in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “piu’ probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalita’ fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso puo’ essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attivita’ professionale omessa.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 26 giugno 2018, n. 16803
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15975/2016 proposto da:
(OMISSIS), considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
CURATELA FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) SAS, in persona del suo curatore, Rag. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 209/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/03/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che:
1. La Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.a.S. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme (OMISSIS), avvocato, affinche’ venisse dichiarata la sua responsabilita’ professionale per la negligenza con cui aveva assolto il mandato difensivo che le era stato conferito per la proposizione dell’azione revocatoria fallimentare nei confronti della moglie del socio accomandatario della societa’ alla quale egli aveva venduto, nel biennio antecedente al fallimento, la quota indivisa del 50% di un immobile di cui era comproprietario, ad un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato.
Nella contumacia della convenuta, il Tribunale di Lamezia Terme accolse la domanda, condannando la (OMISSIS) al risarcimento, in favore della curatela, del danno subito, pari al valore della quota del bene alienato.
2. La Corte d’Appello di Catanzaro riformo’ parzialmente la sentenza e, confermata la sussistenza della negligenza denunciata, ridusse la misura del risarcimento oggetto di condanna.
3. (OMISSIS) ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a cinque motivi, illustrati anche con memoria.
La parte intimata ha resistito con controricorso.
Considerato che:
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione delle norme sostanziali in materia di onere della prova, e segnatamente dell’articolo 2697 c.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti: lamenta che la Corte di Catanzaro aveva ritenuto che fosse suo onere dimostrare di aver ricevuto la comunicazione del rinvio ex articolo 309 c.p.c., a seguito del quale la mancata comparizione aveva determinato la cancellazione della causa dal ruolo e l’estinzione del giudizio per mancata riassunzione entro l’anno.
1.1. Il motivo e’ infondato.
La Corte territoriale ha infatti disatteso il motivo di gravame affermando che era onere dell’appellante provare di non aver ricevuto la comunicazione, da parte della cancelleria, del rinvio ex articolo 309 c.p.c., ma che esso non era stato assolto. La Corte ha aggiunto che “la stessa appellante, infatti, ha specificato di non essere in grado di fornire la prova poiche’ il fascicolo d’ufficio non e’ stato rinvenuto, giusta attestazione della cancelleria. L’attestazione di smarrimento del fascicolo non consente, tuttavia, di surrogare ad un onere probatorio finalizzato a dimostrare l’incolpevole abbandono della causa da parte dell’avv.to (OMISSIS)”.
1.2. Il principio affermato – che risponde ad una corretta applicazione di quanto disposto nell’articolo 2697 c.c., – necessita di una precisazione.
La Curatela del fallimento, infatti, nel promuovere il giudizio di responsabilita’ professionale (in cui la (OMISSIS) rimase contumace), ha prodotto la copia dei verbali di udienza della controversia avente per oggetto l’azione revocatoria fallimentare dai quali emerge che all’udienza del 23.3.1999 nessuno era comparso e che il giudice, “verificata la regolarita’ delle comunicazioni”, aveva disposto la cancellazione della causa dal ruolo (cfr. verbale prodotto).
Si osserva, al riguardo, che il verbale di udienza ha valore di atto pubblico: ragione per cui fa piena prova dei fatti che attesta, per contraddire i quali sarebbe stato onere della (OMISSIS) proporre querela di falso: l’omesso rinvenimento del fascicolo doveva essere valutato in quella sede, dovendosi viceversa ritenere che, nel presente giudizio, faccia fede la dichiarata verifica, da parte del giudice, della regolarita’ delle notificazioni riportata nel verbale. Circostanza alla quale consegue logicamente una valutazione di negligenza del difensore che nulla ha a che fare con lo smarrimento del fascicolo e che e’ stata correttamente individuata dalla Corte d’appello nella mancata comparizione all’udienza fissata.
1.3. In tal senso, ex articolo 384 c.p.c., la motivazione della sentenza deve, sul punto, essere integrata.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, deduce la violazione degli articoli 67 e 69 Legge Fallimentare (allora vigenti) nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione consistente nella circostanza che l’azione revocatoria era stata proposta sul presupposto del fallimento della societa’ e non del socio che, in qualita’ di accomandatario, era stato destinatario soltanto dell’estensione della dichiarazione L. Fall., ex articolo 147, non essendo egli un imprenditore commerciale autonomo.
Lamenta che la Corte, condividendo sul punto la decisione del tribunale, aveva erroneamente ritenuto di formulare un giudizio prognostico positivo rispetto alla lite intentata, laddove, invece, non potevano ritenersi sussistenti le condizioni per affermare la fondatezza dell’azione L. Fall., ex articolo 69, non potendosi, neanche in via presuntiva, ritenere che la moglie del (OMISSIS) fosse a conoscenza dello stato di insolvenza della societa’.
2.1. Il motivo e’ inammissibile in quanto la censura non risulta specificamente proposta nel giudizio d’appello dove la critica devoluta aveva per oggetto proprio la dimostrazione contestata dalla stessa (OMISSIS), della inscientia decotionis della societa’ fallita che la Corte aveva deciso sulla base del mancato superamento della presunzione.
