Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facolta’ dei proprietari delle unita’ singole di adibire il loro immobile a determinate destinazioni, costituiscono servitu’ reciproche a favore e contro ciascuna unita’ immobiliare di proprieta’ individuale, e sono soggette, pertanto, ai fini dell’opponibilita’ ultra partes, alla trascrizione in base all’articolo 2643 c.c., n. 4, e articolo 2659 c.c., comma 1, n. 2.

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Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Sentenza|9 agosto 2022| n. 24526

Data udienza 4 luglio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19761/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS));

– controricorrenti –

e contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS));

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 616/2017 depositata il 18/05/2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/07/2022 dal Consigliere FELICE MANNA.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari di appartamenti facenti parte del condominio sito in (OMISSIS), convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Trani, sezione distaccata di Barletta, (OMISSIS), proprietario di parte del piano terra e di quello cantinato, affinche’ fosse condannato a cessare l’attivita’ di pasticceria e di relativo laboratorio artigianale ivi esercitata, nonche’ a rimuovere le opere connesse. In particolare – e limitatamente a quanto ancora forma oggetto del ricorso per cassazione – gli attori deducevano che tale attivita’, di tipo artigianale, non era ammessa dall’articolo 20 del regolamento di condominio, il quale vietava di adibire gli appartamenti e i locali di proprieta’ esclusiva ad uso (tra altri vietati) artigianale. Lamentavano, inoltre, che convenuto aveva: a) trasformato l’atrio scoperto di pertinenza del locale a piano terra, destinato a parcheggio, in un vano adibito a laboratorio, con presenza di macchinari; b) apposto una canna fumaria sulla facciata del fabbricato, asservendola cosi’ alla sua proprieta’ individuale; c) occupato una parte della corsia di manovra dei box auto con ciclomotori e utensili di pasticceria ed abbassato la volta dei box, per allocarvi ulteriori tubazioni per espellere i fumi di produzione dell’attivita’; d) apposto un cancello antistante la serranda del box di sua proprieta’, all’interno del quale aveva installato, altresi’, i macchinari produttivi dei fumi immessi nella predetta corsia dei box; e) messo in comunicazione il piano terra con quello cantinato, attraverso la realizzazione di una scala interna e una copertura nel solaio del piano terra, mettendo a rischio la stabilita’ dell’edificio. In subordine, per l’ipotesi di rigetto, chiedevano che fossero rideterminate le tabelle millesimali in ragione delle trasformazioni realizzate dal (OMISSIS); e a tal fine era disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini, (OMISSIS) e (OMISSIS), che restavano contumaci.

Nel resistere in giudizio il convenuto contestava che l’articolo 20 del regolamento condominiale vietasse di adibire le proprieta’ individuali ad attivita’ artigianali, e negava la dedotta illegittimita’ delle opere che aveva realizzato.

Il Tribunale accoglieva la domanda principale.

L’appello di (OMISSIS) era respinto dalla Corte distrettuale di Bari, con sentenza n. 616/17. Detta Corte osservava che il richiamo all’articolo 1138 c.c., u.c., contenuto nel primo motivo, col quale l’appellante aveva dedotto che il regolamento condominiale non puo’ porre limiti alle unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva, non era pertinente al caso di specie, riferendosi al divieto di possedere o detenere animali domestici; che era infondata la doglianza di violazione dell’articolo 1138 c.c., comma 4, sull’interpretazione del regolamento condominiale, atteso che quest’ultimo aveva natura contrattuale e che tra gli usi vietati nelle unita’ immobiliari di proprieta’ individuale erano chiaramente ed espressamente indicati l’esercizio di negozi e di attivita’ artigianali; che, di riflesso, il (OMISSIS), oltre a dover cessare la propria attivita’, doveva rimuovere anche tutte le opere realizzate, perche’ funzionali a tale esercizio; che, invece, quanto all’occupazione delle corsie di manovra per il parcheggio dei ciclomotori, la rimozione doveva essere disposta per la violazione dell’articolo 8 del regolamento condominiale, che rimetteva all’assemblea e all’amministratore del condominio il potere di autorizzarne l’occupazione temporanea, sempre che cio’ non impedisse agli altri partecipanti di farne parimenti uso.

Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) propone ricorso, affidato a sei motivi.

Resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

(OMISSIS) e (OMISSIS) sono rimasti intimati.

Il ricorso e’ stato trattato in pubblica udienza secondo le modalita’ di cui al Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 bis, convertito in L. n. 176 del 2020, la cui applicazione e’ stata prolungata fino al 31.12.2021 dal Decreto Legge n. 105 del 2021, articolo 7, comma 1, convertito in L. n. 126 del 2021.

I controricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso espone la violazione dell’articolo 1138 c.c., comma 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Parte ricorrente premette che il primo motivo d’appello conteneva un evidente errore materiale nell’indicare come violato l’ultimo, invece dell’articolo 1138 c.c., comma 4, e che l’errata individuazione della norma violata non e’ causa ne’ d’inammissibilita’ ne’ d’infondatezza del motivo. Quindi, rettamente ricondotta all’articolo 1138 c.c., comma 4, la doglianza con cui aveva dedotto in appello l’illegittimita’ delle limitazioni imposte dall’articolo 20 del regolamento condominiale alle proprieta’ individuali, ribadisce che il Tribunale avrebbe dovuto disapplicare tale previsione regolamentare.

2. – Il secondo mezzo denuncia l’omessa pronuncia, in violazione dell’articolo 112 c.p.c., ed in rapporto all’articolo 360 c.p.c., n. 4, del secondo motivo d’appello, atteso che la sentenza impugnata non ha in alcun modo valutato la dedotta, in allora, violazione del canone ermeneutico dell’articolo 1362 c.c., la cui corretta applicazione avrebbe evidenziato che il regolamento disciplinava soltanto l’uso delle parti comuni, non anche quello delle proprieta’ individuali. E chiede, quindi, che sul relativo motivo d’impugnazione si pronunci questa Corte, “non avendolo fatto la Corte di Appello”.

3. – Analogamente il terzo mezzo di ricorso, col quale parte ricorrente si duole dell’omessa pronuncia sul terzo motivo d’appello, inteso ad evidenziare che l’articolo 20 del regolamento condominiale, nel vietare di adibire l’appartamento o il locale di proprieta’ singola ad un uso diverso dall’abitazione o studio, viola apertamente l’articolo 1138 c.c., comma 4, in base al quale le norme del regolamento contrattuale non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti d’acquisto, sicche’ il regolamento, nella specie, rimettendo all’assemblea il potere di consentire usi diversi, sembrerebbe avere natura non contrattuale ma assembleare.

4. – Col quarto motivo e’ denunciata la violazione dell’articolo 1138 c.c., comma 4, in relazione al n. 3 dell’articolo 360 c.p.c.. Parte ricorrente nega che l’articolo 20, del regolamento condominiale si riferisca o si possa riferire, senza violare la ridetta norma, all’uso artigianale, locuzione generica e indeterminata che non sarebbe espressiva di una volonta’ chiaramente manifestata. A confutazione, poi, del potere di porre un siffatto divieto, parte ricorrente ricorrente invoca l’applicazione del precedente n. 21024/16 di questa Corte, secondo cui la previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprieta’ esclusive, incidendo non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino, va ricondotta alla categoria delle servitu’ atipiche e non delle obbligazioni propter rem, difettando il presupposto dell’agere necesse nel soddisfacimento d’un corrispondente interesse creditorio; ne consegue che l’opponibilita’ di tali limiti ai terzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitu’ e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l’indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, ex articolo 2659 c.c., comma 1, n. 2, e articolo 2665 c.c., non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale. Nella specie, soggiunge parte ricorrente, non risultano essere stati mai trascritti i limiti imposti dal regolamento alle proprieta’ singole.

5. – Col quinto motivo e’ dedotta la violazione dell’articolo 41 Cost., sempre in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, perche’ la sentenza impugnata incide, vietandola, su di un’attivita’ economica intrapresa dal ricorrente sin dal 1991, senza una sola ragione che lo giustifichi.

6. – Il sesto mezzo allega la violazione degli articoli 1102 e 1362 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. La dedotta fondatezza dei precedenti motivi, si afferma, vale a confutare le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata per derivare l’illegittimita’ delle opere realizzate dal (OMISSIS), e cioe’: a) la tettoia che chiude lo spazio antistante il fondo al primo piano per adibirlo a ricovero degli attrezzi; b) la collocazione della canna fumaria; c) il manufatto attraverso il quale e’ stata ribassata la volta del piano cantinato; d) il cancello apposto a chiusura del box di proprieta’ (OMISSIS). Aggiunge parte ricorrente che ai sensi dell’articolo 1102 c.c., e della relativa giurisprudenza di legittimita’ e’ legittimo l’uso piu’ intenso della cosa comune, purche’ nel rispetto del godimento effettivo o potenziale degli altri comproprietari, godimento che nel caso in esame non e’ provato sia stato impedito.

5. – I primi tre mezzi di ricorso – da esaminare congiuntamente perche’ complementari e parzialmente ripetitivi – aggrediscono sotto profili interagenti (violazione di legge ed omessa pronuncia) la sentenza impugnata, nella parte in cui questa avrebbe mancato di statuire sulla dedotta violazione o falsa applicazione dell’articolo 1138 c.c..

Essi sono infondati.

Nonostante la mancata rilevazione dell’evidente errore materiale in cui era incorsa parte appellante nel formulare il primo motivo di gravame, li’ dove era denunciata la violazione dell’ultimo, invece dell’articolo 1138 c.c., comma 4, la Corte distrettuale ha poi provveduto sulla vera critica svolta, pronunciandosi chiaramente sul secondo motivo d’appello, che la violazione di tale comma 4 pure aveva denunciato. E a tal riguardo ha affermato che il regolamento del condominio di via (OMISSIS) “ha natura contrattuale e da cio’ deriva la piena vincolativita’ delle limitazioni all’uso della parti comuni e delle parti in proprieta’ esclusiva in esso contenute”, tra le cui limitazioni, esplicito – ha ritenuto la Corte territoriale – il riferimento alle attivita’ artigianali, quale, appunto, quella svolta dal (OMISSIS).

