato per le attività della Scuola Media Statale “Colamarino”, infatticon il provvedimento della Giunta Municipale del 28 luglio 1970 che cita testualmente: “la Giunta, premesso che con deliberazione n.424 del 04.03.1970 … sono stati assunti in fitto dalla soc. Immobiliare (…) … i locali di via C. (civ. 82), per le esigenze della Scuola Media Statale “Colamarino” … DELIBERA di assumere in fitto ? i locali di via C. 82 di proprietà della Immobiliare (…).

Pertanto è chiaro che per il complesso immobiliare costituito dal piano seminterrato, dal piano terra e dal primo piano, che in virtù del progetto approvato in data 28.08.1968 n.235 era da adibirsi a piano cantinato e/o autorimessa (seminterrato) e a civile abitazione (piano terra e primo) fueseguito un cambio di destinazione d’uso trasformando i tre piani in uncomplesso scolastico con palestra e laboratorio al piano seminterrato, aule e altri ambienti ai piani terra e primo.

A supporto della precedente affermazione è la richiesta di Condono Edilizio presentata con mod. 47/85-D dall’ing. (…), prot. (…) del 04.01.1986 fascicolo 293 (essendo subentrato alla Società Immobiliare (…) srl il 30.12.1985 con atto del Notaio (…)); sono seguite diverse richieste di integrazione della pratica di condono edilizio da parte dell’ente e l’invio da parte dell’ing. (…) della documentazione integrativa del 03.08.1990 prot. (…), contenente tra l’altro la documentazione rilasciata dall’UTE di Napoli a conferma dell’avvenuta variazione catastale (Variazione del 02.08.1990 n.11662.1/1990 in atti dal 27.04.1999; contenente: “Fusione – Diversa Distribuzione spazi interni da abitazione a Scuola”), la copia del certificato di abitabilità rilasciato dal Comune e la copia del verbale di consegna dei locali al Comune per la Scuola Colamarino con Delibera Comunale attestante l’avvenuta modifica dei locali (gennaio 1971).

Il tutto confermato nella Nota inviata dal Geom. (…) alla Divisione Urbanistica del Comune di Torre del Greco (ufficio Condono edilizio) il 02.01.1988 prot. n..

Il Geom. (…) in qualità di tecnico incaricato dall’ing. (…), descrive le opere abusivamente realizzate alla via C. n.79 (foglio (…) part. (…)) premettendo che l’abuso riguarderebbe i piani seminterrato, rialzato e primo e che esso è stato commesso all’epoca della costruzione del fabbricato ultimato nel 1971, descrivendo le opere abusive come di seguito: “Cambio di destinazione d’uso per i predetti piani rispetto al progetto approvato in data 28.08.1968 n.235; a seguito del cambio di destinazione i tre piani furono trasformati in un complesso scolastico, questo ha comportato una serie di trasformazioni interne con spostamento di tramezzi e la realizzazione dei bagni, resi necessari per la diversa destinazione d’uso dei locali. Alla data della presente le opere erano complete ed i locali erano funzionanti, occupati dalla Scuola Media D. Colamarino”.

Nel 1994 fu necessario sottoscrivere un nuovo Contratto di Locazione per il cambio della proprietà, pertanto, il 01.10.1994 l’ing. (…) e (…) (coniugi) concedono in affitto al Comune di Torre del Greco gli immobili ubicati in T. del G. ( N.) alla via C. n.113 (oggi n.79), consistenti nel piazzale antistante il fabbricato di mq 200, nel piano seminterrato (S1) di mq 460, nel piano primo (in perizia denominato piano terra come riportato in catasto) di mq 430, costituito da quattro appartamenti (interni 1, 2, 3 e 4) e nel piano secondo (in perizia denominato piano primo come riportato in catasto) di mq 460, costituito da quattro appartamenti (interni 5, 6, 7 e 8).

A questo punto è doveroso ricordare che nel contratto sono citati n.8 appartamenti, cosi come da progetto approvato in data 28.08.1968 n.235 e non il complesso scolastico, in quanto la richiesta di condono edilizio prot. (…) del 04.01.1986 fascicolo 293 non era stata ancora esaminata.

Si fa notare che la situazione attuale rimane identica con la richiesta dicondono edilizio non ancora accolta, pertanto i richiedenti potrebbero addirittura rinunciarvi se decidessero di ripristinare lo stato preesistente, cioè di realizzare gli 8 appartamenti altre al piano seminterrato da adibirsi a cantinole e/o autorimessa, così come previsto nella licenza edilizia n.235 del 28.08.1968.

