l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente ed i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti ciò in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio.

Tribunale|Bergamo|Civile|Sentenza|26 luglio 2021| n. 423

Data udienza 23 luglio 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice unico del Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, dott. Raffaele Lapenta, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 06.07.2021, che si è svolta con le modalità della trattazione da remoto ex art. 221, co. 7 D.L. n. 34 del 2020 convertita in L. n. 77 del 2020, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. R.G. 128/2021

TRA

E

(…) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., con sede legale in P. B. (M.), via (…), rappresentata e difesa come in atti dagli avv.ti Fa.Da., Sa.Fl. e Pa.Sa., elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, sito in Bergamo, via (…)

opponente

E

(…), nato a V. (V.) il (…), elettivamente domiciliato in via (…), presso lo studio degli avv.ti An.Mi. e Mo.Fa., dalle quali è rappresentato e difeso come in atti

opposto

OGGETTO: opposizione ordinanza Fornero ex art. 1, co. 51 L. n. 92 del 2012

FATTO E DIRITTO

Con ricorso ex art. 1, co. 48 L. n. 92 del 2012 depositato in data 06.03.2020 e ritualmente notificato, (…) agiva in giudizio innanzi all’intestato Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nei confronti della società (…) s.r.l., per ivi sentir dichiarare l’illegittimità del licenziamento per giusta causa comminatogli con lettera raccomandata del 01.10.2019, con le conseguenze di legge, reintegratorie e risarcitorie, di cui all’art. 18 L. n. 300 del 1970, stante il carattere discriminatorio e ritorsivo della misura adottata.

Il ricorrente avrebbe leso irrimediabilmente il legame fiduciario con il datore di lavoro per aver installato un registratore vocale spia, nascosto tra i suoi effetti personali sotto la sua scrivania, lasciandolo accesso durante tutta la giornata lavorativa anche nei momenti in cui lo stesso era assente e ciò in aperta violazione delle diritto alla segretezza della comunicazione dei colleghi e superiori, ingenerando negli stessi un senso di sfiducia, sospetto e tensione, tale da compromettere il regolare svolgimento dell’attività produttiva aziendale.

L’Istante, in ricorso, affermava di lavorare per la società convenuta nel reparto di Customs Support Team sin dal 2008 e di aver sempre intrattenuto ottimi rapporti con i colleghi e i responsabili; solo a partire dal 2018, a seguito del suo rifiuto di svolgere attività ritenuta “non regolare e non in linea con quanto previsto dal Codice Doganale Unionale e dalla Legislazione Doganale”, i rapporti si sarebbero incrinati: la responsabile (…), avrebbe posto in essere comportamenti discriminatori e persecutori nei suoi confronti, fino all’inflizione di infondate sanzioni disciplinari (multa di 3 ore di retribuzione per aver usato “toni irritanti, spiacevoli e irrispettosi” nei confronti di alcuni colleghi (…) e (…) – misura dichiarata legittima dalla Corte d’Appello di Brescia in riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo; rimprovero scritto per aver fornito via mail ad un cliente una risposta evasiva e non conforme alle direttive impartite).

Con la presente azione, il ricorrente lamentava l’infondatezza dell’addebito mossogli sostenendo che l’apparecchio rinvenuto in prossimità della sua postazione non sarebbe stato suo; rassegnava le conclusioni sopra rimesse.

Con memoria depositata in data 22.06.2020, si costituiva in giudizio la società (…) s.r.l. contestando tutto quanto ex adverso sostenuto ed argomentato; ribadiva la legittimità della misura espulsiva adottata stante la netta recisone del legame fiduciario per il comportamento posto in essere dal ricorrente, considerati i precedenti disciplinari e, in specie, la precedente registrazione prodotta nel processo recante R.G. n. 707/2019 Trib. Bergamo; insisteva, dunque, per il rigetto della domanda avversaria.