6. – L’anzidetta affermazione di diritto e’ oggetto, invece, del quarto mezzo di ricorso, il cui nucleo, compendiato nel richiamo alle pronunce nn. 21024/16, 3002/10, 10523/03 e 1560/95 di questa Corte Suprema, risiede essenzialmente nella negazione che il regolamento condominiale, il quale vieti determinate destinazioni degli immobili di proprieta’ singola, attribuendo all’assemblea il potere di consentirne la deroga, abbia effettiva natura contrattuale, e nella conseguente postulazione che tali divieti possono operare solo se risultanti da una volonta’ espressamente e chiaramente manifestata in forma contrattuale e da un atto debitamente trascritto.

6.1 – Nei termini che seguono, il motivo e’ fondato.

6.1.1. – Preliminarmente va rilevata l’infondatezza dell’assunto di parte controricorrente, secondo cui tale mezzo sarebbe inammissibile, in quanto l’odierno ricorrente nel giudizio di primo grado non avrebbe mosso censure in merito alla validita’ ed efficacia del regolamento condominiale; assunto, questo, ribadito e ampliato nella memoria di detta parte, ove si sostiene essersi formato un giudicato interno sulla relativa questione.

Premesso che validita’ ed efficacia delle clausole del regolamento condominiale di cui si discute attengono agli elementi costitutivi del diritto oggetto della domanda giudiziale, e che, dunque, la loro negazione integra una mera difesa, come tale non soggetta a preclusioni di sorta; cio’ premesso, va osservato che la contestazione della validita’ di tali clausole, siccome poste in violazione dell’articolo 1138 c.c., comma 4, era oggetto del secondo motivo d’appello, per cui non e’ configurabile nessun (benche’ implicito) giudicato interno.

6.2. – In base all’articolo 1138 c.c., il regolamento di condominio contiene le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonche’ le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione (comma 1). Esso deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dall’articolo 1136 c.c., comma 2, ed allegato al registro indicato dall’articolo 1130 c.c., n. 7), e puo’ essere impugnato a norma dell’articolo 1107 c.c. (comma 3). Inoltre, le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti d’acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni dell’articolo 1118 c.c., comma 2, articoli 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c. (comma 4).

Non di meno, e’ evidenza ricorrente nella pratica giudiziaria che i regolamenti, ove formatisi con tecnica contrattuale, oltre a regolare l’uso delle parti comuni contengano sovente apposite clausole limitative dei diritti di ciascun condomino sulla porzione di sua proprieta’ esclusiva. Si tratta, per lo piu’, di divieti di fruizione economica o di destinazione diretta ad attivita’ (produttive, ludiche, sanitarie ecc.) potenzialmente idonee ad arrecare disturbo alla primaria modalita’ di godimento abitativa.

La giurisprudenza di questa Corte e’ costante, innanzi tutto, nell’affermare che i divieti ed i limiti di destinazione alle facolta’ di godimento dei condomini sulle unita’ immobiliari in proprieta’ esclusiva devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l’individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l’ambito delle limitazioni imposte alla proprieta’ individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti (cfr. n. 21307/16, la quale ha cassato la decisione impugnata che, dalla presenza di una clausola del regolamento di condominio espressamente limitativa della destinazione d’uso dei soli locali cantinati e terranei a specifiche attivita’ non abitative, aveva tratto l’esistenza di un vincolo implicito di destinazione, a carattere esclusivamente abitativo, per gli appartamenti sovrastanti, uno dei quali era stato invece adibito a ristorante-pizzeria, mediante scala di collegamento interna ad un vano ubicato al piano terra; v. in senso conforme, nn. 19229/14 e 9564/97).

Il relativo accertamento e’ rimesso al giudice di merito, implicando una caratteristica valutazione di fatto. Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che la previsione dell’articolo 20 del regolamento condominiale includa, tra le attivita’ artigianali, anche quella di pasticceria, con apprezzamento non efficacemente contrastato, perche’ la critica che parte ricorrente vi oppone e’ del tutto disgiunta dalla dimostrazione del malgoverno delle regole che presiedono all’attivita’ ermeneutica contrattuale.

Si pone, pertanto, la questione, sollecitata dal motivo, inerente al potere di stabilire il predetto limite alla destinazione di un fondo di proprieta’ individuale.

