In tema di prova dell’adempimento, il ricorso a presunzioni semplici e’ possibile solo quando esse si riferiscano in modo specifico alla situazione di fatto che deve essere dimostrata, altrimenti difettando il requisito della “precisione” richiesto dall’articolo 2729 c.c.. Pertanto, nel caso in cui da un unico contratto scaturisca una pluralita’ di obbligazioni, le presunzioni devono riguardare specificatamente ciascuna delle obbligazioni dedotte, giacche’ l’adempimento di alcune di esse non costituisce presunzione “precisa” dell’avvenuto adempimento anche delle altre.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 21 giugno 2018, n. 16316

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9930/2015 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 10/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 08/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/01/2018 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 30 maggio 2001 i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) raggiungevano un accordo transattivo relativo alle modalita’ di esecuzione di un lodo arbitrale irrituale intervenuto fra le parti il 4 aprile dello stesso anno. La transazione prevedeva reciproche attribuzioni patrimoniali aventi ad oggetto partecipazioni societarie e beni immobili, in parte di proprieta’ dei contraenti e, per il resto, facenti capo ad altri familiari o rientranti nel patrimonio di societa’ di famiglia; veniva convenuta, altresi’, la ratifica dell’operato di (OMISSIS) quale amministratore di dette societa’. Per tali ragioni, (OMISSIS) si impegnava, fra l’altro, a far sottoscrivere la transazione anche al padre (OMISSIS), alla sorella (OMISSIS) e alla madre (OMISSIS), nonche’ agli amministratori delle societa’ interessate.

Successivamente queste sottoscrizioni venivano effettivamente apposte.

A seguito dell’insorgere di reciproche contestazioni di inadempimento, le parti transigenti procedevano a redigere il testo di un nuovo accordo, denominato “atto ricognitivo e transattivo”. Tale atto, datato “ottobre 2001″, veniva sottoscritto solamente da (OMISSIS).

Con lettera del 29 gennaio 2008, (OMISSIS) contestava al fratello (OMISSIS) l’inadempimento di alcune delle prestazioni previste – sostanzialmente, quelle riferibili ai terzi e dichiarava di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa contenuta nell’atto transattivo del 30 maggio 2001. Successivamente, con atto notificato il 4 marzo 2008, introduceva la domanda giudiziaria volta all’accertamento dell’intervenuta risoluzione dell’accordo transattivo e alla restituzione delle prestazioni da parte sua fino a quel momento adempiute, maggiorate degli interessi.

In data 17 aprile 2008, (OMISSIS) notificava al fratello (OMISSIS), a mezzo di lettera raccomandata, una copia dell'”atto ricognitivo e transattivo” dell’ottobre del 2001, sottoscritto dallo stesso (OMISSIS) e dagli altri familiari che avevano sottoscritto per adesione anche l’accordo transattivo del 30 maggio 2001.

Costituendosi nel giudizio, (OMISSIS) dichiarava che la sottoscrizione di quell’atto era avvenuta in data 17 aprile 2008. Inoltre, produceva un verbale dell’assemblea dei soci della SITAV con il quale era stato deliberato di ratificare l’operato di (OMISSIS) quale ex amministratore della societa’.

La domanda proposta da (OMISSIS) veniva rigettata dal Tribunale di Bologna con sentenza del 15 ottobre 2012. In particolare, il Tribunale riteneva che l’accordo contenuto nell'”atto ricognitivo e transattivo” dell’ottobre del 2001 si fosse concluso non gia’ per effetto della tardiva (17 aprile 2008) sottoscrizione delle controparti, bensi’ per fatti concludenti, in quanto nell’atto le parti dichiaravano come gia’ adempiuto l’obbligo del fatto del terzo assunto da (OMISSIS) con la transazione del 30 maggio 2001; che, in ogni caso, la sola sottoscrizione dell’atto da parte di (OMISSIS) valeva quantomeno come dichiarazione confessoria dell’avvenuto adempimento; che l’attore, non avendo posto a disposizione le azioni (OMISSIS) Ltd di cui era in possesso, aveva impedito la formalizzazione del trasferimento a mezzo girata; che la produzione della Delib. della SITAV dimostrava l’avvenuto adempimento anche delle restanti obbligazioni gravanti sul convenuto principale.

Con sentenza dell’8 gennaio 2015 la Corte d’appello di Bologna, nel contraddittorio delle parti, rigettava l’impugnazione proposta da (OMISSIS).

Nel corso del giudizio di merito venivano a mancare entrambi i genitori dell’attore, convenuti costituiti in giudizio, i quali avevano istituito erede universale (OMISSIS).

Avverso la decisione della Corte d’appello di Bologna, (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione articolato in nove motivi. (OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno resistito con separati controricorsi.

Tutte le parti hanno depositato memorie difensive ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 (OMISSIS) ha formulato nel controricorso talune eccezioni preliminari di inammissibilita’, poi ribadite nelle memorie difensive.

Le stesse devono essere esaminate in via preliminare, cosi’ come richiesto dal controricorrente.

1.2 Anzitutto il controricorrente eccepisce l’insindacabilita’ in sede di legittimita’ degli accertamenti in fatto compiuti dalla Corte d’appello.

