In tema di adempimento delle obbligazioni, l’art. 1189 c.c., che riconosce efficacia liberatoria al pagamento effettuato dal debitore in buona fede a chi appare legittimato a riceverlo, si applica, per identità di “ratio”, sia all’ipotesi di pagamento eseguito al creditore apparente, sia all’ipotesi in cui lo stesso venga effettuato a persona che appaia autorizzata a riceverlo per conto del creditore effettivo, il quale abbia determinato o concorso a determinare l’errore del “solvens”, facendo sorgere in quest’ultimo in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’ “accipiens.

Tribunale|Firenze|Sezione 2|Civile|Sentenza|21 aprile 2020| n. 963

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Daniela Bonacchi

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 7158/2018 promossa da:

CONDOMINIO (…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CH.MA. e dell’avv. (…), elettivamente domiciliato in VIA (…) 50018 SCANDICCI presso il difensore avv. CH.MA.

ATTORE

contro

(…) S.R.L. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. TA.RI. e dell’avv. (…), elettivamente domiciliato in Via (…) 50132 Firenze presso il difensore avv. TA.RI.

CONVENUTO

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. TU.FR. e dell’avv. (…), elettivamente domiciliato in VIA (…) 50134 FIRENZE presso il difensore avv. TU.FR.

TERZO CHIAMATO

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato il CONDOMINIO DI (…) (di seguito il CONDOMINIO) ha convenuto in giudizio avanti questo Ufficio la società (…) s.r.l. al fine di ottenerne la condanna alla rimozione dell’insegna pubblicitaria installata sul tetto condominiale di proprietà di parte attrice, nonché la condanna al pagamento di tutte le somme corrisposte dalla società convenuta alla Sig.ra (…) per lo sfruttamento economico del tetto condominiale.

A sostegno delle proprie pretese il CONDOMINIO ha rappresentato di essere attualmente composto da n. 8 condomini, tutti aventi causa diretti o mediati della Sig.ra (…), originariamente unica proprietaria di tutte le unità immobiliari. Tali unità immobiliari sono state trasferite nel corso del tempo con diversi atti di compravendita, nell’ambito dei quali (…) si era riservata il diritto di sfruttamento economico del tetto “fino a quando fosse rimasta proprietaria anche di una piccola parte del fabbricato in questione, fosse anche della superficie di mezzo metro quadro”.

Sulla base di tale riserva di sfruttamento economico (…) ha così consentito alla società (…) l’installazione sul tetto condominiale di un’insegna pubblicitaria rappresentante il logo “(…)”, percependo per tale attività un compenso annuo in denaro da parte di (…).

Parte attrice ha dedotto come (…) abbia trasferito l’ultima unità immobiliare di sua proprietà in data 15.04.1993, data da cui è pertanto venuto meno il suo diritto di sfruttamento economico del tetto in ragione dell’avveramento della condizione risolutiva contenuta nei contratti di compravendita.

(…) ha continuato, tuttavia, a contrattare con la società (…) e a percepire i canoni di locazione per l’installazione dell’insegna pubblicitaria.

Secondo parte attrice, dunque, l’installazione risulta ad oggi illegittima, perché concordata con un soggetto estraneo rispetto al condominio. Ha chiesto pertanto che la società (…) venga condannata alla rimozione dell’insegna, oltre al pagamento dei canoni che dal 1993 ha versato a soggetto non legittimato, ossia proprio (…).

(…) s.r.l. (di seguito solo (…)), regolarmente costituita in giudizio, ha resistito alle domande attoree, chiedendone il rigetto.

In particolare, parte convenuta ha contestato l’illegittimità dell’installazione dell’impianto pubblicitario, atteso che lo stesso risulta gestito in forza di valido contratto stipulato in data 2.12.2014 da (…) e (…), attraverso il quale quest’ultima ha concesso in locazione a (…) il tetto dell’edificio condominiale a fini pubblicitari.