Il Giudice, tentata invano la conciliazione della lite alla prima udienza (svoltasi con collegamento da remoto alla stanza virtuale del giudice ai sensi dell’art. 83, co. 7 lett. f) D.L. n. 18 del 2020), disponeva l’audizione degli informatori in presenza e, all’esito, rimetteva la causa in decisione con le modalità di cui all’art. 221, co. 4 L. n. 77 del 2020 stante il perdurare dell’emergenza epidemiologica dovuta alla diffusione sul territorio nazionale del Coronavirus.

A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 05.11.2020, definiva la fase sommaria della procedura in accoglimento delle doglianze del ricorrente.

Il Tribunale così statuiva: “accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara illegittimo il licenziamento impugnato; – condanna (…) s.r.l. a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e al pagamento, in favore di quest’ultimo, di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto l’aliunde perceptum, con versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione…” e spese di lite refuse come da quantificazione in dispositivo.

Avverso la decisione adottata, (…) s.r.l. proponeva la presente azione in opposizione, contestando l’ordinanza adottata da questo Tribunale e ribadendo tutte le argomentazioni esposte nella precedente fase di giudizio anche sulla scorta delle risultanze istruttorie raccolte e la documentazione prodotta; sosteneva, in particolare, che il lavoratore non avrebbe soddisfatto l’onere della prova su di lui gravante circa la non riconducibilità alla propria sfera di proprietà del registratore vocale rinvenuto sotto la sua scrivania.

Si costituiva nel giudizio di opposizione (…), ribadendo l’illegittimità del licenziamento, ribadendo per il carattere ritorsivo dello stesso; insisteva, dunque, per il rigetto dell’opposizione.

Il giudice trattava la causa ancora una volta con le modalità della trattazione da remoto stante il perdurare della crisi epidemiologica Coronavirus e, a scioglimento della riserva assunta all’esito della prima udienza del presente giudizio di opposizione, in accoglimento delle richieste della società opponente, invitava il (…) a depositare la lista completa degli acquisti effettuati negli anni 2018 e 2019 con account “(…)” e “(…)” a lui intestati.

La causa veniva poi trattenuta per la decisione.

Il ricorso in opposizione va rigettato e confermata la decisione assunta dallo scrivente nella precedente fase sommaria (ordinanza n. cronol. 7453/2020 del 31/12/2020 RG n. 484/2020) e alle cui motivazioni si rinvia e che sono di seguito riportate.

La contestazione elevata al ricorrente in data 12.09.2010 che ha portato al licenziamento per giusta causa è la seguente:

“… In data 2 settembre 2019, i Suoi colleghi di reparto, sigg.re (…) e (…), si sono avveduti della presenza, sulla cassettiera posta al di sotto della Sua scrivania, di un congegno elettronico di piccole dimensioni. L’oggetto risultava parzialmente nascosto tra una felpa ed un evidenziatore, ma era possibile scorgerlo lateralmente alla Sua postazione di lavoro. Da una rapida ricerca su internet, l’oggetto (v. foto allegate) risultava avere le fattezze di un registratore vocale “spia” … per intercettazioni ambientali occulte. I predetti Suoi colleghi, preoccupati dalla scoperta, successivamente verificavano – in occasione di un Suo momentaneo allontanamento dalla postazione lavorativa – che si trattava, effettivamente, di un registratore “spia” e che lo stesso era posto in funzione (l’interruttore era in posizione “on”; v. foto allegate). I Suoi colleghi verificavano, quindi, in occasione dei Suoi successivi allontanamenti, che il registratore anzidetto veniva da Lei lasciato acceso, nella medesima posizione, per tutta la giornata lavorativa, e anche nei momenti in cui Lei non era in reparto. Alla luce di quanto sopra, abbiamo motivo di ritenere che Lei abbia posto in essere, senza alcuna autorizzazione o consenso degli interessati, delle registrazioni audio occulte sul luogo di lavoro, in aperta violazione del diritto alla segretezza della comunicazione dei Suoi colleghi e superiori, nonché della nostra Società. La condotta sopra descritta appare in evidente contrasto con i più elementari principi di fedeltà, diligenza, buona fede e correttezza e risulta, altresì, in aperta violazione della normativa contrattuale e di legge. L’episodio ha, peraltro, oltremodo turbato gli animi dei Suoi colleghi, ingenerando nel reparto un clima di sfiducia, sospetto e tensione che rischia di compromettere il regolare svolgimento dell’attività produttiva aziendale …” (doc. 3 fasc. convenuta).