Non si tratta, a ben vedere, di una vera e propria eccezione di inammissibilita’ del ricorso per cassazione, ma dell’ovvia considerazione che, nell’esaminare le singole censure, dovranno essere dichiarate inammissibili quelle che deducono questioni di merito anziche’ di legittimita’.

Una simile eccezione, pertanto, non puo’ essere trattata in via preliminare rispetto all’esame dei motivi di ricorso, per ciascuno dei quali occorrera’ verificare se ed eventualmente in che misura esorbiti l’ambito circoscritto dall’articolo 360 c.p.c..

1.3 La seconda eccezione di inammissibilita’ si basa sull’asserita conformita’ della decisione impugnata alla giurisprudenza della Suprema Corte. Il controricorrente ha quindi inteso denunciare l’inammissibilita’ del ricorso non per questioni procedurali o di forma, ma perche’ ricorrerebbe l’ipotesi di cui all’articolo 360-bis c.p.c..

Sennonche’ un simile accertamento non puo’ essere compiuto in via preliminare e non puo’ essere riferito all’intero ricorso, ma deve essere compiuto in relazione a ciascuna censura. Pertanto, anche questa eccezione deve essere disattesa, quantomeno in via preliminare.

1.4 Il controricorrente rileva, ancora, che nella formulazione dei motivi di ricorso si sarebbe fatta confusione fra il vizio di violazione e quello di falsa applicazione delle norme di diritto.

In realta’, sebbene la violazione della legge dia luogo ad un vizio di legittimita’ diverso dall’errore di sussunzione, compete alla Corte, sulla base della prospettazione del ricorrente, interpretare il motivo e darne la corretta qualificazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268), tanto piu’ ove l’alternativa si ponga fra due soluzioni entrambe ascrivibili alla medesima ipotesi prevista dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ovviamente, laddove la censura – formalmente intestata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – dovesse consistere, invece, in una doglianza attinente il merito della decisione o la motivazione della stessa, cosi’ come sostenuto dal controricorrente, la declaratoria di inammissibilita’ riguardera’ il singolo motivo (o una parte di esso) e non l’intero ricorso.

1.5 Le ulteriori eccezioni hanno ad oggetto i motivi che, sotto l’intestazione di violazione o falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., deducono – in realta’ – un vizio di motivazione.

Anche queste difese, per le ragioni sopra esposte, non hanno natura preliminare, non investendo l’ammissibilita’ del ricorso nella sua interezza, e dovranno essere rapportate, di volta in volta, al contenuto di ciascun singolo motivo.

2. Venendo ora all’esame del ricorso, l’analisi delle prime censure deve essere preceduta da una precisazione in punto di fatto.

Non vi e’ alcun dubbio che (OMISSIS) e gli altri familiari sottoscrissero per accettazione la proposta transattiva dell’ottobre 2001 solamente in data 17 aprile 2008, cosi’ come dichiarato dallo stesso convenuto nella comparsa di costituzione innanzi al tribunale.

Poiche’ (OMISSIS), gia’ in data 29 gennaio 2008, aveva dichiarato di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa contenuta nell’atto del 30 maggio 2001 e poi, con atto notificato il 4 marzo 2008, aveva incardinato il relativo giudizio di risoluzione, l’accettazione, intervenuta solo in un momento successivo, dell’accordo con il quale le parti avrebbero dovuto transigere le questioni insorte in merito all’adempimento di quell’accordo e’ certamente tardiva.

Infatti, la proposta transattiva (dell’ottobre 2001) alla quale (OMISSIS) non diede riscontro per quasi sette anni deve intendersi senz’altro revocata e superata dall’esercizio, da parte del proponente, dell’azione di risoluzione per inadempimento del contratto le cui prestazioni costituivano l’oggetto della proposta medesima.

Innanzi ai giudici di merito, a questo punto, si e’ posto il problema se l’accordo transattivo dell’ottobre 2001, sebbene non formalmente accettato, potesse dirsi comunque concluso per facta concludentia in data anteriore alla domanda di risoluzione proposta da (OMISSIS).

La questione e’ stata risolta affermativamente, ravvisandosi un comportamento concludente, da parte di (OMISSIS), nell’aver dichiarato, nell’ambito della proposta transattiva dell’ottobre 2001, l’intervenuto adempimento delle prestazioni previste nell’accordo del 30 maggio 2001. Inoltre, in attuazione dei nuovi impegni assunti con la transazione dell’ottobre 2001, sarebbe stato consentito a una nave appartenente ad una delle societa’ di famiglia di continuare a battere bandiera Europea, cosi’ potendo accedere a taluni finanziamenti.

Tale decisione e’ stata fatta oggetto di molteplici censure.

3.1 Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo 1350 c.c., nn. 1 e 12, e dell’articolo 1418 c.c..

Il ricorrente espone che l’atto (dell’ottobre 2001) era ricognitivo dell’avvenuto adempimento delle obbligazioni nascenti dalla transazione del 30 maggio 2001; che tali obbligazioni prevedevano (anche) il trasferimento di beni immobili; che pertanto l’accordo transattivo, avendo per oggetto una controversia relativa ad un contratto che trasferisce la proprieta’ di beni immobili, ai sensi dell’articolo 1350 c.c., n. 12, necessitava della forma scritta ad substantiam. L’obbligo di forma scritta sarebbe stato, quindi, d’ostacolo alla conclusione dell’accordo per fatti concludenti.

