Qualora l’attore fondi la sua domanda su un contratto di mutuo, la circostanza che il convenuto ammetta di avere ricevuto una somma di denaro dall’attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce una eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova, giacché negare l’esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l’inefficacia, la modificazione o l’estinzione, ma significa negare il titolo posto a base della domanda, ancorché il convenuto riconosca di aver ricevuto una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata, con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo l’onere probatorio a carico dell’attore. Allo scopo invero non basta il mero versamento di denaro, occorrendo dimostrare anche l’impegno dell’accipiens alla restituzione del tantundem. In tale prospettiva, la parte convenuta non ha neppure bisogno di eccepire l’esistenza di una causa diversa della dazione, perché questo vorrebbe dire esonerare l’attore dall’onere probatorio che gli è proprio.

Corte d’Appello|Firenze|Sezione 2|Civile|Sentenza|13 aprile 2023| n. 764

Data udienza 11 aprile 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE

SEZ. II CIV.

composta dai magistrati:

– dott. Edoardo Enrico Alessandro Monti – Presidente rel.

– dott. Anna Primavera – Consigliere

– dott. Luigi Nannipieri – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sull’appello proposto

da

– (…), rappresentata e difesa dall’avv. Ma.Me.

– appellante-

contro

– (…), rappresentato e difeso dagli avv.ti Fr.D’A. e Fa.Ar.

-appellata-

avverso la sentenza n. 264/2020 emessa il 17 giugno 2020 dal Tribunale di Prato;

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 27 gennaio 2017, (…) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1642/2016 emesso dal Tribunale di Prato il 29 ottobre 2016, col quale gli era stato ingiunto di pagare a (…) l’importo di Euro 44.000,00 oltre interessi e spese, a titolo di restituzione di somme erogate nel 2009 a titolo di mutuo. A sostegno dell’opposizione, (…) esponeva: che nel 1993 si era sposato con (…), figlia della (…); che la suocera aveva effettivamente corrisposto un assegno di Euro 70.000,00 e disposto un bonifico di Euro 10.000,00 a favore dei coniugi; che però tali somme non erano state erogate a titolo di mutuo, bensì per spirito di liberalità nei confronti della coppia; che in seguito i fondi erano stati prelevati da ambedue i coniugi, ma in prevalenza dalla moglie; che, intervenuta la separazione coniugale, il (…) avendo impiegato parte dei fondi per acquistare un’auto di cui aveva conservato il possesso e sentendosi per questo moralmente obbligato, aveva disposto un bonifico di Euro 17.500,00 in favore della (…) con causale “acquisto auto”. Difettando pertanto i presupposti dell’ingiunzione, ne chiedeva la revoca.

Costituendosi in giudizio, l’opposta precisava di essere stata indotta al versamento di Euro 80.000,00 a favore della figlia e del genero anche allo scopo di far fruttare il capitale grazie ad una particolare offerta di (…), presso la quale i coniugi avevano aperto un conto. In ogni caso, non si era trattato di una donazione, del resto sproporzionata alle possibilità della supposta donante e comunque nulla ai sensi dell’art. 782 c.c. perché non stipulata con atto pubblico.

All’esito dell’istruttoria, escusse prove testimoniali, con sentenza del 28 settembre 2028, il giudice adito rilevava preliminarmente che le difese svolte dalla opposta, pur potenzialmente idonee a concretare una modifica della domanda mediante l’introduzione di una diversa causa petendi, incompatibile con quella azionata in via monitoria, non avevano tuttavia trovato sfogo nelle conclusioni finali, ancora incentrate sulla conferma del decreto ingiuntivo; sicché, in assenza di un’effettiva mutatio ovvero emendatio libelli, il Tribunale rinveniva l’oggetto del giudizio di opposizione nella pretesa creditoria posta a base dell’ingiunzione, come ivi identificata quanto a petitum (Euro 44.000, oltre spese e interessi) e causa petendi (mutuo). Ciò posto, ritenuta indimostrata l’assunzione di un impegno restitutorio da parte del (…), accoglieva l’opposizione e, per l’effetto, revocava il decreto, con conseguente condanna dell’opposta al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 4.900,00 oltre accessori.

Con atto di citazione in appello dell’8 settembre 2020, la soccombente si doleva della decisione e ne chiedeva la riforma, in sintesi sulla base dei seguenti motivi.

– Erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che “l’unico profilo che avrebbe dovuto essere considerato nella causa fosse quello relativo al primo profilo di diritto enunciato dall’appellante, cioè quello relativo alla causale “mutualistica” dei pagamenti, e non quello successivo della restituzione dei pagamenti perché privi di causa, che, secondo lo stesso Tribunale avrebbero costituito la mutatio libelli della domanda (?) Il Tribunale ha motivato sul punto asserendo che in tal senso non esisteva da parte della opposta nessuna domanda riconvenzionale bollandola di inammissibilità”, peraltro senza considerare il “contenuto sostanziale della pretesa attorea in applicazione del principio per cui, in tema di interpretazione della domanda giudiziale, il giudice non è condizionato dalle formali parole utilizzate dalla parte, ma deve tener conto della situazione complessivamente dedotta in causa e della volontà effettiva, nonché delle finalità che la parte intende perseguire” (pag. 7 ib.), sicché, nella prospettiva avanzata in ipotesi, l’opposta non aveva bisogno “di svolgere domanda riconvenzionale, dato che la domanda di restituzione per assenza di causa era strettamente connessa alla domanda di tesi, non incompatibile con la stessa, anzi consequenziale ad essa stessa” (ib.).

– Oltre che ammissibile e legittima, la “domanda di ipotesi” era “fondata e meritevole di accoglimento” (pag. 9 ib.), in quanto l’opponente aveva “dedotto come causa della dazione di denaro (…) la liberalità” (ib.) sebbene la supposta donazione, di valore chiaramente non modico, fosse nulla per carenza di forma.

– Del resto, nella prospettiva insostenibile della donazione, il Tribunale aveva trascurato “la circostanza che il (…) ha parzialmente restituito alla (…) la somma di Euro 17.500,00. Se si fosse trattato di donazione, come asserito da controparte, non avrebbe avuto senso logico qualunque rimborso di denaro” (pag. 12 ib.).

– Altre “presunzioni precise, gravi e concordanti prese dal Tribunale in nessuna considerazione” confermavano l’assunto di parte appellante: “innanzitutto vi è la differente situazione economica delle parti coinvolte. Infatti all’epoca dei fatti la sig.ra (…) viveva in affitto e percepiva una pensione di soli Euro. 687,00 e non aveva grandi disponibilità di denaro. A riprova di quanto affermato nel conto corrente della sig.ra (…) alla data del 31.10.2010 vi erano solo Euro. 5.248,07. Gli Euro. 80.000,00 affidati al sig. (…) erano una somma di denaro ricavata dalla vendita di un immobile sito in V., via del G. n. 41.43.45. Al contrario il Sig. (…) non aveva alcuna spesa per la casa coniugale sita in V., Via A. L. n. 41, in quanto tale immobile era un alloggio di servizio concesso dal Ministero dell’interno. Controparte aveva dunque una disponibilità economica maggiore rispetto alla sig.ra (…). Tali fatti non sono mai stati contestati da controparte e dunque sono da considerarsi pacifici.

Altra presunzione riguarda la lesione della quota di legittima dell’altro figlio dell’odierna appellante, ossia (…). Essendo gli Euro 80.000,00 l’unico patrimonio della sig.ra (…), quest’ultima spogliandosi dei propri averi avrebbe arrecato un danno al proprio figlio” (pag. 13 ib.).

– Le dichiarazioni rese da (…) (figlia della (…) e moglie del (…), poi dichiarata incapace di testimoniare) erano tuttora utilizzabili e confermavano la versione della madre, esprimendo il seguente racconto: “ricordo che hanno discusso in mia presenza di tale circostanza e si era stabilito che mantenere la somma nella disponibilità della (…) fosse antieconomico, poiché avendo venduto un immobile a Viterbo aveva ricevuto quale prezzo l’importo di Euro 80.000. Io stessa suggerii che la somma avrebbe potuto essere versata su un conto (…) in modo da ricevere un interesse. La (…) accettò la proposta di depositare le somme in modo da ottenere un minimo di interesse. Tuttavia mia madre non era in grado di gestire un conto corrente e quindi propose che fossimo noi ad investire le somme. In ragione di ciò, consegnò gli assegni a (…) perché fossero investi tramite versamento sul conto corrente (…)” (pag. 14 ib.).

– Il Tribunale aveva violato gli artt. 116, 112 e 245 c.p.c. non ammettendo le ulteriori prove testimoniali richieste dalla (…).

L’appellato si costituiva per resistere al gravame, di cui eccepiva in via preliminare l’inammissibilità ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. e nel merito contestava sotto ogni profilo la fondatezza, concludendo come riportato in epigrafe.

