la prova dell’esistenza di una società di fatto debba passare attraverso la dimostrazione della sussistenza, in concreto, di tre elementi fondamentali: il fondo comune, la partecipazione comune dei soci di fatto agli utili e alle perdite dell’attività e, in un’ottica prettamente soggettiva, l’affectio societatis.
Tribunale Catania, Sezione 4 civile Sentenza 5 aprile 2019, n. 1436
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CATANIA
Sezione Quarta Civile
Il Tribunale di Catania, sezione quarta civile, in composizione monocratica, in persona del dott. Giorgio Marino, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 90100289/13 R.G.A.C. ex Sezione Distaccata di Acireale, posta in decisione, previ gli incombenti di cui all’art. 281 quinquies c.p.c. cbn. disp. art. 190 c.p.c., all’udienza di precisazione delle conclusioni del 10 dicembre 2018;
promossa da
(…),
nato a C. il (…) (c.f. (…)) elettivamente domiciliata in Catania Corso delle Provincie n. 203 presso lo studio dell’Avv. Re.Sa. che lo rappresenta e difende giusta procura a margine dell’atto di citazione;
attore
contro
(…),
nato a C. il (…) (c.f (…)), elettivamente domiciliato in Catania Via (…) presso lo studio dell’Avv. In.Be. che lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione;
convenuto;
OGGETTO: ACCERTAMENTO SOCIETA’ DI FATTO
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 21/02/2013, notificato il 25/02/2013, l’attore instaurava il presente giudizio al fine di ivi sentire accogliere le proprie domande e, segnatamente, l’accertamento dell’esistenza di una società di fatto con il convenuto e la definizione dei rapporti economici tra gli stessi, tenendo conto delle somme spese per l’avvio dell’attività e quantificate dall’attore medesimo in Euro 60.000.
Con comparsa di costituzione e risposta del 10/05/2013, il convenuto si opponeva alle richieste attoree chiedendone il rigetto, con condanna al pagamento delle spese processuali, nonché di un’ulteriore somma di denaro a titolo di risarcimento danni per lite temeraria.
All’udienza del 10/12/2018, la causa veniva posta in decisione con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.
Motivi della decisione
La società di fatto si sostanzia in un soggetto giuridico la cui costituzione prescinde da una formale dichiarazione in tal senso da parte dei soci. Più precisamente, si definisce di fatto quella società che abbia preso vita da un accordo verbale tra i soci oppure da comportamenti concludenti di questi ultimi tesi al comune svolgimento dell’attività di impresa.
Trattasi, in particolare, di un fenomeno che evidentemente viene in rilievo soltanto in tema di società di persone, con esclusione peraltro della società in accomandita semplice, stante la rigida disciplina dettata dalla legge con riguardo, invece, alla costituzione delle società di capitali.
Difatti, la società semplice, così come quella in nome collettivo, è l’unica a prestarsi a una pattuizione di tipo verbale o determinata da fatti concludenti.
A riprova di ciò, l’art. 2251 c.c. stabilisce che per la stipulazione del contratto sociale di cui all’art. 2247 c.c. non sono previste forme speciali, eccettuate quelle strettamente connesse alla natura dei beni oggetto di conferimento; inoltre, l’art. 2297 c.c. rinvia espressamente alle norme dettate in tema di società semplice fino a quando la società in nome collettivo non venga iscritta nel registro delle imprese, essendo però a tal fine necessario un atto sottoscritto dai soci.
In proposito, è bene precisare che il fenomeno della società di fatto va tenuto distinto dal diverso istituto della società irregolare, che diversamente si ha quando l’atto costitutivo della società sia privo dei requisiti necessari affinché si proceda alla sua iscrizione nel registro delle imprese, che, tuttavia, non è condizione di validità della stessa.
Al più, può registrarsi una sovrapposizione tra le due ipotesi in questione, il che avviene quando l’assenza dei requisiti per l’iscrizione nell’apposito registro dipenda per l’appunto dalla mancata stipulazione per iscritto del contratto sociale.
In sintesi, l’assenza di un atto scritto che dia vita a una società semplice o a una società in nome collettivo non impedisce in alcun modo ai soci, ancorché di fatto, di esercitare in comune l’attività di impresa, con conseguente applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 2251 ss. c.c.