…..

Il piano seminterrato, il piano terra e il primo piano furono adibiti a scuola media denominata “(…)” sin dalla costruzione del fabbricato ultimato nel 1971.

Pertanto, attualmente è rimasto un complesso scolastico, …” (cfr. pagg. 4-9 dell’elaborato).

Conclusioni perfettamente coincidenti con quelle rese sul punto dal CTU nominato nel giudizio di merito, ing. (…) (cfr. pagg. 5-8 dell’elaborato a sua firma).

Evidente, pertanto, come la domanda attorea di ripristino dello stato dei luoghi al fine di ricondurre lo stabile allo stato descritto nel contratto di locazione, corrispondente a quello della Licenza Edilizia 235/1968 e successiva variante,ma diverso da quello effettivo esistente al tempo della consegna, non poteva che essere rigettata, rimanendo prive di pregio giuridico le obiezioni sollevate al riguardo da parte appellante, risultando la decisione gravata fondata sulla corretta interpretazione della reale volontà delle parti contraenti e sull’altrettanto corretta valutazione delle risultanze probatorie acquisite al processo.

Analogamente è a dirsi per la domanda subordinata di ripristino dei locali in buono stato manutentivo, disattesa dal tribunale sul condiviso rilievo che il conduttore era obbligato a rilasciare i locali così come li aveva ricevuti, per uso scuola, fatto salvo il normale deperimento d’uso e non vi è sufficiente prova in atti di alcuna dannosità all’immobile tale da comportare il richiesto ripristino.

In particolare, non v’è adeguata prova che il precario stato di conservazione in cui risultava il complesso immobiliare all’atto della riconsegna ai locatori (cfr. sul punto pag. 8 dell’ATP) sia concretamente dipeso da un uso della cosa locata non conforme alla destinazione (scolastica) indicata in contratto, ovvero dalla dedotta omessa manutenzione dovuta dall’ente conduttore, peraltro tenuto, per espressa previsione contrattuale (art. 9), alle sole riparazioni di piccola manutenzione.

Né sul punto appare risolutiva la CTU espletata nel giudizio di merito, che si limata genericamente ad indicare, quantificando i relativi costi (Euro 469.362,64), le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria del complesso scolastico eccedenti il normale uso dei locali, senza tuttavia nulla argomentare e chiarire in relazione all’inevitabile deterioramento dovuto alla specifica destinazione ad uso scolastico, trattandosi di locali aperti anche al pubblico (art. 5), frequentati quotidianamente da un numero considerevole di soggetti (personale docente e non docente, studenti, visitatori) per un periodo ultraventennale (a voler considerare il solo contratto intercorso l’1.10.1994), dunque destinati, per l’uso specifico per il quale erano stati locati, ad una particolare usura, e come tali soggetti ad un tipico deterioramento per uso e vetustà, da ritenersi peraltro debitamente considerato all’atto della stipula, ove si tenga conto della rilevante entità del canone annuo pattuito (pari, nel 1994, a vecchie £ 154.560.000, da pagarsi in rate trimestrali di £ 38.640.000 ciascuna, attualizzate nel 2016 ad Euro 23.315,43, come da prospetti di pagamento in atti).

Com’è noto, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, l’obbligo del conduttore, previsto dall’art. 1590 c.c., di restituire la cosa locata nel medesimo stato in cui l’ha ricevuta salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto, non può legittimare la condanna di questi al risarcimento del danno corrispondente alla spesa necessaria per ripristinare le migliori condizioni di manutenzione dell’immobile, dovendosi considerare la convenzione contrattuale della destinazione del bene e l’usura connessa alla durata del rapporto (cfr., ex multis, Cass. 2013/ n. 15875; Cass. 2002/n. 16685, anche in motivazione; Cass. 1991/n. 6896).

