L’avvocato dovrà considerarsi responsabile verso il cliente per il caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed in genere nei casi in cui per negligenza od imperizia comprometta il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili deve ritenersi esclusa la responsabilità dell’avvocato medesimo nei confronti del suo cliente, a meno di dolo o colpa grave .La diligenza del professionista che non può prescindere da altri doveri, quali “l’informazione, (la) sollecitazione, (la) dissuasione ai quali il professionista deve adempiere, così all’atto dell’assunzione dell’incarico come nel corso del suo svolgimento, prospettando al cliente le questioni di fatto e di diritto, rilevabili ab origine od insorte successivamente, riscontrate ostative al raggiungimento del risultato e/o comunque produttivo di un rischio di conseguenze negative o dannoso, invitandolo, quindi, a comunicargli od a fornirgli gli elementi utili alla soluzione positiva delle questioni stesse, sconsigliandolo, infine, dall’intraprendere o proseguire la lite ove appaia improbabile tale positiva soluzione e, di conseguenza, un esito sfavorevole e dannoso.

Tribunale Milano, Sezione 5 civile Sentenza 8 febbraio 2019, n. 1307

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO

QUINTA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Caterina Spinnler

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 43164/2016 promossa da:

(…) SRL (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. D’URSO PAOLO ed elettivamente domiciliato in VIA (…) 20135 MILANO presso il difensore avv. D’U.PA.

appellante

contro

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. (…) ed elettivamente domiciliato in VIALE (…) 20146 MILANO presso il difensore avv. (…)

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. (…) ed elettivamente domiciliato in VIALE (…) 20146 MILANO presso il difensore avv. (…)

appellato

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

La società (…) s.r.l. ha proposto appello avverso la sentenza n 5546/2016 pubblicata il 1.6.2016, con la quale il Giudice di Pace di Milano, adito dall’avv. (…), in proprio e quale legale rappresentante dello (…), con domanda diretta ad ottenere la condanna della società appellante al pagamento dei propri compensi professionali per attività giudiziale e stragiudiziale svolta, ha condannato la società (…) s.r.l. al pagamento della somma di Euro 4.048,53 ed alla rifusione delle spese processuali, che ha liquidato nella somma di Euro 1.000,00 , oltre accessori.

In primo grado l’avv. (…) aveva svolto domanda diretta al pagamento di compensi professionali relativi ai seguenti procedimenti: 1 ) (…) s.r.l./(…)( parcella (…) ) 2) (…) s.r.l./(…) e (…),( parcelle n. (…) e (…) ) 3 ) (…) s.r.l./(…) ( parcella (…) ), per un totale complessivo di Euro 4.746,91.

La società convenuta aveva chiesto respingersi la domanda avversaria ed aveva svolto , in via riconvenzionale, in principalità, domanda di condanna dell’attore al pagamento della somma di Euro 5.000,00, a titolo di risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’inadempimento all’incarico professionale assunto con riferimento alla controversia possessoria con (…) e, in subordine, aveva chiesto statuirsi sui rapporti di dare avere tra le parti operando la compensazione.

Il Giudice di Pace ha accolto la domanda dell’attore, condannando la società convenuta al pagamento della somma di Euro 4.048,53 ed alla rifusione delle spese processuali, che liquidato in Euro 1.000,00, ed ha omesso di provvedere sulla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto.

Ha proposto appello la società (…) chiedendo, in totale riforma della sentenza di primo grado, l’accoglimento delle domande proposte davanti al Giudice di Pace.

Ha affidato l’appello ai seguenti motivi:

1) Nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale

2) responsabilità professionale dell’avv. L. nella controversia possessoria

3) Violazione di legge e/o omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa la sussistenza del diritto di credito affermato dall’appellato.

L’appellato ha resistito ed ha chiesto confermarsi la sentenza gravata.

Omessa ogni attività istruttoria, all’udienza del 28.11.2018 i procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni ed il giudice ha trattenuto la causa in decisione, assegnando i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

1 – Ha allegato la società appellante di avere incaricato, nella sua qualità di proprietaria di un ‘unità immobiliare nel condominio sito in (…), via (…), l’avv. (…) di procedere contro il condomino (…) reo di avere posizionato sulla copertura dell’edificio condominiale pannelli solari in numero tale da impedire agli altri condomini il medesimo uso del bene comune e per avere occupato un vano scala di pertinenza della società (…) e che il ricorso ex art. 1168 c.c., era stato respinto sia dal giudice monocratico che dal collegio, investito del relativo reclamo, con condanna della società appellante al pagamento delle spese processuali, quantificate nella somma di Euro 2.500,00 , oltre agli accessori di legge.

