In materia tributaria, l’operazione economica che non trova giustificazione extrafiscale ed e’ diretta essenzialmente a conseguire un risparmio d’imposta costituisce “condotta abusiva” e la prova del disegno elusivo incombe sull’Agenzia delle Entrate, ma questa non si estende alla dimostrazione della necessaria preordinazione ex ante del compimento di tutti i negozi e i fatti giuridici che realizzano la fattispecie, ben potendo essere dirimente un accordo stipulato tra le parti che ricostruisce il collegamento teleologico tra tutte le singole operazioni, sia anteriori alla sua stipula e sia poste in essere successivamente.

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Corte di Cassazione|Sezione TRI|Civile|Sentenza|22 settembre 2022| n. 27709

Data udienza 3 maggio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente

Dott. LA ROCCA Giovanni – Consigliere

Dott. HMELJAK Tania – Consigliere

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10046/2017 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

proposto avverso la sentenza n. 2640/09/2016 della COMM.TRIB.REG. dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 17/10/2016;

Udita la relazione della causa svolta in data 3/5/2022 dal Consigliere PIERPAOLO GORI;

Udite le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, il quale si e’ riportato alle conclusioni scritte, nel senso del rigetto del ricorso;

Udito l’Avv. (OMISSIS) per parte ricorrente;

Udita l’Avv. (OMISSIS), per l’Avvocatura.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2640/09/2016 depositata in data 17/10/2016 la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna rigettava gli appelli proposti dalla societa’ (OMISSIS) S.p.a. e dal socio (OMISSIS) e accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate, tutti proposti avverso la sentenza n. 59/1/16 della Commissione tributaria provinciale di Modena, la quale a sua volta aveva parzialmente accolto i ricorsi introduttivi dei contribuenti aventi ad oggetto due avvisi di accertamento relativi all’anno di imposta 2008, rispettivamente per IVA, IRES e IRAP oltre accessori nei confronti della societa’ e per IRPEF e addizionali oltre accessori nei confronti del socio.

2. Il giudice di prime cure, nel merito, confermava l’impianto delle riprese, ritenendo sussistente l’abuso del diritto e l’operazione elusiva contestate dall’Agenzia e consistenti nella “scissione parziale societaria” di (OMISSIS) S.p.a. in data 21.3.2005 con assegnazione di tutti i cespiti immobiliari presenti nel suo patrimonio alla neo costituita (OMISSIS) S.r.l. e successivo riacquisto, in data 19.11.2007, di alcuni dei beni immobili suddetti da parte della (OMISSIS) S.p.a., cui faceva seguito la cessione in data 25.1.2008 di tutte le quote sociali della (OMISSIS) S.r.l. al socio ricorrente e al suo coniuge e figlio, rimasta cosi’ proprietaria dei restanti cespiti; in pari data, il socio (OMISSIS) cedeva tutte le sue azioni nella (OMISSIS) S.p.a. in favore degli altri soci, proporzionalmente alla loro quota di partecipazione.

3. L’indebito vantaggio consisteva nel risparmio di imposta sulla plusvalenza non dichiarata di Euro 169.665,50 ai fini IVA e di Euro 210.381,41 ai fini IRES a favore della societa’ cedente mediante l’operazione di scissione, oltre al risparmio di imposta di Euro 280.647,76 per il socio, il quale conseguiva l’intero pacchetto azionario della societa’, divenendo l’unico proprietario degli immobili prima oggetto di scissione e poi ricomprati dalla societa’ a prezzi non di mercato, pagando solo il trasferimento azionario ed ottenendo anche un conguaglio di Euro 30.000,00 da parte degli altri soci. Le ragioni dei ricorrenti trovavano accoglimento in primo grado limitatamente alle sanzioni irrogate.

4. Il giudice d’appello, rigettate le eccezioni pregiudiziali e preliminari, confermava la decisione resa dalla CTP, eccezion fatta per le sanzioni, nei cui confronti veniva accolto l’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria con applicazione delle sanzioni al minimo edittale sulla base del Decreto Legislativo n. 158 del 2015.

5. Avverso tale sentenza la societa’ e il socio propongono ricorso per Cassazione affidato a quindici motivi, che illustrano con memoria, cui resiste con controricorso l’Amministrazione finanziaria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Preliminarmente va rilevata d’ufficio la tardivita’ del controricorso dell’Agenzia delle Entrate, in quanto proposto oltre i 20 giorni di legge, tenuto conto che il ricorso le e’ stato ritualmente notificato in data 21 aprile 2017 presso la sede centrale di (OMISSIS) – nulla la notifica presso l’Avvocatura che non risulta aver difeso l’Amministrazione in appello – mentre la notifica PEC del controricorso e’ solo intervenuto il 6 giugno 2017.