La convenuta ha rappresentato che non appena il CONDOMINIO ha posto in discussione la legittimità dell’installazione, la stessa ha provveduto a contattare la propria controparte contrattuale (…), al fine di chiarire l’effettiva titolarità del diritto di sfruttamento economico, verificando così che (…) aveva mantenuto il proprio diritto indipendentemente dal fatto che in capo alla stessa fosse residuata la proprietà di una porzione dell’edificio condominiale. Tale circostanza sarebbe ricavabile da alcuni dei contratti di alienazione delle unità immobiliari, in cui (…) riserva a sé il diritto di sfruttamento economico senza condizionarlo al mantenimento di una quota di proprietà dell’immobile.

Quanto alla domanda di pagamento delle somme versate a (…) a titolo di canone di concessione ne ha chiesto, in tesi, il rigetto, essendo (…) titolare del diritto di sfruttamento economico del tetto e, quindi, legittimata a pretendere il pagamento del corrispettivo; in ipotesi, laddove la domanda di parte attrice fosse ritenuta fondata, ha evidenziato la propria buona fede nel pagamento dei canoni di concessione, con conseguente liberazione del debitore che abbia pagato al creditore apparente ex art. 1189 co. 1 c.c. In forza di tale disciplina, pertanto, il CONDOMINIO avrebbe dovuto rivolgere le proprie pretese nei confronti di (…), unico soggetto che si sarebbe indebitamente arricchita con la concessione del tetto a fini pubblicitari.

Sulla base di tale ultima considerazione, pertanto, (…) ha chiesto l’autorizzazione a chiamare in causa (…), al fine di estendere le domande attrici nei confronti di quest’ultima e di essere tenuta indenne da tutte le conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’accoglimento delle domande attoree.

(…) si è costituita regolarmente, contestando i fatti a fondamento della chiamata in causa della convenuta (…) e delle domande principali di parte attrice, chiedendo il rigetto di tutte le domande.

In particolare, la terza chiamata ha eccepito la propria titolarità del diritto di sfruttamento economico del tetto condominiale, essendosi essa riservata espressamente detto diritto nei contratti di alienazione delle unità immobiliari. Ha rappresentato, nello specifico, come nei contratti stipulati nel 1973 con il Sig. (…) e nel 1993 con i Sigg.ri (…) e (…), la stessa (…) si sia riservata “il diritto di fruttare il tetto nella sua interezza per la pubblicità in esso attualmente installata a favore di terzi e per quelle che dovessero esservi installate nell’avvenire”, senza condizionare tale diritto al mantenimento di una quota di proprietà all’interno del condominio.

Ha eccepito, comunque, nell’ipotesi in cui la legittimità della riserva di sfruttamento economico fosse ritenuta venuta meno, l’usucapione del diritto di usufrutto del tetto condominiale, stante il possesso pubblico, pacifico ed ininterrotto per oltre venti anni del tetto da parte della stessa (…).

Sulla base di tali considerazioni, inoltre, (…) ha evidenziato la legittimità dei pagamenti effettuati nei suoi confronti da (…) come corrispettivo per la locazione del tetto condominiale, affermando di nulla dovere nei confronti del CONDOMINIO.

All’udienza del 12.3.2019 sono stati concessi i termini per le memorie di cui all’art. 183 co. 6 c.p.c. e, successivamente, la causa è stata istruita documentalmente.

All’udienza del 5.11.2019 le parti hanno precisato le conclusioni, il Giudice ha concesso i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica e la causa è stata trattenuta in decisione.

1) I fatti costitutivi della pretesa

Oggetto del presente procedimento è il diritto del CONDOMINIO DI (…) a richiedere una pronuncia di condanna nei confronti della convenuta (…) per la rimozione dell’insegna pubblicitaria che quest’ultima ha installato sul tetto dell’edificio condominiale.

È documentale che il fabbricato oggi costituente il CONDOMINIO DI (…) in origine fosse di esclusiva proprietà della terza chiamata (…), la quale ha alienato nel corso del tempo le singole unità immobiliari dell’edificio in favore degli attuali condomini (o dei loro aventi causa).