6.2. – Le limitazioni all’uso delle parti di proprieta’ individuale non formano oggetto del potere regolamentare, cosi’ come (pre)costituito dall’articolo 1138 c.c., comma 1. Ove, non di meno, siano contenute in un regolamento di condominio, esse in tanto sono efficaci in quanto siano espressione dell’accordo di tutti i condomini, il che chiama in causa cio’ che si intende con il sintagma “regolamento contrattuale”.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito ormai da tempo che le clausole dei regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unita’ immobiliari, nonche’ quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprieta’ esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare. Ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall’unanimita’ dei condomini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall’articolo 1136 c.c., comma 2 (S.U. n. 943/99).

Di riflesso, la necessita’ della forma scritta, che limitatamente alle clausole del regolamento aventi natura contrattuale, e’ imposta dalla circostanza che queste incidono sui diritti immobiliari dei condomini sulle loro proprieta’ esclusive o sulle parti comuni oppure attribuiscono a taluni condomini diritti di quella natura maggiori di quelli degli altri condomini (v. S.U. n. 943/99; conformi, nn. 5626/02 e 24146/04).

Il fatto che la medesima tecnica contrattuale (scilicet, il rinvio al regolamento predisposto dal costruttore contenuto nei singoli contratti di trasferimento delle unita’ singole) sia impiegata per dar vita a un regolamento che contenga tanto le previsioni sull’uso delle cose comuni, quanto eventuali limitazioni incidenti sulle proprieta’ individuali, non significa che tutto cio’ che il regolamento stesso contenga sia, per cio’ solo e ad ogni effetto, di natura contrattuale. Al contrario, dove c’e’ disposizione regolamentare, nell’accezione propria del termine ai sensi dell’articolo 1138 c.c., comma 1, non c’e’ contratto o convenzione, come si desume dall’articolo 1138 c.c., comma 4, e viceversa.

Non puo’ che condividersi, allora, quanto affermato da autorevole dottrina, secondo cui il regolamento condominiale contrattuale puramente e semplicemente non esiste se non come formula verbale riferita ad una delle due possibili tecniche di formazione, piuttosto che alla sua natura. Per quanto d’uso giurisprudenziale corrente in materia, l’espressione “regolamento contrattuale”, se presa alla lettera, costituisce quasi un ossimoro e si presta, quindi, ad un facile equivoco. Questo consiste nel non considerare che il regolamento, ove disciplini anche altro che non sia l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese in maniera conforme ai criteri di cui all’articolo 1123 c.c. e ss., e’ in parte qua un contratto e non un regolamento, quale che sia la sua modalita’ di formazione, e cioe’ ad opera del costruttore e con riproduzione negli atti di vendita delle unita’ singole oppure in base all’accordo specifico, consapevole e totalitario dei condomini tutti riuniti in assemblea. Ed essendo un contratto, esso deve corrispondere ad una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che si traduce in una relatio perfecta attuata mediante l’inserimento, all’interno dell’atto d’acquisto dell’unita’ immobiliare individuale, delle parti del regolamento aventi natura negoziale ed effetto limitativo della proprieta’ singola, non bastando, per contro, il solo rinvio al regolamento stesso.

Nel suddetto equivoco e’ incorsa in pieno la Corte barese, allorche’ ha condensato la decisione nell’assunto per cui dalla natura contrattuale del regolamento “deriva la piena vincolativita’ delle limitazioni all’uso delle parti comuni e delle parti in proprieta’ esclusiva in esso contenute” (v. pag. 3), senza curarsi di accertare se nel titolo d’acquisto dell’odierno ricorrente siffatte limitazioni alla destinazione dell’unita’ immobiliare siano state effettivamente riprodotte, e non gia’ semplicemente desumibili dal mero rinvio al regolamento che materialmente le contiene.

Tale affermazione della sentenza impugnata, oltre a violare l’articolo 1138 c.c., comma 4, dando per automatico e presupposto l’effetto limitativo della proprieta’ singola in virtu’ della sola tecnica contrattuale di formazione del regolamento che tale limitazione racchiude, ha generato di riflesso una carente verifica del contenuto del titolo da cui proviene la proprieta’ (OMISSIS), nel senso che la Corte territoriale non ha accertato se questo contenga un mero rinvio al regolamento condominiale o se riproduca espressamente le clausole limitative della proprieta’ singola.

6.2.1. – Questo il principio di diritto ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 1:

“Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facolta’ dei proprietari delle unita’ singole di adibire il proprio immobile a determinate destinazioni, hanno natura contrattuale e, pertanto, ad esse deve corrispondere una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che consiste in una relatio perfecta attuata mediante la riproduzione delle suddette clausole all’interno dell’atto d’acquisto della proprieta’ individuale, non essendo sufficiente, per contro, il mero rinvio al regolamento stesso”.

6.3. – Dalla sentenza impugnata non e’ dato desumere, inoltre, se l’odierno ricorrente abbia acquistato il proprio immobile dal costruttore o da un precedente condomino. Cio’ e’ rilevante in quanto, in tale sola ultima ipotesi, e’ necessario che le limitazioni di cui si discute, ove non espressamente contenute nell’atto stesso di vendita, risultino trascritte contro detta proprieta’ in data anteriore all’acquisto fattone dal (OMISSIS). Ed in tal caso non e’ indispensabile la loro riproduzione nel contratto stesso.