La convenuta ravvisa la particolare gravità della condotta posta in essere anche in relazione alla produzione nel giudizio n. R.G. 707/2019 di una conversazione registrata dal ricorrente sul luogo di lavoro ad insaputa dei colleghi e di cui contestava l’ammissibilità (procedimento definito con sentenza favorevole al lavoratore in primo grado, poi riformata in appello).

In prima udienza, il ricorrente, ribadendo quanto sostenuto in atti, negava la proprietà del congegno in questione e affermava che la registrazione di cui al procedimento n. R.G. 7070/2019 era stata effettuata mediante il suo smartphone.

Con sentenza n. 12534/2019, la Suprema Corte di Cassazione ha sostenuto la legittimità della condotta di un lavoratore che registra di nascosto le conversazioni coi colleghi per precostituirsi un mezzo di prova contro il datore in una causa futura o imminente, costituendo essa l’esercizio del diritto di difesa.

In sostanza, secondo gli Ermellini, l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente ed i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti (v. anche Cass. n. 11322/2018, Cass. n. 27424/2014); ciò in ragione “dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio” (Cass. 12534/2019).

Non sfugge al Tribunale che, sulla base del principio secondo cui il trattamento dei dati personali è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato, la registrazione di conversazione all’insaputa dei presenti, in linea teorica, configura una grave violazione del diritto alla riservatezza. Una simile condotta, tenuta sul luogo di lavoro, può effettivamente ledere irreparabilmente il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore e, quindi, essere motivo di licenziamento (v. Cass. 26143/2013). Inoltre, l’ambiente di lavoro potrebbe risultare inquinato dal reciproco sospetto che, in qualsiasi occasione e per i motivi più futili, si possano fare registrazioni occulte.

Fermo restando quanto appena riportato, con la pronuncia su rimessa (Cass. n. 12534/2019) la Cassazione ha ribadito le condizioni alle quali la conversazione registrata all’insaputa dell’interlocutore possa ritenersi legittima e, come tale, inidonea ad integrare un illecito disciplinare. Così, le registrazioni di conversazioni sono lecite quando sono strettamente finalizzate alla difesa di un proprio diritto e all’acquisizione di fonti di prova: solo quando il lavoratore registri conversazioni audio o video mosso dal genuino intento di tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e di precostituire una prova a proprio favore, un tale comportamento non legittima il licenziamento e neppure costituisce illecito disciplinare. Le registrazioni effettuate potranno, quindi, essere validamente prodotte anche nel processo civile del lavoro (rientrando nel genere delle riproduzioni meccaniche ex art. 2712 c.c.).

Nel caso di specie, il carattere “difensivo” di un’eventuale registrazione audio risulta dalla semplice lettura degli atti: in ricorso (pag. 2 e ss), il sig. (…) accenna ad attività irregolari e/o in contrasto con la normativa di legge e regolamentare in materia doganale e afferma che in dipendenza di ciò si sarebbero incrinati i rapporti con colleghi e, soprattutto, con la responsabile (…), la quale non risparmiava – secondo la tesi attorea – comportamenti persecutori e discriminatori all’indirizzo del ricorrente puntualmente denunciati (docc. 12 e 14 fasc. ricorrente), fino all’irrogazione della sanzione disciplinare di tre ore di multa per aver usato nei confronti dei colleghi “toni irritanti, spiacevoli e irrispettosi” (docc. 4 e 9 fasc. ricorrente) – misura dichiarata illegittima da questo Tribunale con sent. 355/2020 – e quella successiva del rimprovero scritto per aver redatto una mail in risposta ad un cliente in spregio alle direttive impartite (docc. 13 e 16 fasc. ricorrente).