Con riferimento proprio ai vari contratti di compravendita, intervenuti tra il 1978 e il 1993, si evidenzia come essi contengano specifiche “riserve di sfruttamento della facciata e del tetto per la pubblicità ivi installata” in favore di (…). In particolare, quattro dei predetti contratti contengono una riserva di sfruttamento c.d. condizionata, essendo fatta “a favore di tutte le residue porzioni del fabbricato di proprietà (…)” (contratto (…)-(…) del 1978; contratto (…)-(…) del 1979; contratto (…)-(…) del 1979; contratto (…)-(…) del 1980); un unico contratto, invece, quello più recente, prevede una riserva di sfruttamento “incondizionata”, ossia non in favore delle residue porzioni di proprietà di (…), avendo la stessa alienato proprio in tale occasione l’ultima unità immobiliare di sua proprietà (contratto (…)-(…)-(…) del 1993).

Ad oggi, pertanto, (…) risulta terza rispetto al CONDOMINIO DI (…), non avendo la stessa alcuna quota di proprietà sull’edificio.

È altrettanto incontestato che la società (…) abbia installato sul tetto del CONDOMINIO un’insegna pubblicitaria avente logo “(…)” sin dal 1953, contrattando a tal fine inizialmente con gli aventi causa di (…) e, successivamente, direttamente con quest’ultima. L’ultimo contratto di concessione del tetto per l’apposizione dell’impianto luminoso è del 2.12.2014, firmato appunto dal legale rappresentante di (…) e da (…) IN V., qualificatasi espressamente come “la proprietà”.

È dunque documentale che (…) abbia continuato a concedere in locazione a (…) lo spazio sul tetto del CONDOMINIO anche a seguito dell’alienazione dell’ultima quota di proprietà (avvenuta appunto nel 1993) e che, in forza di tali contratti, abbia percepito i canoni locatizi corrisposti da (…).

Premesso ciò, dunque, al fine di accertare il diritto del CONDOMINIO a richiedere la rimozione dell’insegna luminosa in danno della convenuta, occorre valutare se sussista il diritto di (…) di concedere in locazione il tetto condominiale in forza dei suddetti contratti di compravendita ovvero in forza dell’usucapione dell’usufrutto del tetto condominiale, come da (…) eccepito in comparsa di costituzione e risposta.

Si anticipa sin da subito come tale diritto debba ritenersi insussistente, con conseguente fondatezza e accoglimento della domanda attorea.

2) Sull’usucapione dell’usufrutto del tetto condominiale.

Preliminarmente si osserva come debba escludersi la sussistenza di un diritto di usufrutto in capo a (…) avente ad oggetto il tetto e la facciata condominiale.

L’usufrutto, infatti, è un diritto reale minore disciplinato agli artt. 978 e ss. c.c. in forza del quale l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, con l’unico limite di rispettarne la destinazione economica. Esso comporta sostanzialmente una scissione del contenuto del diritto di proprietà, in quanto priva il proprietario del potere di godere della cosa in modo pieno ed esclusivo, residuando così in capo a quest’ultimo soltanto la titolarità del bene e la possibilità di disporne.

Si tratta, pertanto, di un diritto sulla res particolarmente pregnante e, per tale motivo, sottoposto ad una disciplina analitica che individua il contenuto del diritto e gli obblighi dell’usufruttuario.

Ebbene, in primo luogo si rileva come le “riserve di sfruttamento del tetto” contenute nei suddetti contratti di compravendita non facciano alcun riferimento in modo espresso al diritto di usufrutto, circostanza che assume un rilievo sicuramente indicativo, attese le gravi conseguenze ricollegate al costituirsi del suddetto diritto.

Anzi, all’interno del contratto (…)-(…)-(…) del 1993 si legge testualmente che “la parte venditrice ossia (…) garantisce quali qualità essenziali di quanto venduto: 1) la piena proprietà e disponibilità di quanto venduto e la libertà di esso da pesi di qualsiasi natura, vincoli, livelli ed oneri reali o meno, privilegi anche fiscali, iscritti e non iscritti, liti pendenti, servitù passive, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, che non ci sono aventi diritto a prelazione di qualsiasi genere”. La piena proprietà di quanto venduto comprende necessariamente anche le parti condominiali che, pertanto, per espressa garanzia della venditrice (…) sono state qualificate come libere da qualsiasi peso di natura reale.

Si osserva, inoltre, come il contratto, redatto da un pubblico ufficiale, faccia espressa menzione della “riserva di sfruttamento”; se con tale “riserva” le parti avessero voluto indicare l’apposizione di un vincolo reale, deve ragionevolmente presumersi che esse avrebbero utilizzato lo specifico nomen iuris dell’istituto in questione.