7. Con il primo motivo – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – si deduce la nullita’ della sentenza in violazione degli articoli 57 e 345 c.p.c., per aver la CTR erronearnente dichiarato inammissibili i motivi di appello con cui i ricorrenti chiedevano la riforma della sentenza di primo grado e l’annullamento degli avvisi di accertamento impugnati per essere stati emessi in violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, in quanto sottoscritti da un funzionario non appartenente alla carriera direttiva e, comunque, sprovvisto di idonea delega, nonche’ perche’ non sarebbero stati allegati ne’ trascritti nelle parti essenziali i documenti richiamati negli atti.

8. Il motivo non puo’ trovare ingresso, perche’ la censura nel merito della questione relativa alla sottoscrizione si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata della Sezione. La delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 42, ha infatti natura di delega di firma – e non di funzioni – poiche’ realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma puo’ avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessita’ di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 11013 del 19/04/2019, Rv. 653414 – 01; conforme Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28850 del 08/11/2019, Rv. 655599 – 01).

9. L’Agenzia puo’ ben produrre in giudizio la delega e ordine di servizio o organigramma per assolvere al proprio onere di corretto esercizio del potere (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 27871 del 31/10/2018, Rv. 651222 – 01; conforme a Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24492 del 02/12/2015, Rv. 637837 – 01), come ritenuto dalla CTR con un accertamento in fatto idoneo alla prova.

Nel caso di specie, premesso che e’ pacifico che l’Amministrazione finanziaria ha depositato nelle controdeduzi’oni di primo grado la delega di firma, non e’ rilevante, come eccepito dai contribuenti, che l’ordine di servizio – riprodotto nel corpo del ricorso – non abbia indicato nominativamente i soggetti delegati con riferimento agli avvisi in questione e la decisione della CTR sulla questione e’ conforme ai principi di diritto summenzionati.

10. Con il secondo motivo, declinato come vizio di nullita’ della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la censura precedente viene riproposta sotto altro profilo, in violazione dell’articolo 2909 c.c., Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 54, articoli 324, 329, 333 e 334 c.p.c., invocandosi l’esistenza di un giudicato interno maturato per effetto di una statuizione implicita della CTP, con la quale e’ stata riconosciuta l’ammissibilita’ delle censure di illegittimita’ degli avvisi di accertamento impugnati.

11. La censura e’ infondata. Il processo tributario e’ annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 18777 del 10/09/2020, Rv. 658860 – 01). Avanti al Tudice tributario si incardina dunque un giudizio con devoluzione dell’intera materia del contendere al giudice d’appello, ne’ il semplice fatto che il giudice di primo grado abbia ritenuto ammissibile una censura matura alcun giudicato interno circa l’ammissibilita’ della stessa doglianza anche in appello ove, come nel caso di specie, essa sia stata pacificamente riproposta.

12. Il terzo motivo, ancora costruito come vizio di nullita’ della sentenza ai fini dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, invoca la violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, articolo 132 c.p.c., per apparenza della statuizione adottata dalla CTR la quale, oltre a ritenere inammissibili i motivi di appello” ha comunque ritenuto anche infondate le doglianze ivi contenute, in termini a dire dei contribuenti a podittici.

Con la quarta censura, sempre in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i ricorrenti, in via subordinata alla precedente doglianza, invocano la nullita’ della sentenza per aver la CTR basato il proprio giudizio su documenti irritualmente prodotti in giudizio dall’Amministrazione finanziaria.

Il quinto motivo, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in via ulteriormente subordinata al precedente, prospetta la violazione di una serie di norme di legge per aver la CTR ritenuto legittima una delega impersonale, conferita solo ratione officii, senza alcuna indicazione nominativa del soggetto delegato e senza indicazione delle ragioni di servizio che l’hanno motivata.

13. I tre motivi in disamina possono essere scrutinati congiuntamente e sono tutti inammissibili per carenza di interesse. Essi infatti sono diretti a colpire un mero obiter dictum, dal momento che i motivi di appello alla base delle presenti censure sono stati dichiarati dalla CTR inammissibili prima che infondati, come peraltro ammesso dalla societa’ nel corpo del terzo motivo. Resta fermo comunque quanto sopra riportato in dipendenza del primo motivo di ricorso circa la ritualita’ della produzione documentale anche in grado di appello e l’irrilevanza della mancata individuazione nominativa nella delega essendo sufficiente l’ordine di servizio, trattandosi di esercizio di funzioni e, dunque, la questione sottostante le censure e’ anche infondata.