Anche la società, nella memoria di costituzione della fase sommaria, afferma (pag. 27 e 28) di un “atteggiamento polemico e ostruzionistico del ricorrente” e gli informatori escussi hanno confermato il clima di tensione in cui si operava dal 2018.

(…): “I rapporti con i colleghi e la responsabile erano buoni, ma solo fino ad un certo punto; a partire dal 2018 i rapporti si son deteriorati; ero delegato sindacale e il ricorrente si era rivolto a me per i problemi avuti con l’ufficio e in particolare con la responsabile (…). Si trattava di problemi di lavoro; il ricorrente si era rifiutato di svolgere attività non in linea con la normativa doganale; io non sono esperto di materia doganale ma altri colleghi mi avevano confermato che la procedura che si richiedeva al ricorrente non era in linea con le prescrizioni.

Mi sono sentito più volte con il ricorrente che mi diceva che c’era un atteggiamento ostile nei suoi confronti in ufficio”; (…): “i rapporti sono sempre stati di collaborazione e sostegno reciproco; c’è stato un episodio nel 2018 (agosto) in cui c’è stata una discussione nel reparto per un’attività che doveva essere svolta dal (…); questi riteneva di non poterla svolgere e da allora i rapporti si sono incrinati; la relazione con il ricorrente era difficoltosa, non vi era scambio verbale ma solo mail scritte”; (…):

“Quanto al rapporto con la (…) posso dire che inizialmente, nel 2013, il rapporto era ottimo e confidenziale; nel corso del tempo ci sono state diverse occasioni in cui il ricorrente non era più partecipe e troncava le conversazioni, finché il rapporto non si è chiuso completamente anche nei miei confronti. Evidentemente c’erano delle divergenze sulle mansioni e sull’impostazione che veniva data al reparto.

So che il (…) si lamentava di una mansione che riteneva non idonea perché illegale o non conforme agli standard (…); aveva contestato l’attività e gli era stato chiesto di farla in sostituzione delle persone in ferie che normalmente la facevano e lui aveva espresso il suo diniego”; (…): “Quanto ai rapporti con la (…) posso dire che erano abbastanza tesi e non come all’inizio.

I rapporti non erano sereni e tranquilli come mesi prima; (…) non ci parlava più e c’è stato un cambiamento di rapporto anche nei nostri confronti; con (…) era polemico sempre tramite mail perché non proferiva parola a parte i saluti all’ingresso e in uscita dal lavoro. Con (…) i particolare i rapporti erano abbastanza tesi. Tutto era nato per una discussione avuta nell’estate 2018 su una attività che (…) aveva chiesto di fare a (…) in sostituzione mia e di (…); (…) disse che non era attività legale e conforme alla normativa doganale. Da quel momento si sono incrinati i rapporti”.

Si tratta di circostanze che consentono di ritenere l’ammissibilità di un’eventuale registrazione in presenza e senza il consenso degli altri interlocutori, proprio perché preordinata all’elaborazione di una difesa in un possibile giudizio contro il datore di lavoro o per investigazioni difensive.

Quindi, se in astratto il dipendente che registra di nascosto le conversazioni avvenute sul luogo di lavoro può essere licenziato, trattandosi di condotta che viola la riservatezza dei singoli, che ingenera un clima di mancanza di fiducia e collaborazione tra colleghi e che lede irreparabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, tuttavia, la registrazione che sia strettamente connessa ad una specifica e realistica prospettiva di contenzioso potrà esser prodotta in giudizio ed il comportamento non sarà sanzionabile dal punto di vista disciplinare.