Assume che l’avv. (…) non avrebbe adempiuto all’incarico professionale con la diligenza e la perizia richiesta, avendo proposto un’azione possessoria in assenza dei presupposti di legge ed avendo formulato una domanda indeterminata e priva di supporto probatorio, come statuito dal Tribunale ed avendo successivamente interposto reclamo.

Ha svolto domanda di risarcimento dei danni, che ha quantificato nella somma di Euro 5.000,00, corrispondenti a quanto versato all’avv. (…) per spese giudiziali e quanto corrisposto, in ragione della soccombenza nel giudizio di reclamo, in favore del sig. (…).

Va evidenziato che in primo grado aveva quantificato il danno nello stesso importo ma lo aveva riferito, quanto alla somma di Euro 3.146,00 al danno patrimoniale corrispondente alla somma che la società appellante era stata condannata a pagare alla controparte (…) in ragione della soccombenza nel giudizio di reclamo e quanto ad Euro 1.854,00 al danno morale patito.

Di tale domanda è investito il Tribunale, non essendo consentita, in ragione della natura dell’appello quale mezzo di revisione della decisione assunta in primo grado, la modificazione della domanda di cui è stato investito il giudice che ha emesso il provvedimento gravato.

In primo grado il giudice ha omesso di provvedere sulla domanda in esame.

La domanda è fondata e va accolta.

Trovano applicazione i seguenti principi di diritto.

A norma dell’art. 2222 c.c. il contratto d’opera intellettuale è un contratto, in forza del quale un soggetto ( il professionista) assume, nei confronti di altro soggetto (il cliente) l’obbligo di eseguire una prestazione il cui contenuto è di natura intellettuale, dietro pagamento di un compenso liberamente pattuito, o da determinarsi secondo gli usi e le tariffe (ora, dopo l’abolizione delle tariffe professionali, sulla base di un preventivo – orale o scritto – o di parametri stabiliti dal (…) n. 140 del 2012 ).

In forza di ciò vi è l’obbligo per l’avvocato (professionista) di svolgimento di tutta una serie di attività strettamente collegate fra di loro (consiglio, informazione, consulenza, difesa nei procedimenti giudiziali, attività stragiudiziale).

Gli elementi caratterizzanti della prestazione giudiziale sono il mandato e la prestazione d’opera professionale; il contratto di prestazione di opera professionale non si limita quindi, alle sole esigenze professionali, ma è caratterizzato da una serie di attività fra di loro astrattamente collegate.

Il comportamento del professionista deve essere ispirato alle comuni regole di correttezza e diligenza, così come previsto dall’art. 1176, 2 c., c.c., cosicché, quando si tratti di valutare il comportamento del professionista (la cui diligenza deve essere conforme alla natura dell’attività professionale da svolgere), al rapporto derivante dal contratto di prestazione di opera intellettuale dovranno applicarsi le norme che determinano le conseguenze per l’inadempimento (vedi art. 1218 c.c.).

Per giurisprudenza costante, la prestazione professionale dell’avvocato si sostanzia in un’ obbligazione di mezzi e non di risultato, per cui la responsabilità professionale presuppone la violazione del dovere di diligenza, secondo i canoni della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, cod. civ., da commisurarsi alla natura dell’attività esercitata e al modo con cui tale attività è stata svolta (cfr. da ultimo Cassazione n. 18612/2013).

La diligenza esigibile dall’avvocato, infatti, non è quella ordinaria del buon padre di famiglia, ma la diligenza professionale di cui all’ art. 1176, 2 comma, c.c., sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, cioè la diligenza posta nell’ esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione medie (Cass., sez. II, 08-08-2000, n. 10431).

“L’avvocato dovrà considerarsi responsabile verso il cliente per il caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed in genere nei casi in cui per negligenza od imperizia comprometta il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili deve ritenersi esclusa la responsabilità dell’avvocato medesimo nei confronti del suo cliente, a meno di dolo o colpa grave”.