La necessita’ di tale accertamento scaturisce dal principio della relativita’ degli effetti negoziali, ai sensi dell’articolo 1372 cpv. c.c.. Principio che ha posto in giurisprudenza la questione del se e del come, in ambito condominiale, si possa predicare un’efficacia ultra partes delle clausole che limitino l’uso o la destinazione delle proprieta’ individuali.

La giurisprudenza di questa C.S. ha espresso nel tempo opinioni divergenti, avendole ricondotte a tre diverse categorie giuridiche: onere reale, obligatio propter rem o servitu’.

6.3.1. – La prima opzione e’, ad un tempo, la piu’ difficile da dimostrare e la piu’ risalente nel tempo.

Piu’ difficile da dimostrare, per l’assenza di una precisa definizione normativa e per il limitato contributo della scienza giuridica, che per lo piu’ si e’ interrogata, in passato, sulla possibilita’ che nel nostro ordinamento fossero ancora riproducibili oneri reali per iniziativa privata.

Piu’ risalente nel tempo, perche’ formulata la prima volta in una sentenza di questa Corte del 21.3.1927, in base alla quale “le limitazioni convenzionali reciproche di proprieta’ stabilite fra proprietari di fondi in rapporto agli edifici che possono costruirsi sui fondi stessi, pur non costituendo servitu’, vincolano, quando siano regolarmente trascritte, gli eredi e gli aventi causa dei contraenti”. Tale decisione (che tutto sommato non andava oltre una scelta di tipo terminologico) genero’ una giurisprudenza conforme che, contraria la dottrina unanime, tenne banco fino agli inizi degli anni âââEurošÂ¬Ã‹Å”50 del secolo scorso, allorche’ fu progressivamente abbandonata a favore della tesi della tipicita’ degli oneri reali e delle obligationes proptem rem, gli uni e le altre ammissibili solo nei casi previsti dalla legge (cfr. nn. 596/58, 3982/57 e 141/51). Non di meno, e non senza un’interna contraddizione logico-giuridica, l’idea che le limitazioni in oggetto siano, o meglio possano qualificarsi come oneri reali e’ sopravvissuta fino ai giorni nostri, espressa, sia pure in maniera tralaticia, in alcune pronunce di questa Corte, che quasi mai, pero’, ha espressamente e chiaramente preso partito a favore di tale ipotesi.

Cosi’ nell’ordinanza n. 5336/17 si accenna agli oneri reali, nel senso che le limitazioni in oggetto sono alternativamente ricondotte a tale categoria, ad obbligazioni ob rem o a servitu’ al solo scopo di ritenere invalide le clausole che, con formulazione del tutto generica e inidonea, peraltro, a superare la presunzione ex articolo 1117 c.c., limitino il diritto dei condomini di usare, godere o disporre dei beni condominiali, riservando all’originario proprietario l’insindacabile diritto di apportare modifiche alle parti comuni, con conseguente intrasmissibilita’ di tale facolta’ ai successivi acquirenti.

Allo stesso modo, anche la sentenza n. 4920/06, avente ad oggetto una clausola del regolamento condominiale limitativa degli usi delle proprieta’ singole, pone in alternativa tra loro servitu’ reciproche e gli oneri reali, ma solo per trarne le conseguenze sulla partecipazione al giudizio del proprietario oltre che del conduttore (peraltro enunciata mediante il semplice richiamo a giurisprudenza anteriore).

Pure la sentenza n. 18665/04 accenna all’alternativa tra servitu’ e oneri reali, ma solo per esigere nell’un caso come nell’altro il requisito di forma scritta ad substantiam.

Ancora, la decisione n. 5626/02 (conformi le nn. 24146/04 e 17694/07) parla delle clausole dei regolamenti che limitino i diritti dei condomini sulle proprieta’ esclusive o comuni, ma in effetti si riferisce solo a quest’ultima ipotesi, come di clausole costitutive di oneri reali o di servitu’ prediali, da trascrivere nei registri immobiliari della conservatoria per l’opponibilita’ ai terzi. Ed anche in tal caso senza optare per l’una o l’altra soluzione, non richiedendolo l’oggetto del decidere.

Bisogna risalire alla sentenza n. 11684/00 per una meditata presa di posizione sulle varie ipotesi, li’ dove questa C.S. ha sostenuto che la previsione da parte del regolamento condominiale di un peso a carico di una proprieta’ singola e a favore di altre unita’ immobiliari condominiali integra una servitu’, l’imposizione di prestazioni positive a carico di alcuni condomini e a favore di altri soggetti, condomini o meno, e’ un onere reale e la limitazione del godimento o dell’esercizio del diritto del proprietario singolo, quale il divieto di esercitare nell’immobile determinate attivita’, un’obligatio propter rem. E va notato, indipendentemente poi dalla soluzione accolta, che l’ipotesi dell’onere reale e’ esattamente esclusa in quanto quest’ultimo ha ad oggetto una prestazione periodica e positiva, cioe’ di dare o di facere (ma prevalentemente di dare).