14. Con il sesto motivo – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – si deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 37 bis, e degli articolo 73 del TUIR, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 17, nonche’ del divieto di abuso del diritto fiscale sancito dall’articolo 53 Cost., in quanto la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che un’operazione di scissione proporzionale del ramo immobiliare e successive cessioni di partecipazioni tra i soci della scissa e della beneficiaria avrebbero consentito al (OMISSIS) di aggirare le disposizioni che disciplinano l’assegnazione dei beni ai soci, nonche’ per aver altrettanto erroneamente ritenuto che l’acquisto della titolarita’ di una partecipazione di controllo in una societa’ di capitali comporti l’acquisto da parte dell’acquirente della titolarita’ dei beni della societa’ partecipata.

Con il settimo motivo – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, viene prospettata la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 37 bis, nonche’ del divieto di abuso del diritto fiscale sancito dall’articolo 53 Cost., in quanto la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che lo scopo di conseguire un indebito risparmio di imposta non debba sussistere fin dall’origine, ma possa essere sopravvenuto.

Con l’ottava censura – ai fini dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente ha altresi’ prospettato la violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, e articolo 132 c.p.c., domandando alla Corte, nel caso in cui non venisse accolto il precedente motivo, di cassare la sentenza in parte qua in quanto la relativa motivazione sarebbe manifestatamente illogica e contraddittoria. Secondo i ricorrenti il giudice ha preteso di evincere in modo manifestamente illogico e contraddittorio da un accordo transattivo concluso il 2 agosto 2007 il fatto che la scissione parziale proporzionale del ramo di azienda immobiliare di (OMISSIS) a favore di (OMISSIS) approvata dal consiglio di amministrazione di tale societa’ tre anni prima – il 6 agosto 2004 – era diretta a consentire al (OMISSIS) di recedere dalla compagine sociale di (OMISSIS) mediante l’assegnazione dei due immobili di Modena in contropartita della liquidazione della sua quota di partecipazione.

Con il nono motivo – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – viene lamentata la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 37 bis, nonche’ del divieto di abuso del diritto fiscale e dell’articolo 53 Cost., in quanto la CTR ha ricollegato alla scissione parziale proporzionale del ramo di azienda immobiliare di (OMISSIS) a favore di (OMISSIS) e alle successive cessioni delle partecipazione poste in essere tra i soci, gli effetti fiscali del recesso del socio eseguito mediante assegnazione di beni, benche’ tali disposizioni consentano soltanto di rendere inopponibili gli effetti fiscali da loro prodotti.

Con il decimo motivo i ricorrenti – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – deducono la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 37 bis, del divieto di abuso del diritto fiscale sancito dall’articolo 53 Cost., nonche’ del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articoli 86 e 47, e del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 2, in quanto la CTR ritenendo nel caso di specie indebito il risparmio di imposta per il solo fatto che il medesimo risultato avrebbe potuto essere conseguito mediante un’operazione piu’ semplice e lineare anche se piu’ costosa, ha violato e falsamente applicato il combinato disposto delle disposizioni richiamate in rubrica poiche’ un risparmio d’imposta e’ qualificabile come indebito soltanto se ed in quanto sia disapprovato dall’ordinamento fiscale.

Con l’undicesimo motivo i ricorrenti – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – lamentano la nullita’ della sentenza per violazione del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 36, e articolo 132 c.p.c., in quanto recante una motivazione meramente apparente non avendo la CTR spiegato perche’ non sarebbero valide le ragioni economiche addotte dai ricorrenti.

La dodicesima censura, agli effetti dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 37 bis nonche’ del divieto di abuso del diritto fiscale sancito dall’articolo 53 Cost. in quanto la CTR ha erroneamente sostenuto che una scissione parziale proporzionale di un ramo di azienda immobiliare e le successive cessioni delle partecipazioni tra i soci delle societa’ scissa e beneficiaria possono essere considerate prive di valide ragioni economiche anche se non sia stato allegato e comprovato che abbiano dato luogo ad una manipolazione e alterazione degli schemi negoziali classici contrari ad una normale logica di mercato.

15. I motivi, tutti incentrati sulla questione della condotta contestata come abusiva, possono essere esaminati congiuntamente in quanto non solo connessi, ma anche largamente sovrapponibili, e sono tutti inammissibili o infondati, per le ragioni che seguono.