Senza svolgimento di alcuna attività istruttoria, disposta per l’udienza del 10 gennaio 2023 la trattazione scritta del procedimento, la causa veniva trattenuta in decisione e discussa all’odierna camera di consiglio dopo la decorrenza dei termini concessi per il deposito delle difese conclusionali.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’eccezione preliminare d’inammissibilità dell’appello sollevata ex art. 348 bis c.p.c. dalla difesa (…) è ormai superata dal passaggio in decisione della causa, ma l’impugnazione va comunque respinta, perché in parte inammissibile e in parte infondata.

Sotto il primo profilo, va ricordato che la (…) lamenta, da un lato, l’erronea declaratoria di inammissibilità delle domande di restituzione formulate “in ipotesi” nel giudizio di opposizione, non trattandosi a suo parere di mutatio libelli, bensì di mera emendatio e, d’altro lato, censura l’erronea valutazione del Tribunale per cui “non esisteva da parte opposta nessuna domanda riconvenzionale” (pag. 7 appello). L’impostazione si rivela anzitutto intrinsecamente contraddittoria, giacché una pronuncia di inammissibilità, comunque motivata, evidentemente abbisogna di una domanda giudiziale che di tale statuizione in rito costituisca l’oggetto, mentre evidentemente non può essere dichiarata inammissibile una domanda, riconvenzionale o meno, che, a torto o a ragione, non si ritenga formulata.

E’ palese, dunque, che la difesa appellante non ha ben colto la reale motivazione in parte qua della sentenza gravata, ciò che le ha impedito di articolare una specifica censura in grado di superare il vaglio di ammissibilità di cui all’art. 342 c.p.c.. Invero, sotto il motivo intitolato “sulla ammissibilità e legittimità della domanda di ipotesi”, l’atto di appello si dilunga sui confini tra mutatio ed emendatio libelli, sostenendo, col correndo di svariate pronunce della Corte regolatrice, che le richieste restitutorie formulate in sede di opposizione andavano ricondotte alla seconda categoria, quella della mera emendatio, senza esigenza di riconvenzionale, mentre il Tribunale le avrebbe erroneamente fatte rientrare nella prima categoria, dichiarandole per questo inammissibili. Ebbene, tale dissertazione – seppur conforme all’attuale orientamento pretorio circa la variazione della originaria domanda monitoria (di recente ammessa anche da Cass. n. 9633/2022) – risulta nella specie inconferente.

Il giudice appellato, infatti, non ha dichiarato l’inammissibilità di alcunché, né per novità della domanda né per altro motivo, rilevando, al contrario, che l’errore della difesa opposta è consistito proprio nel non aver formulato una domanda corrispondente alle difese svolte e per aver dunque concluso per la sola conferma del decreto ingiuntivo (cfr. pag. 6 sentenza di primo grado). In altri termini, secondo il Tribunale, le allegazioni difensive svolte dalla (…), fondandosi su una causa petendi restitutoria incompatibile con quella posta a base del decreto ingiuntivo, si sarebbero dovute esprimere nella precisazione delle conclusioni, che, almeno in via subordinata, avrebbero dovuto contenere una domanda corrispondente al tenore delle nuove difese, per molti aspetti incompatibili con l’originaria impostazione monitoria. Al contrario, l’opposta aveva concluso in primo grado per la mera conferma del decreto ingiuntivo, con la conseguenza che, secondo la – pur opinabile – ratio decidendi di primo grado, “l’oggetto del giudizio, nel caso in esame, rimane delimitato dalla pretesa di credito posta a fondamento dell’ingiunzione e dalle ragioni che hanno giustificato domanda di pagamento somme proposta dall’opposta, la quale ha allegato di aver corrisposto a (…) la complessiva somma di Euro 80.000,00 a titolo di prestito (mutuo)”.

Emerge insomma dal tenore della pronuncia che la ragione del mancato esame delle richieste restitutorie svolte “in ipotesi” dall’odierna appellante non è stata ravvisata nella loro novità rispetto alla domanda via monitoria, bensì nella circostanza che, secondo il Tribunale, l’opposta non aveva in realtà formulato alcuna domanda in tal senso, avendo concluso unicamente per la conferma del decreto ingiuntivo. Si legge infatti in sentenza che (…): “pur allegando una differente ricostruzione dei fatti, potenzialmente idonea a modificare la domanda introducendo una differente causa petendi, ha concluso per la mera conferma del decreto ingiuntivo, non prospettando alcuna richiesta riconvenzionale di condanna dell’opponente a titolo differente” (pag. 6 sentenza). Di conseguenza, la questione dell’ammissibilità o meno di dette richieste non è stata neppure affrontata dal giudice di prime cure, che così ha statuito: “in considerazione dell’assenza di una mutatio o emendatio libelli (non potendosi ritenere tale la richiesta di accertare che il (…) non avrebbe titolo a trattenere le somme), non c’è margine per sollevare la questione di ammissibilità di una eventuale richiesta in tal senso e della sua ammissibilità ove ritenuta connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio”.