Scarso peso specifico va attribuito, invece, alla sentenza n. 4509/97, massimata nel senso che le limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprieta’, costituiscono oneri reali, poiche’ tale massima riproduce, in realta’, un mero obiter dictum contenuto nella motivazione, in quanto la pronuncia si basa su tutt’altra ratio decidendi.

Sempre alla categoria degli oneri reali si rifa’ la sentenza n. 11019/91, che qualifica tali le limitazioni ai poteri e alle facolta’ che i singoli condomini hanno sulle parti di proprieta’ esclusiva, al fine di garantire il miglior godimento del bene altrui o comune, con riguardo specifico ai posti macchina di proprieta’ esclusiva e al correlato divieto di recintarli. Si legge nella motivazione di tale sentenza che la tesi per cui non sarebbe possibile in base ad un contratto prevedere delle limitazioni alle facolta’ dei condomini sulla parti di loro proprieta’ esclusiva “trova ostacolo in precise ragioni di diritto acquisito alla esperienza giurisprudenziale, che in virtu’ dell’esigenza di non negare il riconoscimento a situazioni giuridiche create dalla libera volonta’ delle parti, al di fuori degli schemi tipici e tradizionali dei diritti reali ha riconosciuto all’autonomia privata la facolta’ di imprimere sulla proprieta’ immobiliare, mediante convenzione, degli oneri che incorporandosi in essa la accompagnano nei successivi trasferimenti anche a titolo particolare. Le ragioni di fondo di tale orientamento, in particolare nell’ambito condominiale che qui specialmente interessa, via via precisatosi, anche alla luce della direttiva costituzionale che in tema di proprieta’ afferma la funzione sociale di essa, trovano supporto nell’ovvia premessa che il diritto di proprieta’ e’ suscettibile di compressione (ex lege o ex contractu), talche’ quando le parti pongono limitazioni ai poteri e alle facolta’ che i singoli condomini hanno iure proprietatis sulle loro parti esclusive, tali obbligazioni sono obbligatorie ed hanno il carattere di oneri reali, in quanto stabilmente ed oggettivamente dirette ad una migliore utilizzazione collettiva dell’edificio”.

Tale breve excursus giurisprudenziale dimostra come il collegamento tra onere reale e limitazione alle facolta’ di godimento delle proprieta’ singole in ambito condominiale si basi (eccettuato il caso della sentenza n. 11684/00) su proposizioni sostanzialmente apodittiche. Il cui torto risiede nel non detto, vale a dire nel dare per scontato che una tale limitazione, per il fatto di costituire un peso e di inerire ad un fondo, appartenga alla suddetta categoria piu’ che altro per esclusione, non potendosi dare servitu’ in assenza di un dato fondo dominante.

Ma tale conclusione non pare condivisibile, sia perche’ le servitu’ possono essere reciproche (e dunque l’argomento inespresso non ha pregio), sia perche’ l’onere reale (in disparte la sua origine remota e la sua funzione primigenia) ha una diversa struttura, irriducibile alla situazione indagata.

L’onere reale, infatti, (i) consiste in un’obbligazione periodica di dare o di facere (ma in realta’ gli unici casi censiti e censibili prevedono solo un dare, ben dubbie essendo altre ipotesi quali l’articolo 960 c.c., comma 1, e articolo 981 c.c., comma 1) in favore del proprietario di un altro fondo o del medesimo fondo (ove il proprietario sia diverso dal possessore oblato), giustificata dal vantaggio che al soggetto obbligato deriva dal possedere un bene altrui ovvero dalla necessita’ di compensare il dominio concorrente sul bene stesso o altre prestazioni del creditore che arrecano utilita’ al fondo; (ii) in caso di mancato pagamento il relativo credito e’ assistito dalla garanzia reale sul medesimo bene onerato; (iii) si estingue mediante il c.d. abbandono liberatorio; e, infine, (iv) pacificamente puo’ essere previsto solo dalla legge o nei casi da quest’ultima consentiti.

Nessuna di queste caratteristiche e’ ravvisabile nelle limitazioni all’uso delle proprieta’ singole. Esse, innanzi tutto, non sono obbligazioni perche’ non consistono in un agere necesse del debitore per il soddisfacimento dell’interesse del creditore. Il non facere che grava sul proprietario non e’ il contenuto di un’obbligazione, ma la conseguenza del diritto minore che spetta agli altri proprietari singoli sul suo immobile, null’altro, dunque, che un dovere di astensione per l’esistenza di un diritto in re aliena; tale non facere non ha carattere periodico ma continuativo; non e’ assistito da garanzia sull’immobile; e deriva da un atto di pura autonomia privata in un ambito in cui questa non e’ ne’ assentita ne’ esclusa dalla legge.