La diligenza del professionista che non può prescindere da altri doveri, quali “l’informazione, (la) sollecitazione, (la) dissuasione ai quali il professionista deve adempiere, così all’atto dell’assunzione dell’incarico come nel corso del suo svolgimento, prospettando al cliente le questioni di fatto e di diritto, rilevabili ab origine od insorte successivamente, riscontrate ostative al raggiungimento del risultato e/o comunque produttivo di un rischio di conseguenze negative o dannoso, invitandolo, quindi, a comunicargli od a fornirgli gli elementi utili alla soluzione positiva delle questioni stesse, sconsigliandolo, infine, dall’intraprendere o proseguire la lite ove appaia improbabile tale positiva soluzione e, di conseguenza, un esito sfavorevole e dannoso” (Cass. 14.11.2002 n. 16023).

Nel caso di specie si contesta all’avv. L. di avere esperito un’azione possessoria in difetto dei presupposti di legge e , a fronte del provvedimento di rigetto del giudice monocratico, di avere insistito con la proposizione del reclamo, così provocando la condanna della società appellante al pagamento delle spese processuali sostenute dal reclamato, che era rimasto contumace davanti al giudice monocratico.

Non vi è dubbio che, come emerge dal provvedimento reso dal giudice monocratico all’esito del procedimento possessorio, il legale abbia omesso di offrire la prove degli elementi costitutivi dell’azione di spoglio, non risultando compiutamente allegato e tanto meno dimostrato:

1 ) con riferimento all’asserita abusiva occupazione del tetto condominiale, oltre che i termini esatti dello spoglio lamentato – indispensabili, trattandosi di bene di proprietà comune in uso condiviso a tutti i condomini, per verificare la sussistenza dello spoglio, che avrebbe dovuto consistere nella privazione del pari uso del bene da parte degli altri condomini – la sua clandestinità, essendo l’allegazione in contrasto con la documentazione prodotta dallo stesso ricorrente ( avviso di lavori sul tetto condominiale ), ed il periodo dell’avvenuto spoglio o meglio della sua scoperta, elemento indispensabile per la valutazione della tempestività dell’azione proposta,

2 ) e con riferimento all’allegata abusiva occupazione del vano scala, il possesso dell’anzidetta porzioni immobiliare in capo alla società ricorrente e la riconducibilità dello spoglio al (…).

Tale essendo stato l’esito della prima fase del giudizio ed avendo il giudice monocratico evidenziato nel provvedimento di rigetto l’indeterminatezza della domanda , la carenza di prova in ordine ai termini dell’asserito spoglio ( cui non avrebbe potuto sopperire la C.T.U., in ragione del mancato adempimento dell’onere probatorio, né le prove orali, a fronte della genericità dell’allegazione ) ed il difetto di tutti gli elementi costitutivi dell’azione proposta, l’appellato ha proposto reclamo avverso il provvedimento di rigetto sulla base dello stesso quadro probatorio, limitandosi a censurare la decisione del primo giudice in punto valutazione delle prove, assumendo, sul richiamo del disposto di cui all’art. 116 c.c., che il Tribunale non avrebbe considerato la condotta processuale del resistente, rimasto contumace in fase monocratica, condotta cui ha attribuito valore di non contestazione degli assunti avversari ( p. 6 e 7 del reclamo ).

Si tratta di un evidente errore di diritto, essendo noto l’orientamento della Corte di Cassazione che esclude che la contumacia possa essere assimilata alla non contestazione degli assunti avversari, così da rilevare la controparte dall’onere probatorio ( “La contumacia del convenuto , di per sé sola considerata, non può assumere alcun significato probatorio in favore della domanda dell’attore, poiché , al pari del silenzio nel campo negoziale, non equivale ad alcuna manifestazione di volontà favorevole alla pretesa della controparte, ma lascia del tutto inalterato il substrato di contrapposizione su cui si articola il contraddittorio. Ne consegue che non è possibile considerare come non contestato dal convenuto contumace fatti costituitivi della domanda della cui sussistenza l’attore ha l’onere della prova” (Cass. n. 2410/1985; Cass. 2427/1987; Cass. 10554/1994; Cass. n. 1293/1998; Cass. n. 12282/2001; Cass. 10947/2003; Cass. 10948/2003; Cass. 14623 del 23/06/2009).