Oltre a ciò si aggiunga che il diritto di usufrutto comporta una serie di diritti ed obblighi per l’usufruttuario che nel caso di specie sono risultati indimostrati. In particolare, nonostante la terza chiamata (…) abbia eccepito il proprio diritto di usufrutto, tale eccezione è rimasta priva di riscontro probatorio, non avendo la stessa allegato e provato di aver adempiuto ad alcuno degli obblighi gravanti sull’usufruttuario, quali ad esempio l’obbligo di inventario dei beni ex art. 1002 c.c., l’obbligo di sostenere le spese di relative alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria del bene ex art. 1004 c.c., oltre che il pagamento dei carichi annuali ex art. 1008 c.c.

(…) non ha dato prova neppure di aver posseduto a titolo di usufruttuaria, ossia di aver esercitato nel corso del tempo un potere di fatto corrispondente al diritto di godimento del bene. La terza chiamata non ha goduto del tetto condominiale e della facciata, ma ha semplicemente concesso in locazione una porzione della superficie a fini pubblicitari e percepito i relativi canoni.

Tale attività, in sostanza, non può qualificarsi come corrispondente all’esercizio del diritto di usufrutto, ritenendo che tale diritto implichi una situazione possessoria e di godimento ben più significativa.

Essendo pertanto insussistente il possesso in qualità di usufruttuario, risulta altresì mancante il presupposto per l’acquisto del diritto a titolo di usucapione, con infondatezza della relativa eccezione.

La “riserva di sfruttamento della facciata e del tetto” di (…) deve pertanto essere qualificata come diritto personale di godimento e non come diritto di usufrutto.

2) Sulla riserva di sfruttamento contenuta all’interno dei contratti di compravendita.

I contratti di compravendita prodotti agli atti contenenti le “riserve di sfruttamento del tetto a fini pubblicitari” di cui si discute sono n. 5 e specificatamente, in ordine cronologico:

– contratto (…) – (…) e (…) del 1978;

– contratto (…) – (…) del 1979;

– contratto (…) – (…) del 1979;

– contratto (…) – (…) del 1980;

– contratto (…) – (…) e (…) del 1993.

All’interno dei primi quattro dei suddetti contratti è prevista una clausola di riserva di sfruttamento del tetto e della facciata condominiale per la pubblicità ivi installata “condizionata” al mantenimento da parte di (…) di una quota di proprietà all’interno del fabbricato.

Nel contratto (…) – (…) del 1978 si legge testualmente, infatti che “E’ riservato esclusivamente alla venditrice signora (…) il diritto di sfruttare il tetto nella sua interezza nella sua interezza per la pubblicità in essi attualmente installata a favore di terzi o per quella che dovesse essere installata nell’avvenire (…); resta pertanto esclusa, per essere più precisi, la possibilità per gli acquirenti di pretendere pro quota, le somme che la Signora (…) introita o andasse ad introitare per il consenso a terzi di installare nelle porzioni di tetto che sovrastano tutti gli altri vani venduti con il presente atto la loro pubblicità. La riserva dello sfruttamento di cui sopra è fatta a favore di tutte le residue porzioni del fabbricato di proprietà della venditrice”. Negli altri tre contratti, inoltre, alla riserva in favore delle residue porzioni di proprietà (…) viene aggiunto che essa “continuerà a perdurare anche quando la stessa sarà proprietaria di una sia pur minima parte del fabbricato”.

La riserva di sfruttamento del tetto per gli introiti derivanti dalla pubblicità concordata con (…), (…), (…) e (…), pertanto, era condizionata al mantenimento da parte di (…) della proprietà di una seppur minima porzione del fabbricato. Essendo tale condizione venuta meno, la suddetta riserva deve pertanto intendersi risolta ai sensi dell’artt. 1353 e 1360 c.c.