Del resto, vale considerare che in tanto si suole affermare che nell’onere reale e’ come se ad essere obbligata sia la res piuttosto che il suo possessore, in quanto tale figura nasce all’interno non dello statuto del diritto di proprieta’, ma della concezione giuridica, tipicamente medioevale, della res in se’ considerata. Mutato tale angolo visuale, la realita’ dell’onere non deriva da una sorta di qualitas fundi, ma risiede tutta e soltanto nella funzione di garanzia specifica dell’obbligazione che vi si ricollega. Non a caso, il Regio Decreto n. 215 del 1933, articolo 21, in tema di bonifica integrale, (che ha superato indenne il vaglio di legittimita’ costituzionale) prevede che i contributi di bonifica sono esigibili con le norme ed i privilegi previsti per (l’allora) imposta fondiaria, prendendo grado immediatamente dopo tale imposta e le relative sovrimposte.

Gia’ solo questo consente di affermare e concludere che, in difetto di una previsione di garanzia, si e’ senz’altro al di fuori della figura dell’onere reale.

6.3.2. – Minor fortuna ha avuto nella giurisprudenza la tesi per cui si tratterebbe di obligationes propter rem.

Se si eccettua la gia’ citata sentenza n. 11684/00, che espressamente ricollega le limitazioni di determinati usi alle obligationes propter rem, si nota come il richiamo a detta categoria si sia materializzato principalmente con riguardo o al divieto, nelle porzioni di proprieta’ individuale, di eseguire opere o di svolgere attivita’ che rechino danno alle parti comuni dell’edificio (v. nn. 3123/12, 15763/04, 11692/99, 11717/97 e 3472/76) o all’obbligo di pagamento degli oneri condominiali per la conservazione delle cose comuni (nn. 6323/03, 8924/01, 4797/01, 1152/97, 1890/95, 6844/88 e 2658/87).

Quanto sopra osservato per confutare l’ipotesi che le limitazioni di determinati usi delle unita’ immobiliari di proprieta’ singola costituiscano oneri reali, vale anche per escludere che esse siano qualificabili come obligationes propter rem. Vi osta principalmente il fatto che, come detto sopra, non si tratta di obbligazioni, mancando il requisito dell’agere necesse nel soddisfacimento d’un corrispondente interesse creditorio, che connota invece l’obbligazione anche se avente ad oggetto un non facere (cfr. n. 21024/16); che, inoltre, le obligationes propter rem possono avere per oggetto unicamente un dare o un facere; e che esse sono sottratte alla libera autonomia delle parti, nel senso che quest’ultima puo’ prevederle solo nell’ambito di una consentanea previsione legislativa (v. ad es. l’articolo 1030 c.c.). E dunque, nei pur pochi casi in cui si e’ affermato o almeno ipotizzato che le limitazioni in oggetto potessero ricondursi alla figura dell’obligatio propter rem, la giurisprudenza di legittimita’ ha finito per contraddire se’ stessa, visto che tali limitazioni non sono espressamente ammesse ne’ il loro contenuto e’ in alcun modo previsto dalla legge.

Ma vi e’ un’ulteriore ragione che non consente di configurare un’obligatio propter rem, quanto meno nelle ipotesi (che sono le piu’ ricorrenti) in cui le limitazioni siano previste a carico ed a vantaggio di tutti i fondi di proprieta’ esclusiva. In tal caso, infatti, la reciprocita’ della limitazione e’ tale da costituire ciascun proprietario verso tutti gli altri quale debitore di un’obbligazione di non facere e creditore di un diritto perfettamente speculare (cfr. n. 21024/16, la quale ha osservato che la reciprocita’ delle obbligazioni comporta che ciascun soggetto del rapporto assume, ad un tempo, entrambe le posizioni, debitoria e creditoria, in virtu’ di una causa di scambio, la quale, a sua volta, ha ad oggetto delle utilita’ differenti. Pertanto, non vi puo’ essere obbligazione reciproca quando ciascuno debba prestare all’altro un eguale speculare a quello cui questi e’ tenuto verso di lui.).

6.3.3. – Anche se solo di recente, la giurisprudenza di questa Corte puo’ ritenersi assestata sulla tesi per cui le restrizioni alle facolta’ inerenti al godimento della proprieta’ esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attivita’ all’interno delle unita’ immobiliari esclusive, costituiscono servitu’ reciproche e devono percio’ essere approvate mediante espressione di una volonta’ contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini, mentre la loro opponibilita’ ai terzi, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all’adempimento dell’onere di trascrizione (cosi’, da ultimo, n. 17159/22, non massimata, che a sua volta cita le nn. 6769/18, 23/04, 5626/02, 4963/01, 49/92, 4554/86; cui adde le nn. 277/64, 4781/83, 49/92, 11688/99, 4920/06, 1064/11, 14898/13 e 21024/16).

