In materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art.889 cod. civ., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà deisingoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali.

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Corte d’Appello|Firenze|Sezione 3|Civile|Sentenza|31 agosto 2022| n. 1865

Data udienza 20 luglio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI FIRENZE

TERZA SEZIONE CIVILE

La Corte di Appello di Firenze, TERZA SEZIONE CIVILE, in persona dei Magistrati:

Simonetta Afeltra – Presidente

Carlo Breggia – Consigliere Relatore

Antonio Picardi – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 1311/2016 promossa da:

(…), (cf: (…)), con il patrocinio dell’Avv. FR.BO. e dell’Avv. AN.MA.

PARTE APPELLANTE

nei confronti di

(…), (cf: (…)), con il patrocinio dell’Avv. PI.FA.;

PARTE APPELLATA

avverso

la sentenza n. 924/2016 emessa dal Tribunale di Lucca e pubblicata il 29 aprile 2016

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 924/2016, pubblicata il 29.04.2016, il Tribunale di Lucca ha rigettato la domanda di (…), condannandola al rimborso delle spese processuali a favore del convenuto e al pagamento delle spese di CTU. L’attrice (in principio quale procuratrice della madre (…), poi quale nuda proprietaria dell’appartamento ed erede della madre) aveva chiesto di dichiarare l’illegittimità della collocazione dell’impianto di condizionamento dell’appartamento del proprio vicino (…) e, di conseguenza, condannarlo all’immediata rimozione del manufatto.

In particolare, il (…) aveva posizionato l’impianto di condizionamento del proprio appartamento – sito in (…) di (…), nel “Condominio (…)” – sul muro perimetrale esterno del condominio, a distanza inferiore ad un metro dall’unità immobiliare dell’attrice. Ella aveva evidenziato che il motore del condizionatore era orientato in direzione del portone d’ingresso della propria unità immobiliare, che veniva così investita dall’aria surriscaldata emessa dall’impianto; inoltre, il tubo di smaltimento dell’acqua di condensa versava l’acqua sul terreno antistante l’ingresso della (…).

Il (…) aveva resistito sottolineando che l’unità immobiliare della (…) era una cantina o un ripostiglio e non una civile abitazione; dunque, l’intralcio non doveva essere considerato così grave quanto sosteneva l’attrice. Inoltre, per la struttura dell’edificio, non era stato possibile posizionare il motore del condizionatore in un luogo diverso.

Veniva svolta, in primo grado, la CTU, nella quale si concludeva che per la conformazione dell’edificio condominiale non era possibile installare l’impianto di condizionamento alla distanza legale di un metro. Il Tribunale, sulla base delle risultanze istruttorie, rigettava la domanda attorea.

Con atto di citazione, regolarmente notificato, (…) (di seguito anche appellante) ha convenuto in giudizio, innanzi questa Corte di Appello (…) (di seguito anche appellato) proponendo gravame avverso la suddetta sentenza per i seguenti motivi di appello:

a) con il primo motivo, l’appellante ritiene che la sentenza sia errata laddove ha reputato giustificata la violazione della distanza di legale. L’appellato, infatti, non sarebbe stato costretto a violare tale distanza, sia perché esistono climatizzatori privi di impianti esterni, sia perché egli avrebbe avuto a disposizione 2,65 metri tra il suo appartamento e quello della appellante, entro i quali avrebbe potuto collocare il manufatto esterno rispettando la distanza di un metro dall’unità immobiliare della appellante;

b) con il secondo motivo, l’appellante sostiene che controparte non ha assolto l’onere di dimostrare l’impossibilità di rispettare la distanza legale;

c) con il terzo motivo, la (…) censura la sentenza di primo grado per mancanza di motivazione, in quanto non chiarirebbe perché, pur essendo presente uno spazio di 2,65 metri, ha ritenuto impossibile il rispetto della distanza legale da parte del (…);

d) infine, con il quarto motivo, l’appellante si lamenta dell’ingiusta condanna alle spese processuali, che, a suo avviso, avrebbero dovuto essere compensate.

Per tali ragioni è stata pertanto formulata dall’APPELLANTE richiesta di riforma della sentenza gravata in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte, con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

Radicatosi il contraddittorio, (…), nel costituirsi in giudizio, ha contestato, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale chiede per contro la conferma con vittoria delle spese anche in questo grado di giudizio.

In data 9.12.2016, l’appellante ha rinunciato alla propria istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata; di conseguenza, con ordinanza del 24.02.2017, la Corte ha dichiarato il non luogo a provvedere sulla istanza di inibitoria.

La causa è stata trattenuta in decisione in data 11.01.2022 sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte a seguito di trattazione scritta, con i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

L’appello è infondato e va respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata.

Passando alla disamina dell’avanzato gravame, si osserva quanto segue.