Nulla era stato dedotto, in grado d’appello e in relazione al giudizio prognostico, circa gli effetti derivanti nei confronti del (OMISSIS) dal combinato disposto di cui alla L. Fall., articoli 147, 69 e 67, tenuto conto che:
a. l’azione L. Fall., ex articolo 69, e’ stata proposta (modificando alla prima udienza la domanda L. Fall., ex articolo 67, originariamente introdotta: v. verbali prodotti dal controricorrente) dalla stessa avv.to (OMISSIS), con una scelta processuale ben precisa che, in questa sede e per la prima volta, viene ritrattata, prospettando, un argomento nuovo ed in quanto tale inammissibile;
b. il giudizio prognostico nelle controversie di responsabilita’ professionale rientra in una valutazione di merito che ove accompagnata da una motivazione non viziata (e tale non e’ alla luce delle coerenti argomentazioni contenute nella sentenza impugnata), non puo’ essere censurata in sede di legittimita’: questa Corte ha avuto modo di affermare che “in tema di responsabilita’ professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attivita’ da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “piu’ probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalita’ fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso puo’ essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attivita’ professionale omessa (cfr. Cass. 25112/2017); ed e’ stato pure ritenuto che nelle medesime controversie “la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito circa il probabile esito dell’azione giudiziale malamente intrapresa o proseguita, sebbene abbia contenuto tecnico-giuridico, costituisce comunque valutazione di un fatto, censurabile in sede di legittimita’ solo sotto il profilo del vizio di motivazione” (cfr. Cass. 3355/2014).
2.2. La censura, pertanto, risulta inammissibile sotto entrambi gli aspetti sopra indicati.
3. Con il terzo motivo, ancora, la ricorrente deduce, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, articoli 13 e 40, e delle norme tecniche del Piano Regolatore Generale di Lametia Terme, in relazione alla positiva quanto ipotetica valutazione della Corte d’Appello sulla possibilita’ di vendere l’immobile nonostante che fosse, sia pur in parte, difforme dalle prescrizioni edilizie, considerando possibile una sanatoria.
3.1. Ancora, con il quinto motivo, proposto ex articolo 360, nn. 3 e 5, e da esaminarsi congiuntamente al terzo per la stretta connessione logica, viene dedotta la violazione degli articoli 1223 e 1226 c.c., in relazione al valore del risarcimento: la ricorrente lamenta che la Corte non aveva tenuto conto delle correzioni percentuali necessarie ad adeguare il valore del bene alla concreta probabilita’ di venderlo in sede concorsuale nonche’ alla possibile devalutazione che esso avrebbe potuto subire. Assume che la Corte d’Appello aveva sottovalutato l’incidenza di tale fatto sulla alienabilita’ del bene.
3.2. Entrambi i motivi sono inammissibili perche’ chiedono una rivalutazione di merito della controversia, in presenza di una motivazione approfondita e congrua (cfr. pagg. 6, 7 e 8 del ricorso) sul valore e le caratteristiche dell’immobile, descritto in tutti i suoi aspetti dalla CTU, e valutato in relazione ad entrambe le criticita’ prospettate: con la conseguenza che la censura, pur apparentemente ricondotta al vizio di violazione di legge, tenta di realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (cfr. Cass. 8758/2017).
4. Con il quarto motivo, infine, la ricorrente deduce, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di valutazione delle prove e, segnatamente, dell’articolo 116 c.p.c., in relazione al criterio di ragionevolezza del giudizio che era stato oggetto di discussione fra le parti. Lamenta che la Corte territoriale aveva determinato il valore del danno nella differenza fra quello della quota dell’immobile accertato dal CTU secondo i valori di mercato dell’anno 2000, gia’ decurtato dei costi necessari per sanare le irregolarita’ edilizie: ma nel procedere al calcolo lamenta la commissione di un errore che aveva determinato un importo ingiustamente piu’ elevato.
4.1. Il motivo e’ fondato.
Pacifico, infatti, che il valore della quota dell’immobile venduto, tenuto conto dei costi sostenuti per sanare le irregolarita’ edilizie, fosse pari ad Euro 57.775,72, quello dichiarato nell’atto di vendita, rivalutato e convertito con riferimento all’anno 2000, risulta pari ad Euro 33.737,00: con la conseguenza che il danno subito, corrispondente alla differenza fra i due valori e’ pari ad Euro 24.038,12, inferiore alla somma di Euro 38.121,93 erroneamente indicata nella sentenza impugnata.
Trattasi di un evidente errore di calcolo, in relazione al quale non sono necessari altri accertamenti di fatto, ragione per cui questa Corte puo’ decidere nel merito in relazione all’unico motivo accolto, correggendo la motivazione ed il dispositivo.
5. Le spese, tenuto conto dell’andamento del giudizio di legittimita’, devono essere compensate nella misura di un quinto.
I restanti quattro quinti sono posti a carico del ricorrente e liquidati come da dispositivo ex Decreto Ministeriale n. 55 del 2014.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo, il terzo ed il quinto; accoglie il quarto e decidendo nel merito in relazione al motivo accolto, condanna la ricorrente ai pagamento della minor somma di Euro 24.038,12 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali nella misura di legge.
Compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimita’ nella misura di un quinto e condanna la ricorrente a rifondere alla parte controricorrente i restanti quattro quinti che liquida in Euro 3000,00 per compensi oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.