In particolare, si è chiarito che poiché l’obbligo di manutenzione ordinaria e straordinaria, quando non si tratti di opere di piccola manutenzione, grava sul locatore, questi non può pretendere, nel corso della locazione, il rimborso delle spese per la manutenzione dell’immobile logorato dal normale uso, né tantomeno, al termine della locazione, il risarcimento dei danni per le spese di riparazione, che presuppongono la prova dello scorretto uso della cosa (cfr., ex multis, Cass. 2015/n. 1320, Cass. 2005/n. 14305 e Cass. 2005/n. 11289). Incombe, pertanto, sul locatore, il quale domandi all’inquilino il rimborso delle spese di riparazione dell’immobile, assumendo, come nella specie (cfr. pagg. 23-24 e 29 dell’atto di appello), che esse siano dipendenti dall’omessa manutenzione da lui dovuta, l’onere di dimostrare che si tratti di danni conseguenti all’assenza di opere di piccola manutenzione rese necessarie da deterioramento prodotto dall’uso. Onere probatorio, nella specie, all’evidenza non assolto dai locatori/odierni appellanti, le cui obiezioni rimangono così definitivamente superate.

4. Con il quinto motivo di gravame, si lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 1587 e 1591 c.c. e degli artt. 1209 e 1216 c.c., e la conseguente ingiustizia della decisione impugnata nella parte in cui il tribunale rigettava la domanda attorea di pagamento dell’indennità di occupazione (pari ad Euro 7.780,15 mensili) dall’1.09.2016 al 15.11.2017 e degli oneri condominiali, sulla considerazione che il recesso è legittimo e che la ritardata consegna non è dipesa dalla volontà della parte conduttrice dimostratasi adempiente.

Assumono, in particolare, gli appellanti che la comunicata volontà di restituire i beni locati e le conseguenti convocazioni informalmente inoltrate dal Comune non potevano ritenersi idonee a costituire in mora i locatori e ad esonerare l’ente conduttore dall’obbligo di pagare il canone di locazione, dovendosi procedere per ottenere tale effetto mediante l’offerta reale ai sensi degli artt. 1216 c.c., e cioè con intimazione da notificarsi nelle forme dell’art. 1209 comma 2 c.c., ulteriormente evidenziando che anche a voler equiparare le comunicazioni del Comune ad un’offerta non formale ex art. 1220 c.c., che pur non costituendo in mora il locatore sarebbe idonea ad evitare la mora del conduttore circa l’esecuzione della sua prestazione e ad escludere il prodursi dei suoi effetti, in ogni caso, ai sensi dello stesso art. 1220 c.c., il suddetto effetto liberatorio per il conduttore non si produce in caso di legittimo rifiuto a ricevere la consegna da parte del locatore (pag. 31 dell’appello).

Rifiuto che, nella specie, a dire dei locatori/odierni appellanti, doveva ritenersi sicuramente legittimo, avendo gli stessi reiteratamente contestato le convocazioni inoltrate dal Comune per la restituzione dell’immobile sul rilievo che il complesso immobiliare locato è stato oggetto di lavori ed interventi che ne hanno stravolto l’originaria struttura, sì da non essere più identificabile nella sua composizione originaria, …, e che doveva essere riconsegnato ai proprietari nello stato di fatto descritto nel contratto di locazione …, in buono statomanutentivo ovvero in uno stato di degrado che non ecceda il normale uso della cosa locata, evidenziando, quindi, che prima di procedere alla riconsegna occorreva verificare che gli immobili rilasciati fossero conformi allo stato di fatto descritto nel contratto di locazione, determinandosi in caso contrario i lavori da eseguire ed i relativi costi per riportare il complesso immobiliare in pristino stato (pagg. 32-33 dell’appello).

Ribadiscono, dunque, che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, doveva ritenersi sussistente l’obbligo del Comune di corrispondere ex art. 1591 c.c. il corrispettivo dovuto ai locatori fino alla riconsegna, avvenuta in data 15.11.2017, dopo la conclusione del procedimento di ATP.

La censura è infondata.

Così motivava il tribunale il rigetto della domanda de qua: “3. Richiesta di pagamento di indennità di occupazione dall’01.09.2016 al15.11.2017, nonché di oneri condominiali.

Si osserva che il conduttore ha comunicato alla parte locatrice il recesso dal rapporto locativo in data 01.02.2016, secundum lege. Tale recesso inoltre appare più che giustificato sia dalla mutata normativa in materia la quale ha imposto agli istituti scolastici una serie di parametri da rispettare i quali non risultavano più soddisfatti dall’immobile locato, sia per ragioni di allineamento con i principi di economia nella gestione della cosa pubblica, c.d. “spending review”.