Il motivo e’ infondato.

3.2 Secondo quanto risulta dalla lettura degli scritti difensivi, l’accordo del 30 maggio 2001 prevedeva il trasferimento di beni immobili che non erano in proprieta’ dei pattuenti, bensi’ di terzi (altri familiari o societa’ di famiglia).

Deve essere dunque richiamato in proposito un precedente – risalente ma ancora attuale – di questa Corte, secondo cui la promessa dell’obbligazione o del fatto di un terzo ha per contenuto un facere, giacche’ con essa il promittente assume l’obbligo di adoperarsi affinche’ il terzo faccia o si obblighi a fare cio’ che il promittente medesimo ha promesso. In conseguenza, detta promessa, per il carattere autonomo dell’obbligo del promittente rispetto a quello del terzo, non produce effetti reali e non esige la forma scritta, neppure quando oggetto di essa sia il trasferimento di beni immobili da parte del terzo (Sez. 1, Sentenza n. 3601 del 13/11/1974, Rv. 372115).

In conclusione, la transazione del 30 maggio 2001, pur prevedendo l’attribuzione di alcuni immobili in favore di (OMISSIS), non necessitava, sotto questo profilo, della forma scritta. Gli immobili da trasferire, infatti, non appartenevano alla controparte e l’obbligo assunto non era assimilabile neppure a una vendita obbligatoria (fattispecie che, ai sensi dell’articolo 1472 e 1523 c.c. e segg., ricorre solo nelle ipotesi di vendita con patto di riservato dominio e di vendita di cosa futura). L’obbligazione del fatto del terzo, infatti, non ha ad oggetto una cosa futura, ossia non ancora venuta ad esistenza o non ancora entrata nella sfera patrimoniale dell’obbligato, bensi’ un facere, ossia l’impegno dell’obbligato ad attivarsi, secondo diligenza e buona fede, affinche’ il terzo compia l’atto promesso alla controparte. Dunque, anche quando il fatto del terzo e’ costituito dal trasferimento di un bene immobile, quest’ultimo non assurge ad oggetto della prestazione, che resta una prestazione di facere e non di dare. Consegue che non trova applicazione l’articolo 1350 c.c., n. 1, che riguarda i contratti che trasferiscono la proprieta’ di beni immobili.

Una volta chiarito che l’accordo originario non necessitava della forma scritta ad substantiam, per le medesime ragioni deve escludersi che l’obbligo della forma scritta sussistesse per un atto ricognitivo dell’avvenuto adempimento delle obbligazioni di facere ivi previste.

4.1 Con il secondo motivo si deduce la violazione degli articoli 1326, 1418 e 1967 c.c., nonche’ la nullita’ della sentenza, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4.

La censura si riferisce al capo della sentenza impugnata che ha escluso che la forma scritta per la redazione dell'”atto ricognitivo e transattivo” dell’ottobre 2001 fosse stata comunque prevista dalle parti. Il ricorrente adduce, a sostegno del motivo, le circostanze che, da un lato, lo stesso (OMISSIS) e gli altri familiari avevano avvertito come necessaria la sottoscrizione del contratto per aderirvi e farne propri gli effetti; dall’altro, che il contratto espressamente prevede: “con la sottoscrizione del presente atto ricognitivo (…) si deve intendere verificato l’accordo”.

Il motivo e’ fondato.

4.2 Si tratta di questioni gia’ illustrate nell’atto appello e sulle quali la Corte di Bologna si pronuncia nei seguenti termini: “Considerata la distinzione tra contenuto e sottoscrizione (secondo il criterio enunciato da Sez. Sentenza n. 72 del 03/01/2011 Rv. 615837 relativamente ai casi in cui la forma scritta e’ prevista ad probationem) la censura incorre nell’equivoco di confondere la forma del negozio con quella dell’accettazione. Nel particolare, poi, il fatto che le parti abbiano messo per iscritto le complesse regole per la composizione del loro contrasto, on confligge con l’enunciato principio. (…) L’articolo 13 non prevede affatto l’essenzialita’ della forma scritta, ma l’impegno reciproco ad ottenere le sottoscrizioni “additive” di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e infine della societa’ (OMISSIS) s.a.. Essendo tale il tenore della clausola citata, non ha alcun rilievo l’argomento della consapevolezza di tale essenzialita’ che (OMISSIS) avrebbe manifestato provvedendo alla, tardiva, sottoscrizione”.

La stringata motivazione, dunque, si articola in due argomenti di difficile intellegibilita’. Entrambi sono interessati dalle censure svolte con il motivo in esame.

4.3 Anzitutto, secondo la corte territoriale, si dovrebbe distinguere la forma del negozio da quella dell’accettazione: la circostanza che l’atto sia stato redatto per iscritto non escluderebbe che l’accettazione possa intervenire per facta concludentia.

La tesi e’ manifestamente erronea in diritto e si basa sul travisamento della giurisprudenza di questa Corte citata nella stessa sentenza impugnata.