Il Collegio innanzitutto rammenta che, per giurisprudenza consolidata della Sezione, in tema di redditi d’impresa, e’ riconosciuto che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37 bis, in vigore dal 01/01/2008 al 02/09/2015 e quindi sostituito dalla L. n. 212 del 2000, articolo 10 bis, dal 02/09/2015, anche nel testo applicabile alla fattispecie ratione tem-poris non contiene un’elencazione tassativa delle condotte abusive, ma costituisce una previsione normativa aperta, la quale trova applicazione, alla stregua del generale principio antielusivo rinvenibile nella Costituzione e nelle indicazioni della raccomandazione n. 2012/772/UE, in presenza di una o piu’ costruzioni di puro artificio che, realizzate al fine di eludere l’imposizione, siano prive di sostanza commerciale ed economica, ma produttive di vantaggi fiscali (Cass., sez. 5, 16 marzo 2016, n. 5155, n. 31772; Cass., sez. 5, 2 marzo 2020, n. 5644; Cass., sez. 5, 23 novembre 2018, n. 30404; Cass. Sez. 5 -, 2 febbraio 2021 n. 2224). Specularmente, non e’ qualificabile come comportamento abusivo quell’operazione economica che possa spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta (Cass., 10 dicembre 2014, n. 25972).

Quanto al riparto dell’onere della prova, grava sull’amministrazione l’onere di dimostrare tanto l’esistenza del disegno elusivo, quanto le modalita’ di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali, ritenuti non rispettosi di una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire ad un determinato risultato fiscale (Cass., sez. 5, 26 febbraio 2014, n. 4603; Cass., n. 1465/2009). Fornita questa prova, e’ rimesso a parte contribuente l’onere di dimostrare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino le operazioni, non consistenti nel mero risparmio fiscale (Cass., 5 dicembre 2019, n. 31772; Cass., 5090/2017; Cass. 3938/2014; Cass., 19234/2012; Cass., 20029/2010).

16. Nel caso in esame, secondo parte ricorrente, non sussisterebbe alcun abuso del diritto, perche’ gli immobili in questione non sarebbero in realta’ mai stati assegnati al socio (OMISSIS) e sarebbero rimasti in regime d’impresa perche’ assegnati alla beneficiaria. Sarebbe in particolare da escludere che l’acquisto di una partecipazione di controllo in una societa’ di capitali possa comportare l’acquisto della titolarita’ dei beni della societa’ partecipata non solo in quanto la lettera a) dell’articolo 73, comma 1, del TUIR, includendo fra i soggetti passivi dell’IRES le societa’ di capitali residenti considera tali societa’ come dotate di un’autonoma soggettivita’ passiva rispetto a quella dei loro soci, ma l’articolo 86 del TUIR, considerando in via generale come produttiva di plusvalenze l’assegnazione di beni da parte di societa’ di capitali ai propri soci, presuppone implicitamente che i soci, anche se dispongano di una partecipazione di controllo nel capitale della societa’ partecipata, non possano ritenersi titolari dei suoi beni.

17. Nella sua prospettazione, la societa’ invoca il fatto che “Il trasferimento da un soggetto all’altro di una quota di partecipazione non e’ mai qualificabile come trasferimento della proprieta’ o del godimento di un’azienda, che e’ il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, secondo la puntuale definizione offertane dal legislatore all’articolo 2555 c.c.” (Cass., 7 luglio 2010, n. 16030 in parte motiva). In altri termini, “vi e’ differenza tra vendita dell’azione – cui consegue l’acquisto della status di socio ed anche la misura della partecipazione del nuovo socio nella societa’ – e vendita dell’intero patrimonio o di singoli beni della societa’: solo in quest’ultimo caso oggetto della vendita sono i beni della societa’ (e, quindi, non possono non trovare applicazione le garanzie dovuta dal venditore, con riferimento al patrimonio sociale); nella vendita di azioni, la disciplina giuridica, invece, si ferma all’oggetto immediato e, cioe’ all’azione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni costituenti il patrimonio, a meno che l’acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso ad un’espressa clausola di garanzia, frutto dell’autonomia contrattuale, che consente alle parti di rafforzare, diminuire, od escludere convenzionalmente la garanzia, in modo da ricollegare esplicitamente il valore dell’azione al valore dichiarato del patrimonio sociale,,nei suddetti termini, Cass. nn. 26690 del 2006 e 16031 del 2007; cfr., anche, Cass. n. 10648 del 2010)” (Cass., 19 ottobre 2012, n. 17948).