Ora, a prescindere dalla condivisibilità o meno di siffatta decisione – per vero opinabile – è dirimente osservare che la difesa si duole unicamente di una pronuncia di inammissibilità che in realtà non vi è stata, mentre omette di censurare l’effettiva ragione del mancato esame delle richieste restitutorie introdotte “in ipotesi”, con la conseguenza che tale aspetto ulteriore non è stato devoluto nel gravame ed è ormai passato in giudicato, rendendo inammissibile l’appello, il quale non contiene specifiche censure alla ratione decidendi essenziale e di per sé sufficiente a giustificare la decisione (ex plurimis cfr. in tal senso Cass. n. 4259/2015).

Del resto, per quanto ad abundantiam, giova evidenziare che le richieste restitutorie svolte dalla (…) “in ipotesi” sono formulate in termini così vaghi e generici da impedire l’identificazione persino dell’istituto giuridico invocato. Per cominciare, non è chiaro se l’appellante svolga un’azione inquadrabile nella ripetizione d’indebito ex artt. 2033 e ss. c.c. (eventualmente a seguito della nullità della supposta donazione) oppure di arricchimento ingiustificato ex artt. 2041 e ss. c.c., dato che la difesa lamenta la “mancanza di una causa giustificativa” dei versamenti e chiede genericamente la condanna alla “restituzione di tale somma”, non del presunto arricchimento, né mette a fuoco altre conseguenze derivanti da un ben determinato rapporto. In breve, le domande diverse dalla restituzione del mutuo, quand’anche realmente formulate nelle conclusioni del giudizio di opposizione, sarebbero state comunque inidonee ad ampliare la materia del contendere a causa della loro genericità.

Bisogna dunque convenire che, così come statuito dal Tribunale e non specificamente contestato dall’odierna appellante, l’oggetto ammissibile dell’opposizione e conseguentemente del presente gravame è limitato alla pretesa creditoria vantata a titolo di mutuo nel ricorso per ingiunzione, mentre non possono essere esaminate le ulteriori richieste restitutorie formulate a titolo di mandato fiduciario o di nullità della donazione sviluppate nella fase di cognizione piena e solo vagamente rievocate in questa sede.

Così inquadrato l’ambito oggettivo del giudizio, non può che essere respinto il residuo ed unico profilo di censura ammissibile, con cui si contesta che “il Tribunale non ha considerato adeguatamente, violando l’art. 112 c.p.c., le risultanze istruttorie”, dalle quali sarebbe emerso l’obbligo di restituzione del mutuo in capo al (…).

La doglianza è infondata, dovendosi ribadire l’insufficienza delle risultanze istruttorie ad attestare la stipulazione fra le parti di un rapporto di mutuo. Allo scopo invero non basta il mero versamento di denaro, occorrendo dimostrare anche l’impegno dell’accipiens alla restituzione del tantundem. In tale prospettiva, la parte convenuta non ha neppure bisogno di eccepire l’esistenza di una causa diversa della dazione, perché questo vorrebbe dire esonerare l’attore dall’onere probatorio che gli è proprio: “qualora l’attore fondi la sua domanda su un contratto di mutuo, la circostanza che il convenuto ammetta di avere ricevuto una somma di denaro dall’attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce una eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova, giacché negare l’esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l’inefficacia, la modificazione o l’estinzione, ma significa negare il titolo posto a base della domanda, ancorché il convenuto riconosca di aver ricevuto una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata, con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo l’onere probatorio a carico dell’attore” (massima da Cass. n. 6295/2013).