Infatti, la Cassazione ha affermato il principio secondo cui, nei contratti per i quali la forma scritta e’ richiesta soltanto ad probationem, poiche’ la legge non prescrive la contestuale sottoscrizione delle parti contraenti, l’eventuale mancanza di sottoscrizione di una di esse puo’ essere sostituita dall’inequivocabile manifestazione della volonta’ di avvalersi del negozio documentato nella scrittura incompleta, in particolare mediante la produzione della stessa in giudizio o l’intervenuta accettazione della medesima fatta allo scopo di avvalersi dei suoi effetti negoziali (Sez. 2, Sentenza n. 72 del 03/01/2011, Rv. 615837). Ma tale principio, per l’appunto, vale solo per i contratti per i quali la forma scritta e’ prescritta ad probationem e non ad substantiam.

Qui si discute, invece, dell’essenzialita’ della forma scritta per volonta’ delle parti, quindi di un’ipotesi in cui l’onere di forma e’ pattiziamente previsto come requisito di validita’ del contratto, ai sensi dell’articolo 1352 c.c..

Di conseguenza, la corte d’appello ha malamente applicato un principio di diritto dal quale si ricava a contrario esattamente l’opposto di quanto affermato nella sentenza impugnata.

4.4 Al caso in esame si sarebbe potuto applicare, semmai, il principio secondo cui, nei contratti per i quali e’ richiesta la forma scritta ad substantiam, se la legge non esige che la sottoscrizione delle parti contraenti sia contestuale, l’eventuale mancanza della sottoscrizione di una di esse puo’ essere sostituita dall’inequivocabile manifestazione di volonta’ di avvalersi del negozio documentato dalla scrittura incompleta e, in particolare, dalla produzione in giudizio del documento, fatta dalla parte che non l’ha sottoscritto, allo scopo di giovarsi dei suoi effetti; con la conseguenza che tale produzione non determina la costituzione del rapporto ex nunc, ma supplisce alla mancanza della sottoscrizione con effetti retroagenti al momento della stipulazione (Sez. L, Sentenza n. 12166 del 12/11/1992, Rv. 479481).

Sennonche’, il capo della decisione di primo grado che afferma la tardivita’ della sottoscrizione dell’atto dell’ottobre 2001 (avutasi solo il 17 aprile 2008, ossia dopo che (OMISSIS) aveva dichiarato di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto del 30 maggio 2001 e dopo la proposizione della domanda giudiziale di risoluzione per inadempimento) non e’ stato appellato. Pertanto sull’inidoneita’ di quella sottoscrizione a determinare, da se’, la conclusione dell’accordo transattivo si e’ oramai formato un giudicato interno.

4.5 La seconda parte della motivazione della sentenza impugnata concernente l’essenzialita’ della forma scritta si occupa dell’interpretazione della clausola contenuta nell'”articolo 13″.

La corte d’appello non chiarisce a quale accordo appartenga il menzionato “articolo 13”, ma dal tenore della clausola in commento sembra che si tratti del contratto del 30 maggio 2001 e non della proposta transattiva datata “ottobre 2001″.

Se cosi’ fosse, la corte d’appello fa dipendere l’esistenza della previsione pattizia della forma scritta non dal tenore dell’atto di cui il ricorrente lamenta il difetto del requisito formale di validita’, ossia l'”atto ricognitivo e transattivo” dell’ottobre del 2001, bensi’ da una clausola della transazione del 30 maggio 2001, che costituisce invece il contratto dal quale originano le obbligazioni che si sarebbero dovute ulteriormente transigere.

In sostanza, la corte d’appello, investita della necessita’ di verificare se il testo della proposta transattiva dell’ottobre del 2001 prevedesse o meno l’obbligo di accettazione in forma scritta come requisito essenziale di validita’, ha totalmente omesso l’esame del contenuto della proposta medesima ed ha invece fatto leva sulla natura dell’obbligo del fatto del terzo (individuato nell’acquisizione delle sottoscrizioni “additive”);

elemento, quest’ultimo, che non solo non ha alcuna rilevanza in questo contesto, ma addirittura attiene al rapporto giuridico che si intendeva transigere e non gia’ alla proposta transattiva.

Risulta invece del tutto omesso l’esame del punto 4.6 della proposta dell’ottobre 2001, che stabiliva: “con la sottoscrizione del presente atto ricognitivo, automaticamente e senza ulteriori adempimenti, si deve intendere verificato l’accordo e superata ed abbandonata ogni ulteriore pretesa”. E’ su tale clausola, al contrario, che la corte di merito avrebbe dovuto soffermarsi, giacche’ l’espresso riferimento alla “sottoscrizione del presente atto” ivi contenuto era stato indicato dall’appellante come manifestazione della volonta’ di prevedere l’accettazione in forma scritta come condizione di validita’ del contratto.

4.6 La motivazione sul punto della sentenza impugnata e’ dunque meramente apparente e si pone al di sotto del “minimo costituzionale”, talche’ risulta rilevabile, quale vizio comportante la nullita’ del provvedimento, pur dopo la riforma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

4.7 In conclusione, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata nella parte in cui esclude che la proposta transattiva datata “ottobre 2001″ prevedesse, quale condizione di validita’ dell’accordo, l’accettazione in forma scritta.