18. Nondimeno la Corte rammenta l’autonomia del piano fiscale da quello civilistico e la prevalenza della sostanza economica dell’operazione sulla formale denominazione negoziale adottata ai fini della qualificazione giuridica della fattispecie tributaria. A tal proposito, sempre ai fini ricostruttivi, e’ utile richiamare, per la parte che qui interessa il contenuto della Risoluzione n. 98/E del 26 luglio 2017 dell’Agenzia, secondo cui “l’operazione di scissione (..) e’ fiscalmente neutrale, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 173, (TUIR), e il passaggio del patrimonio della societa’ scissa ad una o piu’ societa’ beneficiarie (…) non determina la fuoriuscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d’impresa” mentre “i plusvalori relativi componenti patrimoniali trasferiti dalla scissa alla societa’ beneficiaria, mantenuti provvisoriamente latenti dall’operazione in argomento, concorreranno alla formazione del reddito secondo le ordinarie regole impositive vigenti al momento in cui i beni fuoriusciranno dalla cerchia dei beni relativi all’impresa, vale a dire, saranno ceduti a titolo oneroso, formeranno oggetto di risarcimento (…), saranno assegnati ai soci, ovvero destinati a finalita’ estranee all’esercizio dell’impresa”. La neutralita’ della forma della scissione, anche parziale, ai fini fiscali, non esclude dunque che attraverso questa possa essere realizzato un disegno elusivo ai fini del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37 bis, – dal 2/09/2015 sostituito dalla L. n. 212 del 2000, articolo 10 bis -: cio’ che conta e’ infatti l’esame della logica economica perseguita attraverso le singole operazioni giuridiche poste in essere.

Secondo la medesima linea interpretativa si pone l’articolo 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente il quale, pur non applicandosi, ratione temporis, alla fattispecie in esame Decreto Legislativo n. 128 del 2015, ex articolo 1, comma 5, recepisce le antecedenti fonti comunitarie e nazionali. Infatti, il Decreto Legislativo n. 128 del 2015, in attuazione della L. n. 23 del 2014, articolo 5, ha attuato la revisione delle disposizioni antielusive per coordinarle con il principio generale del divieto dell’abuso del diritto e con il contenuto della Raccomandazione della Commissione Europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n” 2012/772/U(2 del 6.12.2012. Con tale provvedimento la Commissione ha raccomandato agli Stati membri UE l’adozione una norma generale di contrasto dell’abuso, applicabile sia ai rapporti nazionali sia a quelli transnazionali, avente ad oggetto la sostanza economica delle operazioni realizzate e rilevanti a fini tributari oltre le costruzioni giuridiche di puro artificio.

19. A conforto della decisiva rilevanza dell’analisi complessiva del significato economico dell’operazione posta in essere, vi e’ la giurisprudenza della Corte di Giustizia la quale, con sentenza 30 maggio 2013, causa C-651/11, da un lato ha escluso che possa dare luogo di per se’ al trasferimento di una universalita’ di beni agli effetti dell’IVA e, quindi, ad una cessione di azienda “la cessione del 30 per cento delle azioni di una societa’, alla quale il cedente fornisce servizi soggetti ad IVA”, anche “a prescindere dal fatto che gli altri azionisti cedano in pratica simultaneamente alla stessa persona le restanti azioni di tale societa’ e che siffatta cessione sia strettamente legata alle attivita’ direzionali svolte per la medesima societa’”. Infatti, e’ necessario distinguere in rapporto al caso concreto: “il trasferimento di azioni di una societa’ puo’, a prescindere dall’entita’ delle quote, essere assimilato al trasferimento di un’universalita’ totale o parziale di beni ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 8, della sesta direttiva, soltanto se la partecipazione fa parte di un’unita’ indipendente che consente l’esercizio di un’attivita’ economica autonoma e se detta attivita’ e’ proseguita dall’acquirente.”.

Significative sono anche le Conclusioni – mutatis mutandis – dell’Avv. Gen. 3. Kokott nella Causa C-502/17, C&D Foods Acquisition ApS, 6 settembre 2018, pp. 42, 51 secondo le quali “42. Non sempre una concreta operazione a valle puo’ essere distinta dalle restanti operazioni che rappresentano l’attivita’ economica complessiva del soggetto passivo. Tuttavia, se cio’ fosse possibile, deve anzitutto essere esaminato il nesso diretto e immediato con questa determinata operazione.

52. “Solo per il caso (…) in cui il giudice del rinvio non possa accertare un nesso diretto e immediato con le operazioni esenti risultanti dalla prevista vendita di azioni, sara’ necessario esaminare il nesso con il complesso dell’attivita’ economica. “.

Dunque, se non e’ evincibile una concreta autonomia delle singole operazioni che giustifichi la loro distinzione giuridic:a, e’ necessario fare riferimento al complessivo significato economico dell’operazione posta in essere dal contribuente, e cio’ vale anche per la sua identificazione in condotta abusiva o meno.

20. Alla luce di quanto precede, il sesto, nono e dodicesimo motivo sono inammissibili, in presenza di preciso accertamento fattuale della CTR, non revocabile in dubbio in questa sede in quanto sorretto da logica argomentazione espressa dal giudice del merito, secondo il quale l’operazione di scissione proporzionale del ramo immobiliare e successive cessioni di partecipazioni tra i soci della scissa e della beneficiaria ha consentito al (OMISSIS) di aggirare le disposizioni che disciplinano l’assegnazione dei beni ai soci, dovendosi fare riferimento ai fini tributari al risultati economici concreti realizzati attraverso l’operazione posta in essere.