Si evidenzia, tuttavia, come una riserva di sfruttamento “incondizionata” del tetto sia contenuta nel contratto di compravendita (…) – (…) – (…) del 1993, atto con cui (…) ha alienato l’ultima porzione di fabbricato di sua proprietà. Si legge infatti nel suddetto contratto: “prende atto la parte acquirente che è riservato esclusivamente alla venditrice il diritto di sfruttare il tetto nella sua interezza per la pubblicità in esso attualmente installata a favore di terzi e per quelle che dovessero esservi installate nell’avvenire (…). Resta peraltro esclusa, per essere più precisi, la possibilità per la parte acquirente di pretendere pro quota le somme che la venditrice o i suoi aventi causa introiteranno od andassero ad introitare per il consenso a terzi di installare nelle porzioni di tetto che sovrastano tutti gli altri vani venduti con il presente atto la loro pubblicità”.

Tale riserva di sfruttamento, pertanto, deve ritenersi attualmente efficace, in quanto non condizionata ad una quota di proprietà di (…) sull’edificio condominiale.

Senza entrare nel merito della questione dell’inquadramento giuridico e dei rimedi previsti per un atto di disposizione di un bene comune, quale il tetto condominiale, effettuato da uno soltanto dei comproprietari, al fine della risoluzione della presente controversia, in cui si discute del diritto del CONDOMINIO a richiedere la rimozione dell’insegna pubblicitaria, è sufficiente analizzare l’effettiva consistenza del diritto attribuito in capo a (…) da (…) e (…).

In primo luogo, infatti, si osserva come tale diritto non possa essere configurato quale mandato a stipulare per conto del CONDOMINIO, non essendo rinvenibile all’interno della clausola contrattuale alcun dato che possa condurre a tale qualificazione giuridica.

In mancanza di un contratto di mandato o di specifica procura, pertanto, nessun soggetto è autorizzato a disporre di un bene altrui e gli eventuali accordi intercorsi tra CONDOMINIO (o singoli condomini che dispongano del bene comune) e (…) rimangono esclusivamente inter partes ex art. 1372 c.c., senza che la loro esistenza possa determinare un mutamento del soggetto legittimato a disporre del bene nei confronti dei terzi estranei all’accordo.

Anche l’analisi del contenuto della clausola di riserva conduce comunque alla medesima conclusione.

Ritiene infatti questo Giudice che a (…) sia stato riservato il diritto di sfruttamento economico del tetto condominiale per quanto concerne gli introiti derivanti dall’installazione di insegne pubblicitarie, senza che ciò possa valere altresì a limitare il diritto dei proprietari di effettiva disposizione del suddetto tetto.

In altri termini, in forza della suddetta clausola contrattuale (…) avrebbe percepito i canoni di locazione corrisposti dalla (…) per l’apposizione dell’insegna, senza tuttavia avere anche il potere di decidere se mantenere o meno l’installazione sul tetto condominiale.

Tale conclusione è avvalorata anche dal dato letterale della clausola di riserva, ove si rinviene la specificazione del contenuto del diritto. In primo luogo, infatti, è espressamente stabilito che la riserva di sfruttamento è “per la pubblicità” ivi installata o da installare in futuro, cosi delimitando il suo ambito di godimento; in secondo luogo, è precisato che tale sfruttamento concerne il diritto di incamerare gli introiti economici, laddove le parti stabiliscono che “resta peraltro esclusa, per essere più precisi, la possibilità per la parte acquirente di pretendere pro quota le somme che la venditrice o i suoi aventi causa introiteranno od andassero ad introitare per il consenso a terzi di installare nelle porzioni di tetto che sovrastano tutti gli altri vani venduti con il presente atto la loro pubblicità”.

Si ritiene, pertanto, che “il consenso a terzi di installare” la loro pubblicità sia manifestazione di volontà riservata alla proprietà del bene, ossia al CONDOMINIO DI (…).

Il fatto che nel corso degli anni i condomini abbiano tollerato che (…) stipulasse i contratti di locazione con (…) non priva i proprietari del loro potere di disposizione del tetto condominiale.

E a nulla rileva che prima del 1993 (…) abbia concesso in locazione la superficie del tetto condominiale, in quanto prima di tale data la stessa risultava essere ancora comproprietaria del tetto condominiale, con possibilità dunque di esercitare i poteri corrispondenti al diritto di proprietà.