Tanto meno l’appellato ha dato prova di avere adeguatamente informato il proprio assistito dei rischi processuali, sconsigliandolo di introdurre il giudizio di reclamo avverso l’ordinanza di rigetto del ricorso possessorio.

Al contrario con la comunicazione via mail del 10.1.2013 ha riferito alla società appellante che la contumacia avrebbe dovuto venire valutata dal giudice a norma dell’art. 116 c.c., stigmatizzando l’erroneità della decisione assunta dal giudice ( “… trovo difficile ottenere giustizia e soddisfacimento delle proprie ragioni… “) e non ha illustrato né informato il cliente del rischio di proporre reclamo, sconsigliandolo dal farlo.

Ritenuta per quanto esposto la responsabilità del professionista per inadempimento al dovere di informazione e dissuasione del cliente dall’intraprendere un’azione giudiziaria avventata e senza prospettiva di esito favorevole e quindi la fondatezza della domanda in punto “an”, è necessario passare alla quantificazione dei danni.

Il cliente, il quale assume di aver subito un danno, ha l’onere di provare la difettosa od inadeguata prestazione professionale, l’esistenza del danno ed il rapporto di casualità fra la difettosa od inadeguata prestazione professionale ed il danno (Cass. n. 9238 del 18.4.2007).

E’ dovuto il danno corrispondente all’esborso sostenuto alla società appellante in conseguenza della condanna al pagamento delle spese di lite in favore della parte reclamata, liquidate dal collegio nella somma di Euro 2.500,00, oltre accessori di legge, per un totale complessivo di Euro 3.146,00, essendo tale danno diretta conseguenza dell’introduzione dell’anzidetta fase del giudizio.

Va respinta la domanda diretta al risarcimento del “danno morale”, non integrando la condotta di inadempimento al contratto di mandato professionale attribuita all’avv. (…) il presupposto necessario per il riconoscimento del danno in questione.

2 – Con riferimento alla domanda dell’avvocato (…) diretta al pagamento dei compensi professionali valgono le seguenti osservazioni.

L’appellante non ha contestato il conferimento dell’incarico e lo svolgimento dell’attività professionale da parte dell’appellato – attività che è stata oggetto di compiuta prova documentale – essendo la doglianze limitata al quantum debeatur.

La domanda di pagamento svolta dall’appellato ha ad oggetto le seguenti parcelle:

parcella n. (…) dell’ammontare di Euro 1.608,70 per compensi per attività giudiziale relativa all’azione possessoria promossa dalla società appellante nei confronti di (…) parcella n. (…) dell’importo di Euro 492,97 per la procedura di mediazione contro la signora (…) parcella n. (…) dell’importo di Euro 1.190.70 per il parere reso su un’azione petitoria contro (…),(…) e F. parcella n. (…) dell’importo di Euro 756,16 per la ricerca di documentazione effettuata con riferimento all’occupazione di un sottotetto da parte del sig. (…).

L’appellante, riconosciuta l’applicabilità del (…) n. 140 del 2012, ha contestato che i compensi sarebbero stati determinati senza tenere conto del valore delle controversie, non indicato nelle parcelle emesse dall’avv. (…) né nella sentenza gravata.

Inoltre, con riferimento alla parcella n.(…) ha contestato l’esposizione della somma di Euro 698,00 per compensi a saldo relativi alla fase monocratica del procedimento 67047/2012, assumendo di avere già interamente corrisposto quanto dovuto per tale fase del giudizio con il pagamento della somma di Euro 1.232,96, di cui alla parcella (…) del 15.11.202 ( doc. 25 appellato ).

Quanto alle parcelle n.(…) , (…) e (…), inerenti ad attività stragiudiziale, ha evidenziato come il giudice avesse liquidato le parcelle senza tenere conto della natura dell’affare, del numero e dell’importanza delle questioni trattate e del pregio dell’opera prestata ed ha contestato, richiamando quanto dichiarato in sede di interrogatorio formale dal legale rappresentante della società appellante, che fosse stato conferito mandato all’avv. (…) per visionare l’accertamento tecnico preventivo e che la fattura n. (…) era stata saldata.