Consegue la legittimità del recesso regolarmente manifestato e comunicato, da cui deriva l’obbligo di corrispondere canoni di locazione ed oneri condominiali fino al 31.08.2016 e non oltre. Vi è prova in atti che detti pagamenti siano stati soddisfatti dal conduttore per cui la richiesta di ulteriori pagamenti dall’ 01.09.2016 in poi, sia a titolo di indennità di occupazione dei locali, che di oneri condominiali, deve essere rigettata. Anche se la effettiva riconsegna dei locali è avvenuta in data 23.09.2016 (rectius, in data 15.11.2017), tale ritardata consegna non è dipesa dalla volontà della parte conduttrice, dimostratasi assolutamente adempiente.

Consegue che tale richiesta deve essere rigettata”.

Il decisum del tribunale va confermato, sia pur con le seguenti precisazioni.

Invero, il Comune di Torre del Greco, dopo aver ritualmente comunicato il recesso con nota dell’1.2.2016 (con cui dichiarava altresì di rilasciare l’immobile nella piena disponibilità di parte locatrice, libero e vuoto di persone e cose, entro il 3.7.2016 e comunque entro sei mesi dalla ricezione della presente comunicazione), pur non avendo offerto la riconsegna del bene attraverso l’intimazione con le forme prescritte dagli artt. 1216 e 1209, comma 2, c.c., manifestava, tempestivamente e più volte (cfr. comunicazioni dell’1-8.8.2016, dell’11.8.2016, dell’1.9.2016, specificamente richiamate nel verbale di rilascio del 15.11.2017), la seria ed inequivoca volontà di procedere alla riconsegna del complesso immobiliare locato, così ponendo in essere un’offerta non formale della prestazione dovuta ex art. 1220 c.c..

Per consolidato insegnamento giurisprudenziale, il conduttore può evitare di essere costituito in mora nell’adempimento dell’obbligo di restituzione anche mediante un’offerta non formale al locatore, cioè con modalità diverse dall’offerta ex art. 1216 c.c., purché serie, concrete e tempestive; tale offerta, se illegittimamente rifiutata, esclude l’obbligo di pagare al locatore quanto previsto dall’art. 1591 c.c. (cfr. Cass. 2007/n. 18496; nello stesso senso, ex multis, Cass. 2019/n. 23639, Cass. 2017/n. 8672, Cass. 2011/n. 1337, Cass. 2006/n. 13345). Quanto poi alla legittimità del rifiuto di ricevere il bene, occorre verificare caso per caso.

Fermo quanto precede, ritiene la Corte che, nella specie, il rifiuto dei locatori/odierni appellanti di ricevere il bene non possa ritenersi giustificato, apparendo piuttosto contrario a buona fede, ove sol si consideri che l’assunto secondo cui il complesso immobiliare locato era stato oggetto di lavori ed interventi che ne hanno stravolto l’originaria struttura, sì da non essere più identificabile nella sua composizione originaria, nella quale si distinguevano ai primi due piani n. 8 appartamenti, è risultato palesemente contraddetto dalle univoche risultanze delle espletate CTU, che accertavano che il complesso in discorso, sin dal 1970, era stato continuativamente adibito ad edificio scolastico, di talché, in concreto, essendone rimasta invariata la consistenza e la struttura, il locatore, nel rispetto del dovere di ordinaria diligenza cui è tenuto al fine di non aggravare il danno, avrebbe dovuto accettare la restituzione del bene, eventualmente con riserva, onde eseguire quelle opere di manutenzione cui l’ente comunale non era comunque tenuto, salvo ovviamente il diritto ad agire per gli eventuali danni provocati all’immobile, consistenti nelle spese necessarie all’esecuzione delle riparazioni (di piccola manutenzione) omesse dal conduttore.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che: “Il principio desumibile dall’art. 1590 c.c. che legittima il locatore a rifiutare la riconsegna dell’immobile ed a pretendere il pagamento del canone fino alla sua rimessione in pristino, va coordinato con il principio di cui all’art. 1227, comma 2, c.c. secondo il quale in base alle regole dell’ordinaria diligenza il creditore ha il dovere di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio subito, pur senza essere tenuto all’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa e, cioè, ad un “facere” non corrispondente all’id quod plerumque accidit. Ne deriva che il locatore non può rifiutare la riconsegna ma può soltanto pretendere il risarcimento del danno cagionato all’immobile, costituito dalle spese necessarie per la rimessione in pristino e dalla mancata percezione del reddito nel periodo di tempo occorrente, nel caso in cui il deterioramento dipenda da inadempimento dell’obbligo di provvedere alle riparazioni di piccola manutenzione ex art. 1576 c.c.; il locatore può invece rifiutare la riconsegna dell’immobile locato nel caso in cui il conduttore non abbia adempiuto all’obbligo, impostogli dal contratto, di provvedere alle riparazioni eccedenti l’ordinaria manutenzione o per avere egli di propria iniziativa apportato trasformazioni o innovazioni, poichè in tale caso la rimessione in pristino richiederebbe l’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa e, cioè, un “facere” al quale il locatore non è tenuto secondo l’id quod plerumque accidit” (Cass. 1998/n. 6856; nello stesso senso, ex multis, Cass. 1993/n. 6798, Cass. 2002/n. 16685, cit., e Cass. 2013/n. 12977).