Poiche’ la sentenza e’ cassata per vizio di motivazione, il giudice del rinvio non e’ vincolato ad un principio di diritto. Resta, pero’, fermo restando che, dovendo l’accettazione della proposta rivestire forma scritta per le ragioni sopra esplicitate, non potra’ ritenersi ad essa equipollente l’accettazione per facta concludentia, giacche’ tale soluzione non sarebbe conforme a diritto.

5. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione o falsa applicazione degli articoli 1326 e 1327 c.c. e la nullita’ del procedimento per violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4.

La censura riguarda l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, della possibilita’ di concludere la transazione per fatti concludenti.

Il motivo e’ assorbito dall’accoglimento di quello precedente. Infatti, la possibilita’ di concludere l’accordo transattivo tramite un comportamento concludente e’ certamente esclusa in presenza della previsione pattizia della forma scritta ad substantiam.

Come si vedra’ subito dopo, il motivo e’ assorbito anche dall’accoglimento della censura ulteriore.

6.1 Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione o falsa applicazione dell’articolo 1326 c.c. e degli articoli 112 e 115 c.p.c..

Va premesso al riguardo che (OMISSIS), costituendosi in primo grado, non dedusse affatto l’ipotesi della conclusione dell’accordo transattivo per comportamenti concludenti, sostenendo invece che il perfezionamento dell'”atto ricognitivo e transattivo” dell’ottobre del 2001 sarebbe dipeso dalla sua (tardiva) sottoscrizione.

Pertanto, con l’atto d’appello l’odierno ricorrente dedusse che il tribunale aveva violato gli articoli 112 e 115 c.p.c., in quanto aveva posto a base della propria decisione circostanze di fatto non dedotte dal convenuto (ne’ da altri) ed era incorso nel vizio di ultrapetizione.

La corte d’appello ha rigettato il gravame sul punto osservando che verrebbe meno la corrispondenza fra chiesto e pronunciato solamente quando l’intervento del giudice faccia scaturire dalla domanda effetti diversi o piu’ ampi di quelli cui tende la domanda stessa.

Contro tale capo della sentenza si rivolge il motivo in esame.

Il motivo e’ fondato.

6.2 L’osservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’articolo 112 c.p.c., deve valutarsi con riguardo agli elementi identificativi della domanda, ossia il petitum e la causa petendi.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che per causa petendi, idonea ad identificare la domanda della parte, non debbono intendersi gia’ le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensi’ l’insieme delle circostanze di fatto che la parte pone a base della propria richiesta (Sez. 1, Sentenza n. 11157 del 13/12/1996, Rv. 501311; Sez. 2, Sentenza n. 3190 del 04/03/2003, Rv. 560838; Sez. 1, Sentenza n. 7523 del 04/06/2001, Rv. 547232; Sez. 1, Sentenza n. 14142 del 27/10/2000, Rv. 541251). Infatti, poiche’ e’ compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa, sono questi ultimi a qualificare giuridicamente la domanda, indipendentemente dall’esattezza del nomen iuris attribuitole nelle prospettazioni giuridiche di parte.

Consegue che il giudice, in ossequio del principio della necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, non solo non puo’ attribuire un bene della vita diverso da quello richiesto, ma non puo’ neppure basare la decisione su fatti costitutivi diversi da quelli dedotti (Sez. 1, Sentenza n. 1222 del 02/02/1995, Rv. 490206).

Solo in apparenza questo approccio giurisprudenziale si pone in contrasto con il principio, reiteratamente affermato, secondo cui non viola l’articolo 112 c.p.c., il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti (ex plurimis: Sez. 3, Sentenza n. 16809 del 20/06/2008, Rv. 604155; Sez. L, Sentenza n. 6757 del 24/03/2011, Rv. 616454). Infatti, e’ pur sempre necessario che la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (Sez. L, Sentenza n. 2209 del 04/02/2016, Rv. 638607)

6.3 Nel caso di specie, la corte d’appello accerta con chiarezza che (OMISSIS) non aveva dedotto, fra gli elementi costituitivi delle proprie eccezioni difensive, l’intervenuta conclusione dell’accordo transattivo per fatti concludenti in data anteriore alla domanda di risoluzione per inadempimento dell’accordo dal quale scaturivano gli obblighi che egli assumeva essere stati transatti. La tesi dell’intervenuto raggiungimento dell’accordo era basata unicamente sulla tardiva sottoscrizione della proposta dell’ottobre 2001, prodotta in giudizio unitamente alla comparsa di costituzione e di cui il convenuto dichiaro’ di volersi avvalere.

Dunque, l’affermazione per la quale, pur essendo tale sottoscrizione tardiva (e sul punto si e’ formato il giudicato interno), l’accordo transattivo si sarebbe perfezionato per facta concludentia in epoca antecedente alla dichiarazione stragiudiziale (del 29 gennaio 2008) di risoluzione del contratto del 30 maggio 2001, finisce per introdurre nel giudizio elementi costituivi della fattispecie diversi da quelli prospettati dalle parti e ritualmente acquisiti. Anzi, a ben vedere, ricostruisce una fattispecie concreta (conclusione dell’accordo per comportamenti concludenti) sostanzialmente e radicalmente diversa da quella prospettata dal convenuto (conclusione dell’accordo per intervenuta sottoscrizione della proposta).