Infatti, nel caso in esame la CTR ha ritenuto (cfr. p.5 della sentenza impugnata, p.3 della parte motiva) “provato in atti che i contribuenti hanno aggirato obblighi e divieti previsti dall’ordinamento tributario, ottenendo una indebita deduzione d’imposta senza una valida ragione economica per la realizzazione delle operazioni poste in essere in un lungo arco di tempo ma tutte finalizzate alla liquidazione del socio (OMISSIS) attraverso l’assegnazione degli immobili di Via Austria” e cioe’ le operazioni di “scissione del ramo immobiliare dalla societa’ (OMISSIS) SPA alla (OMISSIS) SRL, riacquisto di una parte degli immobili da parte di (OMISSIS) SPA e concessione degli immobili in comodato alla (OMISSIS) SpA che cosi’ torna nella piena disponibilita’ originaria, cessione delle quote di partecipazione nella (OMISSIS) SpA al (OMISSIS) e contemporanea cessione della quota in (OMISSIS) Spa di (OMISSIS)”. In particolare, la CTR ritiene (cfr. p.6 della sentenza impugnata, p.4 della parte motiva) “dirimente ai fini della decisione (…) il rinvenimento in sede di accesso da parte dell’Ufficio di un accordo datato 02/08/2007 tra gli altri soci di (OMISSIS) SPA e (OMISSIS) per trasferire la proprieta’ degli immobili a favore della persona fisica (OMISSIS), come risulta al Capo Primo, punto 6) dell’accordo con il quale il (OMISSIS) rinuncia a tutti i diritti e si libera da ogni onere e responsabilita’, come chiara manifestazione di fuoriuscita dalla compagine sociale liberamente d’accordo e non a seguito di insanabili contrasti”. Di conseguenza, “le operazioni di scissione parziale, di riacquisto degli immobili e di scambio delle quote di partecipazione unitariamente considerate, unitamente all’accordo segreto sottoscritto tra il socio (OMISSIS) (OMISSIS) e gli altri soci (OMISSIS), non” sono “dirette al raggiungimento di un miglior riassetto societario e la divisione del patrimonio immobiliare dall’attivita’ industriale ma piuttosto operazioni finalizzate a permettere la fuoriuscita di (OMISSIS) dalla (OMISSIS) mediante assegnazione degli immobili di Modena evitando l’emersione di una cospicua plusvalenza, una tassazione di maggior reddito di capitale e di assoggettare l’operazione ad IVA”.

21. La CTR ha cosi’ motivatamente statuito che le operazioni di scissione parziale proporzionale del ramo di azienda immobiliare di (OMISSIS) e le successive cessioni di partecipazioni poste in essere fra i soci avrebbero consentito un risparmio d’imposta tanto a (OMISSIS) in quanto tale societa’ ha trasferito a (OMISSIS) gli immobili in regime di neutralita’ fiscale, quanto al (OMISSIS) per l fatto che costui ha venduto la quota di partecipazione posseduta nella societa’ scissa, realizzando una plusvalenza invece che redditi di capitale. Il giudice d’appello ha pertanto concluso nel senso che tali risparmi d’imposta sono indebiti per il fatto che i contribuenti avrebbero potuto raggiungere il medesimo risultato tramite di un’operazione lineare di recesso del (OMISSIS) dalla compagine sociale di (OMISSIS) mediante assegnazione dei due immobili di Modena in contropartita della liquidazione della sua quota di partecipazione, senza dare prova della sussistenza di valide ragioni economiche, diverse dal risparmio di imposta, per la scelta della complessa serie di operazioni poste in essere.

Ritenuta dalla CTR integrata la fattispecie della condotta abusiva, sulla base dell’accertamento fattuale sorretto dall’articolato iter argomentativo di cui si e’ dato conto, doverosamente le operazioni sono state riconosciute non opponibili all’Amministrazione finanziaria, con conferma del disconoscimento dei vantaggi fiscali ritenuti indebiti e recupero delle imposte.

22. E’ infondato il settimo motivo, articolato sul presupposto che lo scopo di conseguire un indebito risparmio di imposta debba sussistere fin dall’origine, e non possa essere sopravvenuto.

Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37 bis, applicabile alla fattispecie ratione temporis in quanto in vigore dal 01/01/2008 al 02/09/2015, ai suoi primi tre commi, per la parte che qui interessa, recita: “1. Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.

2. L’amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all’amministrazione.

3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell’ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o piu’ delle seguenti operazioni:

a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili; (…) “.