Tuttavia, maggiori problemi si pongono con riferimento alla prova da fornire in giudizio circa l’effettiva esistenza di una società di fatto ove sorga una controversia tra gli asseriti soci.
A tal riguardo, la giurisprudenza è da tempo unanime nel ritenere che, sotto il profilo sostanziale, la prova dell’esistenza di una società di fatto debba passare attraverso la dimostrazione della sussistenza, in concreto, di tre elementi fondamentali: il fondo comune, la partecipazione comune dei soci di fatto agli utili e alle perdite dell’attività e, in un’ottica prettamente soggettiva, l’affectio societatis (cfr., ex multis, Cass., n. 5961/2010).
In particolare, per fondo comune si intende il patrimonio ascrivibile alla società, di cui quest’ultima è esclusiva titolare in quanto soggetto di diritto distinto rispetto ai soci; tale patrimonio è volto al concreto svolgimento dell’attività di impresa ed è costituito dai conferimenti che i soci si impegnano ad effettuare sì da dotare la società delle risorse necessarie per poter avviare e svolgere la propria attività.
Quanto al secondo requisito, invece, la partecipazione comune dei soci di fatto agli utili e alle perdite della società è presupposto imprescindibile che, per vero, riguarda qualunque attività di impresa, atteso che, per il tramite di quest’ultima, i soci perseguono uno scopo di lucro, esponendosi al contempo al rischio di subire eventuali perdite.
Infine, il terzo elemento che viene in rilievo ha natura soggettiva: trattasi della c.d. affectio societatis, la quale consiste nel vincolo intercorrente tra i soci avente ad oggetto l’instaurazione di una vera e propria collaborazione ai fini del raggiungimento di un risultato comune.
Sotto il profilo più strettamente processuale, poi, la giurisprudenza ha altresì chiarito come nell’ambito del giudizio di merito l’esistenza di una società di fatto vada provata, in difetto di un contratto scritto, attraverso il ricorso a qualunque mezzo probatorio contemplato dall’ordinamento giuridico, ivi comprese le presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c., purché l’accertamento dei tre requisiti sostanziali su cui si fonda la società di fatto avvenga in maniera rigorosa.
In proposito, infatti, si è ritenuto di dover tenere distinta, da un lato, la prova del rapporto intercorrente internamente tra i soci e, dall’altro lato, la prova dei rapporti esterni esistenti tra questi ultimi e i terzi: mentre la prima non può che passare attraverso tutti gli elementi essenziali sopra menzionati sui quali si fonda la struttura della società di fatto, per la seconda è al contrario sufficiente che il vincolo sociale venga esteriorizzato per il tramite di comportamenti idonei a far sorgere in capo ai terzi un legittimo affidamento circa l’esistenza di una struttura societaria, con conseguente responsabilità solidale ex artt. 2267 e 2297 c.c. dei soci di fatto (Cass., S.U., 2243/2015).
Le considerazioni che precedono consentono a questo giudice di pronunciarsi nel merito della causa rigettando la domanda attorea.
Invero, parte attrice, che ha instaurato il presente giudizio al fine di vedere accertata l’esistenza di una società di fatto con il (…), non ha tuttavia fornito prove sufficienti a dimostrare la sussistenza dei requisiti sostanziali richiesti dalla giurisprudenza con riguardo ai rapporti interni ed esterni dei soci.
Difatti, il (…) ha posto a fondamento della propria domanda di accertamento esclusivamente due elementi che, a suo dire, proverebbero la costituzione ad opera delle parti di una società di fatto volta alla gestione di un chiosco sito in (…), pur in difetto di un contratto scritto tra le stesse. Trattasi, da un lato, del contratto concluso nel 2012 con (…) s.p.a. e presente in atti e, dall’altro lato, delle dichiarazioni rilasciate per iscritto dai titolari delle imprese che avrebbero eseguito i lavori di installazione del chiosco.
Quanto al primo, trattasi di un contratto di compravendita che reca la firma sia del (…) che del (…) e dal quale si ricava l’impegno del (…) quale coobbligato in solido al pagamento del prezzo della merce, secondo le specifiche modalità indicate in seno all’accordo. Sul punto, tuttavia, non può tacersi che, pur essendo vero che i conferimenti possono consistere anche nell’erogazione di somme di denaro o nella prestazione di garanzie personali in favore dell’ente di fatto o, più semplicemente, di taluni soci, tale elemento non può, da sé solo, assurgere a prova dell’esistenza della struttura societaria.
