Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 29 marzo 2018, n. 14587

La condanna definitiva per il reato di bancarotta non impedisce di procedere nei confronti dello stesso imputato per altre e distinte condotte di bancarotta relative alla medesima procedura concorsuale”); bis in idem che sarebbe, invece, stato configurabile, laddove fosse stata propugnata la tesi dell’unitarieta’ del reato di bancarotta, in caso di pluralita’ di fatti.

 

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Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 29 marzo 2018, n. 14587

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. MORELLI Francesca – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 04/05/2015 della Corte di Appello di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere RICCARDI GIUSEPPE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale MIGNOLO Olga, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 04/05/2015 la Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Treviso che aveva affermato la responsabilita’ penale di (OMISSIS) per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, per avere, in qualita’ di amministratore di fatto della societa’ (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il (OMISSIS), in concorso con l’amministratore di diritto (OMISSIS), distratto somme di denaro (per un importo di Euro 95.566,00) e i beni strumentali (un’autovettura, i mobili e le attrezzature), e per aver tenuto le scritture contabili in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari della societa’, omettendo le annotazioni sul libro giornale e sui registri IVA negli anni 2002 e 2003, e omettendo di conservare la documentazione contabile del 2003.

Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione (OMISSIS), mediante i difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Vizio di omessa motivazione in ordine alle censure proposte con l’atto di appello: la sentenza si sarebbe limitata a rinviare alla decisione di primo grado, senza valutare i motivi proposti; lamenta al riguardo che il ruolo di amministratore di fatto dell’imputato non sia fondato su elementi indiziari affidabili, avendo la stessa G.d.F. rimesso alle valutazioni del magistrato l’apprezzamento degli stessi; sarebbero illogici, e comunque insufficienti, gli elementi valorizzati dalla Corte, ovvero la circostanza che il Battisti avesse accompagnato l’amministratore (OMISSIS) presso l’abitazione del proprietario dell’immobile locato per la (OMISSIS), in occasione della conclusione del contratto di locazione, la circostanza che talvolta abbia pagato i canoni di locazione presso l’abitazione del proprietario, i rapporti di lavoro con (OMISSIS), in quanto riguardanti un’altra societa’ (la DSA), la disponibilita’ della Renault Laguna, intestata alla (OMISSIS), e riferita in maniera confusa dal (OMISSIS), l’attivita’ del Battisti per conto della societa’, riferita da (OMISSIS), in quanto l’imputato ha sempre svolto attivita’ di mediatore nel settore delle carni, ed infine l’attivita’ lavorativa svolta negli uffici della (OMISSIS) dalla figlia e dalla compagna dell’imputato.

La motivazione sarebbe carente anche con riferimento alla distrazione della somma di Euro 95.566,00 presente su un conto corrente acceso in Francia, sul quale erano legittimati ad operare (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ con riferimento alla distrazione dei mobili e delle attrezzature, prelevate su ordine del (OMISSIS), come riferito da (OMISSIS).

2.2. Violazione di legge in relazione alla L.Fall., articolo 219 e vizio di motivazione: la sentenza ha escluso l’applicazione della concezione unitaria del reato di bancarotta, in caso di c.d. continuazione fallimentare.

2.3. Vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche, fondato su precedenti penali risalenti nel tempo e nonostante una condotta improntata a buona fede.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile.

Il primo motivo e’ inammissibile, non soltanto perche’ ripropone le medesime doglianze proposte con l’atto di appello, e motivatamente respinte dalla Corte territoriale, senza alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi, Rv. 264185; Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, Kasem, Rv. 259456), ma altresi’ perche’ propone motivi diversi da quelli consentiti dalla legge (articolo 606 c.p.c., comma 3), risolvendosi in doglianze eminentemente di fatto, riservate al merito della decisione, e perche’ manifestamente infondato.

Va innanzitutto evidenziata l’inammissibilita’ delle doglianze relative alla valutazione probatoria relativa al ruolo di amministratore di fatto ed alla condotta distrattiva, in quanto sollecitano, ictu oculi, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita’; infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., sono in realta’ dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).

In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica – unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata.

Il controllo di legittimita’, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia’ il rapporto tra prova e decisione; sicche’ il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia’ nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e’ estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.

Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione e’ giudice della motivazione, non gia’ della decisione, ed esclusa l’ammissibilita’ di una rivalutazione del compendio probatorio, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex multis, Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944), va al contrario ribadito che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti ed alla qualificazione giuridica.

La Corte territoriale, infatti, ha affermato, con apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimita’, che il ruolo di (OMISSIS) quale amministratore di fatto della societa’ fallita e’ stato desunto dalle dichiarazioni convergenti dei testimoni, secondo cui l’imputato: aveva svolto le trattative, anche per il prezzo, per l’affitto dell’immobile sede della societa’, e provvedeva a pagare i relativi canoni di locazione ( (OMISSIS)); aveva costituito, in concomitanza con il fallimento della (OMISSIS), un’altra societa’ ( (OMISSIS) s.r.l.) avente il medesimo oggetto sociale (nel settore delle carni), per amministrare la quale aveva individuato un prestanome, ed aveva in uso l’autovettura (una Renault Laguna) intestata alla (OMISSIS), e che concedeva in uso ai prestanome incaricati dell’amministrazione di diritto delle altre societa’ di nuova costituzione ( (OMISSIS)); manteneva i rapporti con i clienti, con i quali trattava le compravendite di bestiame ( (OMISSIS)). Inoltre, l’amministratore di diritto, (OMISSIS), lavorava in realta’ come portantino in un ospedale, ed era risultato del tutto ignaro delle vicende societarie.