Nel caso di specie, però …, si tratterebbe di registrazione non in presenza, ovvero, senza la partecipazione del (…) alla discussione. Le considerazioni sopra rimesse valgono se si è fisicamente presenti alla discussione; non si può cioè lasciare il registratore acceso e allontanarsi, o ancor peggio, azionare da remoto il tasto di registrazione del registratore o della telecamera. Le persone presenti avrebbero l’illusione di essere sole e potrebbero rilevare segreti che diversamente non avrebbero rilevato. Le registrazioni effettuate da terzi non presenti rientrano nell’ambito delle “intercettazioni” che sono attività di indagine consentite solo alla pubblica autorità (disciplinate dall’art. 266 c.p.p.), nei confronti di terzi all’oscuro dell’attività delle forze di polizia.

Si tratta, pertanto, di verificare se l’apparecchio rinvenuto presso la postazione di lavoro del ricorrente fosse in funzione nonostante l’assenza del ricorrente e, in caso affermativo, se la condotta illecita possa essere addebitata al ricorrente.

Quanto alla prima questione, l’istruttoria orale ha fornito dati inequivocabili: le informatrici (…) e (…) hanno dichiarato di essersi accorte di tale congegno di registrazione occulta riposto sopra la cassettiera sotto la scrivania in uso al ricorrente; le testi ricordano che l’apparecchio era in funzione in posizione “on”.

Occorre, però, appurare se tale condotta illecita sia effettivamente addebitabile al ricorrente che ha sempre negato la proprietà del congegno, paventando un complotto nei suoi confronti.

La società insiste nelle sue argomentazioni, forte della produzione di una registrazione proprio nel giudizio parallelo instaurato per contestare la multa di 3 ore irrogata al (…) per i toni assunti in una conversazione con i colleghi (…) e (…).

Ma tale circostanza non basta, a parere di questo Tribunale, così come nulla prova il fatto che al termine della giornata lavorativa il congegno di registrazione non fosse più presente in loco.

Nessuno dei testi escussi ha dichiarato di aver visto il ricorrente maneggiare il dispositivo di registrazione, occultarlo, riprenderlo a fine servizio. Non vi è, in sostanza, prova dell’appartenenza del registratore al ricorrente e/o dell’utilizzo da parte dello stesso per finalità illecite.

Anzi, si reputa alquanto singolare che dopo il rinvenimento dell’apparecchio non siano stati adottati provvedimenti simultanei, come una richiesta di chiarimenti da parte della diretta responsabile, (…), ovvero colei che ha scoperto il congegno; la scelta di riferire l’episodio all’ufficio del personale senza neppure tentare di raccogliere la versione offerta dal diretto interessato in ordine al rinvenimento desta non pochi sospetti, così come è singolare che nessuno dei presenti ((…) e (…)), dopo una scoperta di tale gravità, non fossero stati attenti e vigili ai successivi movimenti e comportamenti del (…), come poteva essere proprio il gesto di prelevare il congegno a fine turno (seguendo la tesi della convenuta).

Un confronto nell’immediatezza dei fatti avrebbe consentito di raccogliere le dichiarazioni del ricorrente, per forza di cose non premeditate e, come tali, presumibilmente più genuine considerato, altresì, lo stato di flagranza.

La (…), seppur in maniera confusa, ha dichiarato che nei giorni successivi tale apparecchio non era più presente, ma tale circostanza è alquanto strana considerato che il (…), per quanto risultante dall’istruttoria, non era stato reso edotto immediatamente del rinvenimento e, dunque, ben avrebbe potuto – a rigore – proseguire l’attività di occulta registrazione anche nei giorni a seguire.