Gia’ la sentenza n. 7515/86 preciso’ per la prima volta che l’articolo 2659 c.c., comma 1, n. 2, secondo cui nella nota di trascrizione devono essere indicati il titolo di cui si richiede la trascrizione e la data del medesimo, va interpretato in collegamento con il successivo articolo 2665 c.c., il quale stabilisce che l’omissione o l’inesattezza delle indicazioni richieste nella nota non nuoce alla validita’ della trascrizione “eccetto che induca incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico a cui si riferisce l’atto”. Ne consegue che dalla nota deve risultare non solo l’atto in forza del quale si domanda la trascrizione ma anche il mutamento giuridico, oggetto precipuo della trascrizione stessa, che quell’atto produce in relazione al bene. Pertanto, non basta che nella nota di trascrizione sia citato il regolamento di condominio c.d. contrattuale, ma occorre indicarne le clausole incidenti in senso limitativo dei diritti dei condomini sui beni condominiali (o sui beni di proprieta’ esclusiva) (nello stesso senso, piu’ di recente, si e’ espressa la sentenza n. 17493/14).

La necessaria premessa di tale orientamento, cui va assicurata continuita’, risiede nell’ammissibilita’ (pacifica in dottrina e in giurisprudenza: v. sentenza n. 3258/83) sia di servitu’ atipiche, tipico essendo il solo genus cosi’ come regolato dall’articolo 1027 c.c. e ss., sia di servitu’ reciproche (anch’esse senz’altro ammesse dalla giurisprudenza di questa Corte: cfr. ex pluribus e tra le piu’ recenti, le nn. 524/21, 14820/18 e 5336/17). Queste ultime comportano che ciascun fondo e’, ad un tempo, servente e dominante, data la corrispondenza biunivoca del peso imposto da un’apposita previsione contenuta nel regolamento contrattuale, a carico ed a favore di ciascuna unita’ di proprieta’ singola.

Trattandosi di servitu’, la loro opponibilita’ ai terzi acquirenti di ciascuna unita’ singola dipende dalla trascrizione, prevista dall’articolo 2643 c.c., n. 4, che deve riguardare la specifica convenzione che contenga la servitu’ stessa, con particolare richiamo alle clausole relative e al loro contenuto. Con la creazione del condominio per effetto della prima alienazione, la servitu’ e’ costituita a favore e contro il primo immobile di proprieta’ singola, da un lato, ed a favore e contro i restanti fondi ancora invenduti, dall’altro, e cosi’ via finche’ con l’ultima vendita ciascuna unita’ singola diviene servente e dominante verso ognuna delle altre.

In assenza di trascrizione, puo’ essere sufficiente anche il solo contenuto dell’atto di vendita, ma alla duplice condizione che: a) esso sia corredato della specifica indicazione delle clausole impositive della servitu’, essendo del tutto insufficiente, come s’e’ detto supra al par. 6.2., il mero rinvio al regolamento condominiale; e b) dette clausole siano ripetute nei successivi atti di trasferimento, poiche’ diversamente torna ad operare il limite dell’articolo 1372 c.c., Non senza precisare, pero’, che in tal modo, atteso che il richiamo alla servitu’ diviene parte integrante di ogni titolo d’acquisto della proprita’ (dal primo ai successivi), tecnicamente non si puo’ parlare di opponibilita’ della servitu’, bensi’ dell’iterazione della sua preesistenza negli atti traslativi del medesimo bene immobile.

6.4. – Nei termini che seguono il principio di diritto, ex articolo 384 c.p.c., comma 1:

“Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facolta’ dei proprietari delle unita’ singole di adibire il loro immobile a determinate destinazioni, costituiscono servitu’ reciproche a favore e contro ciascuna unita’ immobiliare di proprieta’ individuale, e sono soggette, pertanto, ai fini dell’opponibilita’ ultra partes, alla trascrizione in base all’articolo 2643 c.c., n. 4, e articolo 2659 c.c., comma 1, n. 2”.

7. – L’accoglimento del quarto motivo importa l’assorbimento in senso proprio del quinto mezzo di ricorso, siccome svolto in termini di sostegno al precedente.

8. – E’ fondato anche il sesto motivo, li’ dove implicitamente deduce, senza farne menzione, l’operativita’ dell’articolo 336 c.p.c., comma 1.

La sentenza impugnata, in effetti, fa espressamente dipendere dalla ritenuta illegittimita’ dell’attivita’ artigianale svolta dal (OMISSIS) la condanna ad eliminare tutte le opere a questa funzionali, inclusa la rimozione delle masserizie allocate in parti comuni. Pertanto, tornando ad essere sub iudice la prima questione, resta travolta anche la statuizione che condanna l’odierno ricorrente ad eliminare o a rimuovere quanto realizzato in funzione dell’attivita’ in oggetto.

9. – Per le considerazioni svolte, vanno accolti il quarto ed il sesto motivo di ricorso, respinti i primi tre ed assorbito il quinto, e cassata la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, che si atterra’ ai principi di diritto sopra enunciati e provvedera’, altresi’, in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto ed il sesto motivo di ricorso, respinti i primi tre ed assorbito il quinto, e cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, che provvedera’, altresi’, in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

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