Conclusivamente, sulla scorta di quanto precede, restano superate le obiezioni formulate al riguardo dagli appellanti, con conseguente conferma in parte qua della pronuncia gravata.

5. Con il sesto ed ultimo motivo di gravame, parte appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1 – 11 del D.M. n. 55 del 2014 – degli artt. 91 e ss. c.p.c. e 112 c.p.c. – omessa pronuncia.

Assume, in particolare, l’erroneità della decisione impugnata, da riformarsi nella parte in cui il primo giudice, nel compensare per metà le spese di giudizio, liquidava i compensi professionali in Euro 3.000,00, dunque in misura sensibilmente inferiore ai minimi tariffari, senza peraltro liquidare i compensi dovuti per il giudizio di istruzione preventiva ex art. 696 c.p.c. essendosi limitato a condannare il convenuto al pagamento delle sole spese di ATP.

La censura è fondata nei limiti che ci si accinge a precisare.

Giova rilevare che il tribunale, nel liquidare le spese di lite in applicazione del principio della parziale soccombenza, così statuiva: “3. condanna il convenuto al pagamento della metà delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro 4.000,00 di cui euro 1.000,00 per spese ed euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge, con attribuzione all’avv. (…), dichiaratosi anticipatario, oltre alle intere spese di A.T.P. che si quantificano nella misura di euro 4.155,20 oltre iva e cnp e di C.T.U. che si quantificano in euro 3.616,53 oltre i.v.a. e cnp su euro 2.451,53; 4) dichiara interamente compensate, fra le parti, le residue spese di giudizio”.

Ebbene, osserva al riguardo la Corte che, tenuto conto della somma riconosciuta agli attori/odierni appellanti (pari ad Euro 69.016,34, oltre interessi) e della conseguente applicabilità dello scaglione di riferimento da Euro 52.000,01 ad Euro 260.000, la liquidazione dei compensi professionali operata nella pronuncia gravata risulta effettivamente ed immotivatamente inferiore ai minimi tariffari (cfr., ex multis, Cass. 2017/n. 2386, Cass. 2021/n. 89 e Cass. 2021/n. 19989), omettendo peraltro il tribunale di liquidare i compensi professionali dovuti per il procedimento di ATP.

Compensi che, dunque, in parziale riforma della sentenza gravata, vanno in tal sede correttamente rideterminati, nella già indicata frazione di un ½, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e tenuto conto dell’attività concretamente espletata, in Euro 1.250,00 per il procedimento di ATP ed in Euro 4.500,00 per il giudizio di merito, con distrazione in favore dell’avv. (…), dichiaratosi antistatario, ferme restando le ulteriori statuizioni in punto di spese contenuti nei capi 3 e 4 del dispositivo della medesima pronuncia.

7. Tenuto conto dell’esito complessivo della lite, dell’accoglimento parziale del gravame e dell’oggettiva peculiarità della vicenda esaminata, si ritiene di dover compensare integralmente le spese del grado.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Napoli, VI sezione civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto, con ricorso depositato in data 22.10.2021, da (…) e (…) nei confronti del Comune di Torre del Greco, in persona del sindaco pro tempore, avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n. 1639/2021, pubblicata il 19.07.2021, ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:

– accoglie l’appello per quanto di ragione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, che per il resto conferma, ridetermina il compenso professionale liquidato al capo 3 del dispositivo, nella già indicata frazione di 1/2, attribuito in favore dell’avv. (…), in Euro 1.250,00 per il procedimento di ATP ed in Euro 4.500,00 per il giudizio di merito;

– dichiara integralmente compensate le spese del grado.

Così deciso in Napoli il 6 maggio 2022.

Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2022.

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Avv. Umberto Davide

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