1. Il primo, il secondo ed il terzo motivo di gravame possono essere esaminati congiuntamente. Tutti, infatti, si concentrano sul medesimo argomento: l’appellato avrebbe avuto a disposizione 2,65 metri tra il punto di entrata/uscita dei raccordi e la proprietà dell’appellante ed avrebbe dunque potuto rispettare la distanza legale (1 metro ex art. 889, secondo comma, c.c.).

1.2 I motivi sono infondati.

Innanzitutto, la CTU afferma che “Il foro di entrata nell’alloggio delle tubazioni è posizionato immediatamente dopo la travatura orizzontale ad un’altezza di circa cm. 265 dal marcapiano del solaio di divisione tra il piano terra ed il piano primo” (v. perizia definitiva CTU, p. 5). Tuttavia, tale spazio di 265 cm non era libero ed a disposizione dell’appellato, come sostenuto dalla (…).

Dalla CTU emerge, infatti, la presenza di una finestra posta sopra e lateralmente rispetto al motore di condizionamento (foto nn. 1, 2 e 4) e, poiché l’ingombro in profondità di tale motore è pari a 37 cm (v. perizia definitiva CTU, p. 5), l’eventuale spostamento del manufatto verso l’alto avrebbe ostruito in modo significativo quella finestra, con una conseguente limitazione di aria e luce. Ne deriva che, in realtà, non vi erano 265 cm a disposizione dell’appellato, in quanto tutto lo spazio occupato dalla finestra non può considerarsi spazio disponibile in cui porre il motore di condizionamento.

Inoltre, l’eventuale spostamento verso l’alto (anche oltre la finestra suddetta) dell’unità frigorifera avrebbe comunque comportato un problema di distanze con l’appartamento posto sopra, che verosimilmente non è adibito – a differenza dell’unità immobiliare dell’appellante – a mero ripostiglio, bensì a civile abitazione.

Il CTU di primo grado è stato poi chiaro nel rilevare che “la particolare conformazione dell’edificio condominiale, caratterizzato da una forma geometrica regolare, con unità abitative disposte su tre livelli a partire dal primo livello fuori terra con stesso ingombro planovolumetrico, non consente l’installazione dell’impianto a distanza legale, qualunque sia la soluzione progettuale adottata” (v. perizia definitiva CTU, p. 8). Ciò si evince anche, come sopraccennato, dalle fotografie dei luoghi.

A ben vedere, il motore di condizionamento risulta essere stato installato in modo da arrecare il minor pregiudizio possibile al condominio: esso si trova nella parte dell’edificio retrostante rispetto all’ingresso principale e alla strada pubblica, nel punto in cui la sagoma perimetrale dell’edificio presenta una rientranza (così da essere meno visibile). La posizione dell’apparecchio, inoltre, non pare arrecare un pregiudizio serio alla proprietà dell’appellante: la proprietà coinvolta è esclusivamente l’unità immobiliare adibita a cantina/ripostiglio, la quale non è privata né di aria né di luce e non ne è ostacolato in alcun modo l’uso. Qualche getto di aria calda e la fuoriuscita di acqua dal tubo di condensa (verosimilmente limitata a poche gocce) non sono elementi sufficienti per ritenere sussistente un serio pregiudizio alla proprietà della (…) (peraltro raggiungibile anche attraverso una porta interna che permette di evitare qualsiasi fastidio, v. perizia definitiva CTU, p. 3).

1.3 L’appellante, con il secondo motivo di gravame, sostiene anche che il (…) non abbia dato prova dell’impossibilità di rispettare la distanza legale di 1 metro. Tuttavia, dalla CTU e dalla documentazione fotografica allegata scaturisce chiaramente la piena prova che non ci sono 265 cm liberi e quindi che la conformazione dell’edificio non consente il rispetto dell’art. 889 c.c.. Non molto poteva aggiungere il B., né risultavano necessarie ulteriori prove.

In definitiva, la CTU ha smentito la tesi della appellante/attrice 1° grado secondo la quale la controparte ha agito per allontanare da sé il disagio del motore di condizionamento scaricandolo su di lei: al contrario, l’apparecchio si trova vicino a una finestra dell’appellato e nel punto in cui arreca il minor pregiudizio possibile in base alla conformazione dell’edificio condominiale.

Il Tribunale, facendo leva sulle risultanze istruttorie della CTU, ha dunque correttamente ritenuto ragionevole (nonché obbligato) il mancato rispetto della distanza legale.

1.4 Occorre poi sottolineare che non necessariamente deve trovare applicazione la distanza legale di un metro prevista dall’art. 889, secondo comma, c.c. Tale disposizione, relativa alle distanze da rispettare per pozzi, cisterne, fossi e tubi, è applicabile anche con riguardo agli edifici in condominio; tuttavia, come affermato più volte dalla S.C. “In materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art.889 cod. civ., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà deisingoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali” (Sez. 2, Sentenza n. 12520 del 21/05/2010; conf. Sez. 2, Sentenza n. 1989 del 02/02/2016 e Sez. 2, Ordinanza n. 17549 del 28/06/2019).