Si riscontra, quindi, l’effettiva violazione dell’articolo 112 c.p.c. e la conseguente nullita’ della decisione, che sul punto deve essere cassata.

7.1 Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli articoli 1967 e 2730 c.c..

7.2 Nell’economia della decisione del tribunale e’ stato ritenuto decisivo il riconoscimento, contenuto nella proposta transattiva dell’ottobre 2001, dell’avvenuto adempimento delle obbligazioni scaturenti dall’accordo del 30 maggio 2001.

Sul punto la corte d’appello osserva: ” (OMISSIS) sottopone a critica la tesi della natura confessoria dell’atto ricognitivo e transattivi dell’ottobre 2001. Il Tribunale si pone la questione osservando che, se il documento in parola non consente di giungere sul versante dell’avvenuto perfezionamento del negozio ad una conclusione definitivamente appagante, tuttavia non sarebbe corretto ignorarlo puramente e semplicemente. Piuttosto il documento in questione potrebbe essere ricondotto al negozio ricognitivo (…) e in tal caso le relative dichiarazioni di scienza hanno valore confessorio (…). Quindi l’accordo in questione avrebbe un duplice contenuto, non essendo disgiunto dal profilo piu’ direttamente afferente alla causa transattiva, uno di quali riveste, nella parte in cui segnatamente si da’ atto degli obblighi gia’ adempiuti, un contenuto piu’ autenticamente ricognitivo, difficilmente equivocabile nella sua valenza di accertamento sui fatti storici.

(OMISSIS) nega legittimita’ alla scissione cosi’ operata dal Tribunale, poiche’ il tenore letterale renderebbe evidente l’inscindibile unita’ tra indicazione dei fatti e funzione di composizione della lite. Difetterebbe quindi l’imprescindibile animus confitendi.

La Corte ritiene che la censura sia infondata poiche’, nella sua genericita’, non affronta e non spiega tenore letterale e struttura dell’atto”.

La Corte territoriale prosegue affermando che nell’atto dell’ottobre del 2001 sarebbero dunque distinguibili una prima parte, la cui funzione e’ “di effettuare la constatazione dell’adempimento “con riferimento agli obblighi previsti nell’articolo 11 dell’Atto di transazione del 30/5/2001 non che’ delle ulteriori obbligazioni da esso nascenti e delle quali e’ stato denunciato l’inadempimento””, una seconda parte, in cui i contraenti si danno reciprocamente atto di aver ottemperato a una serie specifica di adempimenti, ed infine una terza ed ultima parte nella quale vengono specificati alcuni obblighi ulteriori, la cui attuazione darebbe corpo al vero e proprio regolamento negoziale transattivo.

Il motivo in esame censura questo capo della sentenza impugnata.

7.3 Il motivo e’ fondato.

La suddivisione dell’atto del 2001 in piu’ parti, nelle prime delle quali viene ravvisato un “negozio ricognitivo”, prescinde del tutto dalla circostanza che l’atto di cui si discute altro non e’ che la minuta di una proposta negoziale avente causa transattiva.

Anche a voler seguire il ragionamento della corte d’appello, del contratto “ricognitivo” mancherebbero l’accordo, la causa concreta e il sinallagma. In particolare, l’atto dell’ottobre del 2001 consiste in una proposta contrattuale unilateralmente formulata da (OMISSIS) ed accettata – tardivamente – dal fratello solo sette anni dopo; quindi, sul contenuto dell’ipotetico atto ricognitivo non si sarebbe comunque mai formato il consenso delle parti. In secondo luogo, il giudice d’appello non chiarisce neppure quale sarebbe stata la specifica funzione economico-individuale (Sez. 3, Sentenza n. 10490 del 08/05/2006, Rv. 592154; Sez. 3, Sentenza n. 23941 del 12/11/2009, Rv. 610016) che le parti avrebbero inteso perseguire mediante un contratto meramente ricognitivo; difetta quindi l’elemento causale, essenziale per poter configurare un negozio giuridico autonomo rispetto alla proposta contrattuale contenuta nel medesimo documento. Infine, secondo quanto sembra evincersi dalla lettura della sentenza impugnata, la controprestazione del contratto ricognitivo sarebbe costituita dagli ulteriori obblighi nascenti dalla “terza parte” dell’atto (quella avente natura di proposta transattiva); in tal modo, pero’, resterebbe dimostrata l’inscindibilita’ del contenuto complessivo della proposta contrattuale, con la conseguenza che le prime due “parti” non potrebbero non condividere la natura della terza.

Deve quindi escludersi che sia possibile ravvisare nell’atto del 2001 la presenza di anche di uno solo degli elementi essenziali del contratto. La conclusione cui pervenuta la corte d’appello e’ quindi certamente erronea.

Al piu’, potrebbe ipotizzarsi che si sia in presenza non di un negozio giuridico (di natura “ricognitiva”), bensi’ di una dichiarazione non negoziale di scienza, di tipo confessorio. Ma, in tal caso, sarebbe stato necessario rintracciare quantomeno l’animus confitendi, mediante un’indagine che nella specie e’ stata del tutto omessa e che, peraltro, avrebbe dato inevitabilmente esito negativo, essendo del tutto impredicabile che dichiarazioni di tipo confessorio siano contenute in una proposta contrattuale relativa ad un accordo transattivo che dovrebbe avere ad oggetto proprio quelle stesse situazioni giuridiche confessate.