Ancora: il teste (…), reso edotto dal ricorrente della situazione vissuta in ufficio e dei rapporti tesi con i colleghi e con la superiore (…), ha riferito di aver consigliato al (…) di provvedere ad effettuare registrazioni “in casi estremi, cioè solo quanto riteneva di essere in una situazione critica”, offrendo addirittura un proprio registratore. Il teste ha aggiunto che il (…) ha dichiarato, in quell’occasione, di preferire il proprio smartphone in quanto idoneo e adeguato a quell’utilizzo (“io avevo un piccolo registratore e avevo suggerito al ricorrente di utilizzarlo, il ricorrente mi disse che non era necessario ritenendo lo smartphone più che sufficiente allo scopo”). Lo stesso ricorrente ha precisato, nel corso dell’interrogatorio libero, di aver utilizzato il proprio smartphone per la registrazione prodotta nel giudizio n. R.G. 707/2019.

In definitiva, quindi, si ritiene non raggiunta la prova – a carico di parte convenuta – dell’appartenenza del congegno di registrazione occulta al ricorrente, né che quest’ultimo ne avesse fatto utilizzo nelle modalità indicate in atti.

Tale carenza di prova rende illegittimo il licenziamento comminato con raccomandata del 01.10.2019; quanto alle conseguenze si applica il disposto di cui all’art. 18, co. 4 L. n. 300 del 1970 per insussistenza materiale del fatto (a cui è assimilabile la mancata prova dello stesso, come nel caso di specie), pertanto, va annullato il licenziamento e condannato il datore di lavoro a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro, oltre che al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto l’aliunde perceptum (in ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto). Il datore di lavoro sarà condannato, altresì, “al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione…” come statuisce il co. 4 dell’art. 18 Stat. Lav., a mente del quale il lavoratore può optare per l’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del co. 3.

Si evidenzia, infine, che non vi è prova del carattere discriminatorio o ritorsivo del licenziamento; prova di cui è pacificamente investito il ricorrente: “L’onere della prova della sussistenza di un motivo di ritorsione del licenziamento e del suo carattere determinante la volontà negoziale, grava sul lavoratore che lo deduce in giudizio – Si tratta di una prova spesso difficile ma il lavoratore può giovarsi anche di presunzioni tra cui, non secondaria, la dimostrazione della inesistenza del diverso motivo addotto a giustificazione del licenziamento o di alcun motivo ragionevole” – a ultimo, Cass. n. 11705/2020.

In proposito, le mail raccolte in atti rendono conto di un atteggiamento teso tra le parti, ma non un intento persecutorio o discriminatorio di una parte nei confronti dell’altra; anche la mancata convocazione ad una riunione d’ufficio è stata congruamente motivata nel corso dell’istruttoria, avendo ad oggetto questione non demandata al ricorrente (v. deposizione (…) e, in particolare, (…), secondo cui: “Ricordo di una riunione in cui il ricorrente non era stato convocato; era un’attività di recupero crediti appena assunta e ala (…) aveva dato questa attività a me e a (…); (…) non era previsto come gestore di quell’attività e alla riunione eravamo stati convocati solo io e (…)”).

I due precedenti disciplinari, di cui uno dichiarato infondato, non bastano a sostenere la tesi di parte ricorrente circa il carattere ritorsivo della misura espulsiva adottata.

Il ricorso va, dunque, accolto nei limiti su esposti e con le conseguenze appena rimesse: il licenziamento va annullato e (…) s.r.l. condannata a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e al pagamento, in favore di quest’ultimo, di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto l’aliunde perceptum, con versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

Ad integrazione di quanto appena rimesso, va evidenziato che dalla produzione documentale richiesta al lavoratore nel presente giudizio di opposizione, ovvero la lista degli acquisti effettuati su (…) e (…), non risulta l’acquisto di un registratore vocale. La decisione assunta all’esito della fase sommaria può trovare integrale conferma in questa sede; l’opposizione va, pertanto, respinta.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bergamo, definitivamente pronunziando, respinta ogni diversa istanza, deduzione, eccezione così provvede:

– rigetta il ricorso in opposizione e conferma l’ordinanza opposta;

– condanna (…) s.r.l. alla refusione delle spese di lite della presente fase che si liquidano in Euro 1.500,00, per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Bergamo il 23 luglio 2021.

Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2021.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.