La liquidazione dei compensi effettuata dal Giudice di Pace non è sostenuta da motivazione alcuna, essendosi il primo giudice limitato a liquidare una somma omnicomprensivo per compensi giudiziali e stragiudiziali senza indicare i criteri di quantificazione adottati, la normativa applicata ed il valore delle singole vertenze.

La valutazione del “quantum” è disciplinata dal (…) n. 140 del 2012 , come concordemente riconosciuto dai procuratori delle parti, dovendo i compensi professionali devono essere liquidati secondo il sistema vigente al momento dell’esaurimento della prestazione ovvero della cessazione dell’incarico.

(Cass. 30529/2017 : tema di spese processuali, agli effetti dell’art. 41 del (…) n. 140 del 2012, il quale ha dato attuazione all’art. 9, comma 2, del D.L. n. 1 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 27 del 2012, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle precedenti tariffe professionali, sono applicabili ogni volta che la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, benché questa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando vigevano le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata, operante anche con riferimento all’attività svolta nei gradi di giudizio conclusi con sentenza prima dell’entrata in vigore del decreto e anche nel successivo giudizio di rinvio” Cfr da ultimo Cass. 31884/2018).

Con riferimento alla parcella (…) nulla è dovuto, in quanto , in relazione alla fase monocratica, cui si riferisce il compenso a saldo per la somma di Euro 698,00, avendo la società appellante già versato la somma di Euro 1.232,96 (cfr. parcella n. (…) ), ritiene il Tribunale che, avuto riguardo alla qualità dell’attività professionale svolta, di cui si è detto sopra, quanto già corrisposto dalla società appellante sia esaustivo dei compensi dovuti al difensore.

Nulla è dovuto per le spese relative al reclamo (Euro 400,00) trattandosi di attività professionale inutiliter data e fonte di danni per il cliente.

Le somme portate dalle altre parcelle ( (…), (…) e (…) ), relative ad attività stragiudiziali, sono dovute nella misura richiesta dall’appellato.

Su invito del giudice entrambe le parti hanno predisposto un conteggio analitico dei compensi, che sono stati determinati applicando i parametri di cui al (…) n. 140 del 2012 (vigenti con riferimento al momento in cui sono state rese le prestazioni).

I conteggi divergono con riferimento alla misura dei compensi ed all’applicabilità degli aumenti per spese generali.

L’aumento per spese forfetarie è dovuto, posto che, per quanto non previsto nel (…) n. 140 del 2012, è stato reintrodotto e reso obbligatorio con la legge pubblicata in G.U. 15 del 18.1.2013 entrata in vigore il 2.2.2013 (cfr Cass. 18518 del 2.8.2013 ).

I compensi sono stati correttamente quantificati dall’avv. (…) in applicazione del disposto di cui all’art. 3 del citato (…), avuto riguardo alla natura ed all’importanza degli affari e delle questioni trattate ed al pregio delle prestazioni rese, quali si evincono dalla documentazione versata in atti. Pertanto sono dovute le somme esposte nelle parcelle (…), n. (…) e n. (…) per un ammontare complessivo, comprensivo di accessori, di Euro 2.439,83. Si precisa che quanto dichiarato dal legale rappresentante della società appellante circa il mancato conferimento all’avv. (…) del mandato per visionare il A.T.P. e l’avvenuto pagamento della parcella n. (…) non costituiscono prova delle circostanze riferite, non trattandosi di dichiarazioni confessorie, avendo contenuto favorevole alla parte.

Concludendo, compete all’avv. (…) il pagamento della somma complessiva di Euro 2.439,83 per prestazioni professionali.

Avuto riguardo all’esito complessivo del giudizio ed alla reciproca soccombenza, vanno interamente compensate tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale, in funzione di giudice unico, così provvede:

in riforma della sentenza n. 5546/2016 resa dal Giudice di Pace in data 1.6.2016,

condanna la società appellante (…) S.r.l. a pagare all’appellato la somma di Euro 2.439,83, a titolo di compensi professionali;

condanna l’appellato avv. (…) a pagare all’appellante la somma di Euro 3.146,00 a titolo di risarcimento dei danni;

dichiara compensati i rispettivi crediti fino alla loro concorrenza e condanna l’appellato a corrispondere alla società appellante il saldo;

compensa integralmente tra le parti le spese processuali relative al doppio grado del giudizio.

Così deciso in Milano l’8 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria l’8 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.