In termini non dissimili, il Decreto Legislativo n. 128 del 2015, attuativo della L. n. 23 del 2014, articolo 5, non applicabile alla fattispecie ratione temporis ma di sicura valenza interpretativa per il suo recepimento di precedenti principi di diritto Eurounitari e nazionali, nell’unificare l’elusione e l’abuso del diritto, definisce la condotta abusiva all’articolo 10 bis dello Statuto del contribuente in: “Una o piu’ operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”.

23. Orbene, non vi e’ traccia nelle fonti di diritto sopra richiamate, ne’ nei principi giurisprudenziali di cui si dato conto, del fatto che abbia valore decisivo per la sussunzione della fattispecie concreta nella previsione normativa da ultimo citata il momento in cui e’ stato concepito o meno il disegno elusivo. Non va confusa la rilevanza sul piano tributario dell’abuso da quella sul piano penale, in particolare del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, relativo alla “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e 3 “Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, per integrare le quali e’ richiesto oltretutto un dolo specifico.

Sulla base della ricostruzione che precede, dev’essere pertanto affermato il principio secondo il quale:

“In materia tributaria, l’operazione economica che non trova giustificazione extrafiscale ed e’ diretta essenzialmente a conseguire un risparmio d’imposta costituisce “condotta abusiva” e la prova del disegno elusivo incombe sull’Agenzia delle Entrate, ma questa non si estende alla dimostrazione della necessaria preordinazione ex ante del compimento di tutti i negozi e i fatti giuridici che realizzano la fattispecie, ben potendo essere dirimente un accordo stipulato tra le parti che ricostruisce il collegamento teleologico tra tutte le singole operazioni, sia anteriori alla sua stipula e sia poste in essere successivamente. ”

In applicazione di tale principio di diritto e’ infondata la doglianza in disamina che lamenta la mancata dimostrazione da parte dell’Amministrazione della preordinazione suddetta.

24. L’ottavo e undicesimo motivo, che recano una censura motivazionale, per quanto assoluta, rispettivamente per motivazione manifestamente illogica e contraddittoria e per motivazione apparente non avendo la CTR spiegato perche’ non sarebbero valide le ragioni economiche addotte dai ricorrenti, sono inammissibili. Trova applicazione l’articolo 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, c.p.c., vertendosi in ipotesi di “doppia conforme”, non avendo i ricorrenti assolto al proprio onere di allegare la “diversita’” delle “ragioni di fatto” considerate dalla CTP e dalla CTR (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016, Rv. 643244 – 03), disposto che trova applicazione all9 sentenze emesse dall’H settembre 2012 e alle impugnazioni proposte dalla stessa data e, dunque, anche nel caso di specie.

25. Il decimo motivo e’ infondato in quanto sulla base dei principi di diritto che precedono il risparmio d’imposta e’ indebito se l’operazione economica posta in essere e’ priva di sostanza commerciale ed economica e produttiva di vantaggi fiscali, insegnamento al quale si e’ attenuta la CTR.

26. Il tredicesimo motivo – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1 n. 4 – lamenta la nullita’ della sentenza per violazione del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 36, e dell’articolo 132 c.p.c., in quanto la CTR ha omesso completamente di motivare il rigetto del motivo d’appello con cui il (OMISSIS) aveva contestato l’erronea determinazione da parte dell’ufficio del presunto maggior reddito imponibile accertabile a suo carico, nonche’ sulla violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articoli 47, 67 e 68, e della L. 28 dicembre 2001, n. 448, articolo 5, in quanto anche in fattispecie di recesso “tipico” al fine di determinare il reddito imponibile ai sensi dell’articolo 47 TUIR, comma 7, assume rilievo il costo delle partecipazioni rivalutato ai sensi della L. 28 dicembre 2001, n. 448, comma 5.

27. Con il quattordicesimo motivo – formulato in via subordinata al precedente ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – si prospetta la violazione e falsa applicazione degli articoli 47, 67, 68 TUIR, L. n. 448 del 2001, articolo 5, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37 bis, perche’ sia in caso di recesso tipico che in caso di recesso atipico ha rilievo il costo rivalutato delle partecipazioni, e di cio’ la CTR non ha tenuto conto.

28. Il tredicesimo motivo, inteso come diretto a far valere l’omessa pronuncia, e’ fondato, con assorbimento del quattordicesimo. Parte contribuente ha dimostrato di aver avanzato il profilo di censura in primo grado, sul presupposto denegato in via principale che venissero riconosciuti l’abuso del diritto e la fattispecie elusiva, e di averlo riproposto in appello (cfr. p.110 e 111 del ricorso) e se venisse accolta la tesi della parte il quantum delle riprese ne risulterebbe ridotto in presenza di una piu’ circoscritta base imponibile.