Ebbene, nel caso in esame, la mancata osservanza della distanza legale non è stata irragionevole; al contrario, essa non poteva proprio trovare applicazione in quanto incompatibile con la concreta struttura dell’edificio, come espressamente affermato dal CTU nella perizia finale e come risulta anche dalla documentazione fotografica.

Per tali motivi, il primo, il secondo ed il terzo motivo d’appello sono infondati.

2. Infine, anche il quarto motivo di gravame è infondato.

L’appellante ritiene che il Tribunale non abbia considerato alcuni aspetti che avrebbero dovuto indurlo a compensare le spese di lite.

Il testo degli artt. 91 e 92 c.p.c. applicabile ratione temporis al caso di specie è quello che risultava dopo la modifica operata dalla (…) 18 giugno 2009, n. 69 e prima della modifica introdotta con il D.L. n. 132 del 2014, convertito con (…) n. 162 del 2014, posto che la causa è iniziata in primo grado il 9.10.2009.

In particolare, quel che qui rileva è il testo dell’art. 92, secondo comma, c.p.c. nella seguente versione: “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”.

In assenza di una soccombenza reciproca, dunque, la compensazione delle spese processuali è ammessa solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni che siano espressamente ostensibili nella motivazione.

Nel caso di specie, le ragioni avanzate dall’appellante (“l’esattezza in fatto di quanto lamentato”, il pregiudizio subito e “l’impegno” mancato del (…) alla rimozione dell’impianto) non sono, ad avviso del collegio, né eccezionali né gravi e non sono quindi sufficienti a giustificare una compensazione, neppure parziale, delle spese processuali, anche perché, a monte, esse non sussistono, non almeno nei termini in cui sono prospettate, dal momento che il pregiudizio lamentato è pressoché trascurabile e, come già spiegato, obbligato dalla concreta struttura dell’edificio, mentre nessun obbligo (…) aveva in realtà mai assunto.

Peraltro, i profili sui quali il mezzo si fonda hanno ben scarso rilievo sul piano di causalità della lite, che è quello che interessa nel governo delle spese; piano sul quale, semmai, potrebbero avere maggior incidenza altri fattori, quali, ad esempio, l’obiettiva incertezza ex ante sul diritto controverso (cfr., in termini, Cass. sez. lav. ord. 7.8.2019 n. 21157 rv 654806-01), che, al contrario, nel caso di specie non sussisteva, dal momento che la conformazione dell’edificio, dalla quale scaturisce, in ultima analisi, la legittimità dell’intervento operato dall’appellato, era ben nota alla appellante.

Né si può fare a meno di rimarcare anche a questi fini, a definitiva esclusione che possano sussistere altre gravi ed eccezionali ragioni valorizzabili in favore della appellante, che l’istruttoria tecnica ha radicalmente smentito – addirittura capovolto – la tesi attorea iniziale secondo la quale, in sostanza, (…) avrebbe tentato di scaricare sulla (…) ogni disagio facendo sì che ne andasse invece del tutto esente il proprio appartamento.

Pertanto, poiché non ricorre alcuna delle ipotesi in cui è ammessa la compensazione delle spese di lite, la sentenza di primo grado le ha correttamente liquidate seguendo il principio della soccombenza.

3. In base ai medesimi principi anche le spese del grado devono essere poste a carico della (…).

Per la liquidazione, vista e condivisa la nota depositata, si applica il D.M. n. 55 del 2014 (come modificato dal D.M. n. 37 del 2018), 12, tutte le fasi (la 3 per l’inibitoria), parametri medi (ove non diversamente indicato), valore di causa indeterminabile basso.

Pertanto: Euro 1.960,00 fase 1, Euro 1.350,00 fase 2, Euro 870,00 fase 3 (ridotto il parametro medio del 70% di legge, per la minore attività dovuta alla successiva rinuncia dell’appellante) ed Euro 3.305,00 fase 4, in tutto Euro 7.485,00, oltre accessori di legge indicati nel dispositivo.

Sussistono infine le condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Firenze, sezione terza civile, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, anche istruttoria, disattesa, così provvede:

Firmato Da: AFELTRA SIMONETTA Emesso Da: A. S.P.A. NG CA 3 Serial#: (…) Firmato Da: BREGGIA CARLO Emesso Da: A. S.P.A. NG CA 3 Serial: (…) Firmato Da: E.E. Emesso Da: CA DI FIRMA QUALIFICATA PER MODELLO ATE Serial: (…)

1. rigetta l’appello proposto da (…) nei confronti di (…) avverso la sentenza n. 924/2016 emessa dal Tribunale di Lucca e pubblicata il 29.4.2016, che integralmente conferma;

2. condanna (…) a rimborsare a (…) le spese processuali del presente grado, che liquida in complessivi Euro 7.485,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% sui compensi per rimborso forfettario di spese generali, nonché oltre cap e iva secondo legge;

3. dà atto che ricorrono nei confronti di (…) le condizioni per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002.

Così deciso in Firenze il 20 luglio 2022.

Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2022.

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Avv. Umberto Davide

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