Nella sostanza, se e’ vero che la transazione proposta da (OMISSIS) avrebbe dovuto dirimere le insorgende controversie relative all’adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto del 30 maggio 2001, la contestuale confessione del regolare adempimento di quelle stesse obbligazioni avrebbe finito per privare la proposta transattiva del proprio oggetto, eliminando quello stato di incertezza che la transazione intendeva risolvere. La soluzione adottata dalla corte d’appello e’ quindi priva di razionalita’, prima ancora che di giuridico fondamento, perche’ – anche a voler prescindere da tutti i precedenti rilievi – ricostruisce il contenuto nell’atto del 2001 in termini tali da risultare intrinsecamente contraddittorio e certamente contrario all’effettiva e inequivoca volonta’ del suo autore.

7.4 In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata anche in relazione al capo in cui afferma la possibilita’ di ravvisare, nell’atto del 2001, un negozio giuridico ricognitivo. Le dichiarazioni cui la corte d’appello ha conferito questo valore non hanno natura negoziale e non costituiscono neppure una confessione stragiudiziale, ma rappresentano la mera puntuazione di quello che sarebbe dovuto essere il contenuto dell’accordo transattivo mai conclusosi.

8.1 Con il sesto motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli articoli 1206 e 1208 c.c..

La censura riguarda la questione della cessione dalla (OMISSIS) s.a. a (OMISSIS) delle partecipazioni nella (OMISSIS) Ltd. Si tratta di un “fatto del terzo” cui si era obbligato (OMISSIS) con l’accordo del 30 maggio 2001. In particolare, i titoli azionari erano in possesso della (OMISSIS), a favore della quale erano costituiti in pegno, e di quest’ultima societa’ l’amministratore era lo stesso (OMISSIS). Pertanto, (OMISSIS) si sarebbe dovuto limitare a formalizzare la cessione, senza occuparsi della materiale consegna dei titoli medesimi.

La corte d’appello ha ritenuto che l’obbligato avesse costituito in mora, ex articolo 1206 c.c., il fratello, semplicemente dichiarandosi disponibile a formalizzare la cessione “previa messa a disposizione dei titoli per le relative operazioni”.

Il ricorrente deduce che tale dichiarazione sarebbe potuta valere, al piu’, quale offerta non formale, avente l’effetto di escludere la mora del debitore, ma non anche come offerta formale.

8.2 Il motivo e’ fondato.

Infatti, l’unico mezzo per costituire in mora il creditore e provocare nel contempo la liberazione del debitore costituito dall’offerta formale, mentre l’offerta non formale e’ idonea solamente ad evitare la mora del debitore (Sez. 3, Sentenza n. 13345 del 07/06/2006, Rv. 591114).

Pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata nella parte in cui ha attribuito l’effetto di costituire in mora il creditore (mora accipiendi) ad una mera offerta non formale.

9. Con il settimo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4.

La censura di difetto di motivazione riguarda il medesimo capo della sentenza impugnato con il motivo precedente. L’accoglimento di quest’ultimo determina l’assorbimento del motivo in esame, restando a questo punto irrilevante verificare se il provvedimento impugnato sia davvero totalmente carente di motivazione sul punto o se la stessa sia comunque sotto il “minimo costituzionale” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

10.1 Con l’ottavo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione o falsa applicazione degli articoli 2697, 2702 e 2704 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4.

Fra le obbligazioni assunte da (OMISSIS) con la transazione del 30 maggio 2001 vi era quella di far ratificare da (OMISSIS) s.p.a. l’operato di (OMISSIS) per il periodo in cui ne era stato amministratore. Costituendosi del giudizio di primo grado, il convenuto produsse una delibera dell’assemblea ordinaria dei soci della (OMISSIS) s.p.a., apparentemente datata 20 settembre 2007, di ratifica nei termini convenuti. (OMISSIS), tuttavia, disconobbe la scrittura privata e ne contesto’ la data, facendo presente che la stessa (OMISSIS) s.p.a. in data 9 gennaio 2008 aveva proposto appello avverso una sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di responsabilita’ per mala gestio proposta nei suoi confronti: se la delibera prodotta da (OMISSIS) fosse stata realmente assunta in data 20 settembre 2007, la (OMISSIS) s.p.a. non avrebbe potuto autorizzare, in un momento successivo, l’impugnazione della sentenza che proscioglieva l’ex amministratore da ogni responsabilita’ gestoria.

La questione ha costituito oggetto di uno specifico motivo d’appello e sul punto la corte territoriale scrive quanto segue: “Maggiore esposizione merita invece la questione dell’efficacia probatoria del documento contente delibera assembleare dell’apparente data del 20/9/2007. Questa Corte, facendo proprio l’insegnamento di legittimita’, non riconosce al verbale di assemblea societaria ordinaria una natura tale da conferirgli una incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata a cagione dell’intrinseco grado di attendibilita’, quanto meno sostanziale. Si tratta dunque di prova atipica liberamente contestabile dalla parte controinteressata e utilizzabile dal giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo”.

10.2 Tale capo viene censurato sotto molteplici aspetti.

Fra questi, il primo che viene il rilievo e’ costituito dalla mera apparenza della motivazione.