Da ciò consegue che il soggetto legittimato a concedere in locazione il tetto sia soltanto in CONDOMINIO e che (…), dal 1993 in poi, abbia contratto con un soggetto che non aveva il diritto di concedere in locazione il tetto. Nonostante, infatti, (…) si sia qualificata all’interno dei predetti contratti di concessione come “proprietà”, essa non risulta esserne proprietaria e, come tale, non aveva il potere di disporre del bene.

Il contratto di concessione in locazione stipulato da (…) e (…) il 2.12.2014 non può pertanto produrre effetti ex art. 1372 co. 2 c.c. nei confronti del CONDOMINIO ed essendo l’installazione dell’insegna avvenuta inviso domino è legittima la richiesta di rimozione. La domanda deve dunque essere accolta.

3) Sulla domanda di pagamento in favore del CONDOMINIO dei canoni di locazione corrisposti da (…) a (…).

La domanda è infondata.

Come sopra osservato, il soggetto legittimato a concedere in locazione la superficie del tetto è il CONDOMINIO DI (…).

La riserva di sfruttamento economico è, e rimane, un accordo inter partes intercorso tra (…) e i comproprietari (…) e (…), inidoneo a produrre effetti nei confronti dei terzi.

Ne consegue che (…) avrebbe dovuto stipulare la locazione e versarne il corrispettivo al CONDOMINIO, salva diversa volontà delle parti che, nell’ambito del contratto, avessero fatto riferimento alla “riserva” in favore di (…).

Il Tribunale, tuttavia, ritiene applicabile la disciplina liberatoria del pagamento al creditore apparente di cui all’art. 1189 co. 1 c.c., in base alla quale “il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede”.

In particolare, sul punto la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che “In tema di adempimento delle obbligazioni, l’art. 1189 c.c., che riconosce efficacia liberatoria al pagamento effettuato dal debitore in buona fede a chi appare legittimato a riceverlo, si applica, per identità di “ratio”, sia all’ipotesi di pagamento eseguito al creditore apparente, sia all’ipotesi in cui lo stesso venga effettuato a persona che appaia autorizzata a riceverlo per conto del creditore effettivo, il quale abbia determinato o concorso a determinare l’errore del “solvens”, facendo sorgere in quest’ultimo in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’ “accipiens” (Cass. civ. n. 15339/2012).

Ricorrono nel caso di specie tutti le condizioni richieste dalla norma, per come interpretate dalla giurisprudenza, per il verificarsi dell’effetto liberatorio.

Quanto alla situazione di apparenza, si osserva come (…) abbia concordato l’installazione dell’insegna pubblicitaria sin dal 1953 con la famiglia (…). Nel corso degli anni (…) ha alienato la proprietà non in unica soluzione, ma attraverso diversi atti di compravendita, rimanendo nel frattempo la stessa proprietaria di porzioni dell’immobile. All’interno degli atti di compravendita (…) ha continuato a qualificarsi come “la proprietà” circostanza che, unita al fatto di aver contratto sempre con la medesima famiglia, ha indotto una situazione di apparenza diversa dalla situazione giuridica di diritto.

Quanto alla buona fede di (…) essa è comprovata dalla documentazione prodotta in atti, laddove risulta che la società, non appena venuta a conoscenza del contenzioso in merito alla legittimità a concedere in locazione il tetto, si sia offerta di sospendere il pagamento a (…), al fine di poterlo corrispondere al soggetto effettivamente legittimato.

Particolarmente rilevante, infine, è l’inerzia del CONDOMINIO che, dal 1993 e fino al 2017, ha tollerato gli atti di concessione effettuati da (…), senza interessarsi dell’insegna installata sopra il proprio tetto condominiale. Tale comportamento ha ragionevolmente contribuito a creare una situazione di apparenza del diritto che non può essere addebitata alla convenuta (…).

La richiesta di pagamento dei canoni versati da (…) a (…) è pertanto infondata e deve essere rigettata.

Il CONDOMINIO avrebbe potuto far valere le proprie pretese nei confronti della terza chiamata (…) ai sensi dell’art. 1189 co. 2 c.c.

Si osserva, comunque, come nessuna domanda sia stata rivolta dal CONDOMINIO nei confronti di (…), chiamata solo in manleva da (…). Nessuna pronuncia può pertanto essere emessa con riferimento ai rapporti intercorrenti tra il CONDOMINIO e (…).