Al proposito, la Corte rammenta che il recesso “tipico” si invera per mezzo dell’annullamento e del rimborso della partecipazione detenuta e in tal caso le somme ricevute dal socio recedente, per la parte eccedente il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione medesima, costituiscono un utile che da luogo a redditi di capitale. Al contrario, nel caso di recesso “atipico”, il quale si attua attraverso la cessione a titolo oneroso della partecipazione agli altri soci ovvero a soggetti terzi estranei alla compagine sociale, le somme percepite dal socio rientrano – capita gain – tra i redditi diversi di natura finanziaria. In altri termini, nel caso di recesso atipico, le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci costituisc:ono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate.

29. Sul punto vi sono interpretazioni consolidate da parte dell’Agenzia delle Entrate, in primo luogo offerte dalla Circolare n. 10/2005 punto 6.7 che, per la parte che qui interessa, recita:

“A differenza del recesso atipico in cui si verifica la vera e propria cessione della partecipazione, nell’ipotesi di recesso tipico, che comporta l’annullamento delle azioni o quote, le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci costituiscono “utile” per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate e cio’ vale anche per la parte di tali eccedenze che derivano da riserve di capitale.

Pertanto, nel recesso tipico, trattandosi di ipotesi che da luogo a redditi di capitale, non si puo’ tener conto del costo “rideterminato” in luogo del prezzo pagato per le partecipazioni.”.

A conferma di tale indirizzo interpretativo, la Circolare n. 35/2004 par 2 pp.7-8, la quale riguarda il pagamento dell’imposta sostitutiva da parte dei contribuenti che intendono avvalersi della rideterminazione dei valori di acquisto delle partecipazioni e/o dei terreni, alla data del 1 luglio 2003, dispone:

“(…) nell’ipotesi di proventi percepiti per effetto del rimborso di partecipazioni o di altri investimenti aventi natura partecipativa, a seguito di recesso o esclusione del socio o della liquidazione della societa’ (v. articolo 47, comma 7, del TUIR) (…) il contribuente non puo’ avvalersi del valore rideterminato ai fini della determinazione del provento imponibile, trattandosi di fattispecie rientranti nell’ambito dei redditi di capitale (e, in particolare, di utili) e non ha diritto ad ottenere il rimborso dell’imposta versata. Il valore rideterminato, infatti, puo’ essere utilizzato esclusivamente in sede di determinazione dei redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis), del TUIR che non comprendono tra i presupposti di realizzo delle plusvalenze anche il rimborso di partecipazioni.”

30. La questione dunque sussiste nei termini posti da parte contribuente, e’ stata ritualmente posta all’attenzione del giudice d’appello, e non puo’ considerarsi un mero elemento discorsivo nell’ambito della piu’ ampia prospettazione difensiva della parte, sulla base della sua stessa interpretazione delle previsioni di legge richiamate offerta dall’Agenzia. Non puo’ inoltre essere rinvenuta alcuna decisione implicita, trattandosi di autonoma questione di merito involgente il calcolo della base imponibile in linea via subordinata e alternativa alla difesa svolta da parte contribuente circa l’abuso del diritto/fattispecie elusiva. L’omessa pronuncia da parte della CTR comporta l’accoglirnento del tredicesimo motivo, assorbito il quattordicesimo, essendo necessario un accertamento in fatto da parte del giudice del giudizio prosecutorio circa la natura tipica o atipica del recesso, ai fini del calcolo della base imponibile.

31. Il quindicesimo motivo, relativo alle sanzioni, e’ infondato, in diretta conseguenza del riconoscimento della natura elusiva della fattispecie e dell’abuso del diritto posto in essere con la condotta contestata. Il ricorso, depositato nel 2017, non tiene conto della Consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. in particolare la Sentenza della Grande Sezione del 21 febbraio 2006, Halifax, nella Causa C255/02) e della Corte di Cassazione, secondo cui in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio trova fondamento nei principi costituzionali di capacita’ contributiva e di progressivita’ dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensi’ nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilita’ del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione Sez. U, Sentenza n. 30055 del 23/12/2008, Rv. 605850 – 01).

32. In conclusione, accolto il tredicesimo motivo, assorbito il quattordicesimo e rigettati i restanti, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia Tributaria di secondo grado di Bologna, in diversa composizione, in relazione al profilo, oltre che per la liquidazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara l’inammissibilita’ del controricorso dell’Agenzia delle Entrate;

accoglie il 13 motivo di ricorso, assorbito il quattordicesimo, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia di secondo grado dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, in relazione al profilo oltre che per la liquidazione delle spese di lite.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.