Tale vizio non e’ piu’ previsto fra i motivi di ricorso per cassazione, a seguito della nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, non contempla piu’ il c.d. vizio di motivazione. Nondimeno, mediante la denuncia della violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e’ possibile recuperare un sindacato di legittimita’ sulla motivazione del provvedimento impugnato, pero’ ridotto al “minimo costituzionale”. Dunque e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Nella specie, la motivazione fornita dalla corte d’appello e’ meramente apparente. Infatti, essa si limita ad affermare genericamente che il verbale d’assemblea e’ un documento la cui portata e’ liberamente apprezzabile dal giudice di merito. Ma, investita poi dell’ineludibile compito di verificare nel merito il valore di quella delibera, specialmente alla luce del comportamento contraddittorio assunto dalla (OMISSIS) s.p.a., si limita ad osservare che l’iniziativa giudiziaria (l’interposizione di gravame avverso la sentenza che aveva rigettato la domanda di responsabilita’ nei confronti di (OMISSIS)) sarebbe riconducibile all’amministratore giudiziario della societa’.

La corte d’appello non risolve, dunque, il dubbio della “veridicita’” della delibera assembleare, ne’ della sua effettiva datazione. Peraltro, quest’ultimo dato sarebbe stato decisivo per verificare se l’adempimento di (OMISSIS) fosse anteriore o successivo rispetto alla data di risoluzione stragiudiziale dell’accordo del 30 maggio 2001.

La motivazione della sentenza impugnata, pertanto, non affronta minimamente le questioni prospettate dall’appellante, limitandosi ad una affermazione generica (secondo cui i verbali di assemblea sono liberamente valutabili dal giudice) e ad una specifica, ma del tutto non conferente (l’interposizione dell’appello contro la sentenza di rigetto dell’azione di responsabilita’ era riferibile all’amministratore giudiziario).

10.3 Per tali ragioni la sentenza impugnata deve essere cassata nella parte innanzi descritta, a causa della natura meramente apparente della relativa motivazione.

Tale conclusione e’ assorbente rispetto alle altre censure svolte nell’ambito del medesimo motivo.

11.1 Con il nono motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione o falsa applicazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo.

L’ultima censura riguarda l’affermazione contenuta nella sentenza d’appello secondo cui, avendo (OMISSIS) adempiuto alla massima parte delle obbligazioni scaturenti dall’accordo transattivo del 30 maggio 2001, “resterebbe del tutto inspiegabile il solo inadempimento” dell’obbligo di far ratificare dalla (OMISSIS) s.p.a. l’operato di (OMISSIS) quale ex amministratore.

Si tratta di una seconda ed autonoma ratio decidendi relativa alla medesima questione gia’ esaminata nel paragrafo precedente.

La decisione impugnata e’ censurata dal ricorrente, il quale osserva che, in presenza di un contratto dal quale scaturisce una molteplicita’ di obbligazioni a carico di una parte, non puo’ trarsi presunzione del regolare adempimento di talune di esse dalla circostanza dell’avvenuto adempimento delle altre.

Il motivo e’ fondato.

11.2 Com’e’ noto, e’ onere del debitore convenuto in giudizio fornire la prova del regolare adempimento del suo debito. In tale attivita’ probatoria egli puo’ anche avvalersi di presunzioni semplici (benche’ quasi tutti i casi censiti nella giurisprudenza di legittimita’ facciano riferimento, quale elementi presuntivi, al possesso o alla omessa produzione di titoli di credito).

Tali elementi indiziari, tuttavia, ai sensi dell’articolo 2729 c.c., devono essere “precisi”, cioe’ specificatamente riferibili alla situazione di fatto che deve essere dimostrata.

L’elemento della “precisione” non ricorre quando la presunzione viene tratta dalla condotta dell’obbligato relativa all’adempimento di una prestazione diversa da quella che gli viene richiesta.

Del resto, non sussiste alcuna regola d’esperienza secondo cui chi ha adempiuto ad una o piu’ obbligazioni deve considerarsi presuntivamente adempiente anche di tutte le altre obbligazioni gravanti su di lui.

Va dunque affermato il seguente principio di diritto:

“In tema di prova dell’adempimento, il ricorso a presunzioni semplici e’ possibile solo quando esse si riferiscano in modo specifico alla situazione di fatto che deve essere dimostrata, altrimenti difettando il requisito della “precisione” richiesto dall’articolo 2729 c.c.. Pertanto, nel caso in cui da un unico contratto scaturisca una pluralita’ di obbligazioni, le presunzioni devono riguardare specificatamente ciascuna delle obbligazioni dedotte, giacche’ l’adempimento di alcune di esse non costituisce presunzione “precisa” dell’avvenuto adempimento anche delle altre”.

11.3 In applicazione di tale principio la sentenza impugnata deve essere cassata nella parte in cui trae argomento per ritenere l’avvenuto adempimento, da parte di (OMISSIS), di tutte le obbligazioni scaturenti dall’accordo transattivo del 30 maggio 2001 dalla circostanza che e’ stata raggiunta la prova dell’effettivo adempimento di (solo) alcune di esse.

12. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai vari capi sopra indicati, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.