Quanto alle subordinate domande di indennizzo per la diminuzione patrimoniale e di risarcimento dei danni subiti dal CONDOMINIO, si osserva come nessuna prova sia stata fornita sul punto da parte attrice, né in punto di an né di quantum.

Le domande devono pertanto essere rigettate.

6) Sulla domanda di manleva proposta da (…) nei confronti di (…).

(…) ha chiamato in causa (…) al fine di essere manlevata dalla stessa in caso di accoglimento delle domande di pagamento dei canoni di locazione proposte dal CONDOMINIO.

Tutte le domande aventi contenuto patrimoniale sono state rigettate, ritenendo, da un lato, applicabile la disciplina del pagamento al creditore apparente ex art. 1189 c.c. e, dall’altro, non provate le richieste di indennità e risarcimento dei danni.

Il rigetto di tali domande comporta l’assorbimento della domanda di manleva, valutabile nel merito solo laddove la convenuta fosse stata a sua volta ritenuta responsabile e condannata al pagamento dei canoni di locazione o di risarcimento dei danni. Altri eventuali pregiudizi di tipo patrimoniale, quali ad esempio il risarcimento dei danni, non possono essere refusi, atteso che nessuna domanda in tal senso è stata esplicata da (…) nei confronti di (…).

7) Spese di lite

Le spese seguono la soccombenza ai sensi degli artt. 91 e ss. c.p.c.

In virtù dell’accoglimento della domanda di rimozione dell’insegna proposta da parte attrice e del rigetto della domanda di pagamento dei canoni di locazione, le parti devono ritenersi reciprocamente soccombenti, seppure, in via preponderante, le parti convenute.

Si giustifica, pertanto, una compensazione parziale nella misura di 1/3 ai sensi dell’art. 92 c.p.c., con conseguente condanna di (…) e (…) al rimborso delle spese di lite in favore di CONDOMINIO DI (…) S. L. nella misura di 2/3: la condanna in solido delle parti convenute si fonda sul medesimo interesse nella causa al riconoscimento di un fatto costitutivo comune.

Poiché la questione relativa alla domanda di manleva svolta da (…) nei confronti della terza chiamata risulta assorbita dal rigetto delle domande principali di natura patrimoniale proposte da parte attrice nei confronti della convenuta, devono dichiararsi integralmente compensate le spese di lite fra convenuta e terza chiamata.

Le spese di lite sono da liquidare per l’intero come da dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, tenuto conto del valore indeterminabile della controversia. Avuto riguardo a quanto disposto dall’art. 5 co. 6 D.M. n. 55 del 2014 (a norma del quale “Le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia. Qualora la causa di valore indeterminabile risulti di particolare importanza per lo specifico oggetto, il numero e la complessità delle questioni giuridiche trattate, e la rilevanza degli effetti ovvero dei risultati utili, anche di carattere non patrimoniale, il suo valore si considera di regola e a questi fini entro lo scaglione fino a Euro 520.000,00”), all’attività defensionale svolta e all’istruttoria documentale della causa si giustifica come parametro per la liquidazione lo scaglione da Euro 26.000,01 ad Euro 52.000,00.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1) CONDANNA la società (…) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimuovere a proprie spese, oneri e cura, l’installazione pubblicitaria avente logo “(…)” insistente sul tetto del CONDOMINIO DI (…);

2) RIGETTA ogni altra domanda proposta da CONDOMINIO (…);

3) CONDANNA la società (…) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e (…). in solido tra loro. a rimborsare, in favore di CONDOMINIO DI (…) n. 1, nella misura di 2/3, le spese di lite, che si liquidano per intero in: Euro 1.620,00 per la fase di studio della controversia; Euro 1.147,00 per la fase introduttiva del giudizio; Euro 1.720,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione; Euro 2.767,00 per la fase decisionale, oltre al rimborso forfettario del 15%, IVA e CPA come per legge, oltre ad esborsi per Euro 545,00;

4) DICHIARA integralmente compensate fra parte convenuta e terza chiamata le spese di lite.

Così deciso in Firenze il 21 aprile 2020.

Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.