Ebbene, premesso che, in tema di reati fallimentari, la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attivita’ della societa’, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita’, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita’, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, Faruolo, Rv. 269101), va osservato che la sentenza impugnata ha evidenziato gli indici sintomatici dell’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione gestoria (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534, secondo cui, nondimeno, significativita’ e continuita’ non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attivita’ gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale), consistenti, in particolare, nella scelta dell’immobile ove insediare la sede legale, nel pagamento dei canoni di locazione della stessa, nei rapporti contrattuali con i clienti, nella disponibilita’ dei beni strumentali.

Va pertanto ribadito che, essendo sostenuta da congrua e logica motivazione, e’ insindacabile in sede di legittimita’ la valutazione di fatto formulata dalla sentenza impugnata in merito al ruolo di amministratore di fatto assunto dall’odierno ricorrente.

Quanto alla distrazione della somma dal conto corrente intestato alla fallita e delle attrezzature, e’ sufficiente evidenziare che non rileva la asserita mancanza di procura ad operare sul conto, bensi’ il ruolo concretamente assunto di amministratore di fatto della societa’ fallita.

Al riguardo, e’ sufficiente rammentare il consolidato principio secondo cui il soggetto che assuma, in base alla disciplina prevista dall’articolo 2639 c.c., la qualifica di amministratore “di fatto”, essendo tenuto ad impedire ex articolo 40 c.p., comma 2, le condotte illecite riguardanti l’amministrazione della societa’ o a pretendere l’esecuzione degli adempimenti previsti dalla legge, e’ responsabile di tutti i comportamenti, sia omissivi che commissivi, posti in essere dall’amministratore di diritto, al quale e’ sostanzialmente equiparato (Sez. 3, n 33385 del 05/07/2012, Gencarelli, Rv. 253269).

Pertanto, del tutto immune da censure risulta la sentenza impugnata, laddove ha ascritto la responsabilita’ delle condotte distrattive, anche concernenti somme di denaro della societa’ amministrata di diritto da (OMISSIS), a (OMISSIS), che, come evidenziato, aveva la gestione piena delle societa’, ed agiva come vero e proprio dominus.

Il secondo motivo, relativo alla c.d. continuazione fallimentare, e’ inammissibile, trattandosi di doglianza priva di chiarezza, sia nell’esposizione delle ragioni di diritto, sia nelle richieste.

L’applicazione della L.Fall., articolo 219, risulta corretta, avendo la Corte affermato, a proposito della c.d. continuazione fallimentare, la sussistenza della circostanza aggravante della pluralita’ di fatti di bancarotta, e la correttezza del calcolo della pena, la cui base edittale e’ stata aumentata proprio per l’aggravante contestata.

Al riguardo, non appare ridondante chiarire che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, in tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralita’ di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dalla L.Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’articolo 81 c.p. (Cassazione Sezioni Unite Penali n. 21039/2011, Loy, Rv. 249665).

Il principio affermato implica un abbandono della tradizionale concezione dell’unitarieta’ del reato di bancarotta, in caso di realizzazione di piu’ fatti, ed una adesione alla tesi che individua nella L.Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, una norma che delinea una circostanza aggravante nella forma, ma una pluralita’ di reati nella sostanza (in tal senso, Sez. 5, n. 51194 del 12/11/2013, Carrara, Rv. 258675; Sez. 5, n. 50349 del 22/10/2014, Dalla Torre, Rv. 261346: “La configurazione, sotto il profilo forma/e, della c. d. continuazione fallimentare di cui alla L.Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, quale circostanza aggravante, ne comporta l’assoggettabilita’ al giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti”).

Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, in altri termini, implica, da un lato, l’operativita’ della c.d. continuazione fallimentare come circostanza aggravante, ai fini del trattamento sanzionatorio e della bilanciabilita’ con eventuali circostanze attenuanti, e, dall’altro, l’inoperativita’ del divieto del bis in idem in caso di ulteriori fatti di bancarotta commessi prima di una sentenza di condanna divenuta irrevocabile in relazione a fatti di bancarotta concernenti la medesima procedura concorsuale (Cassazione Sezioni Unite Panali n. 21039/2011, Loy, Rv. 249668: “La condanna definitiva per il reato di bancarotta non impedisce di procedere nei confronti dello stesso imputato per altre e distinte condotte di bancarotta relative alla medesima procedura concorsuale”); bis in idem che sarebbe, invece, stato configurabile, laddove fosse stata propugnata la tesi dell’unitarieta’ del reato di bancarotta, in caso di pluralita’ di fatti.

Tanto premesso, la questione giuridica non assume rilievo nel caso in esame, in quanto non sono state riconosciute circostanze attenuanti suscettibili di bilanciamento, ne’ erano contestati fatti di bancarotta ulteriori rispetto a fatti gia’ giudicati con sentenza irrevocabile.

Il terzo motivo, concernente il diniego delle attenuanti generiche, e’ manifestamente infondato, in quanto la Corte territoriale ha motivato il diniego delle attenuanti generiche, con apprezzamento di fatto immune da illogicita’, e dunque incensurabile in sede di legittimita’, richiamando, quale indice fattuale ritenuto assorbente, la capacita’ a delinquere, desunta dai precedenti penali, anche specifici per bancarotta fraudolenta (Sez. 6, n. 38780 del 17/06/2014, Morabito, Rv. 260460).

Sicche’ la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e’ giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita’, che, pertanto, e’ insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).

Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00: infatti, l’articolo 616 c.p.p., non distingue tra le varie cause di inammissibilita’, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilita’ dichiarata ex articolo 606 c.p.p., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilita’ pronunciata ex articolo 591 c.p.p..

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

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Avv. Umberto Davide

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