A tale contratto, infatti, non segue alcuna dimostrazione che il pagamento sia stato effettuato in concreto da parte del (…), né vi è prova circa il danno economico che quest’ultimo in citazione afferma di aver subito per il susseguirsi di protesti cambiari che sarebbero stati emessi nei confronti del (…).
A ciò deve aggiungersi altresì che la tabella prodotta da parte attrice recante i presunti costi sostenuti dal (…) e quantificati in circa 30.000 mila euro non è accompagnata da alcun riscontro, neanche bancario, circa l’effettività di tali esborsi.
Quanto, infine, alle dichiarazioni attribuite agli imprenditori edili ed ai liberi professionisti che si sarebbero occupati della realizzazione materiale del chiosco e dalle quali si ricaverebbe il contributo economico del (…), va rilevata la mancata assunzione della relativa prova testimoniale.
Invero non può non rilevarsi come parte attrice non abbia più partecipato al giudizio sin dall’udienza dell’11.5.2015 non insistendo nemmeno per l’ammissione delle prova per testi articolate. Peraltro tale prova non avrebbe in alcun modo consentito di accertare i requisiti come sopra delineati della esistenza di una società di fatto, atteso che le stesse avrebbero al più condotto all’accertamento di una partecipazione del (…) alla realizzazione del chiosco, senza però comprovare in alcun modo la misura della partecipazione dello stesso né l’ammontare dei conferimenti.
L’insufficienza del compendio probatorio con riguardo al conferimento e, a fortiori, al patrimonio della presunta società di fatto oggetto della presente controversia deve essere riferita anche agli altri due presupposti sostanziali richiesti dalla giurisprudenza. Più precisamente, non vi è stata alcuna partecipazione agli utili e alle perdite della società, così come affermato dalle stesse parti nell’ambito dei propri scritti difensivi e, in particolare, in sede di ricostruzione storica della vicenda; né può parlarsi di affectio societatis se non vi è prova alcuna circa l’effettiva collaborazione del (…) e del (…) nella gestione del chiosco e nel raggiungimento di risultati comuni.
La domanda attorea va pertanto rigettata, con conseguente condanna alle spese dell’attore, restando assorbita ogni ulteriore domanda circa i rapporti economici tra le parti.
Le spese seguono la soccombenza – anche per la fase cautelare incidentale – e vanno distratte ex art. 93 c.p.c. in favore del difensore del convenuto.
Va infine rigettata anche la domanda avanzata da parte convenuta di condanna della controparte per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. Più nello specifico, secondo consolidata giurisprudenza la domanda diretta al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata deve essere accompagnata dalla prova, o quantomeno dall’allegazione, dell’an e del quantum del risarcimento richiesto (Cass. n. 4443/2015).
Ciò in quanto l’istituto della responsabilità aggravata rappresenta una vera e propria ipotesi di responsabilità extracontrattuale, in riferimento alla quale l’onere probatorio incombe sulla parte che sostiene di essere stata danneggiata dal comportamento processuale di controparte.
Occorre quindi la dimostrazione sia dell’elemento soggettivo, ossia della mala fede o della colpa grave di controparte che abbia agito o resistito in giudizio in modo temerario, sia dell’elemento oggettivo, che consiste nel danno subito in conseguenza del predetto atteggiamento temerario.
Diversamente, nel caso di specie l’istante non ha assolto siffatto onere probatorio, essendosi piuttosto limitato a sostenere in modo alquanto generico la temerarietà della lite.
P.Q.M.
Il giudice dott. Giorgio Marino, definitivamente pronunciandosi sulle domande spiegate nel presente giudizio,
a) rigetta la domanda attorea;
b) condanna l’attore al pagamento delle spese processuali, anche della fase cautelare incidentale, in
favore del convenuto, liquidate – e distratte in favore dell’Avv. In.Be. – in complessivi Euro 3000.00 per compensi, oltre spese generali, iv e cpa.
Così deciso in Catania il 2 aprile 2019.
Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2019.