Nella specie, benché sia stato dimostrato l’elemento oggettivo della dazione, manca la prova dell’elemento soggettivo rappresentato dal c.d. animus restituendi. Invero, la difesa appellante, pur assumendo l’esistenza di una serie di presunzioni atte a dimostrare la costituzione di un rapporto di mutuo, in fondo evoca un solo elemento indiziario in tal senso, dato dalla circostanza che il (…) ha restituito alla (…) una parte, pari ad Euro 17.500,00, della complessiva somma ricevuta dalla coppia di coniugi. Tale elemento di fatto, tuttavia, non solo non basta a comprovare la titolarità di un obbligo restitutorio in capo al (…), ma depone semmai in senso contrario. È pacifico infatti che la somma restituita alla (…) dall’odierno appellato corrisponda al prezzo pagato dal (…), con i denari provenienti dalla suocera, per l’acquisto di un’auto a lui intestata e rimasta nella sua esclusiva disponibilità dopo la separazione coniugale (cfr. doc. 5 e 8 fascicolo di primo grado dell’opponente). Egli ha dunque restituito alla ex suocera i denari che, nella sua visione, non erano stati impiegati per le esigenze della coppia, bensì per acquistare un bene divenuto di uso esclusivo personale, tale per cui egli aveva avvertito un dovere, quanto meno morale, di restituzione. Resta insomma confermato, a contrario, che difetta la prova circa la stipulazione di un obbligo restitutorio dell’intera somma, emergendo piuttosto che era stata rimessa alla coscienza di ciascun coniuge la restituzione unicamente delle somme impiegate per il soddisfacimento di esigenze strettamente individuali.

D’altra parte, mal si comprende giuridicamente la ragione per cui la (…) pretenda la restituzione del tantundem soltanto dal (…) e non anche dalla figlia, (…) che, insieme al primo, ha fruito della erogazione, quale cointestataria del conto corrente dove fu versato il complessivo importo qui preteso in restituzione. In tale ottica, non è neppure trascurabile la circostanza che sia stata proprio la figlia della (…) ad avvantaggiarsi maggiormente di quei denari, come risulta dai documenti allegati dall’odierno appellato (docc.6 e 7).

Tanto meno, al fine di dimostrare un rapporto di mutuo tra le parti, può darsi rilievo alla testimonianza resa dalla stessa (…), che, come dichiarato dal Tribunale e non contestato dall’appellante, era incapace di deporre ai sensi dell’art. 246 c.p.c., il che rende processualmente inutilizzabili anche le dichiarazioni anteriori al rilevamento della sua incapacità. Occorre aggiungere che tale esito, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa appellante, derivando direttamente dalla statuizione giudiziale di incapacità, non presuppone un’espressa eccezione da parte della difesa del (…) ulteriore a quella già formulata ex art. 246 c.p.c. nella memoria ex art. 183 n. 3 c.p.c..

Nel complesso, il quadro istruttorio acquisito al processo, lungi dall’offrire presunzioni gravi, precise e concordanti circa la stipulazione di un mutuo, conferma semmai l’estrema difficoltà di identificare la reale fisionomia del rapporto intercorso tra le parti, la cui effettiva natura giuridica è resa ancora più oscura, se possibile, dal tenore generico e confusionario delle difese. Ne deriva che anche le richieste di prova testimoniale, per la cui ammissione l’appellante insiste, non potrebbero offrire un ausilio concreto e rilevante a sostegno della domanda.

L’appello va dunque respinto. Ogni altra questione resta assorbita o superata. Alla soccombenza, non può che seguire la condanna dell’appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali del grado, che, tenuto conto del valore (Euro 44.000,00) e della complessità (media) della lite, si liquidano in complessivi Euro 6.946,00 (di cui Euro 2.058,00 per fase di studio, Euro 1.418,00 per fase introduttiva, nulla per inesistente fase istruttoria ed Euro 3.470,00 per fase decisoria), oltre al 15% per spese forfettarie, oltre al trattamento fiscale e previdenziale di legge. Le competenze legali riconosciute all’appellato, in conformità alla richiesta di parte, vanno distratte a favore dell’antistatario avv. Fr.D’A..

Sussistono altresì a carico dell’appellante i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ex art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002 come modificato dall’art. 17 L. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

l’intestata Corte, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa,

RESPINGE

l’appello proposto da (…), per l’effetto

CONFERMA

la sentenza n. 264 pubblicata il 17 giugno 2020 dal Tribunale di Prato e, dato atto che sussistono a carico dell’appellante i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, la condanna al pagamento delle spese processuali del grado, liquidate in complessivi Euro 6.946,00 oltre agli accessori indicati in motivazione a favore dell’avv. Fr.D’A., quale antistatario di (…); dispone infine che in caso di divulgazione della presente sentenza fuori dell’ambito strettamente processuale siano eliminati i dati identificativi personali ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003.

Così deciso in Firenze l’11 aprile 2023.

Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2023.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.